Omelia II domenica di Quaresima

Pennabilli (Cappella del Vescovado), 17 marzo 2019

Gen 15,5-12.17-18
Sal 26
Fil 3,17- 4,1
Lc 9,28-36

Siamo all’inizio del cammino quaresimale. Destiniamo ai nostri fratelli, nella realtà del corpo mistico, i frutti dell’unione con Dio: preghiera, impegno, sacrifici, vittorie. Quando ne abbiamo l’occasione, condividiamo ispirazioni, pensieri, esperienze spirituali. Possiamo contare sulla grazia di Cristo, sull’ intercessione della Vergine e dei santi. Possiamo godere della generosità dei nostri fratelli che, insieme a noi, vivono questo tempo di grazia: la Quaresima è un cammino e un combattimento che si fa insieme; assomiglia all’esodo del popolo di Dio verso la terra promessa.
Questa settimana, la seconda, brilla davanti a noi l’icona della Trasfigurazione. Gesù manifesta la sua gloria mentre prende la decisione di salire a Gerusalemme, dove sperimenterà la sua umana debolezza, la solitudine, il rifiuto e l’abbandono. È lì, paradossalmente, che appare il suo splendore. Una lezione importante per noi che non sappiamo vivere bene i passaggi difficili e oscuri. Ci sono momenti in cui ci sentiamo “fatti male”; siamo insoddisfatti e portati a rammaricarci e ad essere tristi. Indugiamo nel negativo e perdiamo tempo a “leccarci le ferite”, seminando attorno a noi malumore. C’è una risorsa sulla quale possiamo contare: vederci come Dio ci vede, con la stessa tenerezza. Accade nella nostra vita qualche cosa di straordinario, che può essere rappresentato dalla metafora del bruco che abbandona il suo bozzolo per librarsi in volo come farfalla.
In una recente Confessione, dopo il saluto del confessore, apro l’accusa dei peccati con queste parole: «Ecco che cosa c’è nella mia vita…». Il confessore mi ferma subito: «Ma c’è il Signore nella tua vita». Lo dice con una tale convinzione che mi fa trasalire e guardare la mia vita con la tenerezza di Dio. Devo confessare prima di tutto che sono amato! «La trasfigurazione – scrive Silvano Fausti – comincia quando, invece di pensare e ascoltare noi stessi, ascoltiamo lui e pensiamo a lui. È la morte dell’uomo vecchio e la nascita dell’uomo nuovo».