Pellegrinaggio in Terra Santa – secondo giorno

25 settembre 2019

Su Nazaret – araba in gran parte – scende il canto-preghiera dai minareti dialoganti tra loro.  Misterioso e suggestivo. Il sole ci accompagnerà con la sua luce accecante per tutta la giornata. Siamo in Oriente, la terra delle grandi religioni. Per noi tutta la giornata è illuminata da un’altra luce: quella di Dio che, “stanco” dei tanti tentativi dell’uomo di raggiungerlo, scende, si fa vicino, si fa bambino nel grembo di una fanciulla di questa cittadina, allora un villaggio di 150 persone, sì o no. Qui si impara immediatamente che la mistica autentica non è fuga dalla realtà. Ce lo ricordano il gallo dei vicini che ci sveglia alle prime luci del giorno, i ragazzi che affrontano allegramente la scuola, correndo e giocando per le stradine, il mercato pieno di odori, di colori, di sapori e di ceste che tracimano di frutti e verdure. Ma soprattutto ci richiama alla concretezza la memoria della vita che qui Maria, Giuseppe e Gesù (bambino, adolescente, giovane) hanno trascorso giorno dopo giorno, come tutta la gente del villaggio. I trenta anni di vita nazaretana del Messia ci raccomandano la preziosità del quotidiano: relazioni, famiglia, lavoro… Sulla casa di Nazaret non c’è svolazzo di angeli, ci fu appena nell’annunciazione e nei sogni di Giuseppe. La Santa Famiglia ha i piedi ben piantati per terra.
Poco distante da Nazaret sorge il villaggio di Cana. Tutti sanno del miracolo che vi accadde e della gioia degli sposini salvati in extremis dall’intervento di Gesù per intercessione di Maria. Qui i nostri pellegrini rinnovano con evidente commozione le promesse del loro matrimonio: rinnovata presa di coscienza del reciproco appartenersi e della missione coniugale. C’è un dipinto alle pareti della cappella; mette in evidenza le sei giare vuote. Sì, perché l’amore è a rischio, ma la Madonna, che vede la situazione, non ci sta che dal “più” si scenda al “meno”: calo di interesse, stanchezze, delusioni, ecc.
Si torna da Cana certi che le giare sono di nuovo strapiene e… di buon vino!
Si sale al Tabor, la montagna identificata come il luogo della trasfigurazione. Dopo la visita e le spiegazioni c’è il tempo per piantare le “tre tende”. Effettivamente, come Pietro, anche noi non riusciamo a trattenere la meraviglia: «E’ bello per noi stare qui», ma la voce perentoriamente invita a scendere a valle, nella concretezza, dove la vita ci dà appuntamento. Torniamo a Nazaret, alla casa della Vergine e alla casa di Giuseppe: rinnoviamo il nostro “sì”.