Omelia nella III domenica del Tempo Ordinario

Valdragone (RSM), 21 gennaio 2024

Domenica della Parola
Seconda Giornata Eucaristica

Gio 3,1-5.10
Sal 24
1Cor 7,29-31
Mc 1,14-20

Quella mattina sulle rive del lago accade una cosa straordinaria e il mondo non lo sa. Che ne potevano sapere i pescatori di Cafarnao o di Tiberiade che in quel momento iniziava la missione pubblica di Gesù!
L’evangelista Marco scrive questi fatti dopo la risurrezione di Gesù e vede in quell’alba sulle rive del lago il Big Bang della risurrezione, cioè lo splendore della signoria, della regalità, di Dio. Questa è la prima cosa che voglio far risuonare e noi siamo fortunati ad essere lambiti, raggiunti, travolti da questa bella notizia: Dio si interessa di noi, ci vuole bene e ci benedice. Un giorno Gesù prenderà in mano il pane… Voi sapete cosa c’è dietro il pane e la sua storia: la fatica, la seminagione, il marcire nella terra, lo spuntare, il crescere, il maturare, il macinare, l’impastare e poi quel pane. Ecco, il Signore benedice quel pane fino a farlo diventare luogo della sua presenza.
Su quel pane si concentra anche la nostra benedizione. Perché noi vogliamo benedire Dio, vorremmo che tutti potessero proclamare quell’Amen nel cuore della Messa, e vorremmo coinvolgere tutti nella lode. Per questo mettiamo tutto l’impegno, nelle nostre comunità, perché le celebrazioni siano belle, perché l’Eucarestia sia partecipata – come avete detto nei report inviati in centro Diocesi – con canti appropriati, con lo splendore dei riti, l’eleganza che rende bella la nostra chiesa (posso testimoniarlo!). Dunque, in quel pane si concentra il massimo della benedizione, quella discendente, che è la benedizione di Dio, e quella ascendente, la nostra, che gli rende grazie e dice bene di Lui.
Quand’è che Gesù comincia la sua attività pubblica? Quand’è che sale lo splendore del Regno di Dio? Sembrano dettagli per specialisti. No, sono realtà che urgono nel cuore di chi scrive: dopo che Giovanni fu arrestato è stato messo a silenzio colui che è la voce. Dunque, c’è un vuoto, una mancanza, un’assenza. E su questa mancanza, su questa assenza, scende e viene Gesù, il Verbo di Dio. Si direbbe quasi che, in questo momento, Gesù scopra la sua vocazione, o meglio, la espliciti; ed è proprio la sua vocazione proprio nel momento in cui c’è una mancanza. Ricordate il profeta Isaia? Nella visione ode la voce del Signore: «Chi manderò e chi andrà per noi?». Sembra quasi che Dio cerchi braccia e il profeta audacemente risponde: «Eccomi, manda me» (Is 6,8). La vocazione ha di questi slanci! Si vede un bisogno, si vede una difficoltà, si vede una mancanza. Questo è un appello: «Tocca a te!».
Gesù annuncia il Regno di Dio e la conversione. Ho sentito molto, in questi mesi – lo condivido con voi che siete i miei fratelli – la necessità di una conversione. Quando celebriamo l’Eucarestia, appaiono due identificazioni. La prima: il pane che spezziamo, il calice della benedizione che condividiamo, per opera dei sacerdoti diviene sull’altare corpo, sangue, anima e divinità di Nostro Signore Gesù Cristo. La nostra fede si impegna; i sensi non ci aiutano, perché continuano ad apparire gli accidenti: il pane col suo colore, nella sua forma, ecc. Noi crediamo a questa presenza e abbiamo costruito cattedrali meravigliose, tabernacoli d’oro per custodire questa presenza. Dove sta la conversione? La conversione è nel credere che – cito san Paolo –, «poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo. Tutti, infatti, partecipiamo dell’unico pane» (1Cor 10,17). La conversione che devo fare, alla quale vorrei invitare anche voi, sta nel considerare che nell’Eucarestia noi diventiamo Corpo di Gesù, suo Corpo mistico. E, se metto tutto l’impegno per credere nella presenza reale di Cristo sull’altare (prima identificazione), voglio impegnare tutta la fede anche nel credere che noi siamo suo Corpo, suo Popolo. Mentre la prima identificazione è opera del Signore, opera della sua Parola, questa seconda identificazione richiede la nostra corrispondenza, la nostra responsabilità; esige l’unità e la comunione tra noi come fratelli, l’uscita dal nostro io, il superamento di ogni egoismo e individualismo. Allora il sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo è tale perché la Chiesa (e in essa ognuno di noi), si faccia dono agli altri, sacramento di unità, di pace, per quanti sono accanto e per quanti sono lontani. Allora l’incorporazione a Cristo non può essere, non può ridursi, non può immiserirsi ad un fatto individuale o individualistico, emotivamente gratificante. L’Eucaristia non può essere soltanto fonte di belle riflessioni, di belle parole. Non parole, l’Eucaristia, invece, è – dico tre sostantivi, ognuno dei quali ha una sfumatura diversa – incentivo, spinta e slancio all’azione. In questo senso dico che l’Eucarestia è programma, via, imperativo, oltre che grazia che ci è donata. Cristo si è fatto Eucaristia per noi, perché noi ci facciamo Eucaristia per gli altri. Quando Gesù sulle rive del lago dice: «Convertitevi e credete al Vangelo» (forse è un’estensione indebita, un’applicazione impropria, ma in questo contesto credo sia lecita), penso la conversione come inversione dall’intimismo alla consapevolezza della nostra responsabilità. «Il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo». Sì, Signore, noi come Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, crediamo alla tua Parola e crediamo possibile la conversione.
I primi versetti del Vangelo di oggi e i versetti che raccontano la vocazione degli apostoli sono strettamente connessi, perché il racconto della vocazione e della risposta degli apostoli non è altro che l’attuazione di quella conversione che il Signore chiede. «Convertitevi e credete»; si tratta di un’endiadi, figura retorica per dire con due parole lo stesso concetto: convertirsi e credere coincidono. Ti converti, credendo a Gesù, credendo a Gesù avviene la conversione. Così sia.