Omelia nella solennità della SS. Trinità

San Marino Città (RSM), chiesa di San Francesco, 7 giugno 2020

Es 34,4-6.8-9
Dn 3,52-56
2Cor 13,11-13
Gv 3,16-18

Forse per curiosità, forse per spiare o forse, più probabilmente, per timore dei Giudei, Nicodemo va di notte ad incontrare Gesù. E Gesù incomincia subito la conversazione parlando di noi e del nostro destino. Parla di una vita nuova per noi, di una possibilità ulteriore. Nicodemo fraintende e dice: «Com’è possibile nascere di nuovo quando uno è già grande?». Gesù riprende la parola ed è come se scostasse il velo che copre il mistero santo di Dio. Nel colloquio con Nicodemo, infatti, rivela qualche cosa della vita infinita di Dio. Dice che in Dio c’è della paternità, che in Dio c’è dell’amore, che in Dio c’è del dono, e rivela Dio Trinità. Noi usiamo parole analogiche per balbettare qualcosa di questo mistero. Parliamo di una Prima Persona, e lo chiamiamo Padre, parliamo di una Seconda Divina Persona, il Verbo, e di una Terza Divina Persona, lo Spirito Santo. Questa successione numerica non sta a dire che una è più grande e una è minore dell’altra. Sono tre Divine Persone che vivono l’una per l’altra, l’una nell’altra. Starei quasi per dire che in Dio c’è – consentitemi questo ardire – un abisso di povertà assoluta. Non sono tre Dei, tre sostanze. Immaginiamo di interpellare la Prima Divina Persona – possiamo farlo nella preghiera –: «Chi sei tu?». Ci risponderebbe che “non è”, perché è tutta “fuori di sé”, persa nel “tu” che gli sta di fronte. Allo stesso modo risponderebbero la Seconda e la Terza Divina Persona. «Chi sei tu?». «Io non sono, perché trovo la mia vera sostanza, la mia identità nell’altro».
Dio non è soltanto un abisso di povertà, è anche una voragine di ricchezza, di vita. È stato Gesù a rivelarci che Dio non è fatto di un sol blocco, ma è Trinità d’amore: lo anticipa a Nicodemo e lo svela a tutti noi. Noi siamo fatti per quella vita.
Contempliamo le tre Divine Persone. Che utilità ne ricaviamo? Quando Gesù parla di vita nuova non parla di un restauro della nostra natura, ma dice la nostra destinazione: essere nella Trinità. Non è solo utile e necessario saperlo, è soprattutto bello!
Trovarono negli indumenti di Blaise Pascal, il grande filosofo e matematico, un cartiglio con scritto: «Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei sapienti. Certezza, certezza. Sentimento. Gioia. Pace. Dio di Gesù Cristo (dal Memoriale)». Siamo chiamati a partecipare alla vita di “quei tre”. E possiamo avere con le tre Divine Persone un rapporto differenziato. Siamo rigorosamente monoteisti, ma è così grande l’amore nella Trinità che i tre sono uno. Possiamo considerarli così come si sono manifestati nella storia della salvezza. Gesù con Nicodemo non dice che Dio ha intenzione di amare il mondo, ma usa il passato remoto: «Dio ha tanto amato il mondo». Lo fa per dire che è un fatto compiuto, che si compie e che si compirà. La parola “mondo” c’è quattro volte in poche righe.
Mettiamoci di fronte alla Prima Divina Persona, il Padre, rivolgiamoci a lui. Le Sacre Scritture ci raccontano di lui, quello che ha fatto, quello che fa e quello che sarà per noi in un abbraccio di amore infinito, che è il paradiso. Se non sappiamo trovare parole nostre, sfogliamo il libro dei Salmi, sono uno più bello dell’altro. Ne cito qualcuno: «L’anima mia ha sete di Dio…» (Sal 63), «l’anima mia è come un cervo assetato che viene all’acqua» (cfr. Sal 42,2), «come un bambino in braccio a sua madre, così sei tu per me» (cfr. Sal 131), «Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando siedo e quando mi alzo, ti cerco nel cielo, là tu sei, scendo negli inferi, dove la mia vita tante volte giace, eccoti» (cfr. Sal 139). Quante cose potremo vivere in compagnia con il Padre… La preghiera è compagnia, non è un proferir parole: ad un certo punto è il cuore che si dà…
La Seconda Divina Persona la conosciamo: è il Verbo incarnato: «Ciò che era fin dal principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta…» (1Gv 1,1-2). Lui in noi e noi chiamati ad essere in Lui. In Lui entriamo nella relazione con il Padre. Se volessimo qualche slide del Padre, come ce lo insegna Gesù, basterebbe prendere la parabola del “figliuol prodigo”. Gesù lo descrive come un padre che ci aspetta, che ci lascia anche la libertà di sbagliare, ma ci viene incontro, ci abbraccia, organizza una festa per noi, le sue viscere si commuovono…
La Terza Divina Persona è lo Spirito Santo, l’amore del Padre e del Figlio, consostanziale con il Padre e il Figlio, effuso su di noi, perché noi possiamo essere con il Padre e con il Figlio, per mezzo di Lui, attraverso Lui. Senza di Lui non avremmo l’audacia di entrare nel seno del Padre.
Non si finirebbe mai di parlare della Trinità… Farei la sintesi di quanto ho cercato di condividere con voi con tre preposizioni semplicissime. La preposizione “a”, che dice come siamo rivolti, aperti, spalancati, perduti e ritrovati, verso il Padre. La preposizione “in”, in Gesù, fatti una cosa sola con lui, come limatura di ferro attratta da un magnete. Gesù ci introduce nella stessa relazione che lui ha con il Padre.
La preposizione “per”: tutto questo per l’amore dello Spirito Santo che, come dice una canzone, ci mette «le ali per abitare gli spazi abitati da Dio». Tutto questo è ben espresso nella grande preghiera della Chiesa che è il canone della Messa, preghiera tutta rivolta verso il Padre, in Cristo: è lui che si offre al Padre e noi ci offriamo con il Figlio Gesù al Padre. Lo Spirito Santo ci dà l’ardire. Come il carro di fuoco che ha rapito Elia nell’alto, così lo Spirito Santo ci innalza e ci mette dentro a questa danza: così i padri antichi descrivevano la Santa Trinità (pericoresi).
Ci sarebbero molte cose da precisare… Questa contemplazione discende a noi – non inutilmente – perché tutta la vita possa diventare a mo’ della Trinità. Pensiamo a quanto sono importanti le relazioni e i rapporti, il parlare e il tacere, il dare e il ricevere. Forse la parabola più bella, più efficace, della Trinità è la famiglia, dove nessuno è superiore all’altro, dove ognuno vive per l’altro, dove ci si dona continuamente e ci si riceve. Questo è vero anche di ogni comunità. La comunione è un dono della Trinità. Certo, noi siamo nella storia, in divenire, e dobbiamo fare la fatica di trasformare la comunione in comunità. La Trinità è anche profezia, perché i cristiani, amandosi, diventano Chiesa, «sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). La Trinità è anche epifania, cioè manifestazione del nostro destino, della nostra vocazione. Così sia.