Omelia nel 40° anniversario della visita di Papa Giovanni Paolo II alla Repubblica di San Marino e alla Diocesi (1982-2022)

Serravalle (RSM), 28 agosto 2022

1.

40 anni fa Giovanni Paolo II faceva visita alla Repubblica di San Marino e alla Diocesi di San Marino-Montefeltro: il primo papa a metter piede sul monte Titano!
Chi era presente può testimoniare la gioia e l’entusiasmo suscitati da quell’evento straordinario. Noi, che oggi ricordiamo con gratitudine, sentiamo tutta la responsabilità del messaggio che ci ha lasciato e rispondiamo “sì” ai suoi appelli: due discorsi importanti e ampi, uno più breve, ma molto affettuoso, al momento dell’Angelus. Si è soliti citare un passaggio della sua omelia, tenuta durante la Messa qui a Serravalle: «Cari Sammarinesi, la vostra Comunità deve rimanere fedele al patrimonio ideale costruito nei secoli sull’impulso del suo Fondatore».

2.

Consentitemi di riproporre alcune chiavi di lettura del magistero di questo straordinario pontefice, a noi divenuto ancora più caro col passare degli anni e ora santo.
Anzitutto considero le sue origini. A molti era sconosciuto; al momento della elezione, sul bancone di san Pietro, lui stesso si presenta come «un uomo venuto da lontano». È il primo papa non italiano. Interrompe una tradizione di cinquecento anni. È polacco, figlio di una nazione contesa, travagliata, ricca di storia e di cultura. Giovanni Paolo II avrà molto a cuore la storia e la cultura, non solo polacca, ma di ogni nazione del continente. Proporrà nella sua visita all’ONU la stesura di una “Carta dei diritti delle nazioni”; a Compostela, nel 1992, rivendicherà solennemente le radici cristiane dell’Europa. Ha conosciuto l’antisemitismo di stato, gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, i crimini della Shoah e l’altro totalitarismo che ha segnato il secolo, il comunismo. Non c’è da stupirsi allora, se questo papa, forse più dei predecessori, ha cercato il rapporto con gli ebrei, si è speso con tutte le sue forze per superare i conflitti, è intervenuto con vigore sui fatti di società; per questo è stato definito «il papa dei diritti dell’uomo». Quale papa italiano, francese, tedesco o africano avrebbe potuto sostenere il sindacato Solidarnosc con la stessa convinzione e la stessa forza? A lui è toccato, perché polacco, il compito di superare lo status quo di una Europa divisa in due blocchi. A lui il merito di spiegarci che il comunismo è stato una parentesi della storia e la divisione dell’Europa un accidente. Solzenicyn, all’indomani del conclave del 1978 dichiarò: «Questo papa è un dono del cielo!».

3.

Quasi tutti i papi prima di lui sono entrati giovanissimi in Seminario (c’erano i Seminari minori, secondo la prassi di allora). Invece Giovanni Paolo si incammina verso il sacerdozio avendo compiuto ventun anni. Durante la guerra, appassionato di teatro, è attore. Una passione che l’ha accompagnato fin dall’adolescenza. Dedica tempo a leggere testi, a ripeterli e a recitarli, tutto questo con giovani e ragazze, amici e amiche, come lui appassionati di letteratura polacca e impegnati, sotto la dominazione nazista, a difendere il patrimonio della nazione. Queste frequentazioni, soprattutto la presenza femminile, segnano la sua maturazione. Ciò sarà determinante per la pastorale del futuro papa. All’amico giornalista André Frossard, Wojtyla confiderà di non aver mai considerato l’amore umano un problema. Si appassionerà a questo tema, l’amore umano, soprattutto nel periodo in cui è stato assistente degli universitari a Cracovia, avvicinando centinaia di adolescenti e di giovani. In piena occupazione comunista, pubblica, durante gli anni ‘50, il libro “Amore e responsabilità”. È il periodo in cui è professore di etica all’università di Lublino e a breve sarà vescovo, tra i più giovani al mondo, poi arcivescovo di Cracovia. Affronta con schiettezza temi che toccano da vicino i giovani. Ad esempio, l’egoismo maschile, un tabù che Karol contesta considerando la relazione sessuale un dono assoluto e reciproco fra uomo e donna, e non la strumentalizzazione dell’uno per la soddisfazione dell’altro. È perché crede che l’atto sessuale sia qualcosa di positivo che Wojtyla è diventato un avversario della contraccezione, tutto ciò che altera l’assoluto di questo magnifico dono è da condannare. Fino alla fine Giovanni Paolo II sarà coerente con questa posizione esigente, come ribadirà a Kampala in Uganda, nel cuore dell’Africa segnata dall’AIDS: un discorso che gli attirerà molte critiche.

4.

Da giovane sacerdote, da vescovo e poi da papa avrà un’assidua frequentazione della gioventù. Lo chiamavano “wojcik” (“zio”), un soprannome che ha facilitato rapporti, condivisioni e anche viaggi in libertà (in calzoncini) lungo i fiumi della Polonia praticando la canoa. Da papa non ha smesso di incontrare i giovani. A Castelgandolfo, d’estate, viveva momenti intensi di preghiera e di dialogo con loro, come nelle serate di Cracovia. Sono stati questi dialoghi ravvicinati a suggerirgli l’idea delle Giornate Mondiali della Gioventù. La prima volta fu per accogliere la proposta dell’ONU di dedicare l’anno 1985 alla gioventù, ma questo pretesto ha dato luogo ai grandi eventi della GMG, eventi memorabili, momenti di grazia, ma anche esperienze profonde di interiorità per i giovani protagonisti. Nei luoghi prescelti per la GMG Giovanni Paolo II affronta direttamente, di petto, i problemi di quella comunità. A Denver (1993), la prima GMG a cui ho partecipato come assistente, il tema era la vita. Qualche volta ha dovuto anche misurarsi con lo scetticismo dei vescovi. Chi avrebbe immaginato il raccogliersi di milioni di giovani attorno ad un anziano vestito di bianco che spiega, senza alcuna reticenza, ma con immenso amore, che non si devono confondere il bene e il male in momenti di poca chiarezza.

5.

Dunque, una personalità fuori dal comune, stratega politico, pastore eccezionale, globe trotter infaticabile. Ma Giovanni Paolo II è stato soprattutto un grande credente. La sua fede non è astratta, la sua religione è profondamente incarnata. Mette in ogni questione l’Uomo al centro di tutto. L’Uomo con la “U” maiuscola. Chi non ricorda quell’ «aprite le porte a Cristo, non abbiate paura». Non c’è dubbio: nella storia moderna verrà ricordato come il papa dei diritti dell’uomo, il cantore instancabile della responsabilità, della dignità e del primato dell’uomo; ma verrà ricordato soprattutto per la sua fede. Gli ultimi tempi della sua vita ne furono la rappresentazione, tanto chiara quanto commovente. Ricordiamo tutti questo anziano sofferente, affaticato, piegato in due, a cui era difficile camminare, parlare, persino benedire. Sussurri di dimissioni, smentite! Il papa comunicatore è perfettamente cosciente dell’immagine che, attraverso la tv, dà a tutto il mondo. Il mondo deve vedere che non è più il papa sportivo, che scia, va in canoa, si arrampica sui monti, che il cardinale Marty chiamava “l’atleta di Dio”. Il vecchio papa sofferente mostra e insegna che un uomo malato, disabile, allettato, è ancora un uomo. Ciò che lo rende ancora più bello e più nobile è la lezione di vita impartita fino all’ultimo respiro, al mondo intero. Un interrogativo: che risposte stiamo dando noi, la nostra Chiesa e la nostra Repubblica agli appelli di questa straordinaria guida dell’umanità, di questo santo così luminoso del nostro tempo? Conserviamo gelosamente la memoria della sua visita. Chiediamo la sua intercessione. Così sia.