CHIESA IN PREGHIERA E DIGIUNO

Ai presbiteri e ai diaconi, alle comunità religiose,
Agli operatori pastorali, a tutti i fedeli

Carissimi,
chiamo a raccolta tutta la nostra Chiesa di San Marino-Montefeltro per una risposta corale alla Lettera che il Santo Padre Francesco ha indirizzata al Popolo di Dio: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme».
Aderiamo in pieno alla sua proposta di preghiera, conversione e digiuno in considerazione degli abusi che in tante parti, nella Chiesa e nelle famiglie, vengono compiuti contro i minori.
Preghiera, conversione e digiuno.
Ma anche impegno per la tutela, la protezione e la cura dei più piccoli, con il superamento di ogni forma di copertura.
Ringrazio i catechisti, gli animatori dei gruppi e gli educatori tutti per il servizio che svolgono accanto alle famiglie e alle istituzioni educative. Li esorto a proseguire in serenità, trasparenza e responsabilità.
Invito tutti mercoledì 13 marzo ad un incontro diocesano di preghiera presso il Santuario del Cuore Immacolato a Valdragone (RSM):
Ore 20:00 S. Rosario
Ore 20:30 S. Messa con tutti i sacerdoti, da me presieduta, e processione.
Propongo una giornata di digiuno venerdì 8 marzo (primo venerdì di Quaresima). In ogni parrocchia, secondo le indicazioni e le modalità stabilite dai parroci, si faccia anche la lettura meditata della Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio, con momenti di preghiera, in particolare con il pio esercizio della Via Crucis con i testi preparati per questa circostanza.

Uniti nella vicendevole stima

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Pellegrinaggio diocesano in Terra Santa

Omelia nella VII domenica del Tempo Ordinario

Convegno diocesano Settore Giovani AC
“Sale, non miele”

1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23
Sal 102
1Cor 15,45-49
Lc 6,27-38

(da registrazione)

Cari ragazzi,
devo iniziare con un ringraziamento a tutti voi. Sono tre giorni che penso a questo incontro come un appuntamento bellissimo nella mia vita di pastore. Ne sento tanto la responsabilità. Sono pochi gli incontri con voi in un anno, ma preziosissimi, da non sciupare.
Vi porto una notizia bellissima: Gesù è in mezzo a noi, Risorto! Lui farà sicuramente tutto quello che è necessario per ciascuno di voi e anche per me. «Grazie a te, Gesù, che ci riunisci e fai di questo incontro una festa!».
Devo dirvi – ormai sono alla fine della Visita Pastorale – quanto siete importanti nelle nostre comunità. Non dirò retoricamente: «I giovani sono il nostro futuro…».  No, io vi dico che siete preziosi oggi, perché ci aiutate ad essere in cammino. Quando siete in parrocchia – può darsi che vi succeda di venirci svogliati o per senso del dovere – portate alla comunità una gioia grandissima. Noi adulti vi accompagniamo, ma abbiamo anche molto bisogno della vostra presenza. Vi ringrazio per questo: «Siate generosi!». Quando i giovani non ci sono la parrocchia diventa melanconica, ripiegata su se stessa. Quando ci siete si riprende il cammino. Fate bene a “risvegliare” anche noi sacerdoti, perché ci aiutate ad essere giovani.
Questa mattina ci troviamo di fronte ad una pagina fortissima di Vangelo, davanti alla quale le reazioni possono essere le seguenti. Prima reazione. «Amate, amate i nemici… »: quante volte l’abbiamo sentito! Si ha l’idea del ripetitivo, dello scontato, del déjà-vu. L’altra reazione, invece, è quella di chi, davanti ad una pagina come questa, prova un po’ di sconcerto. È impossibile quello che il Signore chiede! Questa volta ha messo l’asticella troppo in alto!
«A voi che ascoltate io dico: “Amate!”».
Faccio due semplici sottolineature. Amare, come lo intende Gesù, non è da confondere con le reazioni istintive e incontrollabili che ci abitano, che noi chiamiamo sentimenti, emozioni, inclinazioni. C’è la persona attrattiva, c’è la persona che suscita simpatia, c’è chi, in un gruppo, è capace di creare subito un’atmosfera e viene spontaneo volergli bene. Quando Gesù dice «amate», propone una scelta. Con l’imperativo «amate» siamo invitati a calarci in noi stessi e lì, nel profondo, scoprire un luogo che spesso ignoriamo: la coscienza. Dentro di noi possiamo avvertire sentimento e scelta come opposti e perfino sollevare la questione della sincerità. Che cosa è più vero in me? I sentimenti o la scelta? Possiamo anche mettere a confronto spontaneità e autenticità: sono due cose diverse. Ripeto: c’è più sincerità nei sentimenti o nella scelta? Invoco lo Spirito Santo dentro di me affinché mi faccia luce.
Credo che la posizione di Gesù sia per la scelta. È con la decisione che noi possiamo cambiare le cose. È con la decisione che possiamo scavalcare quell’asticella. Questo però non significa che i sentimenti non siano importanti.
Santa Teresa di Lisieux, in un passaggio della sua autobiografia, racconta che le era stato dato il posto – le monache trascorrono molto tempo in coro – vicino ad una monaca che faceva scricchiolare i denti. Inizialmente le dava tanto fastidio, le veniva quasi da svenire tanto era irritata, ma pensò che poteva voler bene a quella monaca “insopportabile” (avrebbe potuto anche correggerla, insegnandole la buona educazione, invece di essere così preoccupata della sua santità personale, ma era ancora molto giovane e probabilmente non si azzardava…). Da quel momento, quando andava in coro, prevaleva in lei la decisione di voler bene e di aver pazienza con quella consorella. Poco a poco, l’amore autentico l’ha portata ad aspettare con gioia il momento in cui arrivava la monaca e lo scricchiolio, da irritazione insopportabile, divenne per santa Teresa come un concerto. Il Signore ci propone di partire con la scelta e la decisione, poi verrà anche la simpatia. Così introduciamo tutta la nostra persona nell’amore, perfino i sentimenti. Questo accade anche nel fidanzamento, nell’amore. C’è la scintilla iniziale, che è l’innamoramento, poi si arriva ad una scelta che si rinnova sostenuta dal sentimento. E la scelta viene sempre più in rilievo, ma cresce anche il sentimento. Penso ai miei genitori, con i quali ho vissuto solo gli ultimi anni della loro vita. Li ho sorpresi a volte a scambiarsi dei baci, pur essendo ottantenni, con infinita tenerezza. Era un incanto.
Concludo dicendo una parola sulla “regola d’oro” che è trasversale a tutte le religioni: «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te». Nel Vangelo è detta in un modo diverso, sorprendente, perché detto in positivo; parafrasando: «Quello che tu desideri sia fatto a te, fallo agli altri». È rivoluzionario! Viene introdotto il desiderio come fondamento dell’etica. Si sdoganano il nono e il decimo comandamento: «Non desiderare… » (ma qui si intende il desiderio cattivo, desiderio del male). Quello che tu desideri per te, fallo per l’altro: dignità del desiderio, del sogno. Auguri per il vostro cammino!

Omelia nella S. Messa in ricordo di don Luigi Giussani

San Marino Città, 22 febbraio 2019

1Pt 5,1-4
Sal 22
Mt 16,13-19

Oggi celebriamo la festa della Cattedra di San Pietro e ricordiamo anche un grande testimone e maestro: don Luigi Giussani. Una bella e significativa coincidenza. Don Giussani preghi con noi per il Pietro di oggi, papa Francesco.
Io non se se gli amici, i fratelli e le sorelle di Comunione e Liberazione, mi sentano vicino (a dire il vero faccio poco per loro), ma io li sento vicini: li incontro nelle comunità parrocchiali, a servizio con umiltà e senza pretese.
La pagina evangelica riporta una domanda di Gesù molto coinvolgente. Le risposte per sentito dire non valgono. Quelle frutto di una sommaria istruzione dottrinale sono insufficienti; e non fanno molta differenza, a questo proposito, le risposte accademiche. Gesù vuole la risposta del cuore: «Chi sono io per te?».
Pietro aveva già dato una sua risposta, gridando sotto la spinta della paura e della fiducia: «Signore, salvami!» (Mt 14,30). Un giorno dirà a nome di tutti: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» (Gv 6,68).
Le parole più vere sono quelle che nascono al singolare. Ognuno che abbia inseguito, contestato, litigato con Dio, ognuno che abbia assaporato anche una sola volta l’amore… può dare quella risposta che si costruisce con la vita, che non è una formula (E. Ronchi).
A Cesarea di Filippo, tappa centrale nel Vangelo di Matteo, Pietro risponde: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù, di rincalzo: «Non la carne, né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli (non ci sei arrivato da solo!)». Al confessore del Messia viene conferita la dignità di suo rappresentante. Gesù gli cambia nome: da Simone a Pietro. La tradizione biblica collega sempre il cambio del nome ad una missione speciale (così con Abramo, Sara, Giacobbe, ecc…). Il nome Pietro significa Roccia: la stabilità e la compattezza della futura comunità messianica poggerà su Cristo, ma anche su Pietro. La Chiesa appartiene a Cristo («la mia Chiesa»). Pietro non l’ha fondata, non è a disposizione del suo arbitrio e non ne è il capo per doti particolari. Tuttavia, dopo la risurrezione, Gesù l’associa a sé come garante dell’unità e della stabilità della Chiesa.
Non mi aspetterei di trovare in una sessione del Concilio di Trento un’espressione così forte: «Sarà con le stesse qualità della sposa del Cantico dei Cantici, con la sua bellezza, ossia con la sua unità, tamquam acies ordinata, che la Chiesa sbaraglierà il mondo» (cfr. Concilio di Trento, Sessione XXIII, Cap.4).
Insieme alla metafora della roccia Gesù adopera anche quelle delle chiavi e del legare e sciogliere, allusione al ministero petrino di governo e di magistero. Questa investitura vale anche per chi succede a Pietro: come potrebbe la comunità messianica godere di un servizio di unità se la roccia non sarà tale per tutto il tempo? La dimensione petrina è esercitata in modo proprio dal vescovo di Roma, il Papa, successore di Pietro. Ma ogni cristiano che risponde a Gesù: «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente», è, in qualche modo, roccia viva, radice di Chiesa.
Durante un’udienza pubblica Giovanni Paolo II, con grande stupore del seguito e tra l’imbarazzo del cordone di sicurezza, scavalcò la staccionata e, raggiungendo un ragazzo disabile seduto in carrozzina, mise le sue mani grandi e vigorose sulla sua testa e stringendola forte ripeté: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Il ragazzo stupefatto per quelle parole, pianse di commozione.
Riprendo l’interrogativo di Gesù: «Tu, chi dici che io sia?». Ma dire non basta. Siamo specialisti di facili parole. La vita non è ciò che si dice della vita, ma ciò che si vive della vita. E Gesù Cristo non è ciò che io dico di lui in una formula esatta, ma ciò che io vivo del suo amore crocifisso… Anzi, di quanto lascio vivere di lui in me!

Omelia nella VI domenica del Tempo Ordinario

Mercatino Conca, 17 febbraio 2019

Chiusura della Visita Pastorale alla parrocchia di Mercatino Conca

Ger 17,5-8
Sal 1
1Cor 15,12.16-20
Lc 6,17.20-26

(da registrazione)

Rivolgo un caloroso saluto al signor Sindaco, perché salutando lui, è come se rivolgessi il saluto alla parte di paese che non ho potuto incontrare o che è di altra convinzione o di altra cultura. Desidero che anche a queste persone arrivi il mio saluto e il mio ringraziamento per la cortesia che mi è stata riservata in tutti gli ambienti in cui sono stato.
Inizio dedicando un minuto ai bambini. All’episodio del Vangelo letto da don Marino ero presente anch’io. Preciso: non c’ero proprio io, ma c’erano i miei “colleghi”, gli apostoli. Il Vescovo, come successore degli apostoli, in un certo senso fa parte del gruppo dei Dodici. Quella mattina Gesù aveva attorno a sé poveri, piccoli, adulti, anziani, persone tristi, ecc. Gesù ci ha sorpreso perché ad un certo punto – eravamo in un luogo pianeggiante – si è alzato e ha detto: «Beati voi». Come? Proprio noi così sfortunati, che abbiamo motivi di pianto, che siamo poveri, che a volte veniamo maltrattati. «Sì, proprio voi siete beati», dice Gesù. Ma chi sono i poveri? La parola “povero” contiene, di per sé, ogni uomo. Povero sono io quando ho bisogno di altri per vivere, povero sono io ogni volta che mi rendo conto che non basto a me stesso. Allora, perché sono povero, mi affido, chiedo aiuto, chiedo perdono. Vivo perché vengo accolto.
Chi sono questi sfortunati con cui Gesù si congratula? Sono i discepoli, quelli che quel giorno erano davanti a lui… Siete voi, lo sono anch’io che, prima di essere apostolo, sono discepolo. E mi sento dire da Gesù: «Beato te, Andrea. Beato te, con i tuoi limiti, con le tue insufficienze, con le tue prediche mediocri… ». Chi sono invece i fortunati che Gesù mette in guardia con una parola durissima, «guai a voi…»? Sono quei discepoli che vivono un cristianesimo appagato, autosufficiente. Quelli che pensano di essere a posto, che vogliono solo star bene, che cercano l’applauso della gente…
Perché Gesù si felicita con i più svantaggiati? Sono beati perché sono poveri? Sono beati perché i poveri hanno più chance dei ricchi di entrare in paradiso? Nulla di tutto questo, perché Gesù non si occupa, in questo caso, della situazione sociale; la povertà non è la causa della benedizione… Ma è nella promessa: con voi posso costruire il Regno di Dio – dice Gesù –, perché siete guardati con occhi diversi dal Padre. Beati non perché poveri, ma perché discepoli.
Quando Dio creò Adamo, prese del fango e della polvere e con questi elementi creò una meraviglia, l’uomo e la donna. Ecco, adesso Gesù prende noi e riparte da capo; siamo – per così dire – il nuovo Adamo: con noi si propone di fare grandi cose. Lui ci dice dov’è la felicità. La felicità è dov’è Dio. Ma dov’è Dio? Dio è anche dove c’è la croce, la sofferenza. Beato chi segue Gesù sulle strade della Galilea, ma anche su quelle del mondo di oggi. Anche lui allora, questo nuovo Adamo che siamo noi, farà ciò che fa Dio. Egli va incontro ai fratelli: dona, consola, accoglie. Sarà sempre una vita povera quella del cristiano, forse marginale, eppure ricca, felice, consolante.

Sono stato una settimana a Mercatino Conca e ho sconfinato anche nelle piccole parrocchie d’intorno: Rivalta, Piandicastello, Montealtavellio. Mi sono reso conto della vocazione che ha la vostra comunità: è racchiusa nel nome stesso, “Mercatino Conca”. È luogo d’incontro, di scambio, di intense relazioni. Non solo mercanzie, manufatti, bestiame, come una volta, ma incontro di volti, tradizioni, conoscenze, di fatiche condivise e di tutto ciò che costituisce il mercato nel suo significato più profondo: luogo dell’incontro. A Mercatino ho trovato una piccola fraternità sacerdotale, che è un esempio per il futuro, perché i sacerdoti fanno risplendere il loro celibato facendo famiglia tra loro. Ho vissuto una settimana con questi fratelli: don Erminio, don Flaviano, don Marino. Li ringrazio in modo speciale.
Ho notato che a Mercatino c’è un buon servizio educativo verso i giovani: i “Giovani Valconca” e gli Scout. C’è una Caritas attenta alle necessità della Valle. Mercatino ha anche la vocazione ad essere luogo di accoglienza. Penso allo stile di vita del vostro parroco, alla presenza “bonificante” della Casa della Pace e alla presenza di tanti amici, laici e religiosi, che vengono da fuori e che fanno di questo centro una finestra aperta sul mondo. Percorrendo le strade mi sono accorto, con sorpresa, che c’è una via dedicata a mons. Oscar Romero, canonizzato recentemente, con scritto: martire della giustizia.
Un paese ricco di stimoli, dunque, che si educa alla mondialità. Mercatino ha poco più di mille abitanti, eppure qui fioriscono associazioni, iniziative di ispirazione cristiana ma anche laiche come l’AVIS, il Centro culturale “Il fiume”, la Pro Loco, la Croce d’Europa, le associazioni sportive. Bella la collaborazione tra Municipio e Parrocchia: non solo tolleranza, ma cortesia; non solo cortesia, ma amicizia, fino alla corresponsabilità per il bene comune e nella distinzione degli ambiti e dei ruoli. Ho goduto nell’incontrare tutte queste realtà. Indimenticabile la visita alle scuole, dal Nido alla scuola d’Infanzia, alle Scuole Elementari e alle Medie. Simpatico l’incontro con le persone per strada, nei bar e l’incontro con le attività produttive, per conoscere e incoraggiare. Significativo lo scambio di idee con i Carabinieri che presidiano il territorio, si prendono cura della nostra sicurezza, ci ricordano di avere a cuore la legalità e di essere bravi cittadini. Commovente e umanissima la visita agli anziani e agli ammalati. Pregano molto. Ho affidato loro la richiesta delle vocazioni al sacerdozio, di cui abbiamo tanto bisogno.
Infine, l’incontro con i catechisti, i bambini e i ragazzi del catechismo, i genitori, il coro, i Consigli parrocchiali, il gruppo di preghiera “Padre Pio”, la comunità eucaristica quotidiana. Sono stato anche in un luogo di memoria, di pietà, di preghiera: il campo santo. Abbiatene cura sempre così.
Mercatino ha anche i suoi problemi, le sue fatiche, le sue tensioni. Questo è il campo del nostro impegno.
Vi lascio un messaggio. Tocca a voi approfondire. Mi affido soprattutto al gruppo dei giovani che possono aiutare la comunità a ricordarlo: «Abbiate cura dei rapporti». Le relazioni sono molto importanti. Sviluppate voi questa proposta. La relazione autentica esige che io faccia “il vuoto” dentro di me, mi faccia “conca”, perché l’altro possa darsi. Occorre che io faccia silenzio perché l’altro possa dirsi. Per creare rapporti occorre che io sia accogliente. Sono sicuro che Dio regala gioia a chi produce amore. Sia lodato Gesù Cristo.

Giornata Mondiale del Malato

Cari amici ammalati,
la parola diventa difficile quando si rivolge a voi e a tutti quelli che sono visitati dalla sofferenza. Ma è necessario che io superi questa difficoltà e l’imbarazzo per dirvi qualche cosa in questo giorno in cui vi ricordiamo in modo particolare alla Santa Vergine di Lourdes.
Voglio, anzitutto, dirvi il “grazie” della nostra comunità diocesana. Noi viviamo della preghiera e dell’offerta della vostra sofferenza unita a quella di Gesù.
Il Signore Gesù, con un gesto sublime di condiscendenza, ha voluto condividere e partecipare della nostra condizione e della nostra condizione più “nostra”, che è la sofferenza. Gesù non ha soppresso la sofferenza; non ne ha neppur svelato interamente il mistero: l’ha presa su di sé ed in questo ci ha donato la certezza che essa ha un senso e può essere offerta per amore. Questa è la scienza cristiana della sofferenza, la sola che doni pace.
Sofferenza: via che porta ad avvicinarsi e a stringersi agli altri nella solidarietà fraterna… Via che porta a scendere in profondità e a riconoscere l’essenziale della nostra esistenza… Via che conduce – se lo vogliamo – al dono di noi stessi: «Completo in me ciò che manca dei patimenti di Cristo, a vantaggio del suo Corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).
Unisco a voi il pensiero dei medici, degli infermieri e di quanti si dedicano agli ammalati per guarirli, o almeno per alleviarne le sofferenze. A loro dico: «Siate sempre consapevoli che la vostra è una missione più che una professione. Voi avete a che fare con la persona stessa di Cristo, con la “carne” di Cristo.
A tutti dico: diamo una sempre maggiore attenzione agli ammalati, agli anziani, ai sofferenti: accada il miracolo della carità.

 

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

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Chiesa in preghiera e digiuno

Giornata Internazionale della donna

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