Omelia nella I domenica di Avvento

Secchiano (RN), 27 novembre 2021

Ger 33,14-16
Sal 24
1Ts 3,12-4,2
Lc 21,25-28.34-36

Buon anno! Oggi inizia un nuovo anno liturgico. L’anno liturgico è come un sentiero che sale e si avvita. Questo anno liturgico si concluderà alla festa di Cristo Re del 2022. L’anno liturgico è una vera e propria scuola. Innanzitutto è una scuola di evangelizzazione, perché, se abbiamo la perseveranza di partecipare alla santa liturgia della Chiesa, ogni anno veniamo rimessi a contatto con i fatti e i detti del Signore Gesù, con il racconto della sua vita: in Avvento l’attesa del Signore; a Natale la sua nascita, l’incarnazione; poi viene il tempo della Quaresima, tempo di penitenza e di disponibilità a vivere il mistero pasquale, che celebriamo solennemente nel Triduo pasquale; poi vengono la Pentecoste e le domeniche “ordinarie”; il tempo dell’anno ci fa rivivere la vita di Gesù, quindi ci evangelizza. L’anno liturgico è il Vangelo ripresentato in forma interattiva: vi siamo coinvolti non da spettatori, ma da compartecipi. L’anno liturgico è anche scuola di spiritualità, perché vengono suggeriti via via gli atteggiamenti del cuore e dell’anima da nutrire dentro di noi. Per esempio, il tempo di Avvento è il tempo dell’attesa: «Dimmi che cosa attendi e ti dirò chi sei!». L’anno liturgico è, poi, una scuola di pastorale. A volte ci chiediamo che cosa dobbiamo fare, cosa dobbiamo organizzare. L’anno liturgico è il più bel programma pastorale che ci sia. Nell’Avvento, l’attesa invita alla vigilanza e alla preghiera: si attende così il Signore. Nella Quaresima si vive la pratica delle virtù, dell’ascesi, ecc. L’anno liturgico dà suggerimenti anche ai nostri sacerdoti: su come organizzare la catechesi e la vita della parrocchia.

All’inizio della celebrazione ho acceso la prima luce dell’Avvento (sono quattro: ognuna rappresenta una settimana del cammino verso il Natale). Domenica prossima accenderemo la seconda, e così via fino a Natale. Questo gesto dà l’idea del tempo che non va sprecato, ma vissuto bene. Tante persone, quando si arriva al Natale, dicono: «Ahimè, anche quest’anno il Natale è arrivato così in fretta che non me ne sono accorto…». Negli ultimi giorni, poi, si viene presi dalle compere, dall’organizzazione del pranzo di Natale… Cerchiamo, allora, di vivere bene questo tempo (quasi un mese) facendo tesoro, ogni settimana, dei suggerimenti e dei propositi che ci vengono dati e soprattutto della pagina di Vangelo domenicale.
Avete visto il diacono che, con una certa solennità, è venuto davanti alla “biblioteca liturgica” e ha estratto il volume dell’anno “C”. L’anno “A” è caratterizzato dalla lettura dell’evangelista Matteo, l’anno “B” dall’evangelista Marco, mentre l’anno “C” è guidato dall’evangelista Luca. Ogni Vangelo presenta sottolineature proprie. Li chiamiamo “Vangeli sinottici”, perché se li si guarda con un unico colpo d’occhio si può notare che il materiale che hanno a disposizione viene organizzato redazionalmente in modo simile.

Luca è l’evangelista che Dante Alighieri chiamava scriba mansuetudinis Christi (lo scrittore della misericordia e della bontà di Cristo); infatti, l’evangelista Luca, più degli altri, si compiace di farci vedere di Gesù l’aspetto misericordioso; è il Vangelo che narra la parabola del figliuol prodigo, che ci racconta la gioia di Zaccheo quando viene perdonato da Gesù. Nel Vangelo di Luca Gesù in croce mentre soffre terribilmente e prega continua ad amare, poi, volgendosi al ladrone, dice: «Oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43). Si può dire che questo è il centro del Vangelo di Luca. Tutti i 23 capitoli precedenti, infatti, non sono altro che preparazione perché un povero ladrone si senta dire: «Oggi sarai con me in paradiso». Luca è l’evangelista dei poveri che si affollano dietro a Gesù e chiedono aiuto. Gesù non si tira indietro. È anche l’evangelista che presenta i «poveri in spirito», cioè la categoria di credenti che confida unicamente nel Signore; la prima povera accanto a Gesù è la Madonna, che dice di sé: «Sono l’ancella del Signore» (Lc 1,38) e nel Magnificat canta il Signore che guarda «alla piccolezza della sua serva» (Lc 1,48). Nei Vangeli dell’infanzia Luca presenta tutti questi personaggi, i “poveri di Jahvè” (così vengono chiamati nell’esegesi): Zaccaria, Elisabetta, Anna, Simeone, i pastori, ecc.
C’è un punto nell’opera dell’evangelista Luca che mi preme sottolineare perché, come Diocesi, lo stiamo vivendo in modo speciale nel programma di quest’anno, ed è la connessione fra preghiera, effusione dello Spirito e missione.
Luca ci fa vedere Gesù in preghiera; pregano i Dodici e la comunità cristiana nel libro degli Atti degli Apostoli. Quando si entra in preghiera e si è davanti all’Altissimo, Lui effonde il suo Spirito, certifica che sei ammesso alla comunione con il Padre e con il Figlio suo. In preghiera ci viene dato lo Spirito e lo Spirito ci spinge ad essere missionari e testimoni; non possiamo tacere – dicevano gli apostoli – l’esperienza che abbiamo fatto.
Davanti alla Cappella del Vescovado, sull’architrave della porta di ingresso, è presente una raffigurazione dello Spirito Santo in forma di colomba. Ultimamente, prima di entrare in chiesa, guardo la colomba e penso alla Terza Divina Persona, lo Spirito Santo, che è stato effuso su di me e su ciascuno nel Battesimo e dico: «Vieni Spirito Santo». Quando partecipo ad una riunione, specialmente durante le più difficili, mi capita spesso di invocare lo Spirito Santo su chi deve parlare. Altre volte, mentre ascolto una confessione, dico: «Vieni Spirito Santo, suggeriscimi che cosa dire a questa persona… sono vuoto, non saprei cosa dire».
A volte dico: «Vieni Spirito Santo!». E lui mi pare che risponda: «Vai! Sei missionario, non avere paura, non tacere».

Facciamo ora una breve sottolineatura sul tempo dell’attesa, l’Avvento. Tempo dell’attesa. Cosa aspettiamo? Riviviamo un po’ quello che hanno vissuto gli ebrei: aspettavano il Messia. Nella Bibbia ci sono preghiere stupende: «Scendi, Signore, come rugiada sull’erba…» (cfr. Sal 72,6); «O se tu squarciassi i cieli e scendessi…» (cfr. Is 63,19). Dunque, l’invocazione: «Vieni!». Viviamo in modo forte l’attesa del popolo ebraico, ma anche tutta l’umanità è sempre stata in attesa della manifestazione di Dio. Da quando Gesù è venuto, i cristiani sanno che il Natale non è tanto la festa del “compleanno” di Gesù, anche se è doveroso ricordarlo. I cristiani aspettano il suo ritorno, perché lui ha detto che ritornerà. I primi cristiani avevano più di noi questo senso del ritorno di Cristo, a volte commettendo due esagerazioni: quella di scivolare nel millenarismo (il calcolo della fine del mondo), oppure di lasciarsi andare a causa del suo ritardo. La liturgia aiuta ad essere equilibrati. Ci ricorda la nascita di Gesù e insegna ad accoglierlo: è venuto, verrà e viene nel presente, nel nostro vissuto di ogni giorno. Allora niente catastrofismi e neppure abbandoni alla mediocrità. «Vieni Signore Gesù, voglio accoglierti».