Omelia nella Solennità di Pentecoste

Pennabilli (RN), Cattedrale, 31 maggio 2020

At 2,1-11
Sal 103
1Cor 12,3-7.12-13
Gv 20,19-23

Spirito Santo, sei inafferrabile! Nel contemplarti la mente si smarrisce e le parole sono insufficienti. Ci confonde la ricchezza che affiora nei testi liturgici. La Prima Lettura ci fa contemporanei e ci fa entrare dentro a quella “casa di fiamma” che è il cenacolo. In quella casa gli apostoli ci vengono raffigurati come ubriachi, ubriachi di gioia: così li vede la folla di Gerusalemme. Infatti, un vento coraggioso li ha spinti ad uscire e a proclamare parole inaudite. Poi il Salmo: «Del tuo Spirito, Signore, è piena tutta la terra». Tutto il mondo è gravido dello Spirito, che è anima di ogni cosa; il Signore si è preparato un popolo, in una terra nuova e in un cielo nuovo. Siamo noi che non ce ne accorgiamo (cfr. 2Pt 3,13; Is 43,19).
La Seconda Lettura ci parla dello Spirito che suscita carismi e doni. Ai piedi della croce rivendichiamo l’unità nella Chiesa, a Pentecoste viene in evidenza la diversità come ricchezza. Poi, il Vangelo: lo avevamo letto la II domenica di Pasqua. In quell’occasione ci eravamo fermati perlopiù a meditare e commentare l’esperienza di Tommaso. Veniva spontaneo rivederci in lui, nella sua difficoltà a credere. Questa volta ci soffermiamo sull’apparizione senza Tommaso. Vi invito a fare una “zoomata” sul catenaccio che teneva chiusa la porta del cenacolo. È evidente che raffigura quello che sentono gli apostoli in quel momento, prima dell’effusione dello Spirito Santo. Ma quel catenaccio è pure metafora della paura che paralizza, che rende esitanti, che toglie la libertà. La paura toglie la voglia di fare, di proporre iniziative, di raggiungere mete. Può anche avere la forma di una strana timidezza, per il timore del giudizio degli altri. Una volta si denunciava questo timore come “rispetto umano”, la paura di testimoniare la fede sul posto di lavoro o con i vicini di casa; non è tanto il pudore di non voler manifestare i propri sentimenti, ma è principalmente paura di essere giudicati. Dietro la barricata sta sempre il nostro io, che vuol fare bella figura. Questa riflessione vale per la nostra vita personale, per le nostre piccole paure, ma più in generale vale per la Chiesa di oggi. A volte sembra mancare l’audacia di percorrere vie nuove e di seminare il Vangelo. Ho visto persone ritrarsi nel cammino della vita spirituale perché spaventate dalle esigenze di Dio, esitanti per la paura che il Signore chieda troppo. Ma il Signore non porta via, anzi offre, dona. Ho visto vocazioni rattrappirsi, rinsecchire, per la paura di non riuscire, per la paura del “per sempre”. Ho visto situazioni peggiorare, incancrenirsi, perché non c’era il coraggio di prendere decisioni, per paura di mancare di riguardo a qualcuno. Quante barche sono rimaste ancorate nel porticciolo e non hanno preso il largo! La causa è sempre l’io che ha paura, si difende, si trincera, chiude con il catenaccio. Oggi, a Pentecoste, il messaggio è proprio questo: non avere paura. Il Signore dà, non toglie; incoraggia e fa compagnia… Risuonano le parole che abbiamo riascoltato nel Centenario della nascita di San Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Lui solo sa cosa c’è nel cuore dell’uomo».
Ecco, la Pentecoste. Gesù entra e fa il dono più grande. Tutta la storia della salvezza, dalla prima pagina della Bibbia fino all’ultima, non è altro che preparazione, annuncio e conferma dell’effusione dello Spirito. Il disegno di Dio si completa nella Pentecoste. Affermo – ma non si possono fare classifiche di questo tipo – che la Pentecoste è la festa più grande: è l’autocomunicazione di Dio. Il Padre invia il Figlio, il Figlio effonde lo Spirito già nel momento altissimo e tremendo della crocifissione. La Pentecoste in Giovanni è anticipata nel momento in cui Gesù «consegna lo spirito e tutto è compiuto» (cfr. Gv 19,30). E ci fu effusione di acqua e di sangue, i due simboli dello Spirito. Gesù era innalzato da terra, era inchiodato sulla croce. Nel cenacolo si certifica questa effusione: «Ricevete lo Spirito…». Gesù alita, soffia sulla comunità messianica. Una comunità timorosa, impacciata, perplessa. Come sul monte dell’Ascensione, benché dubitassero, ha affidato loro il suo Vangelo: «Andate in tutto il mondo…» (cfr. Mt 28,19). Il Signore entra a porte chiuse, effonde lo Spirito e manda in missione. «Come il Padre ha mandato me – dice Gesù – io mando voi». Come l’ha mandato? Gesù è stato mandato come il figlio del carpentiere, il figlio di una fanciulla di Nazaret, «senza apparenza né bellezza (cfr. Is 53,2). Come furono mandati i discepoli? Tra loro non vi erano sapienti, nobili, potenti (cfr. 1Cor 1,26-27). Così il Signore manda noi, così come siamo, perché a nostra volta comunichiamo lo Spirito col dono di noi stessi. Signore, rinnova dentro di noi i tuoi doni, riverbero dell’unico dono, il dono del tuo Amore. Così sia.