Omelia nella XV domenica del Tempo Ordinario

Basilica di Santa Maria di Piè di Chienti (MC), 16 luglio 2023

Is 55,10-11
Sal 64
Rm 8,18-23
Mt 13,1-9

Il diacono ha letto la forma breve della lettura liturgica del Vangelo di oggi: non per brevità, ma per concentrarci nella prima parte del testo, dove il protagonista è il Seminatore, Gesù (nella seconda parte – spiegazione della parabola – è il seme).
Permettetemi due premesse. Se fossimo dei contemporanei di Gesù rimarremo colpiti dal verbo “uscire”. Per gli ebrei il verbo “uscire” aggregava tanti riferimenti e pensieri: principalmente il pensiero dell’esodo, l’uscita dalla schiavitù verso la libertà, verso la terra promessa. Se sfogliamo il libro della Sapienza, troviamo l’allusione all’uscita del Verbo di Dio che diventa creazione. Gesù – ci fa capire l’evangelista Matteo – è tutt’altro che un “casalingo” (anche se è stato trent’anni a Nazaret per vivere le nostre giornate). Ci viene “raccontato” come colui che “esce” e “incontra”. Prima ancora sappiamo che Gesù è uscito dal seno del Padre e si è incarnato: questa è la sua “grande giornata”. Gesù –racconta l’evangelista – “quel giorno” esce di casa, si dirige verso il lago e comincia a seminare: è il ritratto di Gesù, il Seminatore.
Seconda premessa: Gesù è andato sulla barca. La barca dà l’idea dell’insicurezza; sulla barca si traballa, ci si affida, in fondo, ad un guscio di noce che galleggia. Gesù sale sulla barca, accetta la sfida di questo tipo di “uscita”. La gente, invece, sta sulla terraferma, con i piedi ben piantati, alla ricerca di sicurezza. Gesù questa mattina dice: «Fidati di me». Ognuno di noi ha nel cuore qualche decisione da prendere, qualche discorso avviato con se stesso e da concludere. Il Vangelo ci sta dicendo: «Non avere paura, non restare a tutti i costi sulla terraferma, fidati di Gesù, non ti lascerà andare a picco. Ascoltalo e seguilo».

Quella mattina, sulle rive del lago di Galilea, c’è tanta gente attorno a Gesù. Molti sono lì per curiosità, alcuni lo ascoltano distrattamente, qualcuno non si lascia toccare dal suo insegnamento; c’è anche chi pensa: voglio vedere se dice cose giuste oppure se c’è un appiglio per contestarlo. C’è anche il volto raggiante dei Dodici apostoli che hanno lasciato tutto per lui, hanno lasciato la terraferma e le sue sicurezze, per stare con il Maestro.
La parabola che Gesù racconterà tiene conto della varietà dei suoi ascoltatori. Gesù parla di molte cose in parabole; gli apostoli ne sono stupiti e chiedono spiegazione. Gesù risponde che, quando ha parlato senza veli, tante persone sono rimaste sulla difensiva: «Pur udendo non odono e non comprendono…». Allora prova con le parabole: chissà che non comincino a riflettere, ad interrogarsi, attirati dal racconto. Le parabole sono una forma di comunicazione volta a scalfire i cuori, a creare stupore e domande in chi ascolta. Quelle che racconta Gesù sono parabole a volte paradossali. Mio padre, ad esempio, quando tornava dalla Messa domenicale, dopo aver ascoltato il commento del parroco, talvolta non era d’accordo con Gesù, soprattutto con la parabola degli operai dell’ultima ora pagati come quelli della prima, oppure con quella del figliuol prodigo… Era bello che mio papà uscisse di chiesa con delle domande, con del disappunto: la parabola aveva funzionato, perché aveva creato – come si dice in linguaggio calcistico – un tackle, un contrasto. La parabola deve interrogare, smuovere, far prendere posizione: è performativa.
Gesù, nel tentativo di aprire i cuori ai misteri del Regno, usa appunto il metodo parabolico. La prima parabola che racconta – ne leggeremo sette nel mese di luglio – viene detta “la parabola del seminatore”. È un autoritratto: è Lui che semina la Parola con generosità, senza risparmio né calcolo, pur vedendo che gran parte del seme va perso sulla strada, sul terreno sassoso, sui rovi, ma anche sulla terra buona. Io, ciascuno di noi, siamo contemporaneamente strada, terreno sassoso, ciglio del campo su cui crescono i rovi e terra buona… Anche la Chiesa di oggi è terra buona, terreno sassoso, campo con le spine, strada, ma Gesù le affida il seme della sua Parola. Così è questo nostro tempo… Ma il Seminatore c’è ancora. Consideriamo i fiumi di Eucaristia che scorrono ad irrorare questo nostro tempo. Così ci fa pregare un Salmo: «Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio» (Sal 46,5). L’Eucaristia è la grande risorsa della Chiesa. Attraverso l’Eucaristia – tema per il nostro cammino – il Signore continua a seminare del “buon grano”, con abbondanza e prodigalità. Anche se il mondo non se ne accorge… Se la Chiesa si propone di mettere l’Eucaristia al centro e sta in adorazione del suo Signore, offre la testimonianza più necessaria, più utile e più bella. Si potrebbe pensare anche a quanta seminagione vada perduta… La seminagione piena di frutti deve passare anche attraverso il mistero del rifiuto, il mistero che è dentro di me, nella Chiesa e nel nostro tempo. «Signore, rendi solidi la nostra fede e l’amore dei nostri cuori così instabili e fragili. Trasforma in cuori di carne i nostri cuori di pietra» (Ez 11,19). «Signore, aiutaci a cogliere i semi del Verbo – come dicevano gli antichi Padri – che sono sparsi dappertutto. Rendici consapevoli di quanto il mondo sia gravido della tua seminagione». Le filosofie e le religioni contengono i semi del Verbo. Ci fu una stagione meravigliosa nella storia della Chiesa in cui la comunità cristiana sentiva la missione di far sbocciare questi semi, cioè l’urgenza ad inculturare il Vangelo.
Grazie Gesù! Entriamo nella settimana con la certezza che tu sei Seminatore infallibile. Anche noi dobbiamo seminare: guai avvilirsi! Così devono sentire i genitori, gli insegnanti, le forze dell’ordine: continuare a seminare per il meglio di tutti noi. Così sia.