XVIII Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

 

Is 55,1-3

Sal 144

Rm 8,35.37-39

Mt 14,13-21

 

Appena qualche domenica fa il Vangelo raccontava di Gesù che parlava da una barca, sull’acqua, mentre la folla stava sulla terra ferma. Del fatto ho proposto una lettura simbolica: la gente preferisce stare coi piedi ben piantati nelle proprie sicurezze piuttosto che affidarsi alla fede! In questa pagina di Vangelo invece ci vien detto di Gesù che scende dalla barca, sulla terra ferma, per incontrare la fame e il bisogno della folla: concretezza della vera prossimità. Ci risuona forte l’invito di papa Francesco “ad uscire fuori” verso le periferie. Di per sé non ci chiede di immaginare chissà quali scenari. Andare alle periferie è prima di tutto un moto del cuore al quale occorre educarsi, per “vivere l’altro”. L’altro da capire, ascoltare, amare, servire, è chi mi vive accanto, nella mia stessa casa, nel mio paese o nella mia città, chi sta lontano, ma che i media mi rendono vicino e partecipe della sua sorte. Andare alla periferia significa – prima di tutto – de-centramento da sé. C’è anche l’invito ad allargare lo sguardo ed a prendere coscienza dei problemi della società. Se c’è una preferenza, per chi va alla scuola di Gesù, sarà quella di andare verso il fratello o la sorella che è nella prova. Ed ai giovani presenti dico: ascoltate ciò che il Signore vi propone nel profondo del cuore: «prestami le tue mani, i tuoi piedi, la tua intelligenza, il tuo cuore per essere una mia presenza». Moltiplica il pane chi lo spezza e lo condivide: Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa… Tu apri la tua mano e sazi il desiderio di ogni vivente (Sal 144).

Gli apostoli chiedono a Gesù di congedare la folla, perché si dia da fare e vada a comprarsi il pane (suppongono che la folla non andrà spontaneamente). Gesù non la manda via, ma insiste: voi stessi date loro da mangiare. Bello il preoccuparsi dei discepoli. Più bella ancora la provocazione di Gesù: dare senza calcolo, mettere in circolazione i cinque pani e i due pesci. Due mentalità a confronto: quella di Gesù e quella degli apostoli e… la nostra. “A noi, che preghiamo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», il Signore risponde: «Voi date il vostro pane». «Dacci», noi invochiamo. «Donate», ribatte lui” (E. Ronchi). In questi giorni continuiamo ad assistere ad ondate di sbarchi di persone in fuga provenienti da paesi africani ed asiatici. Il problema è complesso ed ha tanti risvolti, ma ognuna di quelle persone è sorella e fratello. Mi piace ricordare come a Macerata Feltria la popolazione ha saputo vivere l’arrivo di quaranta migranti e come la nostra Caritas diocesana ne ha ospitato un gruppo nella casa di accoglienza a Secchiano.

Il prodigio che l’evangelista ci ha tramandato ha dei tratti e dei particolari che rinviano al Pane trasformato e che trasforma: l’Eucaristia. A chi non piacerebbe essere stato tra i cinquemila in quella sera, sulla riva del lago? Lo siamo ogni domenica, quando nella nostra parrocchia, o in una chiesetta di montagna o di mare, ci presentiamo al Signore con le nostre fragilità e i nostri mali, con la nostra fame e i nostri desideri: ceste piene di vuoto, unico credito che possiamo esibire. E Gesù viene in mezzo a noi. O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. E il testo della prima lettura continua con la denuncia della nostra poca accortezza: Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Allora possiamo ripetere come Paolo: Di nulla mi vanterò se non della mia debolezza, e fare così, ogni domenica, la seducente esperienza di essere con Gesù, come i cinquemila, sperimentando la stessa gioia come quella provata dai discepoli di Emmaus. A stupire non è il numero dei presenti, ma quella prossimità di Gesù. Il Pane moltiplicato dell’Eucaristia è spesso prigioniero dei nostri tabernacoli dorati. Il Signore dice: Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Perché non dare all’adorazione eucaristica spazio e tempo? Perché non rileggere e reinterpretare la nostra vita in chiave eucaristica? Allora anche le mani si apriranno.