Omelia nella III domenica del Tempo Ordinario

Murata (RSM), 23 gennaio 2022

Domenica della Parola

Ne 8,2-4.5-6.8-10
Sal 19
1Cor 12,12-30
Lc 1,1-4; 4,14-21

1.

In conformità con lo stile letterario del tempo l’evangelista Luca comincia il suo Vangelo con un Prologo, una dedica e una descrizione del metodo di lavoro che ha seguito. Siamo abbagliati dal Prologo di Giovanni, ma non dobbiamo sottovalutare quello di Luca. Luca vuol porre il suo scritto alla pari di altri lavori letterari della sua epoca e mostrare così che il contenuto del libro – il Vangelo – non è riservato alla cerchia ristretta di iniziati palestinesi, ma ha un valore universale. La storia di Gesù appartiene alla storia del mondo e quindi ha qualcosa da dire ad ogni persona del suo tempo, il mondo greco-romano, così come al mondo di tutti i luoghi e di tutti i tempi, compreso il nostro: siamo noi i lettori.

2.

Interessante notare come Luca taccia il suo nome. Non si è dimenticato! È come se Luca si mettesse da parte per far parlare la Tradizione apostolica, così egli stesso diventa un servitore della Parola. Ha consapevolezza di non appartenere più alla prima generazione, cioè quella di chi ha vissuto con Gesù. Luca viene dopo, però sente che è importante mettere insieme, con cura e con grande scrupolo, tutto quello che Gesù fece ed insegnò da principio. Da notare: i fatti riguardanti Gesù appartengono ad una realtà che ha raggiunto la sua pienezza (Luca adopera il verbo “portare a compimento”). La vita di Gesù, infatti, ha raggiunto il suo compimento con l’evento della morte e risurrezione, evento che getta la luce su tutti i fatti e su tutto il comportamento di Gesù terreno e, nello stesso tempo, apre tale esistenza alla storia successiva. Possiede attualità nell’oggi di ogni tempo. L’evangelista vuol scrivere una storia, ma lo fa con l’occhio del credente che vede la vicenda di Gesù alla luce della fede e la inserisce nel grande disegno di Dio. Il Vangelo, dunque, non è nato da un entusiasta nostalgico che, dopo tanti anni, s’è messo in testa di scrivere i suoi ricordi, ma tutto è scritto secondo la garanzia di testimoni oculari.

3.

Al tempo di Luca – quando scrive il Vangelo siamo nel 70-80 d.C. – nascono già gli errori, le deviazioni, che minacciano le comunità sia dall’esterno che dall’interno. Di conseguenza, Luca giudica necessario questo ritorno alle fonti, all’autentica Tradizione apostolica. Anche oggi abbiamo bisogno che la parola chiara del Vangelo dia solidità alla nostra fede nel Signore Gesù, al di sopra di tutte le incertezze, delle paure ad impegnarci sulla parola del Vangelo. Anche noi, in qualche modo, siamo quei “Teofilo”, parola che significa “amico di Dio”. Teofilo è un personaggio ben preciso della prima comunità cristiana, però ognuno di noi può dire di essere un “teofilo”, “un amico di Dio” (interessante:  anche Bach ha una sua composizione dedicata ad un certo Gottlieb Theophilus).

4.

Dopo il Prologo la pericope evangelica di oggi parte con l’attività pubblica di Gesù in Galilea. Gesù va in sinagoga, luogo della riunione e della preghiera per ogni pio israelita; partecipa con puntualità – il Vangelo dice che andava ogni sabato – alla preghiera comune; ascolta le parole che Dio ha rivolto al suo popolo, canta i Salmi. Avrete notato come la Prima Lettura, quella del libro di Esdra, e questa pagina di Vangelo si rimandino vicendevolmente. Qui Gesù proclama la Parola, al tempo di Esdra altrettanto. La gente era commossa, era piena di gioia, festante: Dio ci parla! Anche Gesù era contento e ha anche imparato una cosa (forse gliel’ha insegnata la mamma o san Giuseppe): nelle cose di Dio non vale il “fai da te”. Gesù è contento di appartenere al suo popolo, di partecipare ai suoi riti e alle sue tradizioni: Gesù è come un fiore che sboccia sul grande albero della storia di Israele.
Quel sabato, dopo la preghiera iniziale, Gesù viene invitato a prendere la parola: era un giovane conosciutissimo (Nazaret era un piccolo borgo), forse non era la prima volta, ma l’evangelista dà grande rilievo a questo momento e, con fine arte letteraria e sensibilità psicologica, evidenzia l’atmosfera di suspence dell’uditorio di fronte al nuovo maestro e, in tal modo, sottolinea il carattere programmatico del commento che Gesù farà a quella pagina della Scrittura. Quello che Gesù sta per dire è della massima importanza, è il suo manifesto. È sorprendente la solennità con cui si compie quel rito: viene consegnato il rotolo, Gesù lo apre, trova il passo, si alza, legge, chiude il volume, lo restituisce al cerimoniere, gli occhi di tutti sono puntati su di lui, si fa grande silenzio. I nazaretani cominciano a capire chi è Gesù. Anche noi! A differenza dei predicatori del suo tempo non si perde nei labirinti dell’esegesi o dell’ampollosità della retorica, ma va al sodo. È come se Gesù dicesse: «Cosa dovete portarvi a casa oggi? Quale idea dovete portare con voi per la vostra vita?». Gesù punta dritto su ciò per cui è stato scritto quel testo (Is 61). «Oggi si compie questa Scrittura che oggi avete udita con i vostri orecchi». Vale per noi: oggi si compie quello che la Parola dice. La parola “oggi” ha un peso specifico. Con quell’oggi Gesù lega la sua persona all’avvento del Regno di Dio, alla signoria di Dio, alla regalità di Dio. Il Regno sta per comparire tra gli uomini; l’umanità che sfila agli occhi di Isaia è povera, prigioniera, cieca, oppressa…

5.

Sottolineo un paio di particolari: Gesù non mette se stesso come scopo della storia, ma la persona umana. «Lo Spirito del Signore – sottolinea Gesù (immagino l’abbia detto con un trasporto particolare) – è su di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato» proprio per questa umanità. La vocazione di Gesù – questo è un testo altamente vocazionale – è quella del prendersi cura con tenerezza di questa umanità. E l’esito della missione di Gesù è un’umanità finalmente liberata, gioiosa, senza paure, con occhi di luce. Permettete una metafora: come nello sviluppo delle fotografie su pellicola si passa dal negativo al positivo, così la vocazione di Gesù può essere raccontata come il giudizio sull’umanità ribelle, considerata nell’abisso del suo peccato, da ricondurre a sottomissione (ricorderete la predicazione di Giovanni Battista) oppure la predicazione di Gesù può essere vista come una buona notizia, come festa di poveri che possono cominciare a sperare, di uomini riconciliati, di oppressi che alzano il capo e danzano. Inizia così il cammino di Gesù tra noi. Sono i poveri il cuore del Vangelo.
Si può obiettare: la guerra divampa in molte regioni… Sì, però abbiamo scoperto la forza della nonviolenza. Si potrebbe dire che dopo duemila anni i poveri sono ancora tanti tra noi, ma la condivisione è venuta a sostituire l’umiliante carità fatta dall’alto. Qualcuno potrebbe dire che la dignità dell’uomo è calpestata dalla prepotenza delle finanze mondiali, ma ci sono uomini di buona volontà che si inventano forme di economia sociale e di economia di comunione per tradurre il bene nella storia.
Lo Spirito che era sopra Gesù riposa oggi su di noi, su chi avanza, pur con poveri mezzi, con un cuore aperto verso gli altri per il bene. Se tu leggi il Vangelo e lo vivi diventi un altro Gesù, oggi. Questa è la perenne novità del Vangelo.