BUON ANNO 2015

Tra feste, panettoni e amici siamo arrivati all’ultimo giorno del 2014.
Certo: è un giorno come tutti gli altri, niente di speciale.
Domani cambieremo l’ultima cifra dell’anno e tutto ricomincerà come prima. Penso, però, che sia un’occasione buona per provare a fare un bilancio.
La Parola di Dio ascoltata e accolta nelle nostre comunità o nella preghiera personale ci ha accompagnato, guidato, rialzato e sostenuto. Lo Spirito ha soffiato nelle nostre vele e chissà se sempre abbiamo avuto il coraggio di alzarle e farci portare dove solo Lui sapeva…
Per molti di noi questo anno appena trascorso ha segnato scelte importanti.
Ripenso agli amici che hanno celebrato il sacramento del matrimonio, ai confratelli che hanno ricevuto il dono del diaconato agli amici che hanno iniziato un nuovo cammino affidandosi alle mani di Dio.
Ripenso a chi inizierà questo nuovo anno segnato dal tragico evento della morte, della separazione, del divorzio, della perdita del lavoro.
E’ in questa storia, la nostra, complicata e luminosa, faticosa e feconda, che prende carne il Verbo di Dio.
E’ dentro le nostre ferite, le nostre piccolezze quotidiane, le nostre solitudini che prende carne l’eternità di Dio.
E’ dentro le nostre gioie, le conversioni quotidiane, i passi importanti della nostra vita che il Verbo di Dio pianta la sua tenda.
Questo tempo che Lui ci dona è un’occasione sempre nuova per permettere che il suo amore si dilati, ci raggiunga, ci invada.
Ripartiamo da qui, ripartiamo da Dio, dalla certezza che il tempo che Lui ci dona è inzuppato della Sua presenza.
E’ la nostra quotidianità il luogo in cui possiamo fare esperienza di Dio.
E in questo ultimo giorno dell’anno sarebbe davvero bello trovare uno spazio di silenzio per mettere nelle mani di Dio tutti i nostri grazie.
Grazie per le persone, gli incontri, gli eventi, le situazioni che mi hanno fatto crescere, che mi hanno purificato e, magari con fatica, mi hanno fatto un uomo migliore. Grazie per tutti quei passaggi nascosti di Dio nella mia vita, per tutte le occasioni nella quali ho riconosciuto la sua impronta digitale e il suo sorriso nel volto del fratello. Grazie per la forza e il coraggio che inaspettatamente mi sono trovato nelle vene.
Raccogliamo tutti i nostri grazie e lasciamoli nelle Sue mani.
Non c’è posto più sicuro. Garantito.

Omelia Santo Stefano

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Pieve di Ponte Messa, 26 dicembre 2014

«Quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come e di che cosa dovrete dire» (Mt 10, 19).
Sentendo queste parole, il cuore ci riporta ad altre parole di Gesù: «Non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete: guardate gli uccelli del cielo (…). Osservate come crescono i gigli del campo» (cfr Mt 6, 25-34).
Tutto quello che abbiamo imparato da Gesù sulla paternità di Dio e l’abbandono alla sua Provvidenza trova, nella prospettiva della persecuzione, la sua applicazione più paradossale e nello stesso tempo più perfetta. «Il Padre sa di che cosa abbiamo bisogno» (cfr Mt 6, 32). Non ci volterà le spalle quando saremo nel momento della prova. Al contrario, di noi si prenderà cura. La prova, la persecuzione specialmente, genera in noi, che ascoltiamo le parole di Gesù, non la preoccupazione ma la confidenza totale. Faccio notare la pregnanza del verbo “essere consegnati” (essere traditi), con tutto lo spavento che suscita l’essere in balia dell’arbitrio di chi non ci vuole bene e si accinge a farci del male. In quel preciso momento noi siamo consegnati nelle braccia del Padre che di noi si prende cura.
«Getta nel Signore la tua preoccupazione perché egli ha cura di te» (cfr 1Pt 5, 7). «Perfino i capelli del vostro capo sono contati» (cfr Lc 10, 30). «E se anche doveste soffrire – dice l’apostolo Pietro – per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura (…) pronti sempre a dare ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3, 13-15). Ma la promessa di Gesù va oltre: ci assicura che il Paraclito verrà in soccorso. Nel momento di prendere la parola sarà lui, non noi, a parlare. Fu così con Stefano, è stato così per i martiri davanti ai loro persecutori.
Sembra ci sia contrasto fra il Natale e il martirio, fra la nascita di Gesù e la persecuzione mortale che si abbatte su Stefano. Ma ambedue i fatti sono incentrati sull’amore. Il primo è amore di condiscendenza, il secondo un amore corrisposto. Il martire, Stefano, esprime la relazione intima che ha con Gesù, un amore che si spinge “sino alla fine” (cfr. Gv 13, 1) come l’amore di Gesù.
La nostra unione col Signore sarà la garanzia che lo Spirito del Padre parla in noi. Attenzione, non al posto nostro, ma in noi. Prima o poi nella vita cristiana viene il momento dell’eroismo: il momento della totale fedeltà.
Oggi vogliamo ricordare i cristiani che soffrono persecuzioni nel mondo, in particolare nel Medio Oriente. In questi giorni papa Francesco ha indirizzato loro un messaggio. “A nome mio – scrive papa Francesco – e di tutta la Chiesa vi esprimo vicinanza e solidarietà”. È un messaggio carico di affetto e partecipazione. Una terra tormentata da conflitti per opera di una “organizzazione terroristica che commette ogni sorta di abusi e pratiche indegne dell’uomo”. Gratitudine per la testimonianza resa dai credenti, che il Papa invita ad essere “lievito” puntando al dialogo con ebrei e musulmani.
Forte l’invito alla comunità internazionale “perché promuova la pace mediante il negoziato e il lavoro diplomatico”. Infine il Papa esprime l’auspicio di “poter venire di persona a visitarvi e confortarvi”.
Preghiamo per tutti i perseguitati. Preghiamo per la nostra fedeltà nei momenti di prova.

Omelia Natale del Signore: Messa del Giorno

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di San Leo, 25 dicembre 2014

È Natale. Sul mio tavolo di studio, dove solitamente la signora mette i giornali, ho trovato il più bel regalo di Natale… un regalo piccolo, dentro una carta dorata. Lo apro e vedo che dentro c’è un rotolo di pergamena. Lo svolgo delicatamente. Leggo e rileggo la scritta: «Il Verbo si è fatto Carne». Mi metto in meditazione…
Il Verbo eterno, “colui per il quale tutto è stato fatto e nel quale tutto sussiste” si è fatto davvero uno di noi. È introdotto e portato al mondo nella carne, attraverso la carne di Maria, la nostra: questa carne che ci appare talvolta così fragile, così dolorosa quando è ferita, così straziata quando soffre, così ribelle quando è provata. Una carne che, a volte, condiziona e porta al peccato. Non è forse – si dice – destinata alla perdizione, alla morte? Come può essere il luogo nel quale abita il Verbo?
Che mistero! Eppure: «Il Verbo si è fatto carne». Custodisco questa parola nello stupore e nella gratitudine.
Anche il nostro corpo è chiamato a mostrare tutta la bellezza dell’anima redenta, per il dono di nuova creazione. Nella risurrezione verrà glorificato quel corpo, troppo presto screditato come sorgente di peccato e tristemente opaco. E pensare che – ribadiamo – il Figlio di Dio l’ha voluto per amare da uomo in carne e ossa e per fare del corpo lo strumento della redenzione, la via della comunicazione d’amore. Certo, il corpo può essere asservito al peccato… e allora sono guai! L’anima è santa, ma il Creatore non spreca le sue meraviglie: anche la corporeità è santa e avrà, trasfigurata, lo stesso destino dell’anima. Perché l’uomo è uno. Molti cristiani – lo diciamo per inciso – si fermano alla considerazione dell’immortalità dell’anima (convinzione comune alle grandi religioni e data per certa anche dalla filosofia classica occidentale) e non osano spingersi nella prospettiva dischiusa dalla Parola di Dio; anche se, ogni domenica nella professione di fede, proclamano di credere nella risurrezione della carne.
L’incarnazione del Verbo è festa dell’amore di Dio per noi ed è festa per la nostra carne assunta dal Verbo. Nell’unità dell’unica persona del Cristo si dà uno scambio: O admirabile commercium! canta un’antifona del Natale. Il Verbo partecipa all’uomo la natura divina; l’uomo dà al Verbo la natura umana. L’esistenza di Gesù sarà per sempre un’esistenza corporea, non angelica!
 
Col Natale celebriamo l’anniversario della nascita di Gesù Cristo, ma celebriamo anche l’anniversario della nostra nascita soprannaturale. “Quando il Verbo viene al mondo, comincia il popolo cristiano; l’anniversario del capo è anniversario di tutto il popolo” (cfr. Leone Magno, Sermone per il Natale VI).
Questo corpo mistico è la Chiesa, in esso noi rinasciamo in virtù del Battesimo e continuiamo a rimanervi «non per volontà di carne, né per volontà di uomo», ma per una volontà divina. Mistico non vuol dire irreale. Dato che oggi è il nostro anniversario come membro del Corpo di Cristo, offriamoci  il dono dell’amore scambievole.
Non è il Natale la festa dei doni?

Omelia Messa di Natale: Messa di Mezzanotte

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Cattedrale di Pennabilli, 24 dicembre 2014 ore 23.30

Porto l’augurio del vostro parroco, Don Maurizio, impossibilitato ad essere presente fra noi per motivi di salute. Vi ricorda uno ad uno e prega per le vostre famiglie.
Oggi pomeriggio ho telefonato a mio fratello missionario che tra poche settimane ritorna in Congo per chiedergli che cosa dirà in questa notte di Natale: “Qual è il tuo messaggio?” – gli ho chiesto. Non gli ho nascosto, infatti, la mia preoccupazione per l’omelia da tenere in Cattedrale. La notte di Natale, infatti, è una notte speciale, ricca di contenuti: sento il dovere di riprenderli, commentarli, ricavarne suggestioni per la vita della Diocesi.
È una notte nella quale la Cattedrale è particolarmente affollata: voglio che ognuno si senta accolto. È la notte del censimento. Come Maria e Giuseppe si va al luogo delle proprie origini. Vorrei esplicitare per tutti, per chi è avvezzo a frequentare la Chiesa e per chi non lo è, la vitalità delle nostre comuni radici.
È una notte “da grande occasione”: desidero che ognuno senta una parola di luce per la sua vita. Presuppone una analisi della situazione…
È la mia prima volta, da vescovo, che celebro la notte di Natale.
Mio fratello, dopo avermi ascoltato, mi ricorda con soavità e decisione che nell’oggi della liturgia contempliamo il Cielo che si apre su di noi. Viviamo una “discesa”, la discesa di Dio verso noi. La “salita” di noi verso di Lui è in secondo piano.
Capisco allora che non mi devo preoccupare. Protagonista è il Signore che parlerà a ciascuno. Invito a contemplare la Natività.
Permettete che vi racconti  un episodio, allude al salto nella fede. Un giorno scoppiò un incendio in una palazzina. Gli inquilini, con grande scompiglio e fra le grida, scendono in strada. Portano con sè quel poco che hanno potuto recuperare. Ad un certo punto, si odono le grida di un bambino: “Aiuto”!
Mamma e papà sono in strada: è il loro bambino. Nel parapiglia generale il papà ha pensato che il bambino fosse con la mamma; la mamma che fosse con il papà. Il bambino spalanca la finestra, il fumo si è fatto irrespirabile. Il papà corre, vorrebbe entrare, ma un muro di fuoco gli preclude la salita. Restando in strada, allora, grida: “Buttati giù!”. Il bambino replica disperatamente: “Non posso. Non vedo nulla”. E il papà: “ Buttati, ti prendo!”. Il bambino protesta ancora la sua paura. Il papà insiste. Alla fine il bambino si fida, si getta senza vedere. Ed è tra le braccia del suo papà”.
Questa notte insieme con tutti voi mi getto fra le braccia di Dio. Mi fido, anche se non vedo. Fate anche voi così. È il mio messaggio di Natale.
Auguri!

Omelia Natale del Signore: Messa della notte

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Casteldelci, 24 dicembre 2014 ore 22

«Tutti andarono a farsi registrare, ciascuno nella propria città» (Lc 2,2).
Come 2000 anni fa in Palestina, anche qui a Casteldelci, è la notte del censimento. Si va al luogo delle proprie origini. Siamo nati qui. Qui le radici calde e familiari, radici della nostra cultura, della nostra appartenenza ad un popolo che ha espresso frutti di bellezza, di fedeltà alla vita, di virtù. In questa chiesa, al centro dell’antico e suggestivo borgo, abbiamo ricevuto il Battesimo, il sacramento che ci fa cristiani e gli altri sacramenti dell’Iniziazione cristiana. Qui abbiamo imparato le preghiere insieme alla prime nozioni della fede.
Si torna sempre con gioia – è una festa! – alle radici, perché ci si riconosce parte viva di una storia, perché si è protesi al futuro. La nostra è una storia  profondamente segnata dalla fede cattolica (siamo qui per questo riconoscimento).
Si tratta di una fede che non vogliamo assolutamente rinnegare, nonostante le distrazioni dovute ad uno stile di vita che spesso condiziona e ci schiaccia sul presente: lavoro, impegni, frenesia, preoccupazioni e vanità.
Coerenza vuole che prendiamo sul serio le nostre responsabilità. È necessario sapere chi siamo, per far tesoro del patrimonio di valori che abbiamo ricevuto e per far rifiorire sotto i cieli della modernità la giovinezza del Vangelo. Un albero dalle radici recise si secca e muore. Come rendere efficace il nostro collegamento vitale con le radici? Le nostre radici “pescano” direttamente nel Vangelo di Gesù. Dovrei dire “pescano” in Gesù stesso, perché il Vangelo è Lui. Ecco la buona novella: «È apparsa la grazia di Dio apportatrice di salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11). La grazia che è apparsa brilla in modo speciale in questa notte; e questa grazia è Lui, il Signore Gesù. Dio si interessa di noi, e – questa è la novità e la bellezza – si fa uno di noi, per farsi amare e lasciarsi coprire di baci, tanto è piccino; e non tanto per Lui, ma per noi, perché sa che siamo capaci di amare e vuol cavar fuori il meglio di noi. Questa risorsa – la capacità di amare – ci apre al mistero.
In concreto: riprendere la buona pratica della preghiera. Alzarsi la mattina sapendosi svegliati dal bacio di Dio. Chiudere la giornata con la lode e, se necessario, con la richiesta di perdono. E che dire poi della grande preghiera pasquale della Messa della domenica, nella quale Gesù prega il Padre con noi e per noi?
C’è poi da migliorare la conoscenza di Gesù. Se lo amiamo poco è perché lo conosciamo poco. Occasioni e strumenti non mancano. La presenza del Diacono nelle vostre parrocchie è per facilitare tutto questo. Lo ringraziamo.
Vorrei che ognuno, presente qui questa sera, si sentisse accolto, sentisse di essere in casa sua. Come Maria e Giuseppe a Betlemme. Chi frequenta abitualmente la Chiesa fa posto con gioia. Un far posto nel cuore prima di tutto: accoglienza cordiale! E, tutti insieme, sperimentiamo di appartenerci l’uni l’altro, come fili di un unico ricamo. Ci auguriamo che questo diventi sempre più realtà vissuta: tolleranza, perdono, amicizia, collaborazione, edificazione reciproca.
Innalzo con voi al Signore questa preghiera: “Signore, che sappiamo accettare il rischio di spalancare le braccia: così creeremo spazi in noi, ma per l’altro. Le nostre braccia aperte, Signore, dicono il nostro desiderio di non restare soli e il nostro invito perché l’altro si senta a casa sua in casa nostra. Nello scambievole abbraccio nessuno resterà intatto, perché ognuno arricchirà l’altro e ambedue resteranno se stessi”.
Auguri, di vero cuore a tutti!

Il commento dell’autore al concerto “The Divine Nativity”

musical-eliaConfesso che quando sono arrivato nell’ antica Repubblica di San Marino, qualche anno fa, per servire nella parrocchia di Serravalle, sotto la guida di Don Peppino, non credevo che sarebbe stato possibile, lontano miglia e miglia da Broadway, completare questo lavoro: La Divina Natività. Ma la Divina Provvidenza non era tanto d’ accordo e ce lo dimostra questa sera.

Il docile strumento che la Divina Provvidenza usò per compiere il Suo disegno su questo piccolo progetto fu Anacleto Gamberra, musicista sammarinese d’ alto calibro, che abbracciò prontamente il progetto e si prese cura di realizzarlo.
E’ un onore per me stasera veder dirigere l’ orchestra proprio da Anacleto, senza l’incoraggiamento e l’ assistenza del quale, la “ Divina Natività” sarebbe chiusa certamente in un cassetto.

E’ quindi merito anche suo, oltre che di Dio, che la Divina Natività sia uscita dal cassetto e abbia ricevuto l’ amore e l’ attenzione di diversi professionisti come Fausto Giacomini autore di alcune parti corali, il suo meraviglioso coro, gli ottimi solisti tra cui Valerio Zelli, che ha contribuito con un testo in italiano dal titolo “ Cari Figli I am Satan”, i lirici Valentina Rambelli, Donato di Gioia e Regina Elliot ; Mirco Maltoni pianista e assistente direttore, Alice Miniutti primo violino e l’ ammirevole orchestra.

Voglio esprimere a loro e dal profondo del cuore la mia più grande riconoscenza, e ringrazio con medesima stima e affetto la paterna guida di Monsignor Andrea Turazzi, la Repubblica di San Marino con il suo Patrocinio, l’abate Douglas Nowicki del monastero di San Vincenzo negli Stati Uniti, i benefattori e l’ efficientissimo staff.

Devo riconoscere però che è per me un po’ difficile mettere la firma su questo lavoro visto che è il frutto dell’ impegno e dell’ amore di tante altre persone meravigliose.

Già dalle prime note scritte ormai più di otto anni fa ho sentito il desiderio di consacrare quest’ opera a Nostra Signora di Guadalupe. Stasera voglio fare lo stesso.
Metto questo concerto nel Cuore Immacolato della Regina della mia vita, e Le chiedo di portarlo a compimento, facendolo scomparire come la voce di Giovanni Battista, ponendo cosi’ tutti noi, musicisti e ascoltatori, alla presenza del Verbo Eterno, Gesù che è il Cristo.

Ave Maria!
P. Elia

Buon Natale

Il Vescovo Andrea ricorda tutti i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici nella celebrazione della Santa Messa nella Cattedrale di Pennabilli la notte di Natale alle 23.30 e nella Cattedrale di San Leo il giorno di Natale alle 10.30

“I fatti e i giorni” dal 14 al 20 dicembre 2014

Settimana dal 14 al 20 dicembre 2014

Auguri!

Ecco il mio augurio di Natale: che possiamo avere la fortuna di incontrare il Signore Gesù: per qualcuno la sorpresa, per altri l’atteso, per tutti il festeggiato. Auguro di trovare tempi e silenzi per sostare nei luoghi del Natale: la strada, la capanna, Nazaret.

La strada. Nei presepi le strade disegnano una rete tra casa e casa, tra le case e la capanna. La strada è metafora dell’incontro. Fare strada significa camminare gli uni verso gli altri nella verità e nell’amicizia. C’è sicuramente da superare qualche ostacolo, da equipaggiare la pazienza, da riprendersi dalla stanchezza e rialzarci dalle cadute. Impariamo da Gesù, Dio fattosi “estasi” per incontrare l’uomo: uscito da sé, dal suo divino splendore per farsi bambino e darci modo di offrire il meglio di noi stessi amandolo e coprendolo di baci e, a sua volta, offrirci il suo Vangelo.

La capanna. Dice l’angelo: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Lc 2,12). Ci sono ancora tanti bambini che nascono in luoghi di fortuna, nella povertà, senza il necessario per crescere e la capanna è una denuncia. Ma non basta, occorre passare all’impegno: irrobustire i propositi di solidarietà, prendere parte attiva a progetti efficaci e intelligenti per il bene comune.

Nazaret. E’ il piccolo villaggio dove Gesù cresce accompagnato dalla premura di Giuseppe e di Maria, al calore del loro affetto. Nazaret è “la famiglia”. Stando tra la nostra gente sento quanto ancora sia radicato il senso della famiglia. Ma vedo all’orizzonte ombre minacciose che ne mettono in discussione i fondamenti. Denuncio gli stili di vita che dissuadono i giovani dal proporsi ideali e le politiche poco attente alle famiglie. A Nazaret si impara ad amare, ad accogliere le differenze, a trasmettere i valori per la vita.

Natale: strada, capanna, Nazaret. Ancora auguri!

+ Andrea Turazzi, vescovo

Omelia Quarta Domenica d’Avvento

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Maciano, 21 dicembre 2014

Entriamo in punta di piedi nella casa di Nazaret. Impariamo alla scuola di Maria il raccoglimento, condizione prima e indispensabile per andare in profondità. L’angelo entrò da lei: anche la mia Nazaret, pur fra tante voci che l’attraversano, può essere casa del raccoglimento, spazio formativo, atmosfera spirituale. Un luogo forse qualunque, eppure è lì che Dio mi sfiora. Mi sfiora non solo nelle liturgie solenni della Cattedrale, ma soprattutto nel quotidiano; come nella Messa il sublime confina concretamente con una tovaglia, un calice ed un pane. Nazaret è la mia casa ed è anche il mio cuore, quando lo custodisco e lo difendo dal chiacchiericcio, dalla impertinenza dei giudizi, dall’invadenza dell’ immaginazione. La prima parola che esce dalla bocca dell’angelo è una parola di gioia: Rallegrati, Maria. Troppo riduttivo tradurre la prima parola dell’evangelo con Ave. Le parole del saluto angelico appartengono più alle promesse messianiche che al galateo. Invitano Maria alla gioia prima ancora che si apra il dialogo con le sue conseguenze. Non si tratta di una gioia individuale ed effimera. È una gioia divina che viene a toccare la sostanza del suo essere e quella di tutti noi. Gioia, dunque, per un amore che ci precede e ci supera; per una presenza che ci raggiunge e ci colma. Dio vuole entrare nella nostra vita, vuole abitare la nostra povertà e fecondare la nostra sterilità. Noi moderni abbiamo qualche difficoltà a situarci di fronte ad un racconto come questo. L’evento non è certo di quelli di cui si occupa la storiografia scientifica: evoca l’incarnazione del Verbo di Dio nella condizione umana. Non ci interessano le modalità, ma la sostanza del messaggio. La parlata dell’angelo a Maria è costituita da un rammendo di citazioni bibliche. Ed è ciò che fa prendere coscienza a Maria del suo destino eccezionale e a noi dell’identità vera del nascituro. Colui che la fanciulla di Nazaret sta per concepire è il compimento delle promesse, è il Messia! Non sapremo mai come è avvenuto il concepimento, ma questo non è essenziale: dobbiamo rispettare l’intimità di una donna. Anche nella nostra vita è accaduta un’annunciazione. Proponiamoci, in questi giorni di preparazione prossima al Natale, di contemplarla, di goderne ancora la sonorità e di custodirne il frutto.

Periodico Montefeltro Dicembre 2014