Omelia Solennità Maria Santissima Madre di Dio

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Santuario Beata Vergine delle Grazie (Pennabilli), 1 gennaio 2014

Giornata Mondiale della pace 1 gennaio 2015
“Non più schiavi ma fratelli”: con queste parole Papa Francesco si rivolge a tutti i cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà. Da 46 anni, il primo giorno dell’anno, la Chiesa celebra la giornata mondiale della pace perché il nuovo anno inizi per tutti con il proposito di promuovere la non violenza e la riconciliazione: fare la pace ossia essere operatori della pace (gli operatori di pace sono detti “beati” da Gesù); essere in pace ossia superare ogni tensione e vivere bene gli inevitabili conflitti; essere pace, avere la pace nel cuore ed essere portatori di gioia e unità.
A nome di tutti ho inviato questa mattina un telegramma a Papa Francesco. “Padre Santo, a nome di tutta la Chiesa di San Marino-Montefeltro invio filiale augurio per nuovo anno. Siamo impegnati a fare nostro il suo messaggio “Non più schiavi, ma fratelli”. Singolarmente e insieme aderiamo al suo appello per una globalizzazione della fraternità. Abbiamo possibilità nel quotidiano per annunciare e vivere il progetto di Dio: essere una sola famiglia. Ci benedica”.
Fare la pace, essere in pace, essere pace è un compito non facile. I conflitti e le guerre non sono un ricordo del passato. Tutt’altro. Se il novecento è stato il secolo delle contrapposizioni frontali e delle ideologie, oggi si moltiplicano i combattimenti locali. A scontrarsi sono soprattutto fazioni interne ad una stessa nazione. Secondo l’espressione efficace pronunciata dal Papa nella sua visita e Redipuglia, nella scorsa primavera, stiamo vivendo una “terza guerra mondiale a pezzi”. I dati gli danno ragione. Ci sono almeno 50 fronti aperti nei vari continenti: dal Messico all’Iraq, per arrivare all’Europa dove si consuma la crisi ucraina. I mezzi di comunicazione italiani non parlano mai delle guerre che si combattono in Africa (vedi, ad esempio, le recenti stragi avvenute nel nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo). A farne le spese sono soprattutto i civile e le categorie più fragili: bambini, anziani, future mamme. Secondo le stime dell’Unicef – Organismo Internazione per la difesa dell’infanzia – ci sono 230 milioni di bambini intrappolati in zone di guerra. 15 milioni nelle aree più violente: Siria, Iraq, Palestina, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Ucraina. Chi può cerca di scappare: per questo l’anno 2014 ha toccato il record di profughi – oltre 51 milioni – mai così tanti dalla seconda guerra mondiale.
Eppure, ci ricorda il Papa, i conflitti non sono un male necessario: la pace è un traguardo possibile, a patto di saper “globalizzare la fraternità”, riconoscendoci come unica famiglia. La dignità umana si esprime nella forma della fraternità, intesa come non vago sentimento, ma come ontologia. La persona, aperta alla relazione gode di dignità, libertà, autonomia. Nessuno può disporre dell’altro come oggetto.
L’abolizione della schiavitù è un passo importante compiuto dalla coscienza dell’umanità. Eppure oggi vi sono milioni di schiavi, di essere umani a cui viene negata libertà, autonomia, dignità: lavoratori trattati da schiavi, migranti e clandestini in condizioni disperate, persone costrette con violenza a prestazioni sessuali, bambini e ragazzi obbligati alla guerra, esposti al traffico degli organi, e poi le vittime della droga, le detenzioni inique… E tante altre forme di moderne schiavitù che smentiscono di fatto la famiglia umana come tale.
Le cause sono riconducibili al rifiuto dell’umanità dell’altro, l’altro diventa “oggetto” di sistemi socio-economici che sconvolgono i valori in nome del “dio denaro”. Dalla corruzione alla criminalità, dal terrorismo ai conflitti armati…
Fin qui il mio discorrere assomiglia a una pagina di telegiornale… Ma quale è il nostro impegno? Primo: sconfiggere l’indifferenza. Guardiamo alla testimonianza di tante persone che credono alla fraternità. Il Papa ricorda soprattutto le suore che silenziosamente operano per gli altri, facendosi madri e sorelle. C’è poi un impegno che spetta agli Stati, alle Istituzioni, alle Organizzazioni: far sì che si prevengano gli abusi, la criminalità e la corruzione; mettere ogni impegno per proteggere le vittime; agire, quando è necessario, giudiziariamente.
Ma c’è un impegno di tutti, non solo degli Stati, che consiste nella maturazione della coscienza: “ogni uomo è mio fratello”… “Io, con gli altri, formo una sola famiglia”.
E qui viene in rilievo la visione cristiana del progetto di Dio sull’umanità. Il Papa dopo aver ricordato la lettera di san Paolo a Filemone nella quale è abrogata la schiavitù, ripercorre le tappe del progetto di Dio sull’umanità: dalla creazione alle prime tragedie, al primo fratricidio (Caino-Abele). Poi c’è da registrare il superamento dell’amarezza che proviene dalla constatazione dell’incapacità dell’uomo, con le sue sole forze, alla conversione: “Cambia forse un Etiope la sua pelle o un leopardo la sua picchiettatura?” (cfr Ger 13,23). Il Signore per mezzo del profeta annuncia il dono di una legge non scritta su pietra ma nei cuori (cfr Ger 31,33), nei cuori di carne al posto dei cuori di pietra (cfr Ez 36,26). È il dono del vangelo. La bella notizia che la conversione è possibile perché opera della grazia in chi l’accoglie. Col battesimo si diventa figli di Dio e partecipi della natura divina (cfr 2 Pt 1,4) e realmente fratelli viventi della stessa vita. Non ci educa così la liturgia che continua a chiamarci “fratelli e sorelle”?
In conclusione: la prima esigenza, improrogabile, per gli artigiani della pace è la conversione. Vivere poi da figli di Dio e quindi da fratelli. Un compito quotidiano per ciascuno. Il Signore domanda: “Che hai fatto del tuo fratello?” (Gen 4,9). E Gesù che ci ripete: “L’hai fatto a miei fratelli più piccoli… l’hai fatto a me” (Mt 25,40).
Auguri. Sia un anno di pace per tutti. Preghiamo così: Signore, che sappiamo accettare il rischio di spalancare le braccia: così creeremo spazio in noi, ma per l’altro. Le nostre braccia aperte, Signore, dicono il nostro desiderio di non restare soli e il nostro invito perché l’altro si senta a casa sua in casa nostra. Nello scambievole abbraccio nessuno resterà intatto perché ognuno arricchirà l’altro e ambedue resteremo noi stessi.