Omelia nella S.Messa in suffragio dei Vescovi e dei sacerdoti defunti

Pennabilli (Cattedrale), 8 novembre 2019

Rom 6,3-9
Sal 22
Gv 20,19-29

Quando, ormai sei anni fa, venni per la prima volta a Pennabilli, mi fece impressione vedere il mio nome scolpito sulla lapide che è affissa sotto il portico del Vescovado. Vi confesso che ancora, di tanto in tanto, mi fa pensare alla mia morte. Ma mi viene anche da pensare alla lunga catena di vescovi che si sono succeduti nel tempo. Io sono il 66°. Quattro di questi 66 vescovi sono ancora vivi, gli altri sono defunti.
È commovente pensare al ricordo che i fedeli hanno, anche a distanza di anni, dei loro pastori. Pastori: li chiamo con questo nome rifacendomi al Salmo 22, che è stato cantato durante la liturgia della Parola. È il Salmo che canta Dio, pastore del suo popolo, con i vantaggi che venivano al gregge dalle sue cure. I pastori hanno bisogno del suffragio, della preghiera della Chiesa. Non vorremmo dimenticare nessuno, sia i vescovi sepolti qui in Cattedrale, che quelli che riposano altrove. Vogliamo pregare anche per coloro che dei vescovi sono stati i diretti collaboratori, i sacerdoti.
Ecco l’importanza dei vescovi nella vita della Chiesa: Gesù in persona «chiamò a sé quelli che volle e costituì dodici apostoli» (cfr. Mc 3,13-14). Negli Atti degli Apostoli si parla della loro collocazione nel popolo di Dio ad opera dello Spirito Santo. «Su tutto il gregge lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio» (cfr. Gv 20,28).
Il Concilio Vaticano II – non dobbiamo mai dimenticarci di questa pietra miliare nelle nostre riflessioni, perché è il dono che il Signore ha fatto alla Chiesa moderna –, completando il magistero del Vaticano I, aggiunge al primato del papa la collegialità dei vescovi. Primato e collegialità sono la suprema autorità della Chiesa.
Lasciatemi spigolare qualche frase dal capitolo 3 della Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, dove si parla in modo particolare dei vescovi. Anche qui ricorre continuamente l’immagine del pastore e del gregge. I vescovi – dice il Concilio – agiscono da maestri di dottrina, sono sacerdoti del sacro culto, ministri della guida (LG 20). Nella loro persona, circondata dai sacerdoti, è presente in mezzo ai fedeli Gesù Cristo, di cui sono quasi sacramento del suo sacerdozio. I singoli vescovi – continua il Concilio – sono il visibile principio e fondamento di unità delle loro Chiese (LG 23). E potrei continuare, ma voglio fare una piccola sottolineatura; vi parrà secondaria, ma a me emoziona particolarmente. Ogni vescovo, si potrebbe dire, imprime qualcosa della propria fisionomia alla Chiesa che gli è stata affidata. Il vostro parroco, che è anche studioso della storia, potrebbe dirvi qual è stato il contributo di ciascun vescovo, perché ognuno, in modo più o meno incisivo, ha lasciato un’impronta. Mi viene da applicare ai vescovi, ai 62 vescovi defunti il cui nome è scritto in quella lapide, quello che scrive san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi: «A ciascuno è data una particolare manifestazione dello Spirito per l’utilità comune, per la edificazione della comunità» (cfr. 1Cor 12,7).
In questi giorni ricordiamo l’abbattimento del muro che attraversava Berlino e la mente non può non andare a san Giovanni Paolo II. Ebbene, lui nel suo primo viaggio in Polonia, nel 1979, osservava: «Se Dio mi ha chiamato con queste idee, ciò è avvenuto affinché abbiano risonanza nel mio ministero». Come oggi papa Francesco porta la vita, la storia, le fatiche, le singolarità della Chiesa latino-americana. E se il Signore l’ha chiamato con queste idee vuol dire che lui deve avvalersene e noi dobbiamo accoglierle. Ma c’è anche un’altra verità, per la proprietà transitiva: ciascun vescovo riceve tanto dal suo gregge. Potrei raccontare tante testimonianze personali di quanto ho ricevuto in questi anni, quanto amore, quanta luce, quanta affezione, quante idee, quanti propositi, anche quante battaglie… Preghiamo, allora, per i nostri pastori defunti; preghiamo a motivo della loro importanza, come ci ha detto il Vaticano II, ma anche a motivo dei loro limiti. Anche se non sono più tra noi, abbiamo il dovere di ricordare le loro fatiche, il loro amore. Dunque, preghiamo con riconoscenza, con comprensione per i loro limiti e con indulgenza. Essi hanno annunziato la Parola di Dio. Consideriamo apertamente il loro tenore di vita e imitiamone la fede. I vescovi, successori degli apostoli – lo dico in questo ultimo giorno dell’Ottavario dei defunti – sono soprattutto testimoni della risurrezione. Vorrei precisare: di per sé non sono maestri di una dottrina, di una filosofia, ma annunciatori di un fatto, un fatto che diventa, poi, la loro dottrina. Preciso ulteriormente: troppo poco è dire che sono testimoni del fatto della risurrezione, perché non si tratta tanto del fatto quanto del Risuscitato, della persona di Gesù. Ecco, allora, come ci aiuta la lettura evangelica di questa sera: ci ripropone e ci rituffa nella Pasqua di Gesù, o meglio ancora, nell’incontro di Gesù con gli apostoli. Loro sì che erano chiusi in una tomba, la tomba del cenacolo, dove si trovavano a porte chiuse, mentre fuori era buio – ma il buio era soprattutto nel loro cuore –, prigionieri della paura. L’apparizione pasquale non solo dà loro coraggio, ma li invia in missione; infatti, lascia in dono una fortissima premura che li mette in movimento e così la risurrezione di Gesù, il fatto e la persona di Gesù, si diffonde sotto forma di apostolato.
Concludo con una breve sottolineatura per quanto riguarda la Prima Lettura. Il Battesimo fa parte della missione apostolica. Voi direte: «Che cosa c’entra accennare al Battesimo mentre si parla di apostoli, vescovi e sacerdoti?». C’è molta pertinenza in realtà, perché Gesù agli apostoli e ai loro successori ha detto: «Andate e battezzate» (cfr. Mt 28,19). Qui la meditazione, se ci fosse tempo, si allargherebbe, si approfondirebbe, dalla risurrezione di Gesù alla nostra risurrezione, passando attraverso il sacramento del Battesimo che ci fa partecipi del mistero pasquale di Gesù.
Siamo in una liturgia mesta – nel ricordo dei defunti e dell’ultimo dei nostri sacerdoti defunti, don Armando Evangelisti – ma non è una liturgia triste. Vi risuona l’Alleluia, perché ogni liturgia è l’annuncio di Gesù Risorto. Allora continuiamo a seguire i nostri pastori, avendo anche misericordia delle loro fragilità, debolezze e inconsistenze, perché non si va a scuola per “governare”, ci si trova chiamati dal Signore. Seguiamo i nostri vescovi in questa vita nuova. Ci hanno preceduto, seguiamoli.