Giornata della Pace

Corsi in preparazione al matrimonio Valmarecchia

La povertà in Alta Valmarecchia

Omelia nella II domenica di Avvento

#FlashdiVangelo, 5 dicembre 2021

Bar 5,1-9
Sal 125
Fil 1,4-6.8-11
Lc 3,1-6

Il Vangelo di questa domenica inizia in modo particolarmente solenne: «Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore…». Dopo l’elenco di tutti i protettorati (erano quattro) sotto la dominazione dei Romani, l’evangelista Luca continua con l’elenco delle autorità religiose, Anna e Caifa… È come se Luca ponesse quello che sta raccontando su un foglio quadrettato, con precisione e con una certa solennità. E che cosa accade?
Da ragazzo, quando leggevo questa pagina, provavo un po’ di delusione, perché mi aspettavo l’annuncio della nascita di Gesù. Invece accade un’altra cosa: «La Parola di Dio venne su Giovanni nel deserto». L’accadere della Parola di Dio su Giovanni è come l’accadere della Parola di Dio su ciascuno di noi e sulle nostre comunità. Come la Parola di Gesù: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo» trasforma il pane nella sostanza del corpo, sangue, anima e divinità del Signore, così la Parola che viene sulle nostre comunità le trasforma nel Corpo Mistico del Signore. Dunque, il Natale del Signore accade continuamente. Il sacerdote, alla celebrazione di ogni Messa – consentitemi l’analogia – fa nascere Gesù, come Maria, e lo depone nella bianca tovaglia dell’altare: grandezza del ministero sacerdotale! Allo stesso modo la comunità cristiana adagia Gesù nelle situazioni di vita.
La Parola di Dio venne su Giovanni Battista mentre era nel deserto: là viveva la sua vocazione. Così accade a noi: la Parola di Dio ci raggiunge là dove noi viviamo. Non dobbiamo idealizzare chissà quali scenari, immaginare chissà quali situazioni: in ogni momento la Parola di Dio accade su di noi. Dobbiamo averne l’intima certezza. Questo ci dà forza, ci induce a far credito a quella Parola, ad accettarne la sfida e a viverla. A volte ci propone il perdono «fino a settanta volte sette» (Mt 18,22), altre volte ci ricorda che dobbiamo essere lievito (cfr. Mt 13,33) e sale della terra (cfr. Mt 5,13), altre ci ricorda che c’è più gioia a dare che a ricevere (cfr. At 20,35). Proponiamoci allora di vivere la Parola e la Parola, poco a poco, ci fa altri Gesù.
Mi piace molto considerare l’esperienza di san Francesco d’Assisi il quale, nel XIII secolo, inventò il presepio. L’ha collocato in mezzo alle stradine di Greccio, nel piccolo villaggio dove c’erano il ciabattino e il muratore che lavoravano, la fontanella che forniva l’acqua a tutti… Il presepio sta a dirci questo.
Torna varie volte nel brano evangelico di questa seconda domenica di Avvento la parola “deserto”. È il luogo dove Giovanni Battista svolge la missione di precursore del Signore. Vedremo la prossima domenica il tono e il contenuto della sua predicazione. Adesso ci basti sottolineare come Giovanni si collochi “nel deserto”, il luogo più distante e più periferico; ma per Giovanni il deserto è memoria dell’esodo: il popolo d’Israele si lascia alle spalle l’Egitto e si incammina verso la terra promessa, verso la libertà. È anche il luogo dove si fa esperienza delle difficoltà: il calore del sole, il vento che sibila e sferza con la sabbia il volto, il pericolo degli scorpioni e dei serpenti. Ma il deserto è anche il luogo in cui il Signore si fa vicino: ecco l’acqua che scaturisce dalla roccia, la manna che piove dal cielo, la nube che protegge il popolo che cammina… C’è tutta una tradizione biblica che ha nostalgia del deserto, perché rappresenta il luogo del primo amore. Il profeta dirà, riferendo le parole del Signore: «La condurrò nel deserto e là parlerò al suo cuore» (Os 2,16).

L’evangelista ci riferisce le parole di Isaia per inquadrare la figura del Battista, il precursore; lui non è la Parola, è la voce che prepara ad accogliere la Parola: «Preparate la via del Signore…». In realtà, non siamo anzitutto noi che andiamo al Signore: è lui che viene a noi; compito nostro è spianare la strada. Questo è il cammino dell’Avvento. Nelle nostre case abbiamo preparato la Corona dell’Avvento: le quattro candele che scandiscono le settimane, che danno l’idea del tempo che stringe, che passa inesorabile. Si avvicina il Natale. Che non accada, come ogni anno, che siamo impreparati, presi da tante cose che non sono essenziali. Prepariamo il Natale anche con il sacramento della Riconciliazione, non andiamo all’ultimo minuto, cominciamo fin da oggi a prepararlo e viviamolo con questa gioia: «Preparo la via del Signore».

La salute è un bene comune: scienza e fede si incontrano

Nel ricordo di San Luca, patrono dei medici e di tutti gli operatori sanitari, l’Ufficio Pastorale della Sanità della Diocesi di San Marino-Montefeltro ha promosso una tavola rotonda che ha visto riuniti amministratori, personale sanitario e operatori pastorali. Tra i partecipanti don Mirco Cesarini, parroco di Novafeltria, Stefano Zanchini e Giuliana Lucarini, rispettivamente sindaco di Novafeltria e vice-sindaco di Pennabilli, l’avvocato Marco Ghiotti, amministratore dell’Istituto Superiore della sanità della Repubblica di San Marino e Gabriele Raschi, docente di teologia morale dell’Università Carlo Bo di Urbino. L’incontro è stato moderato da Gian Angelo Marra, coordinatore diocesano dell’Ufficio Pastorale della Sanità.  Una prima riflessione di S.E. il vescovo mons. Andrea Turazzi ha evidenziato la necessità che la salvaguardia della vita umana e la prevenzione di ogni forma di malattia, che rischi di coinvolgere chi ci è accanto o condivide con noi luoghi e ambienti, richiedono una comune azione di fede e scienza. Nel trattamento terapeutico occorre incontrarsi sul terreno dell’umano perché l’area di confronto tra antropologie differenti non sta nella disputa teoretica, ma nella ricerca di comportamenti condivisibili.

I relatori hanno approfondito, anche partendo dalle diverse esperienze maturate nel corso della attuale epidemia da Covid-19, la tematica del rapporto tra curare e prendersi cura del paziente perché risultino azioni complementari e imprescindibili da un corretto rapporto che deve stabilirsi tra curante e paziente. Le azioni intraprese in questi 2 anni di epidemia hanno reso necessario puntare oltre che al trattamento terapeutico anche alle necessità economiche e di preservare i rapporti umani di chi era costretto all’isolamento. Tante le iniziative che amministratori locali, operatori sanitari e sacerdoti hanno portato avanti attraverso gli uffici preposti e in collaborazione con organizzazioni di volontariato. Un aspetto “positivo” della pandemia da Covid è stato il nascere di una nuova sinergia tra curanti, amministratori e gestori della sanità.

In conclusione, sono state ricordate le parole di papa Francesco che ci ha recentemente ricordato come mettendo al centro la cura della persona non si debba dimenticare l’importanza della scienza e della ricerca. Ma “la cura senza scienza è vana, come la scienza senza cura è sterile. Le due cose vanno insieme e solo insieme fanno della medicina un’arte, un’arte che coinvolge testa e cuore, che coniuga conoscenza e compassione, professionalità e pietà, competenza ed empatia”.