Buon Natale!

Rivolgo a tutti, senza alcuna distinzione, l’augurio di un buon Natale. Allo stesso modo mi dichiaro disponibile all’ascolto e all’aiuto verso chiunque. In questi giorni c’è chi sente ancor più il peso della solitudine, il disagio della povertà, il carico della sofferenza.
Il Natale è un momento che coinvolge tutti e ne godo. Sono felice che, consapevolmente o no, si renda omaggio a Gesù, il Signore. Sarà un giorno ben triste quello nel quale spariranno i segni della festa e ogni luce: allora si dovrà riconoscere che hanno sloggiato Gesù, del tutto.
Devo constatare una caduta di qualità della fede: anche il popolo cristiano sembra non sapere più cosa sia veramente il Natale e che cosa celebri. Lo dimostra l’imporsi di alcuni modi di dire: “Aspettiamo che nasca Gesù bambino… Cantiamo la ninna nanna… Gesù sta per nascere, venite adoriamo”. Espressioni ingenue e povere di fede adulta. Gesù è nato una volta per sempre a Betlemme, da Maria di Nazareth, dunque non si deve più attendere la sua nascita.
Come si celebra allora il Natale da autentici cristiani?
Si fa memoria della nascita di Gesù, del Figlio di Dio che si fa uomo (il Verbo si fece carne – Gv 1,14). A Natale i cristiani volgono poi i loro sguardi alla venuta gloriosa di Cristo perché, secondo la sua promessa, Egli ritornerà per giudicare vivi e morti. Dio sa quanto bisogno abbiamo della sua venuta e quanto forte sia la nostra implorazione in questi giorni difficili: Oh, se tu squarciassi i cieli e scendessi. O Dio, vieni a salvarci. Vieni, Signore Gesù. Erano le preghiere dei poveri, ai quali veniva ripetuto: Alzate il capo, la vostra liberazione è vicina!
Dobbiamo ammettere che questa tensione di attesa è piuttosto attenuata nelle comunità cristiane. Ignazio Silone, più o meno con queste parole, diceva: «Non vale la pena far parte di quelli che dicono di aspettare il Signore e lo attendono con lo stesso entusiasmo con cui si aspetta il tram».
Vorrei dire di più: dopo la prima venuta a Betlemme e l’attesa del suo ritorno glorioso, è Natale quando si apre il cuore al Signore Gesù, il Vivente. Nascesse mille volte a Betlemme, se non nasce in me… tutto è inutile.
Ho scritto così nel biglietto augurale: «Colpo di scena: Dio, stanco di essere studiato come fosse un libro, butta nel cestino secoli e secoli di congetture e risponde in un attimo ad ogni domanda. E la sua risposta non è fatta di parole, ma di un volto: quello di Gesù Bambino».
Gli uomini hanno vissuto e vivono una lunga ricerca di Dio. Eccolo, il Signore, si è fatto vicino. Vuoi conoscerne veramente il volto?
 
+Andrea Turazzi, vescovo
 

Omelia per la Solenne Apertura della Porta Santa

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Cattedrale di Pennabilli, 13 dicembre 2015

Sof 3,14-18
Fil 4,4-7
Lc 3,10-18
Ci siamo messi anche noi in coda come i frequentatori del Battista per varcare la Porta Santa della nostra Cattedrale. Ci troviamo, misticamente, sulle rive del fiume Giordano che, dai tempi di Giovanni ad oggi, non finisce di lambire la nostra indifferenza. Giovanni grida: il Messia è alle porte, cambiate vita! Sì, il Signore è alle porte della nostra vita indaffarata, tiranneggiata da false esigenze, dal modo di pensare mondano e da egoismi più o meno velati. In che condizioni ci trova il Messia? Un giorno Gesù rimprovererà gli indifferenti, imperturbabili sia all’annuncio di un severo giudizio, sia di fronte all’offerta di misericordia (indifferenza, indolenza ed accidia sono il nostro problema). Eppure l’appello è esplicito ed urgente: A chi paragonerò questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: «Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto» (Mt 11,16-17). Se restiamo insensibili alla voce austera di Giovanni, come potremo accogliere Colui che soavemente sta alla porta e bussa? (Ap 3,20).
Il Vangelo ci racconta di gente che si è lasciata sorprendere dalla testimonianza del Battista e che è scesa al fiume per chiedere come rendere concreta la conversione nella realtà dell’esistenza quotidiana: Che cosa dobbiamo fare? (È una lezione per noi!).
La domanda è posta dalle folle, da doganieri, da soldati mercenari. Un campionario assai vario di umanità. Luca, che spesso nel suo Vangelo presenta Gesù amico dei pubblicani e dei peccatori, ha particolare simpatia verso queste categorie di persone, le più disprezzate e le più bisognose di misericordia: le folle considerate ignoranti e fluttuanti; i doganieri ritenuti peccatori per eccellenza perché il loro mestiere li porta a compromessi con le forze romane di occupazione; i mercenari perché al soldo del tiranno di turno. Ma davanti a Dio nessuna situazione umana è pregiudizialmente esclusa (cfr. le catechesi di papa Francesco). Anzi, proprio costoro, a differenza di quanti presumono di essere “puri”, trovano misericordia e incoraggiamento. Il Battista indica per loro alcune risoluzioni: generosità fraterna, specie verso i poveri; rettitudine nel proprio ruolo professionale; mitezza, sincerità, moderazione.
Avete notato: non invita alla fuga nel deserto, né a vivere, come lui, da anacoreti, né a cambiare mestiere, né ad un’osservanza bigotta dei precetti. La conversione è qualcosa che si attua all’interno delle proprie situazioni umane e sociali. Dunque non chiede di salvarsi dalla storia (storia che possiamo ben immaginare), ma nella storia (siamo nella logica del lievito, non in quella della pasta alternativa).
La stessa domanda delle folle, dei doganieri e dei soldati la poniamo anche noi che abbiamo appena varcato la Porta Santa: «Che cosa devo fare, in questo anno giubilare?». Papa Francesco non dice che questo momento è buono, opportuno, ma che la Chiesa “ha bisogno di questo anno di misericordia” (Udienza del mercoledì, 9 dicembre 2015). E noi? E la nostra Chiesa ha bisogno di misericordia? Ha bisogno di essere illuminata circa la gravità del peccato, prendendone coscienza. Ha da farsi perdonare le disunità. Ha bisogno del perdono perché noi, suoi membri, talvolta viviamo la fede come folclore, esteriorità, tradizione senza profondo coinvolgimento del cuore (sede delle decisioni). Dalla Cattedrale alle chiese giubilari, dalle parrocchie a tutti i luoghi di preghiera vedo una “reazione a catena” di rinnovamento, vedo porte e finestre spalancate all’onda fresca e vivificante della misericordia. Misericordia accolta e poi offerta. Ma la “reazione a catena” non può che partire da me! Ognuno pensi così.
Permettete ancora una parola. La rivolgo ai miei fratelli sacerdoti. Mi succede spesso di pensare a loro viaggiando per il Montefeltro: saranno in buona salute? Avranno qualche consolazione? La casa canonica sarà ben riscaldata? Cari sacerdoti, non so se i parrocchiani vi esprimono la loro gratitudine, se vi mostrano affetto, se hanno verso di voi espressioni di riconoscenza per quello che siete e per quello che fate. So che vi siete messi a servizio per il Signore, in risposta alla vostra vocazione; non per altro. Tuttavia io vi dico il mio grazie, la mia gratitudine e la mia ammirazione. Voi siete i dispensatori della misericordia e del perdono di Dio. Quante volte, nel passato come nel presente, ho goduto per la Provvidenza di un prete che ha assolto i miei peccati e mi ha fatto sentire l’abbraccio della misericordia e la gioia del perdono. Nella Bolla di indizione del Giubileo – al paragrafo 17 – papa Francesco parla di voi. Rileggete quelle parole, vi aiuteranno ad essere «un vero segno della misericordia del Padre».
Nella domenica “Gaudete”, tutta intonata alla gioia, voglio proclamare davanti alla comunità diocesana come il vostro sia ministero di gioia per noi e per tutti (cfr. 2Cor 1,24). E come sia gioia per il Signore che fa festa in cielo per un solo peccatore che si converte (cfr. Lc 15,7)!

Omelia per la III Domenica di Avvento

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Maciano, 13 dicembre 2015

Sof 3,14-18
Fil4,4-7
Lc 3,10-18
La liturgia ci propone giorni di attesa, giorni segnati dall’invito alla gioia. È solo augurio? Contentino per il nostro cuore assetato? Sono giorni d’auguri e di canti natalizi… tanti applausi e buoni sentimenti. Grandi alberi di Natale nelle piazze… La gioia del Natale è solo atmosfera?
Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! (Fil 4, 4-5). Si può precettare la gioia? Non è forse un sentimento spontaneo? Oggi, in tempo di crisi, i motivi di gioia scarseggiano, ma non mancano del tutto, anche se appaiono fragili come giocattoli che si rompono subito o come profumi che svaporano in fretta. Gioisca chi può! I motivi di tristezza sembrano prevalere. La tentazione ricorrente è di lasciarsi cadere le braccia, un gesto istintivo che tradisce un pensiero nascosto, ma che si fa palese: non c’è speranza, non ne vale la pena… Basta aprire il giornale: la persistente minaccia alla pace, l’angoscia del terrorismo in agguato, i risultati piuttosto modesti, secondo alcuni, deludenti della conferenza di Parigi sul clima e, in casa nostra, la crisi di importanti istituti bancari che mette in crisi i piccoli risparmiatori.
La disperazione fu la tentazione che mise alla prova gli ebrei in cammino verso la terra promessa. Accadde quando l’acqua e il pane vennero a mancare: Il Signore è con noi, – protestavano – sì o no? Nella Parola di Dio non mancano gli avvertimenti e persino le minacce per provocare la conversione, ma più frequenti sono gli inviti alla gioia. Al di là della parola stessa, che ricorre 225 volte nell’Antico Testamento e 72 nel Nuovo, la gioia attraversa come in filigrana tutta la Scrittura. Il motivo della gioia è il Signore, la sua prossimità, la sua alleanza, il suo amore sponsale… Per questo si canta: Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio (Is 61,10). Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento (Sal 4,8). Esulto di gioia all’ombra delle tue ali (Sal 63,68). Nel Nuovo Testamento la gioia si manifesta incontenibile. Tutta la vicenda di Gesù è Vangelo: buona notizia! La religione cristiana è la religione della gioia e ogni persona che segue Cristo ne è messaggero. Qualche settimana fa un giovane professore di filosofia mi parlava del rapporto scienza–fede e, incalzato dalle mie domande, mi confidava il rapporto che, all’interno dell’università, ha con i colleghi non credenti: «C’è chi fa onestamente la sua ricerca, non crede e resta serio. Io – concludeva l’amico professore – al termine della mia ricerca dico: Dio esiste. E sorrido»! La gioia è il dono che il Cristianesimo fa al mondo.

Periodico Montefeltro dicembre 2015

Omelia Veglia per la vita nascente

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
2 dicembre 2015

Is 49, 1-6.13-16
Lc 1,39-55

Si affollano i pensieri mentre già si accendono le prime luci del Natale e intasano la mente e la penna. Quante cose vorrei scrivere e dire… e con quanto calore! Cose dell’anima naturalmente, come la vertigine davanti a un Dio che si fa cucciolo di uomo e la considerazione dei carissimi destinatari di questi miei pensieri, specialmente delle mamme in dolce attesa.
La pista più sicura è tracciata dalla Parola di Dio (e da dove, se non da qui, prendere l’avvio?). Questa sera la Parola di Dio racconta la vocazione del profeta Isaia chiamato, plasmato e inviato fin dal seno materno…  e, come ogni bambino, disegnato in modo indelebile sul palmo delle mani del suo Creatore. Ci potrebbe essere chi lascia cadere nell’oblio il frutto del grembo, ma non certo il Signore: «Io, invece, – assicura –  non ti dimenticherò mai».
Il Vangelo narra l’incontro fra due donne in attesa d’essere madri: Maria ed Elisabetta. Due santuari; due grembi carichi di terra, di cielo e di futuro. Come il grembo di ogni mamma.
«Benedetto il frutto del tuo grembo», cioè, «benefico agli uomini sia il frutto del tuo ventre», esclama Elisabetta a Maria. È il saluto per ogni donna che sta per diventare mamma. Gesù è un frutto unico, eppure tutti i nati da donna sono, come lui, benedizione. Per questo festeggiamo i bimbi che vengono al mondo, le loro mamme e i loro papà.
Il Vangelo dice che Giovanni, concepito da Elisabetta, danza nel grembo materno pieno della gioia di vivere, per una vita che gli dà, sin d’ora, d’incontrare il Signore. È stato chiamato dal nulla all’essere, ad una pienezza di essere.
Torno al racconto evangelico, anzi alla corsa veloce con la quale Maria va, attraverso i monti di Giudea, ad incontrare la cugina Elisabetta: «In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda». Il tema della sollecitudine e della corsa ricorre più volte nella Scrittura. I pastori andarono in fretta a Betlemme «e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia» (Lc 2,16). Così i primi discepoli, chiamati da Gesù, «subito presero a seguirlo» (Mt 4,20). A Zaccheo il Signore grida: «Scendi subito» (Lc 19,5). «In gran fretta» Pietro e Giovanni corrono al sepolcro il mattino di Pasqua, quasi una gara (cfr Gv 20,4). Per essere discepoli è necessaria la sollecitudine. Viene chiesto di correre. Il salmo ci fa cantare: «Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore» (Sal 119, 32). Non è certo per la fretta imposta dai ritmi di questo mondo sempre più stressanti. La fretta evangelica non ha altro agente che l’amore. È l’amore che tiene desti ed è essenzialmente movimento. L’amore attira con forza e soavità e, parimenti, lancia in avanti!
Il nostro riunirci, questa sera, ha il carattere della gioia e dello slancio: gridiamo al mondo il vangelo della vita. Giusto vent’anni fa, Giovanni Paolo II consegnava a noi e a tutti gli uomini di buona volontà, una delle sue più belle encicliche, l’Evangelium vitae. All’inizio di questa veglia abbiamo chiesto la grazia della conversione dei cuori, riconoscendo i peccati contro la vita nascente. La chiudiamo facendo nostro il canto del Magnificat, il canto sbocciato sulle labbra della fanciulla di Nazaret, che loda il Signore per le grandi cose che ha fatto in lei, con uno sguardo sulla vita e sulla storia che sorprende, perché assolutamente aperto e per nulla intimista.
Ci proponiamo di parlare bene della vita e, soprattutto, di proclamare «fortiter et suaviter» la prima delle pagine del Vangelo: la Natività!

 

Giornata della pace 2016

La politica del lunedì

Riflessioni e dialogo su Giorgio La Pira