Omelia nella Santa Messa di apertura della Visita Pastorale alla parrocchia di Borgo Maggiore

Borgo Maggiore, 20 novembre 2017

1Cor 1,1-13
Sal 22
Lc 5,1-11

(da registrazione)

«Ringrazio continuamente il mio Dio per voi» (1Cor 1,4).
Sì, cari amici, siete motivo di gratitudine (al Signore) per l’edificazione che portate alla gente di San Marino. Sono grato per il vostro contributo alla vita diocesana. Vi sento molto presenti. È noto il vostro impegno per le famiglie, per i ragazzi e i giovani, per l’accoglienza e per quella esperienza di pastorale integrata verso cui ci stiamo muovendo. Si può dire che nella vostra parrocchia il Signore è servito. Anzitutto con l’attenzione a chi è in difficoltà o soffre a causa della povertà o della malattia. «Tutto quanto avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me», dice il Signore. Il Signore è servito in una liturgia appropriata, partecipata dall’assemblea, animata dal coro, servita da una molteplicità di ministeri, ministeri della Parola e dell’Altare; ed ora arricchita anche da un gruppo di chierichetti: un piccolo seminario nel significato proprio, etimologico (una serra). Chissà quanti germi di vocazione il Signore semina nella vostra comunità. Dunque «nel glorificare il Signore esaltatelo quanto più potete, perché ancora più alto sarà. Nell’innalzarlo moltiplicate la vostra forza, non stancatevi, perché mai finirete» (Sir 43,30).
Il Signore è servito dai tanti di voi che mettono a disposizione mani, intelligenza e cuore per la causa del Vangelo, per far conoscere Gesù, i detti e i fatti riguardanti la sua vita, e «la potenza della sua risurrezione» (Fil 3,10). Alludo all’impegno apostolico, ma anche a quello dell’animazione nella realtà temporali. Servizio nell’evangelizzazione, nella liturgia, nella carità.
«Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi» (1Cor 1,10).
Come nella comunità dei Corinti, anche nella vostra non mancano le difficoltà, le tensioni e i momenti di debolezza. I tempi non sono dei migliori. Non serve vagheggiarne di diversi! La fede è sottoposta ad una sfida dopo l’altra. Del resto come ammetteva con malinconia il profeta Elia: «E io non sono migliore dei miei padri» (1Re 19,4). Ci impensierisce la sproporzione fra la frontiera della missione che sta davanti a noi e la nostra pochezza… Ci si sente inadeguati come il piccolo Davide di fronte al gigante Golia.
Come stare, allora, nella fragilità, nella esperienza della insufficienza e del limite? Reagendo con un “di più” di impegno? È volontarismo! Cercando aiuto, complicità nel bene, collaborazioni? Può essere utile, talvolta necessario, ma… Tutto qui? Mi metto con voi davanti all’icona giovannea della moltiplicazione dei pani (cfr. Gv 6,1-15). Arrivo subito all’osservazione fatta dall’apostolo Filippo al Signore: «Anche duecento denari di pane non basterebbero che a dare qualcosa… Ma che cos’è questo per tanta gente?» (cfr. Gv 6,9). È la constatazione della nostra insufficienza che si scontra col bisogno degli uomini e con i desideri di Dio. L’insufficienza! Eppure è da questa insufficienza che il Signore trova la materia del suo intervento, la materia del suo miracolo. L’insufficienza è un aspetto del mistero della Chiesa e un aspetto del mistero della vita del cristiano. La meta a cui il Signore chiama, l’ideale a cui invita, sono grandiosi, stupendi, immensi. Inumani, anche. E le nostre forze sono sproporzionate.
Il cristianesimo è Cristo. Ma Cristo, secondo la parabola, è la pietra scartata dai costruttori come inutile, inadatta, difettosa. Dio però agisce con quella e ne fa una pietra d’angolo (cfr. Mt 21,42), quella che tiene in sesto e dà vigore a tutto l’edificio. Gesù è riconosciuto Dio sulla croce, nel fallimento umano. Cristo vince perdendo, salva con la propria morte.
Il cristianesimo è l’insufficienza umana eretta a metodo dell’operare di Dio, tanto nell’Antico Testamento quanto nel Nuovo Testamento. Dio sceglie ciò che è debole, infermo, ciò che non conta, per confondere ciò che è forte (cfr. 1Cor 1,27-29). Dio interviene e costruisce, gioca e riporta vittoria con la nostra debolezza. San Paolo dichiara: «Vedo il bene e compio il male» (cfr. Rom 7,19-33). Addirittura! E Gesù in Giovanni: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,56). Ma il cristiano, d’altra parte, può replicare: «Posso tutto in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13). E può dire: «Sono insufficiente da me, ma la mia sufficienza viene da Dio». Anzi può affermare: «Quando sono debole, allora sono forte» (2Cor 12,3-10). È Dio che nel mondo e nella storia, da solo, produce il bene, tutto il bene: «Solo Dio è buono» (Mc 18,18). Da lui «ogni dono perfetto» (Gc 1,17). Eppure gli uomini diventano suoi collaboratori e collaboratori che da lui ricevono mezzi, forza e risorse per esserlo (cfr. preghiera “Actiones”). Così il cristianesimo è la forza nella debolezza, la forza della debolezza, in altre parole la forza nell’amore!
Cari amici, all’inizio di questa mia visita pastorale alla vostra comunità dico che nessuno è inutile. Non lo sono i piccoli che sono senza esperienza. Non sono inutili gli anziani privi di attività, talvolta giudicati improduttivi, di peso. Non sono irrilevanti per la vita della comunità quanti sono in difficoltà con la loro fede, quanti sono in ricerca e indugiano sulla soglia. Non sono distanti quanti hanno subito ferite nella loro vita familiare e non possono partecipare fino in fondo al sacramento dell’Altare. Ma soprattutto non solo inutili i poveri, gli ammalati, i disabili… Anche il soffrire è un agire; anche il soffrire può diventare un offrire. Tutti quelli che sanno amare, comunque si trovano, sono validi, danno un senso alla vita, contribuiscono al bene della comunità. Basta mettere la nostra povertà nelle mani di Dio. Cinque pani. Due pesci. Il Signore fa il resto. L’insufficienza diventa sovrabbondanza che soccorre le necessità degli uomini e asseconda le attese di Dio. Così sia!
L’insufficienza capita e accolta così forma la gioia del cuore di Dio, del cuore degli uomini del nostro cuore. Questo è il segreto della fecondità. Questo è il mistero del cristianesimo. Questo è il miracolo dell’amore: la forza della debolezza, la potenza dell’amore.