Omelia nella XIII domenica del Tempo Ordinario

San Marino Città (RSM), chiesa di San Francesco, 28 giugno 2020

2Re 4,8-11.14-16
Sal 88
Rm 6,3-4.8-11
Mt 10,37-42

Lasciamoci sorprendere dal Vangelo! Se torneremo a casa (oppure cambieremo canale o spegneremo la televisione, per chi segue la celebrazione in tv) e ci rimarrà un interrogativo o una inquietudine vorrà dire che il Vangelo ha raggiunto il suo scopo. Noi pensiamo di aprire il Vangelo, ma in verità è il Vangelo che apre noi.
Questa mattina c’è un clima un po’ festaiolo, perché è l’inizio delle vacanze per tanti, nonostante l’incombenza del virus, e questo Vangelo è come un cazzotto sulla bocca dello stomaco. Per dieci volte Gesù introduce con il pronome relativo “chi” delle esigenze radicali: «Chi ama padre o madre più di me, […] chi ama figlio o figlia più di me, […] chi non prende la propria croce, […] chi avrà tenuto per sé la propria vita…». Perché questa parola apparentemente severa, dura, così radicale? Gesù sta annunciando l’avvenimento più atteso di tutta la storia: un avvenimento luminosissimo, radioso, portatore di gioia, ma anche minaccioso, che è il Regno di Dio, la regalità di Dio. Questo avvenimento è stato preparato da tutta la storia e adesso, nei giorni di Gesù, questo avvenimento “esplode”. Sembra quasi che Gesù dica: «Si salvi chi può (in senso buono ovviamente)!».
Partecipai ad una conferenza importante. La sala era gremita. A tenere la conferenza era un celebre biblista, Rinaldo Fabris. Commentava i brani in cui Gesù esprime il compimento del Regno e tutta la radicalità della sequela. A proposito di questi “detti”, un distinto signore si alzò in piedi (era un professore dell’Università di Ferrara) e chiese: «Padre, qui Gesù che cosa intende dire veramente? Che genere letterario adopera?». Si fece un grande silenzio nella sala. Rinaldo Fabris si alzò in piedi e disse semplicemente: «Gesù ha proprio detto queste parole, così». Restammo tutti stupiti perché in fondo quel professore universitario non aveva fatto altro che esprimere ad alta voce i pensieri di tutti. Cercavamo tutti di interpretare e misurare quelle parole. Rinaldo Fabris ci fece capire che davanti a Gesù bisognava prendere una decisione. Noi a volte siamo chiusi nelle nostre abitudini da “benpensanti” o praticanti di una religiosità senza slanci. Quando ci capiterà di stupirci? Per questo motivo ho esordito augurando che il Vangelo ci metta in crisi, susciti stupore, faccia nascere preghiera nell’ascolto delle parole di Gesù. La storia ha fatto la sua parte, dividendo il mondo “prima di Cristo” e “dopo Cristo” per dire l’evidenza che il Regno di Dio è esploso con Gesù, è venuto sulla terra. Per Regno si intende la signoria salvifica di Dio.
Ho bisogno di fare due precisazioni. La prima è questa. Qui Gesù non parla alle future monache o ai futuri eremiti: è un discorso che fa a tutti. Tutti siamo invitati a prendere una decisione davanti a Gesù e ad essere radicali nella nostra decisione. La seconda è che Gesù non è contro la gioia del vivere, contro la storia, contro la bellezza. Non c’è nessun dualismo. Basti pensare a quanto Gesù abbia amato il padre e la madre… Quando Gesù introdurrà Maria e Giuseppe nella consapevolezza che ha un’altra paternità, dice il Vangelo che Gesù torna a casa, a Nazaret, ed è loro sottomesso, cioè ritorna ad una vita normalissima di fiducia e di disponibilità a lasciarsi educare da Maria e da Giuseppe. Poi, Gesù dice anche che il discepolo avrà cento case, cento campi, cento fratelli, cento sorelle… e tanta gioia (cfr. Mt 19,29).
Mi soffermo su una delle frasi introdotte dal pronome relativo “chi”: «Chi accoglie voi, accoglie me, chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato». C’è come un “avvitamento” attorno al verbo “accogliere”. Ciò sta a significare che l’avvento del Regno di Dio non è una faccenda puramente umana, ma un avvenimento trinitario. La regalità di Dio è Dio che ci prende dentro, per cui l’umile missionario e chiunque di noi “vive Gesù”, ha questa consolazione: porta il Signore. E chi l’accoglie, accoglie il Signore, che è dentro a questo avvenimento. Inoltre, chi accoglie il Signore accoglie il Padre e c’è presenza dello Spirito Santo. Dunque, la missione non è un fatto organizzativo, non è un’operazione di marketing, non è la ricerca di strategie per convertire le persone, è qualcosa di divino che ci esplode tra le mani. Ciascuno di noi ne è l’artificiere.
Aprendo la Messa abbiamo detto: «O Dio che ci hai reso figli della luce…». Ognuno di noi è un figlio della luce; ha dentro di sé la luce. Il Battesimo è stato come il fiammifero che ha appiccato l’incendio nel cuore. «… Fa’, o Signore, che non ricadiamo nelle tenebre, ma che restiamo sempre luminosi nello splendore della tua verità». E qual è la verità? È un elenco di nozioni, un teorema? No. La verità è la Persona di Gesù, il Regno di Dio. Gesù dice: «Sceglietemi come fosse la prima volta, abbracciatemi, perché vi do la pienezza della vita, che è la ricompensa». Basta soltanto offrire un bicchier d’acqua… Anche se ci pare di non saper spiegare il Vangelo non importa: viviamolo. È la più bella delle esegesi!