Omelia nella I domenica di Avvento

Grassano (PU), 27 novembre 2022

Is 2,1-5
Sal 121
Rm 13,11-14
Mt 24,37-44

Inizia oggi un nuovo anno liturgico. L’anno liturgico è una grande scuola per tutti. Una scuola di evangelizzazione, perché durante il corso dell’anno approfondiamo la storia di Gesù, la sua vita, le parabole, i detti, il suo mistero; la Chiesa, come Sposa di Gesù, vorrebbe abbracciarlo tutto e tutto in una volta, ma non è possibile perché è nel tempo, allora ogni anno riprende il suo canto d’amore e di attesa. Ogni anno c’è qualcosa di nuovo. Quest’anno la guida è l’evangelista Matteo. L’anno liturgico è una scuola di spiritualità, perché approfondiamo via via le dimensioni della spiritualità cristiana. In Avvento l’attesa, la vigilanza: nelle quattro settimane si rivivono, per così dire, i millenni che hanno preparato l’arrivo del Messia. Poi verrà il Tempo del Natale, con in evidenza altri sentimenti, altri aspetti della vita spirituale, la Quaresima, ecc. Dobbiamo imparare a conoscere bene l’anno liturgico. L’anno liturgico è anche una scuola di pastorale: ispira, sostiene e anima scelte per il cammino della comunità.

Nella pagina evangelica proclamata oggi, Gesù parla con un tono piuttosto forte: «Due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata… come avvenne al tempo di Noè». Non è una minaccia: Gesù vuol dire che l’arrivo del Regno di Dio è improvviso. Non sappiamo quando sarà: può succedere oggi, domani o fra mille anni, ma è come dire che succede sempre. Gesù invita a vegliare, a stare allerta, pronti a cogliere l’attimo: «In quo locorum sera rosa moretur (raccogliere adesso la rosa perché dopo c’è il buio)» (Orazio). Per noi cristiani, invece, il concetto dell’attimo presente è che tutto il tempo è gravido della presenza del Signore, ogni attimo è prezioso.
Concludo con uno spot televisivo di alcuni anni fa. È atteso un personaggio importante. Davanti alla villa si è piazzata una schiera di paparazzi che desiderano scattare una foto per immortalare l’evento. C’è chi si è arrampicato su un albero, chi sulle mura di cinta, per cogliere almeno un fotogramma. Passa un certo tempo; ad un certo punto l’auto arriva, il cancello si apre e si chiude immediatamente, tutti sono costretti a rimanere fuori dal parco. Mentre i fotografi sono ormai disattenti, si sente il ciak dello scatto di uno di loro. Tutti si voltano e chiedono: «Cosa è successo?». «Tutto», risponde il reporter. Il personaggio aveva spostato la tendina della finestra del suo appartamento e aveva guardato verso il giardino. Gli altri avevano perso quell’attimo. È una metafora del Tempo dell’Avvento.
Questa settimana proponiamoci di non perdere l’incontro con Gesù, nella preghiera, nei pensieri, ma soprattutto nel servizio. Nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo, immediatamente successivo, Gesù dice esplicitamente cosa si deve fare nell’attesa. I discepoli gli avevano chiesto: «Quando accadrà questo?». E Gesù non aveva risposto, aveva solo detto: «State pronti». Nessuno lo sa. È cosa del Padre. Cosa fare nel frattempo? Mettersi a servizio. Lo spiegano efficacemente la parabola dei talenti, la parabola delle dieci vergini e la parabola del giudizio finale: «Ho avuto fame, mi avete dato mangiare…». «Venite benedetti dal Padre mio… ». E tu dirai: «Signore, non ti abbiamo mai dato da mangiare…». «Quando l’avete fatto ad uno di questi piccoli, l’avete fatto a me…», dirà Gesù. «Venite benedetti dal Padre mio… perché siete nel suo regno».