Marcia missionaria

Omelia IV domenica di Quaresima

Omelia di S. E. Mons. Andrea Turazzi

Cattedrale di Mantova, 25 marzo 2017

1Sam 16,1.4.6-7.10-13
Sal 22
Ef 5,8-14
Gv 9,1-41

Carissimi, siamo a metà della Quaresima. È consentita un’attenuazione della penitenza – per questo i paramenti sono rosacei – però la liturgia ci sta anche allertando, sembra dirci: «Guarda che presto sarà la veglia di Pasqua. Se sei un cristiano autentico, quella notte, salvo gravi motivi, dovrai esserci, perché è la notte in cui si rinnova il Battesimo». I tre momenti che precedono la settimana santa anticipano i grandi temi della Veglia pasquale. Domenica scorsa Gesù si autorivela acqua viva. Questa domenica si autorivela come luce. Domenica prossima incontreremo il grande tema della vita, quando Lazzaro verrà restituito alla vita, ma è soltanto un segno di quello che accadrà quando risorgeremo in Gesù.
Nella stupenda pagina del Vangelo di oggi Gesù incontra un cieco; lo incontrerà anche alla fine del brano e, fra il primo incontro e l’incontro finale, c’è un dibattito molto serrato fra Gesù, i farisei, il cieco, i genitori del cieco e poi di nuovo con Gesù. C’è una sorta di ironia che è svelata completamente nel penultimo versetto quando Gesù dice: «C’è chi non vede e viene condotto a vederci; c’è chi presume di vedere e invece diventa sempre più cieco».  Signore, donaci la fede! La condizione del cieco nato simboleggia la condizione umana del ritrovarci senza luce, nel buio totale. La luce che sta per balenare è una luce universale, la luce di Gesù. Da notare che il prodigio della guarigione del cieco non è da riferirsi alla misericordia di Gesù come si osserva in altri racconti, quando Gesù si piega sugli ammalati, mosso dalla compassione. In questo caso non si direbbe. Ad ottenere il prodigio non è di per sé l’impasto che Gesù ha composto con la saliva e la polvere, anche se persino questo è un simbolo che ha tante risonanze; non è neppure l’acqua della piscina di Siloe e neppure la fede di colui che è cieco, perché di fatto lui non ha chiesto nulla: è stato visto mendicare da Gesù e gli è stata donata la vista… perché? Perché doveva manifestarsi pienamente che Gesù è la luce.
La prima conclusione mi viene da un’esperienza vissuta oggi. Prima di venire a Mantova siamo stati a San Benedetto Po, insigne paese del basso mantovano. Nella celebre abbazia ci è stato mostrato un quadro con un’allegoria della fede rappresentata da una donna slanciata con in mano un calice; la testa non c’è, è in mezzo alle nuvole. La guida turistica ha spiegato così l’allegoria: la fede è oscurità. Al contrario, vorrei dire che la fede è la festa della ragione, perché essa apre orizzonti e stimola a cercare nuove strade. La fede è luce.
Ripenso all’incontro che ho avuto con un gruppo di fidanzati. Ho detto loro che potevano interpretare quello che gli era accaduto, cioè il loro incontro, come un caso. Un incontro casuale in pizzeria, amici comuni, l’innamoramento… Se fosse così, il loro amore avrebbe un aggancio davvero improbabile: il caso. Invece la fede fa interpretare quello accade non come un caso ma come un disegno. Così l’incontro con il futuro sposo/a. La fede offre una chance a quelle coppie di fidanzati. Mentre parlavo, ho visto che i loro occhi brillavano al pensiero che la loro vita è il dispiegarsi di un disegno di Dio che è amore. Verranno i momenti di difficoltà nella vita di famiglia, di coppia, ma se avranno la fedeltà di ricordarsi che hanno una missione davanti, che stanno compiendo il disegno di Dio, questo darà loro una grande forza; è la grazia del Sacramento, la luce della fede.
Vi auguro una buona settimana; che possiate tutti essere luce e portare luce, perché la fede diventi fosforescenza del Signore. Che cosa vuol dire in concreto? Anzitutto essere persone di buon umore, persone che sanno scoprire in ogni circostanza il lato positivo. Il cristiano dove passa lascia gioia, buonumore, benevolenza. San Paolo, nella Lettera agli Efesini, ha detto: «Voi siete luce». A quel tempo Efeso era il manifesto della presunta luminosità del paganesimo, della cultura classica. A Efeso c’era un tempio meraviglioso, l’Artemision, costruito con marmi bianchissimi, e un lago che, come a Mantova, lanciava il riverbero e moltiplicava la luce del sole. Invece, i cristiani vivevano nei tuguri, ma Paolo dice ugualmente: «Voi siete luce». Del resto, Gesù ha detto ai discepoli: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,14), una luce che, evidentemente, viene da dentro. Invito a preparare bene la Confessione di Pasqua, per essere più luminosi, perché la grazia del Signore risplenda dentro ciascuno: Non si brilla di luce propria! La luce viene da Lui!

I Venerdì dell’AC

Omelia III domenica di Quaresima

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Maciano, 19 marzo 2017

Es 17,3-7
Sal 94
Rm 5,1-2.5-8
Gv 4,5-42

Attorno a quel pozzo si intrecciano tante relazioni e tante persone: Gesù, la donna samaritana, gli apostoli e i cittadini di quel villaggio. Immaginiamo di fare una zoomata sul personaggio protagonista: Gesù. Gesù è stanco, affamato, assetato. Si presenta in modo molto semplice e molto umano. Da parte sua la samaritana si mostra come una donna vivace, capace di reagire, intraprendente, edotta, coglie subito le diversità: Gesù è un giudeo, lei una samaritana. Nonostante ciò, Gesù non ha difficoltà a stare con lei e neppure lei a stare con lui. È una donna orgogliosa della sua religione e della sua tradizione, ma vive una grande sconfitta personale, affettiva e sociale: ha avuto cinque mariti e l’uomo con cui vive non è suo marito. È abile a depistare il discorso di Gesù facendogli a sua volta delle domande, in particolare sul culto. Sorprende che Gesù si presenta a lei come uno che chiede. In verità, egli chiede per donare. Gesù non parte da un tema e neppure da una correzione. Egli manifesta la sua umanità, esprimendo tutta la sua sete. Ciò che avvia il discorso è semplicemente il suo «dammi da bere», poi la rivelazione sarà totale.
Si possono osservare due cammini: il cammino che percorre Gesù e il cammino che percorre la donna samaritana. Il cammino che Gesù percorre è per avere la chiave del suo cuore. A Gesù non interessa l’acqua del pozzo, ma l’amore di quella donna, come quello di ciascuno di noi. Tornano alla memoria le parole commoventi di Gesù in croce, quando, sospeso fra cielo e terra, inchiodato, dice: «Ho sete». Le stesse parole che pronuncia al pozzo di Sicar. Osserviamo più da vicino il cammino di Gesù. Gesù scavalca alcuni steccati; per primo lo steccato del sesso, perché da vero giudeo, preoccupato dell’etichetta, non avrebbe mai potuto parlare in pubblico con una donna; poi lo steccato della diversità di razza, perché i samaritani, anche se sono della terra di Israele, sono ritenuti “bastardi”. Infatti, durante la deportazione al tempo degli Assiri, la borghesia israelitica venne portata nella terra dei due fiumi, nella Mesopotamia. In Samaria era rimasta la gente più povera del paese e gli Assiri, da intelligenti conquistatori, vi portarono persone del loro popolo, coloni. Così, i samaritani si sono “impastati” con i colonizzatori e sono diventati una razza meticcia. Gesù, invece, parla sempre bene di loro. Dopo lo steccato della razza Gesù varca anche lo steccato della religione, perché i samaritani conoscevano solo una parte della religione ebraica, avevano solo il Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia; non conoscevano i profeti, i libri sapienziali, etc. Erano rimasti alla prima Alleanza. Adoravano Dio sul monte Karizim, mentre i Giudei ortodossi adoravano Dio soltanto a Gerusalemme, la città santa. Pertanto i samaritani erano anche apostati. Gesù va oltre: «Verrà il giorno, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno Dio in spirito e verità», affermando di essere lui stesso il tempio in cui adorare Dio. Infine, Gesù scavalca lo steccato del diritto, della legislazione di allora che non consentiva ad un ebreo di contaminarsi con i samaritani.
Quali ostacoli ci sono in me? Quali barriere Gesù trova nella mia storia, nella storia della mia famiglia, nel mio carattere, nelle mie abitudini?
Gesù non si ferma di fronte alla mia pochezza, ai miei peccati, alla mia inconsistenza. Gesù è sicuramente capace di scavalcare questi steccati.
Osserviamo ora il cammino che fa la donna. È anonima, perché in lei possiamo tutti vederci; si parla di lei ma si parla di tutti noi. È un cammino che progredisce sempre di più. Prima tappa: la chiusura. «Perché tu che sei giudeo chiedi da bere a me che sono samaritana?». Poi arriva il dubbio, quando vede che Gesù va molto in profondità: «Da dove prendi l’acqua che prometti?». Si incrina la sua difesa: pian piano la donna si apre seppure per malinteso. «Signore dammi quest’acqua così speciale». Arriva ad una fede incerta: «Non sarà per caso il Messia costui che vede nel cuore?». Finalmente ci troviamo di fronte alla piena confessione della donna e anche dei samaritani che dicono: «Non è per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo».
C’è stato un incontro! Auguri affinché anche tutti noi possiamo vivere oggi quest’incontro con Gesù sposo, amico del cuore, e portarlo con noi come acqua viva durante la settimana.

Omelia al “Venerdì Bello”

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Pennabilli (Santuario B.V. delle Grazie), 17 marzo 2017

Prv 8,22-31
Sal 44
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38

«Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera. Dall’eternità sono stata costituita, fin dall’inizio… » (Prv 8,22).

Durante la liturgia della Parola abbiamo spalancato orecchi, mente e cuore a due inni: quello dal libro dei Proverbi di Salomone e quello di Paolo nella Lettera agli Efesini, inni che ci hanno innalzati al Cielo della Trinità.
Chi è la Sapienza di cui canta Salomone?
Di lei si parla in testi biblici, ancora più antichi, come di un bene spirituale, il più desiderabile, il più prezioso…
Ma qui la Sapienza è personificata. È lei stessa che parla di sé e racconta della sua origine:
– generata prima di ogni creatura,
– coinvolta come parte attiva nella creazione,
– incaricata di una missione da svolgere presso gli uomini: condurli a Dio.
Quello contenuto nell’inno del libro dei Proverbi è un identikit appena abbozzato della Sapienza. Nel Nuovo Testamento quella intuizione avrà uno sviluppo nuovo e decisivo, diventerà Rivelazione: la Sapienza è il Verbo di Dio, Gesù Cristo!
Gesù Verbo è Sapienza di Dio.
Come viene detto della Sapienza, Cristo partecipa alla creazione e conservazione del mondo. Di lui, come Logos, parla il Vangelo di Giovanni.
Nel prologo vengono attribuiti al Verbo i tratti della sapienza creatrice e si dice del suo prendere dimora tra gli uomini.
La liturgia applica questo testo alla Vergine Maria, collaboratrice del Redentore come la Sapienza lo è del Creatore, nella duplice veste di parte attiva nel mistero della redenzione e per la sua missione verso di noi (missione materna).
A Maria ho voluto dedicare la mia Lettera pastorale per la Pasqua 2017 con questo titolo: «Maria cielo di Dio». Con questa intitolazione non ho inteso formulare un’iperbole devozionale, né avere la presunzione di attribuirle un privilegio nuovo. Ma, semplicemente, sottolineare quanto accade in questa creatura e la sua tersissima trasparenza, il suo totale silenzio, anzi il suo farsi nulla perché su questo sfondo il Padre doni il suo splendore, l’irradiazione della sua gloria. Maria è il cielo nel quale accade tutto questo per pura grazia. In Maria la creatura viene coinvolta nella dinamica della vita trinitaria. Che cosa le è chiesto di fare? Nulla! Soltanto accogliere l’iniziativa dell’Amante nel suo eterno generare l’Amato, il figlio, e il reciproco donarsi che è lo Spirito Santo.
Il racconto evangelico dell’Annunciazione è, tra le pagine di rivelazione trinitaria, la più significativa. Tutta la Trinità si affaccia sulla casetta di Nazaret e vive in Maria come nel suo cielo: in lei l’Eterno entra nel tempo, «stende su di lei la sua ombra», scende – per così dire – nel suo grembo e risplende come sull’Arca. Ogni versetto si presta per la nostra contemplazione. Al saluto dell’Angelo, Maria è sconvolta, ma sta umile e disponibile davanti a Dio. Il suo abbandonarsi è totale. Il senso vero della sua domanda, «Come accadrà questo?», equivale a un «Signore, che cosa vuoi che io faccia?». Maria lascia da parte tutte le ragioni sicuramente valide: c’è di mezzo Giuseppe, che cosa dirà? C’è di mezzo la sua piccolezza, ma è proprio alla sua piccolezza che l’Altissimo ha rivolto lo sguardo…
Non dubita. Crede alle parole dell’Angelo. Anche se non capisce del tutto, accoglie il Mistero nel suo svelarsi, nel suo concedersi, nel suo incarnarsi.
E Maria concepisce per opera dello Spirito Santo e mette al mondo Gesù, che sarà chiamato “Figlio dell’Altissimo”. E sarà lui che salverà il suo popolo.

Nostra Signora del «sì» insegnaci a discernere la volontà di Dio, ad accoglierla nella fede e a corrispondere alla grazia.

Tu, la piena di grazia, dicci come imitarti. Non possiamo essere cristiani se non essendo mariani!

Rendici sempre più consapevoli d’essere a nostra volta cielo di Dio, dimora della Trinità, grembo di Dio nella storia, arca della sua presenza.

In questo tutto è grazia, soltanto grazia. Rapiti da questa bellezza facciamo nostro l’inno che apre la Lettera agli Efesini, un inno che Paolo innalza mentre è in catene dopo aver chiesto al Signore di aprirgli la bocca con una parola franca per far conoscere il mistero del Vangelo: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore Nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti, per essere santi e immacolati, predestinati ad essere figli adottivi… In lui (Cristo) siamo stati fatti anche eredi, perché fossimo a lode della sua gloria».

Oggi, alla presenza di Maria Santissima, col presbiterio riunito insieme a numerosi fedeli, annuncio la mia intenzione di iniziare la sacra visita pastorale, a Dio piacendo a partire dal prossimo ottobre, secondo una scansione da organizzare entro l’estate.
La visita pastorale è una delle forme, collaudate dall’esperienza dei secoli, con cui il Vescovo mantiene contatti personali con i sacerdoti e con gli altri membri del Popolo di Dio. È occasione per ravvivare le energie degli operai del Vangelo, lodarli nel loro impegno, incoraggiarli nelle loro fatiche. È anche l’occasione per richiamarci tutti al rinnovamento della vita cristiana e ad un’azione apostolica più intensa.
La visita consente al Vescovo di valutare l’efficienza delle strutture e degli strumenti destinati al servizio pastorale, rendendosi conto più da vicino delle circostanze e delle difficoltà dell’evangelizzazione, per poter determinare meglio priorità e mezzi della pastorale organica.
La visita pastorale non ha il piglio di una visita fiscale, né di una ispezione, né di una formalità. Al contrario è un’azione apostolica per il Vescovo che deve compierla animato dalla carità e per far sentire l’unità nella Chiesa particolare.
Per le comunità e le istituzioni che la ricevono, la visita è un evento di grazia che riflette, in qualche modo, quello specialissimo incontro con il quale “il Buon Pastore” pascola il suo popolo.
La visita pastorale è espressione del nostro dovere di camminare e di camminare insieme. È il dovere lasciato da Gesù agli apostoli: «Andate, dunque… Vi ho costituiti perché andiate». Un andare che, a parte il senso geografico, è un movimento del cuore.
Camminiamo allora, camminiamo insieme.

Esercizi Spirituali per sposi e fidanzati

Omelia II domenica di Quaresima

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Omelia II domenica di Quaresima

Caprazzino, 11 marzo 2017

S.Messa per le fabbriche di Caprazzino

Gen 12,1-4
Sal 32
2Tm 1,8-10
Mt 17,1-9

Ritroviamo il racconto della Trasfigurazione di Gesù anche nella Seconda Lettera scritta da San Pietro perché fu un’esperienza che aveva fortemente scosso gli apostoli. Tuttavia, inizio rivolgendo una critica a San Pietro: San Pietro si è sbagliato! Si è sbagliato perché sul monte Tabor voleva costruire tre tende. In quei giorni si stava vivendo la “festa dei tabernacoli”, una festa importante per il mondo ebraico; in essa si commemorava il tempo dell’esodo, in cui gli ebrei vivevano da nomadi, per questo si costruivano tende e capanne. Pietro sbaglia esprimendo il desiderio di costruire tre tende, perché mette alla pari Mosè, Elia e Gesù. Gesù, a differenza di Mosè e di Elia, è il Signore. Ecco perché, quando alza lo sguardo, Pietro vede – sottolinea l’evangelista – «Gesù solo». Poi, una “voce fuori campo”, quella del Padre, dice, come già al Battesimo al fiume Giordano: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento». In questa occasione il Padre aggiunge: «Ascoltatelo». Come a dirci: «Quello che avete davanti è il Signore».
Cari amici, questa sera, tutti insieme, giovani e adulti, vogliamo dire a Gesù che crediamo in lui come Signore.
Alcuni studiosi sostengono che il redattore dei Vangeli abbia sbagliato ad inserire in questo punto del Vangelo il racconto della Trasfigurazione; trattandosi di un racconto pasquale, sarebbe stato più opportuno collocarlo fra i brani che narrano le apparizioni di Gesù Risorto. Al contrario, altri studiosi e la Tradizione della Chiesa lo includono nel cammino che Gesù fa verso la Pasqua. È da notare, inoltre, che poco prima del racconto appena letto e subito dopo, Gesù parla della sua passione. Prima della Trasfigurazione troviamo l’annuncio della passione: «Il Messia verrà catturato, processato, ucciso e il terzo giorno risorgerà… » (cfr. Lc 22). In realtà, in quel momento, gli apostoli non capiscono di che cosa Gesù stia parlando. Al termine del racconto della Trasfigurazione, quando Gesù scende dal monte e raccomanda di non riferire a nessuno quanto accaduto sulla montagna, parla ancora della sua passione. Tra i due discorsi sulla passione, dunque, è incluso il prodigio della Trasfigurazione, a significare che, mentre Gesù sta per soffrire, si manifesta la gloria. La gloria del Signore non è nel trionfo, nella spettacolarità che noi ci attenderemmo, ma si manifesta in quel mentre, in quella situazione di dolore.
Carissimi, vi racconto un’esperienza, che ho vissuto oggi. Un’esperienza che mi ha fatto dire: la trasfigurazione esiste anche per noi cristiani!
Sono andato più volte a far visita ad un ragazzo rimasto tetraplegico in seguito ad un incidente stradale. L’anno scorso era disperato e aveva preso la decisione di prenotarsi per il suicidio assistito in Svizzera. Un giorno, in casa dai suoi genitori, ha capito cosa voleva dire essere figlio. C’è stata una profonda trasformazione che l’ha fatto desistere dal suo progetto di morte. Ora sta scrivendo un libro e mi ha raccontato che al mattino si sveglia volentieri perché la sua giornata è piena. È stato un incontro molto bello anche per me; ho capito che la trasfigurazione esiste anche per ognuno di noi. Ma che cos’è che ci fa trasfigurare nel nostro quotidiano, in fabbrica, a scuola, in famiglia?
È l’amore che trasfigura. Con l’amore quello che è grigiastro prende colore, quello che è pesante diventa sopportabile, quello che è difficile diventa possibile. In questa seconda settimana di Quaresima proponiamoci di pensare spesso alla Trasfigurazione di Gesù. Gesù ha affrontato la crocifissione per amore, un amore infinito, da Dio. Anche noi possiamo donare a lui non un amore infinito, ma tutto l’amore che possiamo.

Giornata nazionale dell’USTAL-UNITALSI

Sabato 18 e Domenica 19 marzo 2017, l’U.N.I.T.A.L.S.I. (U.S.T.A.L. per la diocesi di San Marino – Montefeltro) celebra la sua XVI edizione della Giornata Nazionale, proponendo – in oltre 3000 piazze italiane e a San Marino– una “piantina d’ulivo”, simbolo di pace e fratellanza.

Non si tratta solo di una semplice raccolta fondi con l’offerta degli alberelli di ulivo, quanto invece di una Giornata di Presenza e Testimonianza, per far conoscere l’Associazione e promuovere le sue attività.

L’USTAL – UNITALSI è una associazione pubblica di fedeli cristiani che vuole realizzare sempre più e meglio, in nome della Chiesa, il particolare carisma di condivisione delle sofferenze umane. Vuole essere un incitamento a dedicarsi con più passione all’esperienza di servizio ecclesiale verso e con le persone ammalate, disabili e in difficoltà.

L’U.N.I.T.A.L.S.I nasce in Italia nel 1903. E’ presente nella nostra Diocesi dal 1943 come Delegazione di San Marino della Associazione italiana. Nel 1982 ha assunto la denominazione U.S.T.A.L.

L’Unione attua le sue finalità svolgendo un servizio umanitario verso gli ammalati ed i disabili, promuovendo il culto Mariano attraverso i Pellegrinaggi verso Santuari Mariani per i quali si fa promotrice e si assume l’organizzazione e la gestione. E’ impegnata in diverse iniziative di solidarietà verso le persone più deboli sia nel territorio Diocesano sia all’estero (Italia, Terra Santa, Siria ). Si serve di volontari i quali si impegnano a prestare servizio gratuito in spirito di autentica carità cristiana, in sintonia con le scelte pastorali dell’Autorità ecclesiastica.

Il ricavato della vendita nella nostra Diocesi sarà destinato a favore dei terremotati del centro Italia e dei bambini della Terra Santa.

Si chiede di ricordare l’evento negli avvisi di domenica prossima e di consentire la vendita degli ulivi presso le parrocchie domenica 19 marzo.

Ringrazio per la collaborazione

Il Presidente
Giorgio Rastelli

Periodico Montefeltro marzo 2017

Giornata della donna

All’inizio ci fu lo stupore: «Oh! Questa sì che è carne della mia carne»
Quale dignità? Appunti per la Giornata della donna

Ultimamente oggetto della nostra preghiera e della nostra riflessione per l’«8 marzo» è stato una serie di interrogativi: “Quale bellezza?”, “Quale uguaglianza?”. Quest’anno: “Quale dignità?”.
Cosa si intende per dignità? Intendiamo la nobiltà che, per sua natura, ha l’essere dell’uomo e l’essere della donna, indipendentemente da ogni altra variabile. Nobile l’uomo, nobile la donna, ognuno per la sua natura, per il suo essere persona.
Si tratta di una dignità originaria, voluta dal Creatore: l’uomo e la donna sono immagine di Dio, a prescindere dal sesso, dall’età, dalla cultura, dall’attività, etc. È un riconoscimento che non viene dalla concessione di qualcuno o per rivendicazione. È, appunto, dignità originaria.
Dalla creazione in poi è andata via via svalutandosi la dignità della donna, per l’ingresso del peccato nel mondo che ha alterato le relazioni e per lo sviluppo di una cultura di prepotenza e di seduzione. La dignità della donna ha dovuto gradualmente e faticosamente imporsi nel corso dei secoli. Aiuta tornare alla testimonianza dei Vangeli dove è ben visibile l’atteggiamento controcorrente e originale di Gesù verso le donne. Più vicino a noi sono da riprendere le riflessioni della Dottrina Sociale della Chiesa, in particolare la lettera di Giovanni Paolo II Mulieris Dignitatem, come i tanti pronunciamenti di papa Francesco.
Perché una Giornata della donna?
Il fatto che si dedichi una giornata alla donna è anzitutto segno di un faticoso processo ancora in atto; è appello alla conversione, cioè al cambiamento di mentalità e di azione, è desiderio di preghiera col tono della lode per il dono della diversità, col tono della richiesta di perdono per la dignità misconosciuta, col tono della intercessione per tutte le esistenze femminili calpestate.
Riaffermiamo insieme pari dignità per la donna, cioè pari diritti, pari doveri, pari opportunità. Ma questo non significa per la donna, di per sé, fare tutto quello che fa l’uomo dimenticando e mortificando la propria specificità: il femminile, il proprium dell’essere donna, il suo genio sono da riconoscere, valorizzare e promuovere.
C’è un proprium che risplende nella maternità: la donna è chiamata a partorire l’uomo, in senso fisico, ma anche morale, spirituale, culturale; è chiamata ad una maternità biologica, ma anche ad una maternità che è capacità di accogliere e di far crescere.
Tutti riconoscano la dignità della donna, a partire da lei stessa, perché ne abbia una piena consapevolezza. L’uomo, da parte sua, superi lo spirito di dominio; all’inizio non vi era il potere, ma lo stupore: «Oh! Questa sì che è osso delle mie ossa e carne della mia carne» (cfr. Gn 2, 23). L’uomo e la donna sono “uno nella diversità dei due”, e non solo nella sponsalità: creati ad immagine di Dio (+ Andrea Turazzi).