Omelia nella I domenica di Quaresima

Novafeltria (RN), 6 marzo 2022

Incontro con gli Scout di Rimini

Dt 26,4-10
Sal 90
Rm 10,8-13
Lc 4,1-13

Delle tentazioni di Gesù scrivono gli evangelisti Marco, Matteo e Luca, ognuno di loro sottolineando aspetti diversi. Marco non dice esplicitamente l’oggetto della tentazione, non riporta il dialogo con il “tentatore”, perché preferisce indicare qual è in sostanza il tema della tentazione. Gesù è stato colmato dall’effusione dello Spirito durante il Battesimo ricevuto da Giovanni Battista. La sua umanità è piena della fragranza dello Spirito e si è udita la voce che ha accompagnato il gesto: «Questo è mio figlio, l’amato, nel quale ho posto la mia gioia» (cfr. Mc 1,11). Fatto questo, Gesù viene spinto dallo Spirito nel deserto per metterlo alla prova proprio su questo: «Sei figlio? Ti senti amato? Ti senti in compagnia? Allora puoi affrontare il deserto». Un po’ come era capitato al popolo di Israele: aveva oltrepassato le acque del mar Rosso, si può dire che era nato dalla rottura di queste acque, ha fatto l’esperienza di essere figlio, popolo generato da Dio, ma deve ancora passare attraverso molte prove: «Sei sicuro che Dio ti sta guidando? Sei proprio sicuro che lui è con te? Non senti tutto il pericolo di questo deserto? Cos’è tutta questa costruzione ideale?». Il popolo d’Israele è stato provato da queste tentazioni e il tempo del deserto, quarant’anni, è servito per interiorizzare, metabolizzare, la certezza che era un popolo generato dal Signore. Il deserto verrà poi considerato come il tempo del fidanzamento. Gesù fa lo stesso percorso.

L’evangelista Matteo colloca così le tentazioni: la prima nel deserto, la seconda sul pinnacolo del tempio di Gerusalemme, l’ultima su un monte altissimo. Matteo ha una particolare sottolineatura riguardo a Gesù come nuovo Mosè.

In Luca ci sono due particolari su cui mi soffermo: sono dettagli, ma dietro ci sta qualcosa che può aiutare la nostra vita in questo periodo. Primo dettaglio. Luca – come ho detto – ha un ordine diverso delle tentazioni: la prima è nel deserto, nella pianura, la seconda sul monte e l’ultima, la più grande, a Gerusalemme. Questo dettaglio è importante perché nel Vangelo di Luca Gerusalemme è il punto d’arrivo del cammino di Gesù ed è il punto di partenza dell’evangelizzazione. È proprio lì che avviene la prova decisiva; quella che è narrata nel Vangelo di oggi è l’anticipo, l’allusione a quella che verrà «nel momento stabilito».
Il secondo dettaglio riguarda l’ultimo versetto del Vangelo di Luca: «Il diavolo, dopo aver esaurito ogni tentazione…». Questa traduzione non rende bene, sarebbe piuttosto: «Il diavolo, dopo aver “arrotolato” la tentazione… per “srotolarla” al momento giusto». E qual è il momento giusto? Quando torna in scena il diavolo (se non personalmente, per interposta persona)? Quando Gesù è inchiodato sulla croce. Prima sono i capi del popolo, che incominciano a dire: «Se sei il Figlio di Dio, vieni giù dalla croce» (Mt 27,40). Poi, entrano i soldati che gli porgono una spugna imbevuta di aceto e anche loro ripetono: «Se sei il Figlio di Dio, facci vedere…» (cfr. Lc 23,37). Uno dei due ladroni inchiodati accanto a Gesù dice: «Se sei Figlio di Dio, salva te stesso e anche noi» (cfr. Lc 23,39). Immaginate se Gesù si fosse staccato dalla croce? Tutti avrebbero esultato, ma a noi un Gesù così non sarebbe stato d’aiuto. Come faremmo adesso a vivere le nostre prove? Gesù è rimasto fedele al disegno che il Padre aveva stabilito per lui. Il suo modo di essere Messia è “essere come noi”, per provare esattamente quello che proviamo noi, anche il dolore innocente. Questo fa grande impressione; viene da proclamare con convinzione le parole del Salmo responsoriale: «Resta con noi, Signore… nel momento della prova».
Siamo in un grande momento di prova. Anche nelle nostre famiglie si discute, si litiga, persino sul tema della pace. C’è chi pensa in un modo, chi in un altro. Come vivere questo momento?

  1. Guardiamo il crocifisso: Gesù, fedele fino in fondo, non estrae la bacchetta magica per staccarsi dalla croce: supera la tentazione.
  2. Preghiamo. A volte ci assale la tentazione: ne vale la pena? Ci ascolta il Signore? Durante la guerra nei Balcani lanciai l’iniziativa “time-out” per la pace, che prevedeva la preghiera per la pace ogni giorno alle ore 12. Come sapete, la guerra scoppiò e andò malissimo. Un giovane mi chiese perché il nostro “time-out” non era stato efficace. Ero andato in chiesa a pregare e mi aveva preso questo sentimento: «Figurati se il Signore ascolta proprio me!». Non aveva ascoltato Madre Teresa di Calcutta e Giovanni Paolo II… Questo pensiero, di per sé innocuo, mi creò un grande abbattimento. Mi aiutò un ricordo di famiglia. Mia mamma si preoccupava – sono il sestogenito – che tutti noi fratelli ci sentissimo amati allo stesso modo. Aveva molta cura per mio fratello paraplegico, che era missionario in Congo e veniva a casa ogni 3 o 4 anni; in quelle occasioni si faceva grande festa e le veniva il timore che noi ci sentissimo amati meno. Questo pensiero mi aiutò a risolvermi: «Signore, tu ascolti anche la mia voce, forse anche più di quella di Madre Teresa perché sono più piccolo». Invito a non demordere nella preghiera, a non stancarsi di pregare, anzi, a pregare fino a stancarsi. Tenere le mani alzate per la pace.
  3. Le guerre, le tensioni, sono frutto di un tessuto umano che porta alla sopraffazione, alla violenza. Creiamo un sociale diverso, cominciamo con l’essere artigiani della pace. L’artigiano ha cura dei particolari, è perseverante. Poi, fare la pace. Cominciamo col lanciare messaggi positivi, di riconciliazione, alle persone con le quali siamo in difficoltà. Un canto polifonico dice: «In tempore iracundiae factus est reconciliatio (nel tempo dell’ira è diventato riconciliazione)» (Sir 44,17). Così prepariamo un’umanità diversa.

Ognuno di voi ha un grappolo di persone che gli sono affidate: quanta responsabilità, quanto lavoro abbiamo davanti per creare un sociale di pace!
Infine, essere persone di pace: essere persone pacificate, che sanno vivere bene i conflitti; persone che comunicano speranza perché l’hanno dentro.
Auguro che lo siate tutti: è la mia preghiera per voi.