Giornata della Scuola

Veglia missionaria

Omelia della XXVI Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Santuario B.V. Grazie Pennabilli, 27 settembre 2015 

Giornata unitaria dell’Azione Cattolica diocesana

Num 11,25-29
Sal 18
Giac 5,1-6
Mc 9,38-43.45.47-48

Ci sono strumenti che suonano anche fuori dall’orchestra. E suonano pure bene… Lo Spirito Santo, gran compositore, affida ad ogni persona che viene in questo mondo una partitura di cielo (ogni persona ha, anzi, è una parola originale da dire). Giovanni, l’apostolo prediletto, soprannominato «l’aquila», chiamato da Gesù «il figlio del tuono», è ancora figlio di un piccolo cuore: protesta perché c’è uno che fa miracoli pur non essendo dei nostri. Si sbaglia. Il suo errore, anche oggi e forse pure nella nostra comunità, è in agguato: si tratta dello spirito di gelosia, di intransigenza e di settarismo. “Non è dei nostri”, “non è iscritto”, “non la pensa come noi”…
Ci è stato ricordato (Concilio Vaticano II) che la Chiesa non esiste per se stessa, ma per servire l’uomo; e una delle forme  più squisite di servizio consiste nel far emergere l’azione dello Spirito anche oltre le istituzioni: il Regno di Dio è più grande dei nostri recinti. E’ un nostro compito mettere in evidenza “il Vangelo che c’è” nell’impegno di tanti fratelli della porta accanto.
Da quale azione viene diffidato lo sconosciuto capace di miracoli? Ha liberato un uomo dal suo demonio. Anche a Gesù è stata fatta una critica analoga: Non ti è lecito guarire di sabato. «Niente miracoli di sabato! Avete sei giorni per farvi curare…». E’ proprio vero che la legge è più importante della guarigione di un fratello? E’ così pericoloso creare un precedente? E’ cosa da poco che un malato ritrovi il sorriso? Gesù insegna che la persona vale più di qualsiasi valutazione. Chiunque dà un sorriso, un sorso d’acqua e fa del bene, è dei nostri! C’è chi è di Cristo e non lo sa; c’è chi accoglie angeli senza saperlo (Ebr 13,1); c’è chi lotta contro i demoni di oggi e dà vita, libertà, futuro alla propria gente, alla propria famiglia. Forse, ad uno soltanto… (la ricompensa non è proporzionata alla prestazione). Ci sono profeti anche fuori dall’accampamento (cfr Num 11,29)!
Ci può essere il caso di un occhio o di una mano che scandalizza. Gesù adopera un linguaggio estremo per ricordare la serietà della posta in gioco: è davvero possibile fallire la propria vita. La soluzione non è la mano tagliata, ma la mano convertita (E. Ronchi). Ad esempio la mano che porge un bicchiere d’acqua fresca a chi non è dei nostri! C’è chi non riesce a vedere nella nostra comunità una famiglia… San Giovanni della Croce risponderebbe: Non c’è amore? Metti amore.
Potremmo pensare, con un certo disappunto, che non serve essere cristiani, se basta amare. Rallegriamoci invece della infinita generosità di Dio che dona a tutti il suo Spirito, come auspicava Mosé (cfr la prima lettura).
Dobbiamo con questo lasciare ognuno tranquillo nella sua convinzione e smettere di promuovere la fede in Cristo, dal momento che ci si può salvare anche in altri modi? No, perché la missione non è riscattare un mondo interamente dominato da Satana, ma riconoscere le scintille di bene da chiunque compiute, incoraggiarle e soprattutto far loro scoprire la sorgente di ogni bene, del coraggio, della donazione.

Mandato agli operatori pastorali

Giornata Unitaria di A.C.

Omelia della XXV Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Falciano (RSM), 20 settembre 2015

Sap 2,12.17-20
Sal 53
Giac 3,16-4,3
Mc 9,30-37

Gesù sta annunciando sommessamente, ma con schiettezza, il suo destino agli amici più cari, ma l’annuncio rimbalza come su un muro di gomma. Quegli amici, infatti, sono alle prese con le loro beghe: precedenze, carriera, classifiche: Chi è il più grande tra noi? Si aspettano allora che Gesù li sgridi. E invece Gesù non solo non proibisce né demonizza il desiderio di voler essere “il primo”, ma lo incoraggia. Solo rivela una via nuova e diversa per realizzarlo: non a spese degli altri, ma a favore degli altri: Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo e il servo di tutti. E Gesù dà un esempio: compie un gesto di sorprendente tenerezza e di delicata pedagogia. Mette un bambino nel mezzo, lo abbraccia e – possiamo immaginare – gioca con lui: “tutto il Vangelo racchiuso in un abbraccio” (E. Ronchi).
Pagina provvidenziale per l’inizio della vita pastorale in diocesi, nelle parrocchie, nei gruppi, dopo l’estate. In altra pagina del Vangelo – l’abbiamo letta nella settimana scorsa – troviamo Gesù, ancora una volta, alle prese con i bambini: li osserva attentamente mentre giocano sulla piazza e paragona i suoi ascoltatori a quei ragazzi che non si lasciano coinvolgere nel gioco dei coetanei. Mancano di accoglienza e disponibilità.
E noi siamo accoglienti? Partecipiamo al “gioco” che impegna la comunità o preferiamo starcene neghittosamente ai “bordi del campo” a guardare e, Dio non voglia, a criticare? La diocesi ogni anno aggiorna il suo programma, collega le iniziative ad un tema, ripropone cose di sempre e cose nuove. Anche se non è possibile prendere parte ad ogni proposta, portiamo tutto nel cuore e nella preghiera. Intanto facciamo il punto sulla nostra disponibilità all’accoglienza. Sono ormai trascorse un paio di settimane dopo l’invito di papa Francesco alle nostre comunità per farsi carico dei profughi: un movimento che di giorno in giorno si fa più travolgente, una questione che mette in crisi l’Europa. L’appello del papa ci ha scosso; ci si sta interrogando concretamente; si attendono linee d’orientamento.
Gesù ci chiama a “giocare” con lui, con lo slancio dei ragazzi. Giovanni, nel Prologo, annuncia che Dio: A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli. E di loro, in un altro passo, viene detto che accogliendo i fratelli, hanno accolto degli angeli senza saperlo (cfr Eb 13,2).
L’accoglienza è un atteggiamento concreto fatto di ascolto attento a chi parla, di disponibilità a comprendere e, soprattutto, di servizio gratuito: «il tuo problema è il mio problema; mia la tua gioia, mio il tuo dolore; sono con te…». Un programma irraggiungibile? Ci aiutiamo. Una persona mi confidava la sua delusione per non essersi sentita accolta e capita, proprio in parrocchia, nella sua parrocchia. Ho provato a minimizzare quelle disattenzioni come “scivolate”, semplici cadute di stile. Ma nel cuore ho esclamato: «Mio Dio, che la parrocchia non diventi una pista di pattinaggio!!!».

Omelia della XXIV Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Borgo Maggiore (RSM), 13 settembre 2015

Is 50,5-9
Sal 114
Giac 2,14-18
Mc 8,27-35

La vostra parrocchia oggi festeggia san Giovanni Bosco. Nel preparare il commento al Vangelo mi sono messo nei suoi panni: come aggancerebbe l’attenzione dei presenti? Credo partirebbe dall’esperienza per condurre tutti, giovani e adulti, ad un rapporto sempre più personale con Gesù. Ci provo.
M’è capitato di sfiorare una coppia in un momento di alta tensione. Ad un certo punto, tra i due, è partita, come una schioppettata, una domanda: «Ma allora… chi sono io per te?». Ammetto che questa esperienza ha condizionato la mia meditazione su questo passo del Vangelo.
Con Gesù, solitamente, ho un rapporto confidenziale. Ma improvvisamente è sceso nell’anima un velo di imbarazzante soggezione. Mi sono sentito messo alle corde nuovamente da lui: «Chi sono io per te?».
Come interpretare la domanda? Minaccia? Protesta? Denuncia di un rapporto troppo abitudinario? Richiesta di un serio esame di coscienza? Ho trovato verità in ciascuna di queste possibili interpretazioni. Poi ho riletto con più umiltà. Dal contesto ho realizzato che Gesù non si accontenta delle frasi fatte o dei “si dice”. Figuriamoci poi dei sondaggi d’opinione! Che cosa dice la gente di me? Gesù pone, in realtà, una domanda molto personale che fa vivere la fede scuotendola dal suo torpore, una domanda che risveglia l’amore: Ma voi chi dite che io sia? Come se dicesse: «Io sono importante per te?». Constato e rispondo a mia volta: «Allora anch’io conto per te, Signore!».
Torno alla domanda di Gesù. Una domanda – ha scritto un commentatore – da custodire e da amare, perché il Signore (è una costante nei Vangeli) educa alla fede attraverso domande: tu, con il tuo cuore, la tua storia, il tuo peccato e la tua gioia, tu cosa dici di Gesù? (Faccio notare come Gesù risponde a chi gli chiede quale sia il comandamento più importante: ama – dice – con tutto il tuo cuore, con tutte le tue forze, etc., dove l’enfasi è sul possessivo “tuo”, “tue”, etc.). Mi passano davanti i volti di Zaccheo, Nicodemo, Maria di Magdala, del discepolo sordomuto, i volti dei Dodici…. Talvolta aiuto i partecipanti alla messa – soprattutto se ragazzi – nel fare il ringraziamento dopo la Comunione: suggerisco parole che chiamo la preghiera del nome. Consiste nell’immaginare che Gesù mi chiami personalmente per nome; qualche minuto dopo, immaginare che io chiami Gesù per nome. La Bibbia è piena dei nomi del Signore: pastore, sorgente, acqua viva, luce, via, verità, fuoco, amante, amico… La teologia ne ha esplorati tanti altri; meno metaforici e più astratti. Ma Gesù è curioso di sapere come io lo chiamo, adesso e quale sia il nome che viene dal profondo del mio vivere e del mio cercare.

Periodico Montefeltro Settembre 2015

Convegno delle Famiglie

Ordinazione presbiterale di don Pier Luigi Bondioni