Omelia nella Celebrazione eucaristica nella Giornata di digiuno e preghiera per la protezione dei minori

Valdragone (RSM), 13 marzo 2019

Gio 3,1-10
Sal 50
Lc 11,29-32

  1. Grazie

Grazie per aver accettato l’invito a vivere insieme e in tanti questa serata di preghiera e digiuno per le vittime degli abusi e per una cultura del rispetto.
Siamo qui per dire forte che i bambini, i ragazzi, le persone fragili sono pupilla dei nostri occhi.
Siamo qui per ricordare il 6° anniversario dell’elezione di papa Francesco: a lui vogliamo arrivi la nostra unità e il nostro impegno nella linea da lui tracciata. Senza esitazione.
Siamo qui davanti al Cuore Immacolato di Maria per aprire il nostro cuore colmo di amarezza per il dolore di chi ha sofferto e soffre a causa degli abusi, per lo scandalo che patiscono quanti vedono venir meno la fiducia nella Chiesa, per l’umiliazione subita dalle comunità cristiane e da tanti che in esse sono impegnati (vescovi, sacerdoti, consacrati e laici).

2.

La Parola di Dio, questa sera, ci viene incontro, ci fa rialzare il capo, ci mette nella verità.
Giona, il profeta, prima timido e titubante, prende coraggio e sale verso Ninive a denunciare il male e ad invitare a conversione. Ed è per la forza della Parola scesa su di lui che proclama: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta», ma ne basteranno molti meno. In capo al terzo giorno Ninive si converte. Come è stato per Giona, così per noi: la denuncia di chi ha avuto coraggio, l’ascolto e la decisione di papa Francesco.
La nostra denuncia si rivolge a tutta la società, al mondo e agli uomini di Chiesa che hanno tradito la loro missione. Ma nella denuncia è contenuta la forza della misericordia e della speranza.

3. Penitenza e conversione

La penitenza e il digiuno producono un frutto buono per gli abitanti di Ninive: la conversione. Penitenza e digiuno sono spesso pratiche dimenticate. Eppure, esprimono, insieme all’anelito verso Dio, libertà e forza interiore (ascesi), rendono forte il nostro spirito, e soprattutto ci fanno partecipi del dolore altrui: «Quando un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui». Nel digiuno e nella preghiera si sbriciola la trave che è nell’occhio e allora c’è luce per un giudizio che salva. Interessante notare che penitenza e digiuno a Ninive non sono praticati solo dal re o da una cerchia ristretta, ma da tutta la città: «Uomini e animali, armenti e greggi… ». La Parola di Dio sembra dirci che l’invito a conversione riguarda tutti. Va risolto dal popolo intero. Occorre pertanto una risposta corale come Chiesa e come persone di buona volontà: richiesta di perdono, ma anche proposta di un’alternativa positiva nelle relazioni, nella società, nella Chiesa.
Nel momento in cui c’è il riconoscimento dell’errore, l’atto di penitenza e il digiuno interviene il Signore con la sua Misericordia, come accadde con Davide. E si mette una base solida ad un nuovo stile di vita e ad una nuova cultura.

 

4. Accompagnare sempre

«Crea in me, o Dio, un cuore puro e rinnova in me uno spirito saldo» (Sal 50,12). È una Parola particolarmente forte per noi questa sera. Nella società di oggi sembra che il cuore puro ognuno se lo possa dare da sé. In realtà, il peccato uccide: «Siamo morti a causa del peccato» (cfr. Rom 6,23; Ef 2,1). La vita viene da Dio. Nell’orgoglio di farsi la vita propria non c’è spazio per il perdono; è stato così per Giuda che ha rifiutato anche l’ultima offerta, mentre Ninive ascolta Giona e si converte. A Ninive è arrivata la salvezza perché si è ascoltato anche chi diceva cose scomode. Necessità dell’ascolto!
Il Salmo 50 spalanca il cuore al perdono. In molte vittime il perdono c’è già. Ci sono vittime di abusi che hanno saputo e sanno mantenere la fede. Sono i “confessori della fede” di oggi, che dimostrano di amare molto la Chiesa, aiutandola a venir fuori – anche con la denuncia – da una situazione di corruzione.
Giova ricordare come il Salmo 50 è stato attribuito a Davide e da lui pregato dopo il suo peccato: abuso di potere, di coscienza e sessuale fino all’omicidio del fedelissimo, ancorché straniero, Urìa. Davide prende coscienza del suo peccato e si arrende. Il profeta Natan interviene col racconto di una parabola e sa tirar fuori il positivo che c’è in lui nonostante il peccato, ossia il suo senso di giustizia. Fare luce, non nascondere il male. Curare, quando il male viene da una patologia. Punire, come rimedio e riabilitazione. Accompagnare sempre!

Il brano evangelico ci offre un annuncio luminoso: «Ed ecco qui vi è uno più grande di Giona». Anche per noi, qui, stasera, nella nostra Diocesi, risuona l’invito a guardare al Cristo Risorto e a mettere nuovamente lui al centro. A lui – lo stiamo facendo in molte circostanze della nostra vita pastorale a partire da quelle «prime luci dell’alba» che già ci abbagliano – chiediamo che si rafforzi la fede in tutti. Chiediamo di stare saldi in questa prova. Ci renda capaci di attraversare la piaga come lui ha attraversato la sua fino all’esperienza dell’abbandono del Padre: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). Siamo stati salvati dall’umiliazione del Figlio di Dio. Questo ci dà coraggio. Attraversare la piaga è trovarsi in colui che contiene la risurrezione, il nuovo inizio, il “terzo giorno” («Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà… Dopo due giorni ci ridarà vita e il terzo ci farà rialzare», Os 6,1-2).
È nella notte oscura che la luce della fede brilla più pura nei nostri cuori. Quella luce ci mostrerà vie di rinnovamento di vita cristiana per oggi e per domani.
Non siamo la Chiesa dei perfetti. Fin dall’inizio del cristianesimo, la Chiesa ha combattuto contro la tentazione ipocrita di considerarsi la comunità dei giusti e irreprensibili. Idea pericolosa oltre che ipocrita, perché semplicemente annulla il cuore del Vangelo: siamo il popolo dei perdonati, di coloro che sono stati guardati da Dio con misericordia e benevolenza. Non siamo fieri delle nostre cadute. Anzi, ne soffriamo. Ogni giorno ci battiamo il petto. Anche i preti cadono. Anche i vescovi. Soffriamo di questo, ma non tracciamo recinti. Mentre predichiamo la profonda differenza tra ciò che è bene e ciò che è male, respingiamo la tentazione di dividere i buoni dai cattivi. Siamo coloro sui quali si è riversata la compassione di Dio. Ma non ci stiamo quando una certa opinione pubblica tende a fare di ogni erba un fascio e morbosamente sembra godere del male altrui (specie di chi è nella Chiesa).
Siamo la Chiesa di Gesù, fatta di peccatori ma santa per la sua presenza, per la testimonianza piena di luce e di amore di tanti testimoni, per lo sforzo educativo di tanti maestri.
Cari amici, la Madonna ci custodisce. E quando le cose sono difficili – dice papa Francesco – preghiamo il “Sub tuum presidium”: nei momenti di turbolenza dobbiamo andare sotto il manto della Santa Madre di Dio:

«Sotto la tua protezione troviamo rifugio
Santa Madre di Dio:
non disprezzare le suppliche di noi
che siamo nella prova,
e liberaci da ogni pericolo,
o Vergine gloriosa e benedetta».
Così sia!