Omelia nella V domenica di Quaresima

Pietracuta (RN), 21 marzo 2021

Ger 31,31-34
Sal 50
Eb 5,7-9
Gv 12,20-33

Ci troviamo nel mezzo del Vangelo di Giovanni. Gli esegeti lo dividono in due grandi sezioni: la prima che comprende i sette segni, cioè i sette miracoli attorno a cui viene coagulato quello che Gesù dice e fa; la seconda è il racconto della Passione, morte e risurrezione di Gesù. Nello spartiacque è collocata questa pagina di Vangelo. L’ultimo segno, quello quasi definitivo, è stato compiuto: la risurrezione di Lazzaro, con la conclusione rammaricata dei giudei che dicono: «A costui tutto il mondo va dietro…» (cfr. Gv 12,19), mentre preparano la sua cattura. Proprio in questo momento di crisi si colloca questa pagina nella quale l’evangelista ci fa fare un tuffo nel cuore umano di Gesù. Il cuore umano di Gesù, in quel momento, è turbato (lo dirà lui stesso). Arrivano dei greci. C’erano diversi stranieri affascinati dal culto all’unico Dio: basti pensare all’eunuco che andò a Gerusalemme per il culto (cfr. At 8,26-40), a Cornelio (cfr. At 10) e ad altri personaggi che troviamo negli Atti degli Apostoli; prima di loro anche i magi, i sapienti che venivano dall’Oriente, erano in ricerca del Messia. Gesù si trova di colpo davanti ad una grande responsabilità: sta per scoccare l’ora. Varie volte nei Vangeli (almeno sette) Gesù dice: «Non è giunta la mia ora». Solo la Madonna riuscì a spostare la “lancetta”, ma fu un segno che anticipava quello che sarebbe accaduto poi: le nozze di Gesù con l’umanità. I greci vogliono vedere Gesù, anzi, alla lettera, vogliono il Gesù da vedere. Gli ebrei erano più portati ad ascoltare: erano stati educati a non farsi immagini di Dio. I greci, invece, vogliono Gesù da vedere. È probabile che gli apostoli abbiano pensato: «Che bella occasione! Signore, prendila al volo. I tuoi compaesani non ti vogliono, i giudei stanno per condannarti, ma la tua fama è arrivata anche ai lontani, ai greci. Non hai il diritto di sottrarti!».
Gesù, come gli apostoli, conosceva bene le antiche Scritture che profetavano che la missione del Messia sarebbe stata universale, per tutti i popoli della terra. Gesù, come uomo, sa che questo si compirà non come dicono gli apostoli, con la gloria umana o con i “like”. Su due piedi Gesù inventa la bellissima metafora, una mini-parabola, del chicco di grano che cade in terra; se il chicco accetta di morire nella terra, produce molto frutto, altrimenti rimane solo. Era una metafora ben comprensibile sia nella cultura ebraica che nella cultura ellenistica. Gesù è davanti al suo morire. In questa prospettiva salvifica si incammina verso la sua ora.
Non c’è nessun dolorismo: Gesù chiede a chi lo segue di mettersi nella logica del “dono di sé”. Nell’orazione introduttiva alla Messa, parafrasando abbiamo pregato così: «Signore, aiutaci a imparare da te a spendere la nostra vita, a donarla, perché siamo stati pensati, creati, voluti nella logica del dono di noi stessi e ci realizziamo nella misura in cui ci doniamo». Troviamo la pienezza svuotandoci. Guardiamo Gesù, ascoltiamo Gesù: è questa la Quaresima! Perfino le piccole penitenze che facciamo servono a ricordarci e ad esercitarci a fare della nostra vita un dono.
Quei greci per arrivare a Gesù hanno avuto bisogno della comunità: vanno da Filippo, poi Filippo va da Andrea (guarda caso due apostoli che hanno un nome greco: suppongono che sia più facile parlare con loro). Filippo e Andrea vanno da Gesù e aprono la strada: ecco la mediazione della comunità. Se qualcuno a Pietracuta vuole vedere Gesù dove va? Va ad incontrare la comunità, le famiglie, il parroco. Gesù si incontra nella Chiesa.