XXV Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Pieve di Carpegna, 21 settembre 2014

Potremmo partire dall’atteggiamento “fastidioso” del protagonista della parabola che paga gli operai in modo così singolare.
È evidente che non si tratta di un insegnamento sulla giustizia retributiva. Allora è necessario, per capire il vero insegnamento, saper distinguere fra gli elementi funzionali al racconto parabolico – che non sono l’insegnamento – e il centro dottrinale della parabola stessa.
Per sé non è una parabola sulla vocazione alla fede e neppure su quella alla vita religiosa (del tipo “Dio chiama a tutte le ore”); infatti, la disputa tra gli operai non verte sull’ora della chiamata, ma sul salario accordato.
Non è un’affermazione di principio sull’eguaglianza di tutti davanti a Dio: ciò che balza agli occhi è proprio la loro diseguaglianza che riceve un identico trattamento.
Non è l’affermazione dell’arbitrio della Volontà divina (in realtà Dio appare “cristianamente misericordioso”), né una massificazione del Paradiso, poiché la parabola ha una chiara posizione “storica”, la vicenda infatti si svolge “al di qua”.
Piuttosto, la parabola illustra, in forma narrativa, il concreto e sorprendente agire di Dio nella storia, allorché, in Cristo e per mezzo di Lui, offre agli uomini la sua grazia, la sua prossimità.
Israele ben conosce la “stranezza” di Dio! (cfr. Is 55, 6-9). Dio non è coercibile dentro le nostre logiche e i nostri sistemi. È il completamente diverso!
Avrebbero dovuto saperlo gli ascoltatori di Gesù. Sembrano troppo attaccati ai loro meriti.
Matteo lascia intravvedere anche la reazione all’interno della prima comunità cristiana di provenienza giudaica, quando vede l’innesto nel nuovo popolo messianico di tanti pagani. La salvezza operata da Dio attraverso Gesù esclude ogni credenziale, primogenitura, diritto di anzianità di servizio…
Certamente Dio ha scelto di manifestarsi piano piano nella storia e lo ha fatto attraverso un popolo, un popolo eletto e teneramente amato (cfr. Is 43, 1-7); ma ora, attraverso Gesù, la grazia è per tutti, “pura grazia”, dono gratuito della libertà e sovranità di Dio.
Tale grazia non può che essere la stessa per i primi (Israele) come per gli ultimi (peccatori e pagani). Ciò che conta è aprirsi al dono. Lo devono fare i primi come gli ultimi, con la fede.
Ciò che conta è che il dono venga “convertito” in lavoro per la vigna. Per questa vigna il padrone esce sulla piazza per ben cinque volte!
Potremmo concludere soffermandoci sullo “sfogo” del padrone-protagonista della parabola: «Sei forse invidioso se io sono buono»?”
Che cosa risponderemmo? Da parte mia – peccatore e ultimo – rispondo: “Sì, Signore, io sono contento se tu sei buono! Sono contento che tu lo sia per me e che tu lo sia per i miei fratelli”. Non mancano – anche ai nostri giorni – dei cristiani che sembrano infastiditi dal messaggio della Misericordia; temono per il prestigio della loro virtù e del loro essere “in regola”.
“Signore, accolgo il tuo dono come un bambino”!