Omelia nella XX domenica del Tempo Ordinario

Eremo di Carpegna (PU), Santuario della Madonna del Faggio, 16 agosto 2020

Camminata del Risveglio

Is 56,1.6-7
Sal 66
Rm 11,13-15.29-32
Mt 15,21-28

Gesù si è stupito nel vedere tanta fede in una donna straniera. È cananea, non appartiene al popolo di Israele, ha un’altra cultura, un’altra religione; probabilmente non è mai salita al tempio di Gerusalemme, non recita, come i pii israeliti, lo “Shemà Israel” ogni mattina. È una persona che ha solo sentito parlare di Gesù. Ha un grande dolore perché la sua bambina è gravemente ammalata, posseduta da un demonio. Eppure, va da Gesù; è spinta, è attratta verso Gesù. Chi l’avrà attratta? In un altro punto del Vangelo Gesù dirà: «Nessuno viene a me se non è attirato dal Padre» (Gv 6,44; Mt 16,17). Il Signore ricorda che fuori dal recinto ci sono tante persone che il Padre attira a Gesù. Anch’io talvolta, come il profeta Elia, davanti al Signore innalzo i miei lamenti. Al profeta Elia è toccato di compiere il ministero in un momento di grande apostasia (allontanamento dalla fede). Lo incontriamo nella Bibbia mentre fugge dal suo ministero, perché ha la sensazione che non ci sia più niente da fare. Il Signore lo ferma, gli dà un pane che gli consenta di riprendere il cammino e gli dice: «C’è un popolo – tu non lo sai, non lo vedi, non lo conosci – che ho attirato a me». E subito, seduta stante, il Signore dà tre incarichi precisi ad Elia, quasi i punti di un Programma pastorale. Elia tornerà ad essere evangelizzatore (cfr. 1Re 19).
Quando l’evangelista Matteo ha raccolto l’episodio della mamma cananea rispondeva ad una problematica che era molto avvertita nelle comunità a cui indirizzava il suo Vangelo. Erano le comunità siro-fenice di Tiro, Sidone, Antiochia, che si trovavano ad essere composite: c’erano i cristiani che provenivano dal giudaismo, erano preparati dalla loro frequentazione alla sinagoga e dalla lettura della Bibbia e avevano riconosciuto il Messia. Poi, c’erano i cristiani che provenivano dal paganesimo, che non avevano fatto lo stesso cammino “catechistico”, ma erano felici di aderire al messaggio di Gesù, pronti a tutto per seguire il Vangelo. La comunità avvertiva una sorta di tensione. Matteo sottolinea che quello che è richiesto per appartenere al popolo di Dio, quello che qualifica come possibili discepoli di Gesù è la fede. Non è un’appartenenza etnica e neppure la tradizione o la cultura da cui si proviene; ciò che conta è credere, accettare la sfida, non sempre facile, del credere. Ecco l’esempio stupendo di quella donna che implora il suo “Kyrie eleison”.
Forse occorre spendere una parola non tanto per difendere Gesù, ma per spiegare il suo comportamento. Già un’altra volta si era comportato così con una mamma, la sua. Maria chiede il suo intervento per togliere dall’imbarazzo due sposi che hanno finito il vino alla festa di nozze. Gesù le risponde: «Donna, che ho a che fare con te? Non è ancora giunta la mia ora» (cfr. Gv 2,4). Tutti ci meravigliamo di questa risposta, ma la Madonna insiste, anzi organizza i servitori affinché attingano l’acqua che poi verrà trasformata in vino. Perché Gesù indugia? Qualcuno pensa che qui il Maestro voglia dare un insegnamento sulla preghiera. Qualcun altro dice che Gesù “ha fatto finta” per rendere ancora più strabiliante il miracolo. Il vero motivo è che Gesù non è un “guaritore”. Gesù è obbediente ad un piano, si attiene ad un disegno: è inviato alle pecore perdute d’Israele. Alla fine, compiendo il miracolo, apre una breccia. Dopo la sua vicenda pasquale il Vangelo non avrà barriere. Quando la donna sente dire da Gesù: «Non è bene dare il pane dei figli ai cagnolini», replica prontamente: «È vero!». «Però – continua – ai cagnolini si danno almeno le briciole». La cananea è la donna delle briciole. Lei sa che le briciole di Dio sono manifestazione della sua potenza. Gesù rimane stupito da quella fede e cambia! La fede conquista, fa cambiare Gesù: «Da quell’istante la bambina fu guarita».
Invito tutti a non perdere la fede, ad esercitarla nella preghiera, certi dell’esaudimento, quando Dio vuole, come vuole. La preghiera arriva sempre al centro, al cuore, se è fatta nell’umiltà e nella fede: questo è il primo insegnamento che ci portiamo a casa.
Altro messaggio: il Signore sta preparando un popolo. Maria canta nel “Magnificat” che il Signore è all’opera, al di là di quello che noi percepiamo. Prendiamo coraggio e fiducia per trasmettere la fede ai nostri giovani. Tutto quello che possiamo è il nostro esempio, soprattutto quello di voi genitori.
Il tema del Programma pastorale del prossimo anno consisterà nel farci sempre più persuasi che l’annuncio della risurrezione è per tutti: siamo tutti missionari! Ammaestrati dal Vangelo di oggi, sappiamo che non c’è un pagano, un miscredente, un lontano, che non possa rivolgersi al Signore, nel suo cuore, con la fede. Tutti sono candidati: guai se nel nostro cuore escludiamo qualcuno. In tutte le famiglie, a partire dalle nostre, c’è chi è praticante, c’è chi crede ma non pratica e chi non è credente, ma nel nostro cuore dobbiamo pensare che tutti sono chiamati. Il missionario è soprattutto colui che ha nel cuore questo sentimento verso tutti. Tutti candidati ad essere fratelli, tutti candidati ad avere Maria come madre. Tutti figli di Dio!
Così sia.