Discorso in occasione del 60° anniversario di ordinazione presbiterale di mons. Graziano Cesarini

Macerata Feltria (PU), 24 giugno 2023

Mt 10,26-33

«Voi valete di più». Sono parole che incoraggiano e invitano, o meglio comandano: «Non abbiate paura» (è un imperativo!). Mentre la prima parte del discorso missionario di Gesù ha il tono dell’esortazione, questa seconda parte, che abbiamo ascoltato or ora, è imperniata su tre imperativi (aoristo) che si possono tradurre così: «Che non incominciate ad avere paura!». I discepoli stavano facendo i primi passi e già il Maestro li stava inviando in missione. La prima cosa che veniva loro in cuore erano le paure. È umano avere paura: paura della persecuzione, paura della derisione, paura – una paura che abbiamo anche noi – dell’incoerenza nel sentire discordanza tra quello che si dice (la testimonianza evangelica) e quello che si fa: questo fa soffrire e qualche volta frena nel dire le parole di Gesù. «Non incominciare ad avere paura», ripete Gesù.
Questa sera sono qui con voi per fare festa ad un presbitero che non ha avuto paura, che non ha paura di parlare.
Quando uno parla può essere riconosciuto come maestro, ma può essere anche rifiutato, può accontentare e può scontentare. Però don Graziano si è messo davanti a Dio.
Qui avete un prete che non ha paura di essere se stesso. Tutto d’un pezzo. Un prete che non ha paura di essere spirituale, col rischio di apparire d’altri tempi. Si è messo davanti a Dio.
Qui avete un prete che non ha paura di riconoscere Gesù Cristo davanti a tutti, perché Gesù Cristo gli basta, anche se questo prete può apparire poco umano. Con l’età arrivano gli acciacchi, tuttavia questo prete ha il coraggio di rimanere sulla breccia. C’è, però, un tempo per prendere e un tempo per lasciare, un tempo per seminare e un tempo per raccogliere, un tempo per parlare e un tempo per tacere – riecheggia il libro del Qoelet: Dio solo resta. Cosa dice quel prete che si è messo davanti a Dio? «Sei tu, Signore, l’unico mio bene» (Sal 16,2). Ed è pronto a tutto.
«Nulla accade senza che ci sia il Padre» (cfr. Mt 10,29). Abbiamo sentito leggere così, parlando dei passerotti dei quali il Signore si prende cura, dei capelli del capo che non cadono a terra senza il volere del Padre. Però vediamo tante cose non belle che accadono… «Sei tu, Signore, che le vuoi?». La traduzione esatta sarebbe: «Nemmeno un passerotto cadrà a terra senza che ci sia il Padre accanto a lui». Pensiamo alle persone che sono nella prova, i bambini che vengono violati, i migranti che si inabissano nel mare. Tutto questo non accade senza il Padre, senza che ci sia il Padre accanto a loro nel mistero della sofferenza. Capita spesso di usare il proverbio: «Non cade foglia che Dio non voglia». No. Nulla accade senza che il Padre sia accanto a te, pronto a raccoglierti. Anche per i distacchi, l’oblio, la solitudine, se il cuore è innamorato, non c’è nulla da temere.
Dico a mio fratello, monsignor Graziano: «Non avere paura. Tu vali di più, perché il tuo cuore è innamorato del Signore. Tutto passa, tutto può crollare, ma il Signore non passa. Il Signore rimane sempre». Così sia.

Omelia nella XI domenica del Tempo Ordinario

Secchiano (RN), 18 giugno 2023

40° anniversario di ordinazione sacerdotale di don Sante Celli

Es 19,2-6
Sal 99
Rm 5,6-11
Mt 9,36-10,8

Caro don Sante,
cari parrocchiani,
non poteva esserci pagina più bella di questa per comprendere la bellezza del prete missionario e la missionarietà di ogni discepolo di Gesù.
Il Vangelo ci presenta il Signore nell’atto di scegliere coloro che devono continuare la sua missione. Qual è il motivo che lo spinge a chiamare nuovi missionari? «Vedendo le folle» Gesù intuisce in loro il bisogno profondo di Vangelo. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo di amore infinito, che conosce le esigenze e le sofferenze della gente. Solo l’amore conosce veramente.

1.

Gesù volge lo sguardo attorno e vede la folla. Nel testo originale (nella parlata propria di Gesù) “folla” va intesa nel senso di “folla disordinata”, “folla ammucchiata”. Gesù vuole fare il passaggio da una “folla disordinata” di persone ad una comunità. Chiederà, poi, agli apostoli e ad ogni discepolo di “essere costruttori di comunità” (è il tema del Programma Pastorale 2022/23!). Dio è comunione e non desidera altro che siamo una comunità di fratelli, un “cantiere” dove tutti sono impegnati, ognuno al suo posto, nei diversi ambiti di vita.
Gesù fa nascere la comunità col suo sguardo: questo è il perché della Chiesa. Ho incontrato persone che sono innamorate di Gesù Cristo, ma non vogliono la Chiesa… Ciò non è possibile! Se segui Gesù, non puoi non riconoscere la sua Chiesa come un corpo organico con tanti ministeri e tanti carismi.

2.

Il Vangelo dice che Gesù prova un sentimento di commozione che attraversa “le sue viscere” (il verbo usato descrive il fremere tipico del grembo materno). Caro don Sante, anche tu come Gesù, proprio qui in questa chiesa, nei momenti in cui preghi per la tua gente condividi con Gesù lo sguardo amorevole che coglie il bello che c’è nella tua gente e la sua compassione viscerale per le fragilità e le debolezze.
Come viene descritta la folla? Abbiamo sottolineato che viene presentata come una “folla disordinata”, lacerata, dispersa, afflitta dalla stanchezza. Oggi si parla molto della stanchezza esistenziale, che non è la stanchezza fisica, ma il riverbero di una stanchezza più profonda. Che cosa ci rende stanchi? È il non poter contare su relazioni in cui possiamo riposarci. Il cuore di ogni persona riposa nella pienezza di una relazione di amore, di accoglienza, nella quale c’è dono reciproco. L’essere lontani da questo tipo di rapporto rende stanchi nel cuore. Non è una novità di oggi, era così anche al tempo di Gesù. Si ha bisogno di fidarsi di qualcuno. Quando sei in una relazione in cui ti puoi fidare, il cuore si riposa: puoi essere te stesso. Altrimenti devi sempre difenderti, conquistare posizioni, avere prestazioni che ti facciano accreditare dagli altri (invece con la propria mamma non si ha bisogno di manifestare chissà che cosa per essere amati). Questa è la stanchezza che tu, don Sante, devi soccorrere per «essere costruttori di comunità», affinchè ognuno si senta bene, non si senta giudicato. In ogni iniziativa parrocchiale si esaltino le qualità di ogni persona, come in una famiglia.

3.

Il Vangelo aggiunge un’altra immagine. Gesù sente la folla che ha di fronte «come pecore senza pastore». È una frase che, alle orecchie degli ascoltatori era ricorrente, perché era una frase dell’Antico Testamento. La frase «erano pecore senza pastore» era sbocciata nel contesto storico dell’esodo, il periodo in cui gli ebrei erano schiavi in Egitto. Poi si mettono in cammino. Mosè cerca di fondere insieme le dodici tribù ed arriva alle soglie della terra promessa. Anche per lui si avvicina il tempo della morte e, guardando il popolo che ha messo in cammino, preso da un grande abbattimento prega: «Signore, chi continuerà dopo di me? Queste persone sono come pecore senza pastore». Allora, a Mosè viene indicato un successore: Giosuè (è lo stesso nome di Gesù, senza l’accento all’italiana). L’immagine delle «pecore senza pastore» viene usata anche in un altro passo biblico, quando gli ebrei sono a Babilonia durante il tempo dell’esilio. Hanno il terrore di scomparire per sempre come popolo: non hanno più il tempio, non hanno più la terra, non hanno più il sacerdozio, non hanno più profeti… Vivono nella terra tra i due fiumi, a Babilonia. Allora dicono al Signore: «Siamo come pecore senza pastore, scompariremo…». Invece, il Signore farà sorgere altri condottieri. Gesù prova lo stesso sentimento, la stessa urgenza. Eppure dice: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi… Pregate!». Questa risposta stupisce, perché Gesù non esorta anzitutto a darsi da fare per raccogliere e mietere, ma a pregare. Questa frase ci libera dall’ansia da prestazione; in fondo pensiamo che tutto dipenda da noi, dalla nostra attività, invece, secondo Gesù, l’apostolo, il vero evangelizzatore, deve sapere che non è lui che salva il mondo: è Dio che opera. Noi interveniamo, caro don Sante, nella fase finale: Dio fa crescere, fa maturare, opera nel cuore delle persone, a noi il compito di mettere in evidenza quello che il Signore fa. A volte la persona meno religiosa, meno praticante, compie atti d’amore, è sensibile, accoglie il sacerdote per la benedizione e fa domande… Il sacerdote ha la missione di far sbocciare il bene presente in germe, di evidenziare talenti, di avere lo sguardo di Gesù.

4.

Gesù ha chiamato a sé quelli che ha voluto come apostoli e dirà che li chiama «a stare con lui» (cfr. Mc 3,14): ecco cosa chiede al sacerdote (non invita tanto a corsi di aggiornamento, perché l’insegnamento è Gesù stesso, la sua persona, non una teoria). Poi Gesù esprime, con cinque verbi, cosa deve fare l’apostolo; da notare che con solo uno di questi invita l’apostolo a fare attività mediante parola, mentre con gli altri quattro verbi indica attività di carità, di servizio, di prossimità: «Strada facendo – cioè nello svolgimento della vita – predicate, dicendo che il Regno di Dio sta per venire (unico verbo che indica attività mediante parola), guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni». Non commento questi verbi, ma sottolineo che, per Gesù, i “demoni” sono anzitutto le immagini sbagliate di Dio. Ci sono persone che girano alla larga da Dio perché hanno paura, perché gli è stata trasmessa un’immagine contraffatta di Dio. Dio è ben diverso dai loro “fantasmi”; il Dio di Gesù è pieno d’amore, è lui che crea relazioni in cui non avanzi per i tuoi meriti e le tue performance. I prediletti di Dio sono le persone più fragili. Il cristiano deve fare esorcismi perché deve liberare l’immagine bella di Dio che è nel profondo del cuore di ciascuno: Dio è amore!

Giornata di preghiera e riflessione per i politici

Giovedì 22 giugno alle ore 21.00 presso la Casa San Giuseppe a Valdragone (RSM) la Diocesi promuove una tavola rotonda dal titolo “Pacem in terris? Attualità dell’enciclica di San Giovanni XIII”, come espressione dell’anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi alla pace.

Il 22 giugno la Chiesa ricorda San Tommaso Moro, avvocato, scrittore e uomo politico inglese noto soprattutto per il suo rifiuto di accettare la rivendicazione di Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d’Inghilterra. Una decisione che mise fine alla sua carriera politica e che lo condusse nel 1535 alla pena capitale con l’accusa di tradimento. Nel 1935 fu proclamato santo da papa Pio XI e nel 2000 patrono degli statisti e dei politici da papa Giovanni Paolo II, quale testimone della dignità inalienabile della coscienza.

La comunità diocesana celebra per l’occasione la “Giornata di preghiera e riflessione per i politici”, con lo scopo di far sentire la sua vicinanza a coloro che hanno scelto di servire il bene comune attraverso l’impegno politico e per riaffermare la considerazione che la Chiesa ha della politica quale alta forma di carità.

Quest’anno la Giornata focalizzerà il tema della pace in occasione della ricorrenza del 60° anniversario della lettera enciclica Pacem in Terris, stante la drammatica situazione di guerra nel cuore dell’Europa che si aggiunge ai molteplici conflitti che sul pianeta costituiscono la “terza guerra mondiale a pezzi” denunciata più volte da papa Francesco.

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Omelia nella Solennità del Corpus Domini

San Marino Città (RSM), Basilica del Santo Marino, 8 giugno 2023

1.
«I bambini domandavano il pane, ma non vi era chi lo spezzasse loro» (Lam 4,4). Gesù avrà pensato a questo grido del libro delle Lamentazioni quando si è trovato di fronte alla grande folla che lo aveva seguito affascinata dalla sua persona e dalle sue parole. Allora compie il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Giovanni, l’evangelista, volutamente non lo chiama miracolo, ma segno; nel segno c’è della compassione, ma soprattutto c’è la sua autorivelazione: «Ecco chi sono io!». «Io sono il pane della vita, non come quello che mangiarono i vostri padri e morirono» (cfr. Gv 6,48).
Gesù è la risposta alla promessa – valida oggi come allora – del profeta: «Ecco, verranno giorni – dice il Signore – in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d’ascoltare la parola del Signore. In quel giorno appassiranno le belle fanciulle e i giovani per la sete» (Am 8,11.13).
Quel giorno, sulle colline attorno a Cafarnao, si manifesta colui che sazia la fame e la sete esistenziale. Ma quella gente si ferma al dono, all’ammirazione per il miracolo – non si è mai sazi di miracoli! – e non va al Donatore. Se lo cerca, è per avere ancora di quei pani.
Evidentemente c’è un equivoco!
Sappiamo dal racconto evangelico che Gesù si sottrarrà a questa strumentalizzazione: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (Gv 6,26).

2.
Gesù riprende il discorso nella sinagoga di Cafarnao. Un discorso che sconcerta nemici ed amici. Un tratto di quel discorso l’abbiamo udito poco fa: «Mangiate la mia carne, bevete il mio sangue». Frase ripetuta almeno sette volte, accompagnata da una motivazione sempre più chiara, sempre più incalzante: «Per vivere, semplicemente per vivere, per vivere davvero»; la vita è il perno di tutta la spirale argomentativa di Gesù.
Gesù è consapevole di possedere qualcosa che può cambiare la direzione dell’esistenza; noi, talvolta, la sentiamo in discesa, verso il basso, verso il meno, verso il vuoto e la disperazione. Gesù non ci sta! Capovolge questo piano inclinato: «Mangia la mia carne, bevi il mio sangue per avere la vita». Qui sta la genialità del cristianesimo: «Dio viene dentro le sue creature come lievito dentro il pane, come pane dentro al corpo, come corpo dentro l’abbraccio» (E. Ronchi). Viene per dare speranza e senso, per dare capacità di amare, per dare una socialità aperta e nuova.
Gesù ci affida il compito di entrare nella sua ora: l’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Verbo incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. Ci attira dentro sé! «L’ammirabile conversione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue pone dentro la creazione il principio di un cambiamento radicale (…) nel più intimo dell’essere, un cambiamento destinato a suscitare un processo di trasformazione della realtà» (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 11).

3.
Oggi festeggiamo il Corpus Domini: una festa di luci, di ostensori raggianti, di tabernacoli aperti, di petali di rose che i più piccoli gettano al passaggio dell’Ostia consacrata. Ma centro e motivo della festa è il donarsi del Signore in quel pane spezzato in cui ha scelto di abitare: mistero della fede! Presenza, azione e donazione di Cristo.
C’è di più: festeggiamo il fatto che possiamo e dobbiamo mangiare questo pane se vogliamo vivere. Notate il verbo semplice, concreto, realistico: letteralmente masticare e quindi assimilare, assorbire, metabolizzare. Sorprendente e affascinante il dono che Gesù fa di sé quando prende il pane, lo benedice, lo spezza e lo dà… Ma ancora più grande il fatto che mangiamo quel Pane e lui viene in noi e noi diventiamo lui: oggi è la solennità del Pane preso e del Pane mangiato.

4.
Nel Pane preso e mangiato c’è un duplice frutto: il primo la comunione-dono con Cristo, il secondo, la comunità tra quanti si nutrono di lui. La Chiesa fa l’Eucaristia, ma è più fondamentale che l’Eucaristia fa la Chiesa e le permette di essere la sua missione, prima ancora di compierla. Questo è il mistero della comunione: ricevere Gesù perché ci trasformi da dentro e ricevere Gesù perché faccia di noi l’unità e non la divisione. Il primo effetto, diciamo, è mistico o spirituale. Il secondo effetto è quello comunitario: «Poiché vi è un solo pane – ci ricordava san Paolo nella Seconda Lettura – noi siamo, benché molti, un solo corpo» (1Cor 10,17). Si tratta della comunione reciproca di quanti partecipano all’Eucaristia. Siamo comunità, tutti nutriti dal Corpo e dal Sangue di Cristo. Non si partecipa all’Eucaristia senza impegnarsi in una fraternità vicendevole e sincera.

5.
È necessario, cari sammarinesi, che ci interroghiamo sulla qualità delle nostre relazioni sociali, sulle nostre responsabilità educative, sull’accoglienza della vita nascente e anche nei momenti della sua fragilità. Torno a ricordare che altro è ciò che è riconosciuto legale e altro ciò che è veramente morale. Abbiamo perso un’occasione per affermare la nostra originalità, la nostra significatività tra le nazioni. Dio non voglia abbiano prevalso condizionamenti esterni. Noi non possiamo pensarci fuori dall’Italia, fuori dall’Europa, ma partecipi essendo noi stessi, con la nostra originalità.
È importante per i fedeli una ripresa della partecipazione alla Messa domenicale.
È indispensabile per noi sacerdoti fare della celebrazione eucaristica il centro della nostra vita; non possiamo celebrare la Messa secondo i nostri gusti e il nostro individuale criterio, semmai è la liturgia a normare noi. Papa Francesco, con serenità e chiarezza, «ci guida alla comprensione dello sviluppo e dei cambiamenti liturgici dal post Concilio fino ad oggi, alla ricerca della comunione e dell’unità nella Chiesa. I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II in conformità ai decreti del Vaticano II sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano» (DD 31).
Ai sammarinesi, ai fedeli, a noi sacerdoti la perseveranza nella preghiera perché il Signore doni degni ministri dell’Altare e a tutti uno stile di vita eucaristico. Così sia.

“Quel giorno benedetto”

«QUEL GIORNO… BENEDETTO»

Sabato 17 giugno festa della Dedicazione della Cattedrale e ricordo della visita pastorale di papa Benedetto XVI alla Diocesi di San Marino-Montefeltro: «Quel giorno… Benedetto».
Il Vescovo Andrea darà investitura a tre nuovi canonici della Cattedrale: don Mirco Cesarini, don Rousbell Parrado e don Giuliano Boschetti.
Ore 18.30, in Cattedrale a Pennabilli, Solenne Eucaristia con omelia tenuta da padre Ciro Benedettini, già vicedirettore della Sala Stampa Vaticana e accompagnatore di Papa Benedetto XVI nei viaggi apostolici.
Nell’occasione, alle ore 21, si terrà a Maciano, presso il convento di Santa Maria dell’Olivo, un Concerto in memoria di papa Benedetto XVI con musiche di Ennio Morricone eseguite dall’orchestra Antiqua Estensis.

Omelia nella Solennità della SS. Trinità

Carpegna (PU), chiesa di San Nicolò, 4 giugno 2023

Sante Cresime

Es 34,4-6.8-9
Dn 3,52-56
2Cor 13,11-13
Gv 3,16-18

La pagina evangelica proclamata oggi conta solo due versetti. In questi due versetti mi soffermerò su tre parole. La prima è la parola “mondo”: ricorre ben quattro volte (è il perno del ragionamento dell’evangelista Giovanni). La seconda parola è il verbo “donare”: «Dio ha tanto amato il mondo da donare il Figlio». La terza parola è il verbo “salvare”.

Mentre facevo meditazione ho pensato all’universo nella sua immensità, nelle sue dinamiche, nelle molteplici forme che lo percorrono e lo abitano: viene da smarrirsi! di fronte alla sua infinità viene da smarrirsi. Giacomo Leopardi, nella poesia “L’infinito”, canta degli «interminabili spazi e sovrumani silenzi» e poi conclude: «Tra questa immensità s’annega il pensier mio e il naufragar m’è dolce in questo mare». L’universo è amato da Dio.
Nell’universo c’è un piccolo pianeta azzurro che è la terra (forse non è l’unico pianeta abitato). Il Signore ama questo mondo che, a volte, a noi non piace. Il mondo è come una foresta piena di sorprese, fa paura, mette ansia. «Dio ha tanto amato il mondo…». Nel mondo ha amato la terra, nella terra ha amato gli esseri umani. In che modo li ha amati? Li ha amati facendosi Lui uomo come loro. Gesù è il Verbo di Dio. Dio non dona “qualcosa”, perché in Dio «tutto è Lui». In Gesù si è dato all’uomo: Lui è la pienezza dell’essere.
Dio da sempre ha voluto l’uomo e l’ha creato capace di amare, di rispondere al suo amore. Rubo un’espressione a sant’Agostino: «Dio ci ha amato per amarci». Significa che Dio ama per veder accendere l’amore nella creatura che ama. Donando se stesso fa in modo che, liberamente e consapevolmente, l’uomo ami a sua volta. Se la creatura corrisponde all’amore, Dio può amarla ancora di più; se l’uomo si lascia prendere nel gioco di amore, Dio lo amerà infinitamente di più, come in una spirale infinita. Tutto in una reciprocità che ci sorprende e ci affascina. «Dio ha tanto amato il mondo», anche il mondo che a noi non piace, anche quello che a noi non piace di noi stessi!

La seconda parola è “donare”. «Dio ha tanto amato il mondo… da donare il suo Figlio». Il “tu” di Dio, il Verbo, si è fatto uomo, Gesù di Nazaret venuto in mezzo a noi. Dio l’ha donato a noi. La relazione più intima, più cara, più preziosa la partecipa a noi. Il dono di Dio è irrevocabile: è per sempre! È un dono totale: si dà tutto! È un dono gratuito: lo si accoglie stupefatti! È mistero, mistero grande. Ed è realtà, realtà che noi viviamo, che noi godiamo, che noi vediamo già grazie agli occhi luminosi e illuminanti della fede (cfr. Ef 1,18), grazie all’intelligenza che ci viene dall’amore, per cui crediamo e conosciamo (cfr. 1Gv 4,16) «finché egli, il Signore, ritorni» (1Cor 11,26).

La terza parola è “salvare”. Salvare non è semplicemente estrarre dalla melma o impedire la caduta nell’inferno. Salvare vuol dire custodire per sempre, conservare, mantenere; è un po’ come quando il computer ti chiede: «Vuoi salvare?». Quando si salva, quel file rimane, non va perduto, non cade nell’oblio.
«Dio ha tanto amato il mondo, ha tanto amato ciascuno di noi, per salvare, perché non vada perduto nulla». Ci vuole la fede: attorno a noi, vediamo realtà caduche e dimenticanze; vediamo la morte. L’annuncio della fede è questo: «Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio per salvare»: come? Assumendo tutto in sè.
Se scriviamo una serie di note su un cartellone restano mute, ma, se tracciamo il rigo musicale, quelle note segnate una dopo l’altra formano una melodia. La fede ci svela la melodia di questo mondo e la vocazione di questo mondo. Lodiamo il Signore, diciamo grazie. Vogliamo entrare in questo gioco d’amore: Dio è Trinità d’amore e da sempre ci ha pensati partecipi della sua vita.
C’è un momento della Messa che ogni volta mi emoziona: è quando alzo il calice con il vino e il piatto con il pane e pronuncio parole che sembrano uno scioglilingua: «Per Cristo, con Cristo, in Cristo, a te Dio Padre la lode». In quelle parole è racchiusa la nostra destinazione: essere proiettati nel seno del Padre. Figli nel Figlio ci avvolge una forza ascensionale: lo Spirito Santo. «Per Cristo, con Cristo, in Cristo, a te Dio Padre la lode nello Spirito Santo».

Cari ragazzi, tra poco riceverete il sacramento della Cresima. Verrete davanti all’altare e risponderete ad alcune domande. In questi anni vi siete preparati per rispondere in modo più consapevole. Poi stenderò le mani per invocare la discesa dello Spirito Santo su di voi e sulla comunità. Attraverso di me è Gesù che vi guarda negli occhi, vi vuole bene e vi dona il suo Spirito. Lo Spirito è raffigurato da un profumo, il crisma, con cui vi ungerò la fronte dicendo: «Ricevi il sigillo dello Spirito Santo». E voi risponderete: «Amen». Vi darò un piccolo schiaffo per incoraggiarvi: «Hai ricevuto lo Spirito, adesso devi essere un cristiano coraggioso».
L’olio profumato svanirà subito, ma il segno spirituale della Cresima si imprimerà in voi, rimarrà per sempre, molto più di un tatuaggio: rimarrà per l’eternità: appartenete al Signore.