Omelia XXXIII domenica del Tempo Ordinario

Cattedrale di San Leo, 19 novembre 2017

Giornata del Ringraziamento
Prima Giornata mondiale dei poveri

Pr 31,10-13.19-20.30-31
Sal 127
1Ts 5,1-6
Mt 25,14-30

(da registrazione)

«Voi, fratelli – ci saluta così la Scrittura – non siete nelle tenebre […]: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno» (1Ts 5,4-5). C’è un complimento più bello di questo?
Nel Regno di Dio, che cominciamo già a gustare qui e ora, si lavora: non è solo beatitudine e tenerezza, ma anche responsabilità. Va ricordato nella Giornata del Ringraziamento. Tuttavia, sebbene il lavoro sia eredità amara del peccato originale, in qualche modo esso ci rende simili a Dio, perché, all’indomani della creazione, il Signore ha collocato l’uomo come suo impresario, affidandogli il compito di farla sviluppare e crescere.
Dio ha fatto il mondo e lo regge con la sua Provvidenza. Nella Genesi Dio viene raffigurato con le abili mani del vasaio che prende la creta dalla terra e con essa plasma l’uomo: è il primo mestiere col quale Dio viene narrato nelle Sacre Scritture. Inoltre, Dio viene immaginato come una levatrice che, come avveniva al tempo dello scrittore della Genesi, soffia nelle narici del neonato affinché cominci a respirare. Oppure Dio viene ritratto come abile chirurgo che dal torace di Adamo espianta la costola con cui viene creata la donna. Dio viene descritto addirittura come un sarto che prepara il vestito per Eva e Adamo dopo il peccato originale. Queste sono tutte “le cause” del lavoro del Signore, lavoro svolto, nel suo caso, in totale gratuità.
Nella Cattedrale della mia città di origine, Ferrara, vi erano due porte: una centrale con la rappresentazione di Gesù giudice e una laterale adornata di bassorilievi, ora custoditi nel Museo della Cattedrale (tale porta ora non c’è più dopo il rifacimento settecentesco). Nelle formelle che rivestivano la porta laterale non erano rappresentate figure di santi, né di eroi della mitologia classica, come si potrebbe immaginare, bensì erano raffigurati i mestieri, i lavori del luogo: un grande ammaestramento.
Una curiosità: perché nel racconto evangelico Gesù condanna il servo che ha sotterrato il talento in una buca? Perché quell’uomo lascia a riposo la creazione. Lui voleva restituire integro ciò che aveva ricevuto, non l’ha trafficato per paura del suo padrone.
Qual è l’opposto dell’operosità? L’accidia, uno dei sette vizi capitali. L’accidia è un vizio grave, è il vizio di chi non sa assumersi le proprie responsabilità. L’accidia può avere due forme: quella che intendiamo solitamente, cioè la pigrizia, l’indolenza, la svogliatezza, l’ozio, l’inerzia e poi la forma dell’attivismo, cioè di chi lavora per stordimento, come alibi per distogliersi dai doveri principali, dalla cura dei rapporti.
Dopo la meditazione di questa pagina di Vangelo sottolineo tre pensieri. Il primo: tutti i lavori sono importanti e sacri (comprenderei anche i lavori domestici, il servizio per i vicini di casa, il servizio in parrocchia, nel volontariato). Il lavoro è la via normale per il proprio sostentamento, ma anche per realizzarsi. Un secondo pensiero: il lavoro è sempre per gli altri: anche quando si lavora per sé in fondo si fa un servizio agli altri. Terzo pensiero: il più trascurato fra tutti i lavori è la cura dell’anima (non c’è neppure nelle dodici formelle della Cattedrale di Ferrara!).
Quando l’attore comico Benigni interpretò i dieci comandamenti disse che l’anima, a volte, rimane indietro e si può vederla mentre rincorre il corpo. Effettivamente possiamo vivere questa dissociazione. Allora invito a prendersi cura dell’anima, ad esempio facendo in modo che il lavoro più materiale sia pervaso dall’impegno di lavorare per amore.
Per questo lavoro sull’anima non bastano delle “promesse da marinaio”, occorre la pratica della vigilanza, l’ascolto attento, la preghiera.
La parabola dei talenti, dunque, ci insegna che Dio ha stima di noi, conosce le nostre possibilità, non pretende che siamo perfetti, ma chiede di non sprecare i suoi doni.
Questa domenica ci viene mostrata – nella Prima Lettura – anche la figura di una donna intraprendente e laboriosa. Mentre domenica scorsa sembrava che il Signore invitasse alla prudenza, oggi il Signore condanna la prudenza del servo che non si dà da fare.
Penso che si possa guarire dall’accidia recuperando un rapporto di fiducia con il Signore: «Signore, metti nelle mie mani i tuoi doni e io mi impegno a farli fruttificare».
In questa domenica in cui ricordiamo i poveri, il cuore dev’essere aperto ai nostri fratelli. Certo, la povertà è da combattere perché è frutto di ingiustizia, di male, ma guardando il volto di chi è in difficoltà ci accorgiamo che la povertà è un ammaestramento, un invito a condividere e a non essere troppo attaccati ai beni della terra. Sia lodato Gesù Cristo.