Omelia nella XXVIII domenica del Tempo Ordinario

Miniera (RN), 9 ottobre 2022

Sante Cresime

2Re 5,14-17
Sal 97
2Tm 2,8-13
Lc 17,11-19

Inizio con alcune premesse che servono alla nostra meditazione. Prima premessa: chi erano i samaritani? I samaritani erano un piccolo popolo all’interno della Palestina, composto di persone “trapiantate”. Durante l’occupazione assira della Palestina – siamo nell’800 a.C. – furono portati via da Gerusalemme il re, i ministri, le persone di cultura e vi furono importati degli stranieri, quasi una colonia. I samaritani erano “meticci”, essendosi uniti con i pochi ebrei rimasti nelle campagne, poi non praticavano il culto a Dio secondo la liturgia del tempio. I samaritani erano ritenuti eretici, pertanto erano disprezzati, odiati…
Seconda premessa. Nel Vangelo di Luca tutti i racconti, le parabole, i miracoli compiuti da Gesù si trovano nei primi otto capitoli; dal capitolo 9 in poi viene raccontato il viaggio che Gesù fa verso Gerusalemme. Gesù non va a Gerusalemme da turista o da pellegrino; è consapevole che là devono compiersi i giorni della sua morte e risurrezione. Alla fine del capitolo 8 si dice che Gesù «indurì la sua faccia» e si incamminò decisamente verso Gerusalemme. Lungo la strada, Gesù ci fa capire, e ha fatto capire ai Dodici e ai discepoli che lo seguivano, che la sua è una strategia di ingresso (anche Gesù aveva una strategia pastorale!). Gesù va per le strade, si ferma nei villaggi e nei piccoli borghi. Non fa come alcuni gruppi spirituali del suo tempo che si ritiravano dalla città e avevano preso dimora nel deserto di Giuda: abitavano nelle grotte, avevano costruito dei monasteri, avevano in programma di fuggire il mondo e aspettavano la Gerusalemme celeste. Si chiamavano Esseni. Al tempo di Gesù c’erano anche gruppi di fervorosi che, in nome di Dio, si armavano per contrastare i pagani, perché l’origine dei mali – dicevano – era la presenza in Palestina dell’Impero Romano. Gesù non apprezza la loro strategia di aggressione.
Il programma di Gesù è un programma di incontro, di vicinanza, di prossimità, dunque di ingresso. Nella pagina evangelica appena proclamata, Gesù, prima di entrare nel villaggio, passa accanto ad un lazzaretto dove vivono dei lebbrosi, emarginati ed esclusi per motivi igienici e religiosi. Da lontano gridano: «Gesù, Maestro, abbi pietà di noi», così come noi preghiamo all’inizio della Messa: «Kyrie, eleison» (sono stati loro i primi a cantare così!). La lebbra era ritenuta una malattia “maledetta”. Un lebbroso è un morto che cammina; la necrosi avanza in tutto il corpo, il volto si sfigura… Gesù li ascolta e si avvicina. Dobbiamo immaginare che quei lebbrosi siamo noi e la nostra umanità di oggi, bisognosi di purificazione. Gesù si ferma, li guarda, li accoglie; fa loro una proposta quasi incomprensibile: «Andate in città e presentatevi ai sacerdoti». Si fidano. Sono ancora ammalati e si mettono in cammino; mentre camminano, succede a loro come ai discepoli di Emmaus: guariscono. Immaginate la loro gioia! Corrono. Cantano. Finalmente possono riabbracciare (un lebbroso non poteva toccare nessuno). Abbiamo provato qualcosa di simile con il Covid… Molti di noi non hanno potuto abbracciare i loro cari ammalati.
Uno dei lebbrosi torna indietro per ringraziare Gesù. Lui che aveva cantato l’atto penitenziale, kyrie eleison, ora intona il Gloria. Il lebbroso interrompe il viaggio verso la città per andare dove lo porta il cuore: da Gesù. Torna sui suoi passi: è il dietrofront dell’amore. Canta per la strada, si butta ai piedi di Gesù, dice grazie per il dono non meritato della guarigione. L’evangelista Luca sottolinea che l’unico che è tornato indietro è un samaritano: emarginato perché lebbroso ed emarginato perché samaritano, però è l’unico che prende questa iniziativa e vuole guardare Gesù negli occhi. Quei nove hanno fede in Gesù – sono guariti! –  ma il decimo ha qualcosa di più: il desiderio di guardare Gesù, di essere in intimità con lui, vuole amarlo.
Dico a ciascuno: «Il Signore aspetta proprio te, perché ti ama immensamente». Vorrei fiorisse nel cuore la preghiera di riconoscenza, anche con parole nostre, anche solo con uno sguardo.
Mettendo in evidenza il samaritano, Luca voleva incoraggiare la missione. Dopo la risurrezione, gli apostoli e i discepoli sono andati in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo di Gesù. Anche ai pagani. Luca dice che i pagani possono dare risposte inimmaginabili. È, dunque, uno sguardo ottimista sulla missione. A volte, in parrocchia, capita di perdersi d’animo e di non voler seminare temendo di non raccogliere. Luca incoraggia a spargere la semente dappertutto. A questo racconto darei questo titolo: «Storia di un samaritano riconoscente». Questa settimana invito a ricordare la parola “grazie”, da rivolgere al Signore e alle persone che vivono accanto a noi. Così sia.