Natale 2021

Buon Natale! Con queste semplici parole evochiamo un avvenimento straordinario e tuttavia caro e familiare: la nascita di un Bambino, «grande gioia che è di tutto il popolo».
È così per la nascita di ogni bambino, ma di Gesù la fede insegna l’origine divina e la missione salvatrice. Gesù è di tutti, è per tutti, è con tutti.
Il vigore del suo messaggio di amore e di pace si rinnova ogni anno, ma non nega le fatiche che sembrano volerci togliere la speranza. Non siamo di quelli che celebrano il Natale per dimenticare o per evadere dalle preoccupazioni che segnano questi nostri giorni o per fingere che non ci siano problemi attorno a noi e dentro di noi.
Auguro a tutti di saper ascoltare, come fosse la prima volta, «il grido nella notte e vedere la luce apparsa nelle tenebre». Un grido che i padri e le sentinelle della storia hanno ascoltato e trasmesso prima di noi.
Al di là di una effimera emozione, al di là delle pur belle tradizioni esteriori, propongo di ascoltare l’incredibile messaggio del Natale, del Dio per noi, con noi e in noi.
Sorprende un passo del profeta Isaia che viene proclamato il giorno di Natale: è un invito al canto e alla lode: «Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme». Come possono le “rovine” trovare motivi di canto e di gioia? Siamo segnati da fallimenti, distacchi, dispiaceri, preoccupazioni…
Il fatto è che il Bambino di Betlemme – il Verbo fatto carne – è venuto a prendere per salvare e riscattare ciò che è suo, perché «tutto ciò che esiste è stato fatto per lui e in vista di lui»; si è coinvolto nella nostra fatica di esistere per ridonare a tutti la certezza che qualcosa può cambiare, anzi che tutto può cambiare, e per darci questa speranza come compagna di viaggio. Egli cammina davanti a noi e noi – dietro a Lui – siamo carovana di fratelli che si aiutano per le inquiete strade della terra. Abbiamo intelligenza, cuore e ginocchia. Intelligenza per cercare verità e vie sempre nuove, cuore per non lasciare indietro nessuno e comprenderci di più, ginocchia per pregare gli uni per gli altri, per chiedere aiuto a Colui che ci è vicino. Dipende da ciascuno di noi se oggi è Natale o non è Natale. Il Bambino Gesù si consegna a noi: lasciamolo entrare nella nostra casa, nella nostra vita, là dove realmente ci troviamo.
Auguri: è Natale!

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Comunicato dopo l’esito del Referendum sulla depenalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza

Pennabilli, 27 settembre 2021

Avevo concluso così il mio ultimo messaggio prima del Referendum (23 settembre ndr): «Cerco amici per riorganizzare la speranza. Tutti sono invitati». Confermo l’invito per un rinnovato impegno verso la vita: subito, sempre, con gioia.
Adesso viene il momento della coerenza: non con dichiarazioni o proclami, ma con un fattivo impegno.
Accolgo e invito a far circolare le testimonianze di aiuto alle donne e alle famiglie e ad esprimere vicinanza a chi ha vissuto il dramma dell’interruzione volontaria della gravidanza: è uno spazio di sofferenza che ci unisce e ci provoca.
Ringrazio chi si è impegnato in questa campagna ed ha speso tempo, intelligenza, cuore; sia chi l’ha fatto per un profondo senso religioso della vita, sia chi l’ha fatto alla luce della ragione. Per gli uni e per gli altri resta inaccettabile che vi siano mani che sopprimono un germoglio già pieno di vita nel grembo.
Quanto accaduto ci coinvolge in campo educativo per un’etica della responsabilità, che non prevede scorciatoie né facili pendii, per orientare al meglio le giovani generazioni.
Rimane una domanda aperta: a quanto saranno serviti dibattiti, confronti, riflessioni se solo una percentuale minima di Sammarinesi si è espressa col voto?
Ora la parola passa al Legislatore. Auspico l’offerta di un quadro legislativo di vero aiuto alla donna, di tutela della vita e di accoglienza dell’obiezione di coscienza.
Ci sarà una legislazione diversa dall’attuale; si dà una libertà che prima non era prevista. Spero non sia un incentivo ad una prassi abortiva, ad una leggerezza nelle decisioni e, come ha detto papa Francesco questa mattina alla Pontificia Accademia per la Vita, «ad una bruttissima abitudine ad uccidere».
Rilancio, appoggio, esorto tutti alla collaborazione con l’Associazione sammarinese Accoglienza della Vita e con l’Associazione Papa Giovanni XXIII. Do appuntamento fin d’ora alla “Veglia per la Vita nascente” lunedì 29 novembre: quest’anno avrà un coinvolgimento particolare e verrà celebrata a San Marino. Nei prossimi giorni si valuteranno altre proposte di impegno per la vita.
Auguro che ognuno sappia cogliere l’occasione per un’ulteriore riflessione sul valore della vita.

Comunicato stampa – Il Vangelo della vita

Messaggio del Vescovo Andrea in vista del Referendum sulla depenalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza nella Repubblica di San Marino (26 settembre 2021)

Il Vangelo della vita

Senza se, senza ma, senza forse, siamo per l’accoglienza della vita. E non è per difendere un principio astratto, ma per accogliere una persona: tale è il concepito, benché fragile e indifeso.
Siamo dalla parte della mamma e del futuro papà; in particolare non vogliamo che la donna sia lasciata sola né prima, né dopo la nascita del suo bimbo. Nella maternità risplende in modo mirabile la sua bellezza. L’interruzione volontaria della gravidanza non è mai senza conseguenze per la donna, a motivo del legame unico e sublime con la creatura che porta in grembo. Crediamo che nessuna donna affronti l’aborto a cuor leggero; è sempre un dramma: non vogliamo lasciare nulla di intentato per trovare alternative. Dobbiamo far sì che mai più una vita non sbocci per insicurezza, sfiducia, solitudine, mancanza di custodia e di tutele o per motivi economici.

Tante cose sono state dette in queste settimane, talvolta con toni accesi. Ci siamo ascoltati profondamente? La posta in gioco è davvero alta, ma questo non giustifica la rissa. Ed ora come vivere questi ultimi giorni di riflessione e di raccoglimento? Come vivere l’occasione del voto?
Mettere la propria scheda nell’urna è un diritto-dovere, partecipazione al cammino della comunità, nel segreto della coscienza, in totale libertà. È un gesto importante, un atto d’amore, un’opportunità per ripensare il valore della vita, dell’esserci e del non esserci, per renderci conto dello spessore di questo dono. Per sé e per gli altri.

Oggi, col progresso delle scienze, con i mezzi a disposizione, con la crescita del senso sociale, si può fare davvero tanto per accogliere la vita nascente. L’indice di sviluppo di una società, crediamo, non si valuti tanto con l’economia, ma con il rispetto dei diritti di tutti, a partire da chi è fragile, indifeso, nascituro.

E verranno i giorni del dopo-referendum. Qualunque sia l’esito, ci impegneremo con coerenza per testimoniare il Vangelo della vita, per una cultura ed una politica favorevoli alla famiglia, per un sussulto di consapevolezza e di responsabilità. Cercheremo amici per riorganizzare la speranza. Tutti sono invitati.

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Messaggio del Vescovo Andrea per la Giornata per la Vita

Io c’ero

All’indomani della promulgazione della Legge 194 del 1978, che legalizzava in Italia l’aborto, si è sentita la spinta da parte di molti di organizzare un referendum abrogativo. All’epoca ero un giovane prete e, con un gruppo di ragazzi e con un notaio, andavo nella campagna ferrarese a raccogliere adesioni.
Non si raggiunse il risultato sperato. Ma si avvertì da parte di tutti l’urgenza di un’azione educativa: la Giornata per la Vita ne divenne un segno.

Il Vangelo della vita

L’avanzare della cultura individualista e dello “scarto”, il calo delle nascite, le difficoltà economiche, le politiche sfavorevoli alla famiglia, hanno portato la comunità cristiana ad una maggiore presa di responsabilità ed a gridare, «opportune et importune», la buona notizia della vita.
Anche oggi può succedere di sentirsi come dei piccoli Davide alle prese con il gigante Golia della cultura dominante. Qualcuno abbandona il campo: «È un confronto impari!». Qualcun altro conferma la sua personale testimonianza: ottima cosa, ma non sufficiente. Vi è, infatti, un’animazione culturale da perseguire, che scaturisce da convinzioni profonde e da scelte esistenziali da condividere con tutti.

Scendere in campo

Siamo consapevoli che la vita è umana fin dal suo concepimento; che ogni vita umana ha valore infinito e va accolta e difesa; che responsabile della vita nascente non è solo la madre, ma insieme la madre e il padre.
La mentalità della cura e dell’accoglienza mobilita anche la comunità attraverso la partecipazione, con adeguate proposte educative e con le risorse della solidarietà.

La 43° Giornata per la Vita

Il discorso si allarga… È quello che si fa anche con la Giornata per la vita. Una giornata… ma è per tutto l’anno!
Dispongo che venga celebrata con rinnovato slancio in ogni parrocchia e in ogni comunità. Con l’aiuto di un sussidio preparato dagli Uffici per la pastorale familiare e per la pastorale sociale, ci mettiamo in ascolto del Messaggio della CEI per la domenica del 7 febbraio: «Libertà e vita», accompagnati dalla preghiera di lode per il dono della vita, dalla implorazione di aiuto per le coscienze, dalla richiesta di perdono per i nostri egoismi e le nostre chiusure.

Scarica il Sussidio preparato dagli Uffici per la pastorale familiare e per la pastorale sociale

 

Discorso di ringraziamento ai medici, agli infermieri e agli operatori sanitari dell’Ospedale di Stato della Repubblica di San Marino

Cailungo (RSM), Ospedale di Stato, 2 luglio 2020

Rivolgo un doveroso ringraziamento ai dirigenti dell’Ospedale di Stato della Repubblica di San Marino per aver accolto il mio desiderio di questo incontro. Saluto cordialmente la Reggenza e le Autorità presenti, saluto i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari e quelli della Protezione Civile. Saluto il Cappellano, le suore e tutti i volontari che, a vario titolo, si sono messi a disposizione.
Nel corso di questi mesi così travagliati vi siete applicati a fronteggiare l’emergenza sanitaria con generosità e impegno. Siete stati un segno visibile di umanità che scalda il cuore. Nel turbine di un’epidemia con effetti sconvolgenti e inaspettati la vostra presenza affidabile ha costituito un punto di riferimento, prima di tutto per gli ammalati, ma anche per i famigliari che, non avendo la possibilità di far visita ai loro cari, hanno trovato in voi altre “persone di famiglia”, capaci di unire la competenza professionale con quelle attenzioni che sono concrete espressioni di amore. I pazienti hanno sentito spesso di avere accanto a loro – prendo le parole di papa Francesco – «angeli che li hanno aiutati a recuperare la salute e nello stesso tempo li hanno consolati, sostenuti e, qualche volta, accompagnati fino alla soglia dell’incontro finale con il Signore». Ci sono stati momenti e casi nei quali avete testimoniato la vicinanza di Dio a chi soffre, siete stati silenziosi artigiani della cultura della prossimità e della tenerezza; oltre che con la somministrazione di cure importanti, talvolta avete saputo essere vicini con piccoli segni – ma non per questo meno importanti – come una carezza, il passare un cellulare… Tutti gesti che dicono umanità. Questo ha fatto bene anche a noi, noi nella società civile, costretti alla lontananza precauzionale e contenitiva. Adesso è il momento in cui fare tesoro di tutta l’energia positiva che è stata investita, una ricchezza che in buona parte può e deve portare frutto per il presente e il futuro delle nostre Istituzioni di Sicurezza Sociale. Questo richiede l’impegno, la forza e la dedizione di tutti. Possiamo dire che tante sono state le testimonianze di amore generoso e gratuito che hanno lasciato un’impronta indelebile nella coscienza e nel tessuto della società, insegnando quanto ci sia bisogno di vicinanza, cura, sacrificio per alimentare la fraternità e la convivenza civile. Tutto questo non da soli, ma insieme e con la grazia di Dio. Come credenti ci spetta di testimoniare che Dio non ci abbandona, ma dà senso anche a questa realtà e al nostro limite e che con il suo aiuto possiamo affrontare le prove più dure. Dio ci ha creato – così insegna la fede cristiana – per la comunione con lui, per la fraternità tra noi ed ora più che mai si è dimostrata illusoria la pretesa di puntare tutto su se stessi, facendo dell’individualismo il principio guida della società, di fronte alla grande lezione di solidarietà e di vicinanza. Appena passata l’emergenza potrebbe succedere di scivolare e ricadere in questa illusione: «Chi fa da sé, fa per tre». Abbiamo visto che abbiamo bisogno gli uni degli altri, di qualcuno che si prenda cura di noi, che ci dia coraggio. Può succedere anche che ci dimentichiamo che abbiamo bisogno di un Padre, il Signore Dio, che ci tenda la mano. Pregarlo, invocarlo, non è illusione; illusione, semmai, è pensare di farne a meno. La preghiera è l’anima della speranza.
Ho ricevuto un biglietto da un amico africano che mi esprimeva tutta la solidarietà del suo popolo. «Noi capiamo bene quello che vivete – mi ha scritto –, perché noi lo viviamo sempre». È stato come ricevere un cazzotto. Ci sono milioni di persone che soffrono per la fame, un miliardo per la sete. Io vivo nella parte Nord del pianeta, quella parte che pensava che tutto andasse bene, che non potesse succedere una cosa di questo tipo. Ricordo benissimo la telefonata al signor Segretario di Stato la domenica sera in cui ho ricevuto il protocollo che chiedeva la chiusura delle chiese e delle scuole e la richiesta di eventuali ambienti per ospitare ammalati. Come tutti voi, ho provato spavento e, insieme, ho sentito di essere un corpo solo con gli altri e solidale con il pianeta. Fino a quel momento credevo di essere (e me ne vantavo) «un sano in un mondo malato»…
Vi ringrazio. Vorrei non sentiste l’espressione della mia gratitudine come una formalità. Mi è dispiaciuto non aver potuto fare visita agli ammalati. Ma ci siamo fatti presenti agli ammalati attraverso tanti di voi medici, infermieri, operatori sanitari. Nei giorni precedenti la Pasqua ho consegnato un cartoncino-preghiera che penso sia arrivato sul comodino dei pazienti per aiutarli a «fare Pasqua». Grazie davvero. Concludo dandovi la benedizione del Signore.
La parola “benedizione” significa “dire bene”: dico bene di voi, dico bene del nostro Ospedale e, in un certo senso, dico bene anche di questa esperienza che tanto ha insegnato sul piano della solidarietà e della preghiera.
In quei giorni chiesi ad un tecnico che andava per le case a riparare gli elettrodomestici: «Cosa fa la gente chiusa in casa?». Erano le prime settimane di lockdown. Mi ha risposto: prega. Abbiamo imparato la solidarietà, ad essere più sapienti, ma anche a pregare. Ripeto: la preghiera è l’anima della speranza.

Messaggio per la Pasqua 2020

“Gente di Pasqua”

Auguri vivissimi a tutti. È una Pasqua diversa: senza lo scambio di abbracci e strette di mano, senza grigliate sulla spiaggia e senza gite fuori porta. Si celebra nella propria casa, trincerati a dispetto di una primavera che non si è mai vista così scintillante. Una Pasqua senza Messa. C’è chi ne patisce per davvero perché non la sente come una semplice tradizione: gli manca quel “Pane” che dà forza e coraggio per il cammino. Tutti abbiamo bisogno dei riti. I riti uniscono, rinsaldano l’identità, educano il desiderio e l’attesa. Ve lo dico con le parole che Antoine Saint Exupery mette in bocca al piccolo principe: «“Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe. “Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore”». C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza”».
Le campane di San Marino e del Montefeltro suoneranno a festa e canteranno “Alleluia” a dispetto del virus che ci ha messo in croce.
Non ci stanchiamo di ripetere la gratitudine per chi è in prima linea: medici e infermieri, gente dell’informazione e gente della speranza (i miei preti e le mie suore), autorità e forze dell’ordine, impiegati e semplici cittadini. Questi ultimi tra i più importanti protagonisti con l’arma decisiva a disposizione: stare a casa!
Ho un sogno grande: so che nella preghiera può realizzarsi. Vorrei salissimo insieme al sepolcro, dove era deposto Gesù, per rivivere lo stupore e la gioia delle donne e dei primi discepoli nell’apprendere che è risorto. «Non è qui. È vivo!».
Vorrei stringere forte la mano di chi è in cammino ma esita, perché si trova in un momento di buio, di chi non ha speranza ed in cuor suo ha già detto «basta!». Ci sono momenti della vita nei quali non si vedono alternative. C’è chi sulla soglia del sepolcro ha già dovuto affacciarsi e vi ritorna piangendo. Ma, proprio lì, il dono inatteso. Dall’oscurità alla luce: «Io sono con voi – dice il Risorto – tutti i giorni» (Mt 28,20).
Nei racconti pasquali, secondo quanto riferiscono i Vangeli, ritorna più volte il verbo “correre”: corre Maria di Magdala, corre Giovanni, corrono insieme Giovanni e Pietro. C’è tanto movimento attorno a quel sepolcro vuoto. Ma c’è anche chi è perplesso, dubita, si interroga. È davvero grande e incredibile quello che è successo la mattina di Pasqua!
È indispensabile per i cristiani del terzo millennio tornare alle radici della fede e dare solidità ad essa: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?».
La risurrezione di Gesù è il Big Bang della fede cristiana: nei primi istanti ha messo in moto poche persone, ma una quantità smisurata di energia. I primi cristiani capivano che era successo qualcosa di indicibile. Poi, di anno in anno, di secolo in secolo, fino ad oggi, tante persone sono state coinvolte in questo annuncio di fede che continua, inarrestabile, ad espandersi sulla terra. La risurrezione di Gesù è un messaggio in espansione, una notizia che vuole raggiungere tutti e dare speranza particolarmente noi, in questi giorni di “Coronavirus”. Noi: gente di Pasqua!

+ Andrea Turazzi

Saluto del Vescovo ai Capitani Reggenti in pellegrinaggio alla Basilica del Santo Marino

San Marino Città (RSM), Basilica del Santo, 1° aprile 2020

Eccellentissimi Capitani Reggenti,
rinnovo il mio augurio per il vostro mandato.
Mi ha fatto particolarmente contento questo vostro pellegrinaggio alla Basilica del Santo Marino. So che siete passati davanti alla sede della Protezione Civile e poi farete sosta all’Ospedale di Stato: tutti luoghi che ci richiamano alla responsabilità necessaria per la grave epidemia che si è abbattuta anche sulla nostra Repubblica. Papa Francesco l’ha paragonata ad una tempesta!
Permettetemi di citare alcune parole del Papa: «La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende e i nostri progetti… La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità» (Papa Francesco, Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, 27 marzo 2020).
L’anima del nostro popolo sammarinese e le sue radici sono una sintesi, forse unica, sicuramente originale, di come la dimensione religiosa e la dimensione civile possano coesistere, dando vita ad una comunità capace di esprimere, in forza di questa sintesi, il massimo di rispetto della persona e di democrazia.
Le nostre istituzioni, e la Reggenza in particolare, portano nella loro forma e nella loro sostanza questa impronta. Questa è la prima risorsa da recuperare per la ricostruzione.
Chiediamo l’intercessione del nostro Santo Fondatore. Andiamo avanti insieme verso il futuro, ben piantati sulle antiche radici.

Preghiera presso il cimitero di Pennabilli

27 marzo 2020

1.

In questi giorni di epidemia le nostre comunità cristiane si adeguano responsabilmente a quanto chiedono le autorità, ma non rinunciano a vivere meglio possibile il messaggio del Vangelo ed a testimoniarlo, oggi anche con la visita ai cimiteri. Un’opera di misericordia. Sono qui nel campo santo di Pennabilli, la città vescovile centro della Chiesa particolare di San Marino-Montefeltro. Ma idealmente varco la soglia di tutti i cimiteri della Diocesi per fare una preghiera di suffragio, specialmente per quanti sono morti a causa del Coronavirus.
Sono qui per sentire il respiro della Chiesa intera: Chiesa che è nello stato di purificazione, Chiesa dei beati che sono già nella luce e nella festa del Cielo, Chiesa di noi che siamo nel tempo dell’esodo e della lotta. Non tre Chiese, ma un’unica Chiesa corpo mistico del Signore e sua sposa.
Son qui per compiere un gesto di misericordia verso chi ci ha lasciato senza poter dare un ultimo saluto ai suoi cari, senza quella stretta di mano che fa sentire vicinanza e “compassione”, senza un rito funebre nel quale le famiglie, gli amici e la comunità esprimono la loro pietà.
Infine, sono qui anche per promettere che – quando la prova sarà superata – renderemo loro onore insieme ad una preghiera corale di suffragio.

2.

La pandemia mette in crisi quella supponenza che può tradursi in dimenticanza della nostra fragilità fino a nascondere la morte. Come discepoli di Gesù crediamo nella risurrezione e in forza di questa nostra fede attendiamo la vita eterna senza confonderla con la pretesa e l’illusione di essere immortali. Come creature siamo mortali e la morte, unitamente alle tante morti che dobbiamo attraversare nella vita, è parte integrante della nostra umana avventura. “Memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris”. In questo momento in cui tanti si rendono conto, quasi improvvisamente, di essere mortali, come Chiesa, insieme e pubblicamente, abbiamo un messaggio da testimoniare e da trasmettere in forza del nostro Battesimo e del mandato ricevuto da Gesù (cfr. Mt 28,19-20).

3.
L’annuncio della speranza cristiana si fa ancora più urgente e forse persino più udibile e atteso dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle in umanità.
È il momento di una testimonianza discreta e appassionata della “speranza” che ci abita e ci anima (cfr. 1Pt 3,15).
Con questa consapevolezza diventeremo capaci di quell’ottimismo che è l’unico ad essere alla portata della nostra umanità.
Annunciare il Vangelo della vita comporta la capacità e il coraggio di stare dentro la sofferenza e persino la morte. La morte è chiamata nella liturgia “dormizione”, e i luoghi dove i morti dormono in attesa della risurrezione sono chiamati “cimiteri”, cioè “dormitori”, ma si deve considerare che la serenità della nostra morte è frutto della “dura morte” del Signore Gesù che l’ha vissuta non come liberazione dalla vita, ma come dono per affermare che l’amore è più forte della morte.
San Paolo nella Prima lettera ai Tessalonicesi – il primo scritto del Nuovo Testamento – scriveva: «Non vogliamo fratelli lasciarvi nell’ignoranza circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo, infatti, che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui. Questo vi diciamo sulla parola del Signore… Confortatevi dunque a vicenda con queste parole» (1Tes 4,18).
In questa esortazione c’è compassione e c’è fede. Del resto, la liturgia cristiana non conosce lacrime, se non lacrime asciugate.

Fattiva collaborazione per il bene comune

È Quaresima inoltrata. Per i cristiani è il tempo del loro esodo: un cammino reale che li sottopone, come tutti, ad una prova che purifica la loro fede e la loro azione. C’è chi immagina un Dio che dovrebbe fare esattamente quello che ci si aspetterebbe da lui, ossia sconfiggere il male in un baleno, ma è una figura costruita sui propri bisogni.
La realtà ci sta mettendo davanti al Dio vero, quello della Rivelazione biblica: un Dio che ascolta il grido di Israele e fa udire la sua voce a Mosè; spinge il popolo a mettersi in cammino, mentre lui cammina con loro, e apre il mare al suo passaggio. Ma in fondo questo Dio non piace, perché costringe chi vuole conoscerlo davvero ad andare nel deserto dove non c’è il cibo dell’Egitto, l’acqua scarseggia e i serpenti sono una minaccia reale. Affrontando la prova il popolo diventerà adulto. Dunque, non una fede in un Dio “tappabuchi”, né una fede miracolistica, ma una fede come abbandono fiducioso e coraggio intraprendente fino al dono di sé. Riprenderemo, poi, le attività e il servizio pastorale come discepoli più maturi.
Da oggi si aggiungono restrizioni ulteriori sui luoghi di culto. Decisione presa dalla Repubblica di San Marino con Decreto-legge n.52 del 20/3/2020, art.1 n.1.r.
Motivazione: ragioni di prevenzione e di contenimento del contagio.
Una decisione così radicale sta suscitando reazioni comprensibili: la rivendicazione del libero esercizio del culto e la possibilità della “chiesa aperta” come segno di speranza (anche se, di fatto, non si dovrebbe andare in chiesa per le limitazioni di movimento già stabilite). Reazioni degne di rispetto. Occorre, però, riflettere senza spinte emotive e riconoscere che la situazione che le autorità son chiamate a governare è di una complessità mai vista, della quale possiamo cogliere solo alcune evidenze. Non spetta alla Chiesa, ma allo Stato legiferare in ordine alla salute pubblica.
È questo e soltanto questo il piano sul quale si devono assumere decisioni circa l’accesso ai luoghi di culto, senza richiamare principi che sanno tanto di ideologico. Prudenza e cautela sono per i cattolici, anzitutto, ossequio alla loro coscienza. In tempo di emergenza come quello presente la comunità cristiana sa trovare vie nuove per adorare Dio «in spirito e verità» e per esprimere fraternità solidale, come già sta cercando di fare.

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Per la riflessione sull’emergenza “Coronavirus”

5 marzo 2020

Carissimi,
la prima goccia d’inchiostro la voglio tutta piena di una certezza: il Signore ci è vicino, vive con noi e ci sostiene in questo momento così particolare.
La fede è dono, ma anche decisione e coraggio. Decisione che il credente prende a ragion veduta, coraggio che lo rende forte. C’è, invece, chi attribuisce la sua vita e gli avvenimenti, belli e brutti, al destino; c’è chi collega alle circostanze fortuite l’amore che ha cambiato la sua vita o al caso il prodigio di una nascita. La fede aggancia passato, presente e futuro ad un progetto d’amore più grande: non subisce il tempo e gli avvenimenti, ma vede in essi un appello. Più che mai la fede è una risorsa per questi giorni difficili. L’epidemia “Coronavirus” rende da una parte evidente la nostra fragilità, ma ci spinge a tirar fuori il meglio di noi: l’ingegno, la solidarietà, la creatività. Ho visto in questi giorni la dedizione e l’impegno di tante persone per il bene della comunità, credenti e non credenti (amministratori, medici, infermieri, volontari della Protezione civile, ecc.). Tutti uniti: l’antivirus della fraternità.
Stiamo sperimentando l’interdipendenza che ci lega tutti; in questo senso il contagio costituisce una severa lezione. Sentiamo di più l’unità familiare, nazionale, internazionale. Traiamo profitto da questa consapevolezza, una consapevolezza da tenere presente anche per il dopo. Intere popolazioni sul pianeta soffrono periodicamente di epidemie e sofferenze.
I comunicati stampa, i messaggi e i decreti che si susseguono creano, talvolta, disorientamento a seconda delle interpretazioni. C’è chi le legge con rigore e chi a modo suo. Invito i miei principali collaboratori, i sacerdoti, a fare proprio quello che le autorità civili e sanitarie domandano.
Facciamolo anzitutto come risposta alla nostra coscienza che ci impegna al bene comune: la salute di tutti.
Alle nostre comunità, riconosciute più che mai realtà aggreganti e significative, vengono chieste delle restrizioni che toccano momenti celebrativi importanti come i Battesimi, le Esequie, le benedizioni pasquali alle famiglie e soprattutto la S. Messa. Si è costretti ad una sorta di “digiuno eucaristico”. Oltre alle restrizioni in campo liturgico, sono da considerare la sospensione della catechesi e della vita dei gruppi. Sostegno e informazioni sono assicurati dal sito diocesano e da altre forme di comunicazione da parte delle parrocchie. C’è chi ne soffre, c’è chi si sente più povero, c’è chi protesta. Ma questa momentanea privazione accrescerà il desiderio, purificherà dall’abitudine, ne farà comprendere ancor più il valore e, soprattutto, ci educherà al culto «in spirito e verità».
Questi giorni ci fanno ritrovare la dimensione dell’intimità e della casa: giorni che possiamo dedicare maggiormente all’ascolto, alla lettura, alla condivisione, alla preghiera, a tutto quello che tempera il ritmo così frenetico della nostra vita. Perfino i nostri bambini e i nostri ragazzi hanno l’opportunità di sperimentare altre forme di didattica, senza nulla togliere al rapporto diretto.
Il mio pensiero va a chi vive in prima persona il contraccolpo economico: artigiani, imprenditori, ristoratori, operatori turistici, ecc. È una crisi che coinvolgerà tutti. Sono certo che la politica saprà, come in altre circostanze delicate, trovare soluzioni condivisibili.
Un pensiero e una preghiera speciale per chi è solo, ammalato o in grande ansietà. Vorrei che ognuno di loro pensasse nei momenti di buio: il vescovo Andrea sta pregando per me!
Come saremo quando tutto sarà passato? Torneremo alla laboriosità che ci caratterizza. Torneremo a stringerci la mano e a non farci mancare gli abbracci. Ci ritroveremo ancora più persuasi che gli altri sono «miei fratelli». Riemergerà ancora più forte il bisogno di comunità.

+ Andrea Turazzi