Omelia nella IV domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 28 gennaio 2024

Dt 18,15-20
Sal 94
1Cor 7,32-35
Mc 1,21-28

L’evangelista Marco ci fa entrare nella giornata tipo di Gesù, le sue “24 ore”, che incominciano con una scelta: entrare in città. La possiamo configurare come “strategia di ingresso”, da contrapporre alla “strategia della fuga” praticata dagli Esseni, comunità di uomini religiosi che hanno abbandonato la città, sono andati nel deserto di Qumran e là hanno organizzato la loro vita in attesa della Gerusalemme celeste. Gesù prende anche la distanza dagli zeloti, un gruppo operativo al tempo di Gesù, che adotta la “strategia della aggressione”: cacciata dei romani occupanti e liberazione della Terra Santa. Ecco, Gesù, invece, entra nella città e condivide la vita di tutti i giorni delle persone del suo tempo. Entra a Cafarnao, in Galilea, la cosiddetta “Galilea delle genti”, territorio abitato da una popolazione meticcia, di razze diverse, di credenti al Dio di Israele e credenti di altre religioni, luogo di confine e di confino. Cafarnao, nella Galilea, è l’agglomerato più consistente della Galilea. Ed è anche la città delle contraddizioni.
Resto sorpreso dalla scelta di Gesù. Ma sono ancora più sorpreso nel vedere che Gesù, nonostante le necessità di questa città, persone da curare, persone da soccorrere, ignoranti da istruire, malati da guarire, va in sinagoga. Mi aspetterei che il Messia, si prodighi da subito a curare ferite, a spezzare catene. Invece va in sinagoga. Si può pensare che sia normale, perché è sabato. Qualcuno dice che va in sinagoga perché sta insegnando il primato della preghiera. Ma forse c’è un altro motivo: Gesù, lo si evince dal racconto, va nella sinagoga perché è il luogo in cui può annidarsi una relazione ferita con Dio, dove ci può essere la divisione, dove può nascondersi il male e quindi c’è la necessità di una purificazione, di una liberazione. E in effetti è così. Gesù entra in sinagoga, dove tutto è tranquillo e in ordine, per favorire la preghiera, per il canto dei salmi, per la riunione, e salta fuori che, proprio lì, si annida il Divisore, il Diavolo. Mi sarei aspettato il primo incontro-scontro di Gesù con il Diavolo in qualche bettola di Cafarnao, oppure fra gli scaricatori del porto, oppure fra i soldati della guarnigione romana o al mercato in mezzo alle chiacchiere della gente. Invece no, in quel luogo così santo, così austero, si nasconde Satana. Quando Gesù entra, Satana non può che esplodere. La voce del Diavolo, cioè del Divisore, viene fuori proprio nella sinagoga, dove era nascosto inosservato. Sinagoga è una parola greca composta: syn, che sta per “con” e il verbo ago, che significa convocare, riunire, condurre. Quindi, la sinagoga dovrebbe essere per definizione il luogo dell’unità, invece lì si insinua la divisione della creatura dal suo Creatore. Che cosa fa Gesù in sinagoga? Gesù insegna e riempie di stupore i suoi ascoltatori. I rabbi, invece, insegnano e magari ricevono pure il battimano della gente, ma poi la gente torna a casa, per i fatti propri. Quando Gesù insegna, succede che si cambia vita (l’abbiamo visto, domenica scorsa, con le due coppie di fratelli chiamati da Gesù sulle rive del lago). Gesù, in sinagoga, denuncia la divisione e appare clamorosamente in quella creatura posseduta da Satana. Lo spirito impuro viene chiamato anche Satana, parola di derivazione ebraica che significa “accusatore”. Lo spirito impuro pronuncia due frasi che sono quasi un insegnamento al rovescio, paradossale. La prima: «Che vuoi da noi? Che c’è tra te e noi? Cosa c’entri con noi?»: desiderio di mantenere una distanza, come a dire «Ognuno stia a casa sua: tu sei il Santo di Dio e noi facciamo i fatti nostri». “Diavolo” – altro nome dato allo spirito impuro – da una parola greca, diabàllo, che significa divisione, rottura. L’altra frase che dice Satana è: «Sei venuto a rovinarci?». La domanda è conforme allo stile del diavolo che, come nel paradiso terrestre, insinua con Eva e Adamo, che Dio è concorrente dell’uomo, tarpa le ali e, con le sue “10 parole”, i comandamenti, impedisce alla nostra personalità di esprimersi, di essere veramente libera. È un inganno. In verità, Dio non rovina: chi segue Gesù ha il centuplo, il centuplo interiore e il centuplo di ciò di cui la sua vita ha bisogno (cfr. Mt 19,29). Ricordate quando Gesù, nelle prime battute nell’Ultima cena, parlando con i discepoli, fa questa domanda: «Da quando voi avete seguito me, vi è forse mancato qualcosa?». E gli rispondono: «Nulla, Signore» (cfr. Lc 22,35). Allora, se questo è rovinare, io dico: «Signore, rovinaci!».
A Gesù basta una parola: «Taci, esci da quell’uomo». C’è uno scossone in quella persona; la parola di Gesù lo rovescia, lo ribalta. Qui si vede l’entrare del Regno di Dio, della Signoria di Dio. Questo è il primo round di un combattimento corpo a corpo nel quale il Messia vince Satana. Chi legge deve pensare: «Non devo avere paura di Satana, perché Gesù l’ha vinto e lo vince, ma soprattutto non devo avere paura a mettermi nelle mani di Gesù, perché lui libera, salva». Questa, in fondo, è una pagina straordinaria di cristologia. C’è un racconto, un fatto di cronaca, un esorcismo, che ha suscitato grande stupore nella città di Cafarnao, però è eminentemente una pagina di cristologia: contiene “un discorso su Gesù”. Quando lui arriva, smaschera la divisione che c’è nel cuore umano, la divisione che l’uomo ha nella relazione con Dio, perché lo teme, ne ha paura. Sarà capitato anche a tanti miei colleghi di sentire persone che dicono: «Padre, è da tanto che non mi confesso, perché ho paura di Dio, ho paura del suo castigo». Ecco, Gesù è venuto per unire, per liberare, per spezzare catene, per smascherare le false immagini di Dio.
Compiuto il prodigio, le persone che sono in sinagoga non possono trattenere il loro stupore: «Ma chi è costui? Non parla come i nostri maestri, dà un insegnamento con autorità». La parola usata è exousia. L’autorità, infatti, può essere intesa in due modi: autorità come autoritarismo e autorità come autorevolezza, l’autorità che fa crescere, che fa sbocciare, che fa “venir fuori” (exousia significa “cavar fuori”). In quell’ossesso Gesù fa venir fuori una persona riscattata e libera: un figlio di Dio. Il Diavolo parla al plurale: «Che c’è fra noi e te, Gesù di Nazaret? Sei venuto a liberarci?». Invece Gesù usa il “tu”. Qualche autore ritiene che probabilmente Satana è entrato nell’ossesso con altri demoni.  Qualche altro dice che – questa forse è l’idea preferibile – parla a nome della sua vittima. Il diavolo è ingiusto aggressore e parla anche a nome dell’aggredito, perché gli toglie la libertà, lo possiede, lo schiavizza; Gesù sa distinguere l’ingiusto aggressore, che è Satana, dall’aggredito.
Invito a pensare, durante la settimana, a quelle zone di noi stessi che hanno bisogno di essere liberate, risanate e ad aprirci a Gesù senza paura, con confidenza, perché lui non cerca altro che la nostra gioia. Potrebbe anche essere formulata così la domanda: «Di che cosa ho paura?». Buon lavoro su noi stessi per migliorare la nostra relazione con Dio.