Omelia nella S.Messa di apertura della Visita Pastorale a Falciano

Falciano, 30 ottobre 2017

(da registrazione)

Cari amici di Falciano,
sono contento di essere in mezzo a voi e di restare con voi per una settimana intera. Non starò sempre in chiesa, perché il mio desiderio è anche quello di andare a far visita agli ammalati, di incontrare le persone che lavorano nelle aziende e nelle fabbriche e – perché no – di camminare per strada, un po’ come faceva Gesù, che viveva insieme alla gente annunciando la buona notizia che il Signore ci ama immensamente. Noi siamo abituati a sentire questa parola; starei quasi per dire che questo annuncio ha perso un po’ del suo smalto e della sua novità. Al tempo di Gesù il rapporto con la divinità era spesso minaccioso. Mio fratello, che è missionario in Congo, tante volte mi ha parlato delle religioni pagane che hanno di Dio un’immagine truce. Secondo loro gli esseri umani sono sotto l’influsso degli spiriti, molti dei quali sono spiriti maligni, e quando una persona si ammala dicono: «Dio l’ha voluto». Pertanto vivono sotto questo incubo. Che bella invece la notizia che Dio ci ama immensamente. Vorrei che vi stupiste sempre di questo. Lo stupore non si può produrre artificialmente dentro di sé, ma lo possiamo chiedere come grazia. Nella prima lettura Paolo dice ai cristiani di Roma (ricordo che i cristiani di Roma avevano la vita dura, perché c’era la damnatio ad bestias, cioè li mandavano nel circo come pasto per gli animali): «Il Signore ha inviato su di voi il suo spirito, uno spirito da figli» (cfr. Rom 8,15). Dio è vostro papà, addirittura potete chiamarlo “Abbà”, che è la forma vezzeggiativa della parola “padre”. Lo Spirito è stato dato perché i cristiani, una volta ricevuto il Santo Battesimo, partecipino alla vita stessa del Padre, in Gesù, con lo Spirito Santo. Che cos’è la grazia? Un dono: partecipare della vita stessa di Dio. Tutto quello che facciamo quando siamo nello splendore della grazia, è come compiuto da Gesù per mezzo nostro. Tutto ciò che facciamo viene elevato in modo soprannaturale, perché la sua grazia pervade tutta la nostra vita.
Immaginiamo di essere nella Roma antica o a Corinto, oppure ad Atene o nell’Asia Minore, i luoghi dove il cristianesimo ha mosso i primi passi. Le prime comunità erano piene di entusiasmo, di stupore, di meraviglia. I primi cristiani non erano stanchi, come tante volte siamo noi. Non erano abituati; per loro il Vangelo era frizzante. Addirittura i primi cristiani vivevano uniti tra loro, mettevano tutto in comune, si amavano reciprocamente, perché il succo del Vangelo era l’amore reciproco. Non solo, erano anche coraggiosi testimoni. Andavano al mercato, come avevano sempre fatto, andavano nei luoghi della politica, come si conveniva agli adulti, andavano a fare sport, però con dentro al cuore la gioia del Vangelo. Il clima spirituale delle comunità dei primi cristiani è stato narrato in uno dei libri del Nuovo Testamento che si chiama Atti degli Apostoli. Chi dava a questi gruppi di cristiani che andavano formandosi in tutto l’impero antico la certezza di essere uniti a Gesù? Era la presenza degli apostoli. Gli apostoli dei primi tempi, dopo che Gesù era salito al Cielo, andavano da una comunità all’altra a raccontare di Gesù. Com’era, cosa faceva, i suoi miracoli, le parabole… I cristiani avevano tante curiosità. Volevano sapere tutto di Gesù, perché lo amavano. Non erano mai sazi di sentire parlare di lui. E quando gli apostoli sono morti, la Chiesa è rimasta senza aggancio col Gesù storico, il Gesù della Pasqua e della Risurrezione? No, gli apostoli, a loro volta, hanno imposto le mani su altri che sono diventati, per la potenza dello Spirito Santo, i testimoni della Risurrezione di Gesù, i depositari delle verità cristiane. Essi avevano, soprattutto, il compito di pascere quel piccolo gregge, un gregge che è andato sempre più crescendo fino ad arrivare ai tempi nostri. Sono passati duemila anni e non è mai mancata la grazia della successione apostolica. Il vescovo Andrea, che è qui in mezzo a voi questa settimana, è il 66-esimo vescovo del Montefeltro. Ora la diocesi si chiama San Marino-Montefeltro. È stato nel VII secolo che la nostra Chiesa, a quanto si sa dalle indagini storiche, ha cominciato a vivere. Essa è di derivazione riminese: i vescovi di Rimini hanno mandato i vescovi nel Montefeltro. A Rimini i vescovi sono stati mandati da Ravenna, la nostra metropolia, cioè Chiesa madre. Ravenna è molto importante nella storia della Chiesa, perché il primo vescovo di Ravenna fu Apollinare, ordinato vescovo da Sant’Ignazio di Antiochia, a sua volta ordinato vescovo da San Pietro. Quindi noi, in qualche modo, abbiamo una ascendenza petrina. Io sono l’ultimo anello; prima di me c’è stato Luigi, prima di Luigi c’è stato Paolo, prima di Paolo il vescovo di Rimini, perché per molti anni siamo stati senza il vescovo nella nostra terra.
E cosa fa il vescovo? Per prima cosa prega per il suo popolo; la preghiera di intercessione è il suo primo compito. Guai se non lo fa. Poi guida la comunità, dà indicazioni. I sacerdoti sono suoi collaboratori. Inoltre veglia perché non vada perduta la buona dottrina.
Oggi il vescovo non è più isolato come era nell’antichità, quando aveva contatti per lo più per lettera. Oggi i vescovi si aiutano tra loro e hanno il riferimento di Pietro. Pietro è il Papa. Qual è il compito del vescovo in questo preciso momento? Incoraggiare, parlare della gioia del Vangelo. Non si accorge, il vescovo, che tanta parte della nostra società si è allontanata dalla fede? Sì, lo sa, ma vuol dirci di non temere. Quando una cellula è sana, viva, vigorosa, prima o poi cresce e si sviluppa, diventa generativa. Sono in mezzo a voi, oggi, proprio con questo scopo: darvi coraggio, dirvi di essere fieri di essere cristiani.
San Girolamo, dalmata come San Marino e San Leo, grande studioso, il primo che ha tradotto la Bibbia nella lingua del suo tempo che era il latino (fu un grande studioso dell’ebraico, lingua degli antenati) ebbe un incubo in cui gli parve di andare in cielo davanti a San Pietro che gli chiese: «Tu quis es (tu chi sei)?». San Girolamo rispose: «Christianus sum». San Pietro gli ripeté la domanda. Rispose di nuovo: «Christianus sum». Allora San Pietro gli disse: «No, Ciceronianum es», cioè «sei un discepolo di Cicerone, perché pensi solo ai libri, agli studi, al latino elegante del grande scrittore che era Cicerone».
Anche a noi il Signore chiede: «Tu chi sei?». Che bello è potergli dire: «Sono un cristiano, o Gesù, sono del tuo gruppo, sono uno dei tuoi; ne ho la certezza, me lo dice il mio cuore e me lo dice anche il mio vescovo». E io dico al Signore: «Tutti questi fratelli, dai più piccoli ai più grandi, tutti, sono cristiani, felici di esserlo». Così sia.