Odinazione Diaconale di Pier Luigi Bondioni

Messaggio di Pasqua del Vescovo Andrea

È Pasqua!

Il mio messaggio?
Che altro se non questo: Gesù è vivo!
Lo proclamo nella mia qualifica: “Appartengo come vescovo, per successione, al gruppo degli apostoli che sono i testimoni di Gesù Risorto”. Io, Vescovo Andrea, faccio questo annuncio sulla scorta di precise, autorevoli e provate testimonianze storiche. Posso corredarle poi con le mille storie che raccolgo ogni giorno, storie di quanti sentono viva la presenza del Risorto; presenza che conquista, converte, slancia, dà forza, sospinge. Ultimamente sono particolarmente sensibile al coraggio dei tanti cristiani che affrontano il martirio. Mi sorprende chi fa della sua vita un dono vivendo la malattia o la disabilità con uno spirito non di rassegnazione ma di offerta. Mi commuove Silvio, mio fratello missionario in Congo e paraplegico, che inizia così la sua ultima lettera: “Sono un paralitico incontrato da Gesù. Nel Vangelo l’incontro di Gesù con loro è un evento di liberazione e di gioia. Così lo è stato per me. In lui ho visto il regno di Dio”. Non posso tacere i giovani che – a dispetto dei luoghi comuni – fanno scelte vocazionali sorprendenti e coraggiose e… sono tra noi.

Pasqua!
Parola antica e veneranda, vuol dire: passaggio. Gesù la interpretò e la visse come passaggio da morte a vita per amore dei fratelli. Allargo l’appello e dico a tutti: facciamo il passaggio, cioè facciamo Pasqua. Ognuno sa i passi che può e deve fare nel proprio cuore. Ma ci sono anche passi da compiere tutti insieme: riprendere fiducia, far credito a chi ci sta accanto, ridarci regole di pensiero e di azione. Senza fiducia non si vive più.
Persone sapienti e rigorosamente laiche convengono che stiamo pagando a caro prezzo le derive del soggettivismo (si assolutizza il proprio interesse e il proprio punto di vista), del relativismo (tutto è possibile e il contrario di tutto), dei desideri impazziti e subito tradotti in diritti.
La crisi, prima che economica, è una crisi di pensiero e poi una crisi morale. Facciamo il passaggio. Insieme. È un invito a tutti. Ed è l’offerta di una collaborazione a chi è già in cammino su progetti di liberazione e di ragionevolezza e, senza saperlo, fa Pasqua.

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Omelia Domenica delle Palme

Omelia di S.E.Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di Pennabilli, 29 Marzo 2015

Is 50,4-7
Sal 21
Fil 2,6-11
Mc 14,1-15,47

Siamo di fronte al “libro aperto” nel quale Dio ha detto e dice tutto di sé. Quel libro scritto a caratteri di sangue è il Crocifisso. San Giovanni della Croce nella sua opera: “La salita al monte Carmelo” risponde a chi chiede perché mai Dio non si manifesti più come nell’antichità con sogni e visioni: “Perché nel suo Figlio crocifisso ha detto tutto. Non ha più nulla da aggiungere” (cfr. Salita al monte Carmelo  1, 21). Abbiamo letto la Passione secondo Marco. Gesù, in tutto il Vangelo di Marco, viene presentato come un mistero, un enigma. Tutti si chiedono: «Chi è mai costui?». Lo stesso Gesù chiede: «La gente chi dice che io sia?» (cfr. Mc 8, 27). Per i famigliari è un pazzo, «fuori di sé» (Mc 3,21). Per le autorità un indemoniato (cfr. Mc 3,22). Per il popolo un guaritore. Risposte false o insufficienti. I discepoli intuiscono qualcosa di più: «Tu sei il Messia» (Mc 8,29), ma lo fraintendono in senso politico. Solo alla Passione il velo si squarcia (cfr. Mc 15,38). Alla domanda del sommo sacerdote: «Sei tu il Cristo, il figlio di Dio benedetto?» (Mc 14,61). Gesù risponde: «Io lo sono!». Quest’uomo sofferente, abbandonato dai suoi, processato dalle autorità come un criminale, irriso dalla folla per la sua impotenza a salvarsi, che grida a Dio la sua angoscia, quest’uomo è il Figlio di Dio!
In quest’ora in cui Gesù non può più fare miracoli, né predicare, né mostrarsi autorevole, Gesù è davvero il Messia. Con l’intero vangelo e, in particolare, con il racconto della Passione. Marco ci avverte che finché vediamo in Gesù il Messia terreno da cui attendersi salute, fortuna, successo, ne saremo delusi, finiremo per voltargli le spalle come i discepoli. Ma se, al contrario, sapremo accettare lo scandalo della croce, allora incontreremo il Salvatore anche nella esperienza ripugnante della malattia, dell’abbandono, del fallimento. Se ascoltiamo la Passione solo con un sentimento umano proveremo un senso di disgusto per una morte così ingiusta, ma se contempliamo il Crocifisso con fede scopriremo in lui la suprema rivelazione dell’amore, fino a confessare, come il centurione romano: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). In quella morte ha visto Dio. «Scendi dalla croce» (Mt 27,40), gridavano gli altri. Ma se scende non è Dio, è ancora logica umana che vince, è quella del più forte. Solo un Dio è capace di non scendere dalla croce. Gesù si consegna con sentimenti di infinito amore. È la meditazione credente della Passione. Non capiremo mai sino in fondo…“È troppo!”.
Ma Gesù è venuto perché ci aggrappassimo alla sua croce, lasciandoci sollevare da lui.
Ogni grido, ogni abbandono può sembrare una sconfitta, ma se messo nelle sue mani ha il potere di far tremare la pietra di ogni nostro sepolcro.

Pellegrinaggio diocesano a Torino

DUE GIORNI INSIEME!

Sei invitato anche tu al pellegrinaggio a Torino del 13-14 giugno 2015.
Scopo del viaggio: visita alla Sindone e ricordo del Bicentenario della nascita di S. Giovanni Bosco.

Chi ha pregato davanti alla Sindone in precedenti ostensioni può confermare che si tratta di una esperienza sublime. Quel lenzuolo, con la sua tenue impronta e nel suo silenzio, urla l’indicibile dolore e l’infinito amore del Cristo, uomo-Dio!
In quel volto, appena accennato sul lenzuolo,si ritrova il volto di ogni uomo piagato dalla sofferenza e umiliato nella sua nudità.
Ci vien chiesto di accogliere la provocazione: chinarci sull’uomo oppresso, farci prossimo a chi soffre, asciugare lacrime, riparare il peccato di ingratitudine all’amore di Cristo.

A Torino ripercorreremo inoltre le tracce della straordinaria avventura di S.Giovanni Bosco, prete dei ragazzi, educatore, aperto alle istanze della modernità che avanzava coi suoi successi e i suoi disastri nella Torino dell’Ottocento. Visiteremo i luoghi che ne conservano la memoria e l’ispirazione.

La due giorni torinese sarà anche l’occasione per stringere nuove amicizie, sentire più viva e affettuosa l’appartenenza alla nostra Chiesa e passare insieme momenti di spiritualità e ore di serenità e distensione.

+ Andrea Turazzi

Scarica il pieghevole con le info dettagliate:
Pellegrinaggio a Torino

Esercizi spirituali per coppie di sposi e fidanzati

Omelia Quinta Domenica di Quaresima

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di Pennabilli, 22 marzo 2015

Il vangelo registra il disappunto dei farisei perché a Gesù «va dietro il mondo intero» (Gv 12,19). Ecco: alcuni dei rappresentanti di quel mondo intero vogliono vedere Gesù. Questi greci sono saliti a Gerusalemme non come turisti, ma come pellegrini. Condividono, in qualche modo, l’attesa messianica così fortemente avvertita dai contemporanei di Gesù: vogliono conoscere il Messia. Non osano fermare Gesù direttamente, ma chiedono un appuntamento attraverso Filippo e Andrea che – notare – portano un nome greco, provengono da Betsaida, città di frontiera, e che quindi hanno familiarità con il mondo greco.
Per incontrare il Signore è necessaria la mediazione della comunità. Vogliamo che i nostri amici incontrino Gesù? Lo incontreranno attraverso la nostra preghiera e la nostra testimonianza. L’accompagnamento nel cammino di fede è più efficace poi se c’è una certa affinità fra chi cerca e chi accompagna a Gesù. Ricordate l’incontro di Filippo con il ministro della regina Candace, episodio raccontato nel libro degli Atti (cf. At 8). Filippo sale sul carro a fianco di quel cercatore. Potremmo concludere: i primi apostoli dei giovani sono i giovani… i primi apostoli delle famiglie sono le famiglie…
Nonostante la movimentata anticamera, il vangelo non menziona quell’incontro. Ma la richiesta dei greci segna la grande svolta nella vicenda storica e salvifica di Gesù: «È giunta l’ora». Per sette volte, in precedenza, Gesù ha contenuto l’impazienza dei discepoli: «Non è giunta la mia ora»; solo la madre, a Cana, ha simbolicamente anticipato quell’ora sul quadrante della storia. L’ora è il momento supremo dell’elevazione del Figlio dell’Uomo, il suo innalzamento. È per questa ora che Gesù è venuto. Ora di trionfo? Sì, di vittoria, ma è “ora di croce”. Gesù delude le attese dei greci; essi pensano di incontrare il Gesù dei miracoli, del successo tra la gente, dell’ammirazione. Egli invece parla di un chicco di grano che, solo se muore, porta molto frutto. Il Signore non si sottrae a chi lo vuole incontrare, ma sappia che ogni cammino di ricerca comincia con l’uscire da uno schema pagano dove Dio è al servizio delle nostre attese, qualunque esse siano: di successo familiare, aziendale o pastorale.
Nel vangelo di Giovanni, Gesù sta in croce non come un vinto, ma come un vincitore, non come uno schiavo, ma come un re. Il patibolo diventa il suo trono, da esso diventa centro di gravità universale: «Attirerò tutti a me». La menzione di Gesù come seme di grano dà l’occasione all’evangelista di inserire, proprio in questo punto, il detto di Gesù: «Perdere per trovare la propria vita». Ma attenzione: il vero centro della frase non è il morire, ma il molto frutto. Lo sguardo del Signore è sulla fecondità più che sul sacrificio. Vivere veramente, per Gesù, è dare la vita. Trattenerla per sé è morire. La visione teologica della croce come trono glorioso non toglie nulla alla serietà della passione. L’evangelista Giovanni non riferisce come i Sinottici il combattimento spirituale che Gesù affronta nel Getsemani prima della passione, ma qui è evidente il combattimento drammatico che Gesù sostiene, sospeso tra la sua volontà di sopravvivenza e la fede nel disegno del Padre. Quella di Gesù non è una rassegnazione storica né uno slancio eroico, ma soltanto fede. Siamo di fronte al Fiat di Gesù: «Padre, l’anima mia è turbata». Non togliamo i turbamenti di Gesù dai vangeli. Ci danno forza. Quella di Gesù è la paura del coraggioso, di uno che ama la sua vita con tutte le forze. Con il suo “sì” – «è per quest’ora che sono venuto» – fa risplendere la gloria del Padre, ma anche la gloria dell’uomo che crede.

Omelia Santa Messa in ricordo di Chiara Lubich

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Cattedrale di Rimini, 21 marzo 2015
VII Anniversario della morte della Serva di Dio Chiara Lubich

Mi è stato dato di incontrare una grande cristiana del nostro tempo: Chiara Lubich, di cui è stato aperto, in questi giorni, il processo canonico per il riconoscimento dell’eroicità delle virtù.
La sua vicenda vi è nota. È vostra concittadina onoraria a motivo del suo messaggio spirituale e universale. Nata a Trento – la città del Concilio – è cresciuta in una famiglia aperta: una madre di sicura fede cattolica, un padre socialista. Nella tremenda esperienza sotto i bombardamenti della guerra che creano distruzione e morte, Chiara sceglie Dio come unico tutto. Con un gruppo di giovani amiche, al suono delle sirene, si rifugia in una buia cantina, sola con il vangelo. Al lume di una candela legge quelle parole che le risuonano in maniera unica, come per la prima volta, l’ultima, l’unica. L’avventura spirituale di Chiara inizia così.
Al calore di un focolare acceso, il piccolo gruppo si riunisce e in esso si raccontano con stupore e sorpresa i frutti del vangelo vissuto e si constata il prendere forma di un “sociale cristiano”. Altri, tanti, e poi tantissimi, si uniranno a Chiara e alle sue compagne con al centro il testamento di Gesù (cf. Gv 17), con la parola dell’amore reciproco. Il focolare non è più il caminetto attorno a cui ci si riunisce, ma lo spazio educativo, l’atmosfera spirituale generata dalla presenza di Gesù promessa a chi è unito nel suo nome (cf. Mt 18,20).
La dottrina spirituale di Chiara non è altro che una modalità semplice e profonda di lasciar vivere il vangelo. È una modalità che appare da subito corrispondere ai bisogni e alle sfide di questo tempo. Qual è l’attrattiva del tempo moderno?

Penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti,
uomo accanto a uomo.
Vorrei dire di più: perdersi nella folla, per informarla del divino,
come s’inzuppa un frusto di pane nel vino.
Vorrei dire di più: fatti partecipi dei disegni di Dio sull’umanità,
segnare sulla folla ricami di luce e, nel contempo, dividere col prossimo
l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie.
Perché l’attrattiva del nostro, come di tutti i tempi,
è ciò che di più umano e di più divino si possa pensare,
Gesù e Maria: il Verbo di Dio, figlio d’un falegname;
la Sede della Sapienza, madre di casa.

Il brano evangelico che abbiamo letto poco fa è sicuramente tra le pagine ispiratrici dell’esperienza di Chiara o comunque tra le più presenti.

1.
Per incontrare il Signore – ci viene detto nel racconto della concitata anticamera dei greci che vogliono “vedere” Gesù – è necessaria la mediazione della comunità. Il fratello non è un ostacolo, al contrario, l’attenzione e i rapporti sono via maestra per l’incontro con il Signore. La ricerca dell’unità fra tanti, pur diversi, il farsi sinceramente prossimo dell’altro uscendo da sè, non soltanto è ascesi ma apertura ad una nuova mistica: pilastro di una spiritualità di comunione. Sono noti l’espansione internazionale del carisma come i dialoghi promettenti e le feconde aperture che ne sono scaturite. «Ti darò in eredità le genti» (cf. Sal 2): fu una delle parole che hanno risuonato forte nel cuore di Chiara. Parole che richiamano quelle di Gesù appena lette: «Innalzato da terra attirerò tutti a me».

2.
La legge del chicco di grano ripropone tutto il positivo racchiuso nel dono di sé, dove il vero centro della frase di Gesù non è il morire, ma il portare frutto. Lo sguardo del Signore è sulla fecondità più che sul sacrificio. Vivere è dare la vita. Non amare è morire!

3.
Nel cuore dell’esperienza di Chiara c’è l’incontro con il Cristo crocifisso colto nel momento più grande del suo dolore: l’abbandono del Padre. Nel vangelo che stiamo meditando affiorano l’angoscia e il turbamento di Gesù: «Dio mio, Dio mio, perché …».
Non si tolgano dai vangeli i turbamenti di Gesù … come altre volte nei vangeli Gesù è posto di fronte a una sfida drammatica: fidarsi del Padre fino in fondo. Questa è l’ora.
L’ora per cui è venuto, l’ora del suo martirio e del suo trionfo. A salvare non è il dolore, ma l’amore. Si impara da Lui a “non restare nella piaga”, si va oltre, amando. Questo ha imparato Chiara: nel dolore si riconosce il volto di Gesù che ha preso su di sé ogni dolore. Lui è la chiave per costruire l’unità

Omelia S. Messa in suffragio di Ernest Lulashi

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi
Mercatale, 20 Marzo 2015
 
(Trigesimo)

Gv 7,1-2,10.25-30

«Andate voi a questa festa; io non ci vado… Ma, andati i suoi fratelli alla festa, allora vi andò anche lui».
Va o non va alla festa? Che farà Gesù?
Ci verrebbe quasi da rimproverargli una bugia: dice “no” e poi va! Eccolo tanato!
I suoi parenti, in realtà, propongono uno stile di presenza che Gesù non condivide, non ama, non vuole, non gli appartiene. Gesù non vuole andare per abbagliare e incantare la folla, semmai per insegnare ed essere accanto. E Gesù andrà, ma nella forma discreta, quasi nascosta, per sfuggire ai suoi famigliari. Ci va in ritardo, per by-passarli: loro vorrebbero potersi vantare e avvantaggiare del suo prestigio. In realtà, Gesù va incontro alla croce, e lo sa. Sarà presto oggetto di odio, perché non cerca il successo, né tanto meno l’adulazione, ma la gloria del Padre.
È così anche per noi, per la nostra vita: Gesù viene in “incognito” e non sempre nel clamore della festa. Viene ad segnare il suo mistero, ma senza bagliori. Nessun applauso a scena aperta per lui! Talvolta, la presenza di Gesù provoca tensioni e forse delusione, ma non respingiamolo: ascoltiamo ancora; ascoltiamolo più attentamente. “Che cosa mi vuoi dire Signore attraverso questa esperienza?”. Se lo sapremo ascoltare, finirà per confidarci il suo segreto.
Anche la preghiera ha le sue fantasie; seguitemi… Ho provato ad appoggiare una scala alla croce dove Gesù sta inchiodato. È fatica salire quei gradini, sono molto ripidi!
Ho messo la mia guancia sulla guancia di Gesù, il mio cuore sul cuore di Gesù. M’è parso di sentire i suoi battiti e il soffio leggero del suo fiato, del suo singhiozzo. Ho sentito il suo pregare sommesso: “Padre, perché?”. Mi ha fatto pensare alle domande a raffica dei bambini che continuano a rivolgersi così a mamma e papà: “Perché? Perché? Perché?”. Non sono mai soddisfatti delle risposte e, forse, neppure gli importano le risposte. A loro importa stringere la mano di mamma e papà, essere ben sicuri che sono al loro fianco, che li amano infinitamente.
Così è stato per Gesù, rivolto al Padre: “Perché? Perché? Perché mi hai abbandonato?”. Ma non era abbandonato.
Così è per la mamma e il papà di Ernest, così è per la sorella Jole e il fratello Bledy. Così è per gli amici di Ernest. Così è per tutti noi. La litania dei “perché” è una protesta? Forse. Ma più ancora una preghiera: “La preghiera del perché”!
Intanto siamo qui, sgomenti per quanto è accaduto, ma certi di essere ascoltati. Certi di essere amati. Ce lo assicura il Crocifisso Risorto.
«Signore, aumenta la nostra fede!» (cfr. Lc 17,5).

Notificazione vescovile: Insieme al Papa per la Terra Santa

Nella regione dove ha vissuto Gesù, la Terra Santa, i cristiani sono sempre di meno. Le guerre, le rivalse, le difficoltà spingono le famiglie che credono in Cristo a lasciare le loro case e ad andare in paesi più sicuri. Per aiutare i cristiani che abitano in questa regione e per evitare che continuino a fuggire, le diocesi e le parrocchie di tutto il mondo si mobilitano.

Come accade ogni anno, il Venerdì Santo ci sarà una raccolta di offerte in tutte le chiese da destinare alle famiglie del Medio Oriente. Si chiama “la colletta per la Terra Santa” ed è voluta direttamente dal Papa al quale “stanno particolarmente a cuore le sofferenze di tanti fratelli e sorelle di questo angolo di mondo”, si legge in una lettera partita dal Vaticano e indirizzata ai vescovi di tutto il mondo.

Le offerte raccolte, che sono frutto della generosità di tantissime persone, vengono usate per sostenere la vita e le iniziative di quelle comunità.