Omelia II Domenica di Pasqua

Omelia S.E. Mons. Andrea Turazzi

Mercato Vecchio – 3 aprile 2016

At 5,12-16
Sal 117
Ap 1,9-11.12-13.17-19
Gv 20,19-31

Nel vangelo della seconda domenica di Pasqua (detta la domenica di Tommaso), si racconta l’apparizione di Gesù ai discepoli barricati nel Cenacolo per la paura dei giudei. Gesù viene delicatamente, anche se le porte sono chiuse, sensibile ed attento alle paure e ai dubbi dei suoi amici. Saluta: Pace a voi.
Si ricomincia con il soffio di Gesù che alita sulla comunità che riparte, è il gesto compiuto dal Creatore che da vita all’uomo. La comunità “ricreata” da Gesù è una comunità nuova che riesce perfino ad ospitare l’incredulità di uno del gruppo, uno dei migliori… Tommaso, infatti, non crede, ma non se ne va, rimane. Il gruppo non lo esclude e non lo emargina. La comunità cristiana è luogo della fede: quando la fede di un fratello è debole, attorno a lui ci si mobilita: «Resta. Non te ne andare. Altri ti porteranno, altri saranno testimoni». Otto giorni dopo Gesù è ancora li. Entra e non si ferma coi dieci che credono, ma va dritto verso Tommaso: Metti qua il tuo dito, tendi la tua mano. Di per sé il vangelo non dice che Tommaso ha toccato le mani ed il costato trafitto di Gesù. A Tommaso è bastato sentirsi incoraggiato e non giudicato; è bastato vedere negli occhi colui che si è concesso ai suoi dubbi prima che alle sue mani: «Sei proprio tu, Gesù. Inconfondibile nel tuo modo di proporti e nel tuo stile. Non mi sbaglio»!
Così Tommaso passa dall’incredulità all’estasi: Mio Signore e mio Dio! «Mio»: un aggettivo che cambia tutto, non evoca il Dio dei libri, il Dio degli altri, ma il Dio che si è intrecciato con la sua vita e i suoi dubbi. Ecco gli aggettivi di un cuore ricreato: «tu sei mio» – «io sono tuo».
Aspetto ogni volta con curiosità e meraviglia, l’incontro con l’apostolo Tommaso. Accade ogni anno, la seconda domenica di Pasqua. E’ sempre una sorpresa.
Mi piace l’interpretazione dell’episodio evangelico che ne offre il Caravaggio nel suo celebre dipinto. Tomaso è incredulo: c’è bisogno della mano forte di Gesù, perché il suo dito penetri nella profonda fessura sul petto squarciato. A Tomaso è chiesto di sperimentarne la realtà, il calore e l’umidità e di vincere il naturale ribrezzo che desta una piaga, sia pure la più santa. Ma non sono forse increduli anche gli altri dieci? Due apostoli sono raffigurati dal Caravaggio, attenti osservatori e garanti della effettiva penetrazione. Gli eventi succedutisi nella tremenda settimana della passione hanno profondamente shoccato i discepoli, al punto da prendere la risoluzione di chiudersi a doppia mandata nel Cenacolo. Per paura, non per devozione! Comprensibile paura: avevano riposto la loro fiducia in Gesù. Eccolo il loro Gesù, ucciso come il peggiore degli impostori. Non avevano dunque motivi sufficienti per dubitare? Sulla tomba i loro cuori avevano già scritto la parola «fine». Ma poi si sono arresi al Risorto. Ciò che li schioda dai loro dubbi non sono le prove (benedetta apologetica!), le prove non bastano mai. Ciò che fa superare radicalmente il dubbio è l’esperienza dell’incontro con Gesù. L’incontro appartiene all’esperienza: sono coinvolti pensieri, sentimenti, passi concreti… Quando Gesù, otto giorni dopo, invita Tomaso a non essere incredulo, non pretende l’assenza completa del dubbio. Gli chiede solo di lasciarsi andare, di sciogliere gli ormeggi. A volte sussurro a me stesso: allorché ho creduto, mi è forse mancato qualcosa? E voi, che ne dite?