Omelia nella Festa della Madonna del Popolo, patrona della Diocesi di Cesena-Sarsina

Cesena (FC), Cattedrale, 18 aprile 2021

At 1,12-14
Salmo da Lc 1,46-55
1Pt 2,4-10
Gv 2,1-11

È suggestivo che la festa della Madonna del Popolo sia incastonata nel tempo pasquale e alla Pasqua facciano riferimento le letture bibliche e i testi eucologici. Nella preghiera di inizio abbiamo chiesto al Signore, per intercessione di Maria, di renderci sempre più consapevoli di essere popolo di Dio. In particolare, abbiamo chiesto di diventare un popolo che sa amare, che corrisponde alla sua vocazione. La Chiesa è costituita come realtà che partecipa alle gioie e alle sofferenze, alle tribolazioni, alle ansie dell’umanità, chiamata ad essere sacramento di unità del genere umano (cfr. GS 1).
Ho finito da poco la Visita Pastorale e mi è capitato varie volte, negli incontri assembleari di preghiera, di chiedere: «Sapete quando è nata la Chiesa? Se dovessimo festeggiare un giorno come compleanno della Chiesa quale sarebbe?».
C’è chi ha risposto: «Quando Gesù ha chiamato gli apostoli, le colonne della Chiesa». Qualcun altro: «La Chiesa è nata a Pentecoste, quando si sono spalancate le porte del Cenacolo e i discepoli sono usciti per proclamare la risurrezione di Gesù e la remissione dei peccati». Alcuni hanno individuato un altro momento molto suggestivo: «Il momento in cui Gesù in croce, rivolgendosi alla Madonna, dice: “Ecco tuo figlio”, indicando Giovanni, e poi a Giovanni: “Ecco tua madre”». «E la prese con sé nella sua casa…».
Il vero momento in cui è nata la Chiesa è quello dell’incarnazione del Verbo. In quel momento il Verbo ha assunto l’umanità e, nell’unica persona, le due nature − umana e divina − si sono unite. In quell’attimo è nata la Chiesa, è nato il popolo di Dio. Ecco perché è bello e opportuno considerare la Madonna con questo titolo: «Madonna del Popolo», Madre del Capo, madre delle membra.
Su invito del vescovo Douglas siamo qui questa sera per rivolgere una supplica alla Madonna per la fine della pandemia. Lo facciamo con fede, consapevoli d’essere chiamati ad “essere speranza” in questo mondo ferito. Vogliamo anche considerare la Madonna secondo una prerogativa che non si sottolinea abbastanza: la Madonna come sposa, sposa di Giuseppe.

«Per quanto bella una predica sulla santa Vergine, se si è obbligati tutto il tempo a fare: Ah!… Oh! Se ne ha abbastanza». Questo commento, piuttosto graffiante, è rivolto da un’anima insospettabile: santa Teresa di Lisieux. La piccola Teresa aggiunge: «Ella, la Santa Vergine, preferisce l’imitazione piuttosto che l’ammirazione, ma la sua vita è stata così semplice!». «Perché una predica sulla Santa Vergine mi piaccia e mi faccia del bene – continua santa Teresina –, bisogna che io veda la sua vita reale (noi diremmo “con i piedi per terra”), non supposizioni sulla sua vita; e sono sicura che la sua vita reale doveva essere semplicissima… Bisognerebbe mostrarla imitabile, fare risaltare le sue virtù, dire che viveva di fede come noi, darne le prove con il Vangelo, dove leggiamo: «Non capirono [Maria e Giuseppe] ciò che diceva loro» (Teresa di Lisieux, Novissima Verba, Opere complete, pp. 1080-1084).
Le parole di santa Teresa aiutano a superare la difficoltà di chi non si avvicina facilmente alla Madonna. In effetti, una certa enfasi può infastidire. La parola devozione, anche se nobile e carica di significati, appartiene ad un linguaggio desueto. Chi saluterebbe digitando al cellulare «suo devotissimo»? È preferibile parlare di rapporto, perché Maria è una persona viva. Il rapporto con lei si esprime nello scambio e nel dialogo, dialogo che a volte si fa preghiera, invocazione – come facciamo noi stasera – e, altre volte, canto pieno di gratitudine, ma soprattutto desiderio di imitazione. Una maestra spirituale del nostro tempo racconta che, davanti al tabernacolo, mentre lodava e ringraziava Gesù per la sua presenza, in corpo, sangue, anima e divinità, le veniva dal cuore la richiesta: «Perché, Signore, non ci hai lasciato qualche cosa di Maria?». E ha sentito nel cuore questa risposta: «Non ho lasciato niente di visibile di Maria perché la voglio rivedere in te». L’imitazione può arrivare fino a farci “essere Maria”.
Imitare non è copiare: ciò che va cercato non sono né la cultura, né lo stile di un’epoca, né i clichè con i quali è stata raffigurata la Madonna. Ma quando si hanno stima e amore per una persona si tende a fare e ad essere come lei.
Proviamo a vedere Maria a Nazaret. Nazaret è ai margini della geografia e della storia sacra di Israele: «Può mai venire qualcosa di buono da Nazaret?» (Gv 1,46), sentenziò con scetticismo Natanaele, poi chiamato da Gesù a divenire apostolo. Eppure, la vicenda terrena di Gesù, di Maria e di Giuseppe vi gira attorno. Gesù vive a Nazaret, viene da Nazaret, scende a Nazaret, a Nazaret dimora. Tra le stradine, i cortili e le siepi di quel povero villaggio è racchiusa per trent’anni la vita del Messia. Da Nazaret Gesù prenderà anche il suo secondo nome: Nazareno. Possiamo immaginare quanto gli fosse stata cara: volti, vicende, tradizioni, suoni, colori, profumi… tutto quanto si imprime nella fantasia di un fanciullo e nella memoria di un giovane.
Quando Gesù sarà nel pieno della missione ambienterà le parabole sullo sfondo dei suoi ricordi: la donna che spazza la casa per cercare una monetina caduta tra le fessure del pavimento, la massaia che impasta la farina col lievito, il datore di lavoro che va in cerca di operai, il figlio scapestrato che se ne va da casa, le sofferenze di una mamma nel parto, etc. Quando vorrà proclamare l’urgenza del Regno di Dio e quanto costa la radicalità necessaria ai discepoli, proporrà di «lasciare la propria casa» (Lc 18,29; cfr. Lc 9,58).
Entriamo ora nella casa della Santa Famiglia. Osserviamo i rapporti fra le persone che vi abitano: Giuseppe, Maria e Gesù. Questo tema è stato tratteggiato molto bene dalla Lettera del vostro Vescovo. Vi lascio solo qualche suggestione. Nella casa di Nazaret il più grande – che è Gesù – è obbediente al più piccolo, Giuseppe. Maria, la mamma, osserva e custodisce ogni avvenimento nel cuore. Giuseppe è premuroso custode di tutti. Maria e Giuseppe sono sposi a tutti gli effetti. Vivono nel rispetto reciproco, ma nella più piena unità. I loro giorni e i loro destini sono intrecciati. Matteo racconta l’annunciazione a Giuseppe, Luca l’annunciazione a Maria. Non c’è contraddizione: Dio parla alla coppia.
L’indirizzo che Maria e Giuseppe danno alla loro famiglia la rende aperta, ricca di relazioni. Partecipano ai pellegrinaggi e alle feste di paese. Salgono al tempio di Gerusalemme. Condividono le vicende di famiglia con i parenti e i conoscenti: si fidano, quando pensano che Gesù dodicenne sia al sicuro tra loro. Nel rimprovero che Maria rivolgerà a Gesù c’è tanta considerazione per il ruolo di Giuseppe: «Tuo padre ed io ti cercavamo…» (Lc 2,48.) Maria e Giuseppe – come abbiamo già visto – sanno affrontare le prove con coraggio e determinazione nell’amore e nella stima reciproca: dalla imbarazzante maternità al parto in condizioni difficili, dall’inseguimento della gendarmeria di Erode alla fuga in Egitto, dal rientro nella povertà di Nazaret al lavoro che procura sudore e calli alle mani.

Appena un accenno al brano evangelico. Troviamo Maria ad una festa di nozze; ce lo racconta l’evangelista Giovanni: una festa di paese, a Cana di Galilea, con tanti invitati. A Cana viene proclamato il Vangelo dell’amore sponsale: Maria è sposa! È attenta a quello che accade attorno a lei: spicca il suo senso pratico. I veri contemplativi sono “con i piedi per terra”. Maria previene l’imbarazzo degli sposi novelli. Anche qui c’è una parola della madre verso il figlio Gesù: «Non hanno più vino» (Gv 2,3). Sa che nella vita di ognuno l’amore può venir meno come il vino alle nozze. L’amore sulla terra è a rischio, lo sappiamo bene. La diminuzione, il venir meno, il tramontare sembrano una costante per le esperienze umane. Maria, a Cana, non si rassegna e sente che le cose possono andare diversamente: dal meno al più, dal debole al forte, dal poco al tanto, dall’acqua al vino. Gesù, infine, interviene. Sarà il suo primo miracolo. Aveva esordito dicendo: «Non è la mia ora». La Madonna sposta la lancetta sul quadrante del tempo. C’è una parola della Madre anche per noi: «Fate tutto quello che lui vi dirà» (Gv 2,5).
Di cosa parla la Madonna quando parla con Gesù? Parla di noi! E Gesù, a sua volta, a lei parla di noi.