Giornata diocesana per la Custodia del Creato

Aprire orizzonti interiori

Appunti per l’estate

Dopo un prolungato indugio, anche quest’anno il solleone stravince. Siamo nel cuore dell’estate. Il mio pensiero e il mio saluto vanno ai tanti che raggiungono il nostro Montefeltro per qualche giorno di riposo e di vacanza. Siamo una terra fortunata, possiamo mettere a disposizione un ambiente bello, luminoso, fresco, ricco di richiami all’arte, alla cultura e alla storia. Per tanti ospiti si tratta di un ritorno ai luoghi delle loro radici. Qui ritrovano familiari, amici e tradizioni. Per questo si organizzano feste e si promuovono momenti di pietà popolare che, se ben impostati, possono essere una boccata di spiritualità, assolutamente necessaria. Vacanza non è solo riviera… vorremmo anzi che l’ospitalità del Montefeltro potesse essere più conosciuta, apprezzata e fruita. Tuttavia, il pensiero più preoccupato va soprattutto a chi non ha possibilità di prendersi giorni di ferie e a chi è costretto forzatamente a stare a casa perché senza lavoro.

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Omelia XIV domenica del Tempo Ordinario

Nebbiù di Cadore, 8 luglio 2018

Campo adulti Azione Cattolica

Ez 2,2-5
Sal 122
2Cor 12,7-10
Mc 6,1-6

(da registrazione)

Questa pagina del Vangelo mi porta ad un ricordo autobiografico. Vivevo quasi tutto l’anno in Seminario e diventavo un po’ estraneo ai paesani di Stellata di Bondeno (FE), mio paese di origine. Quando ero ormai grande e comparivo in paese durante le vacanze estive, mi chiedevano di chi fossi figlio. «Sono il figlio dell’ortolano», rispondevo. «Da dove ti vengono queste cose? Dove le hai imparate?», mi chiedevano allorché mi sentivano suonare o parlare in chiesa, quando il parroco mi invitava a riferire qualche pensiero. Immagino più o meno così Gesù di Nazareth che torna al suo paese. A Nazaret, è evidente davanti a tutti che si deve fare un primo bilancio della sua attività, del suo ministero in Galilea. È chiara la sua potenza, così come la presenza dello Spirito in lui, la sapienza, la parola autorevole, i miracoli… Ma c’è di più. Gesù, con quello che fa e che è, sconvolge le categorie mentali della gente che viveva una quieta esistenza religiosa e sociale. Con tutto quello che Gesù fa e dice, non fa altro che provocare le persone, le chiama in causa, perché tutto è finalizzato ad un incontro più attento con lui, un incontro che va al di là dell’anagrafe, perché vorrebbe suscitare in loro la fede. Ecco allora che Gesù manifesta la sua profonda identità e i compaesani restano semplicemente sconvolti. Non per i contenuti dell’insegnamento, ma per la misteriosità di quello che gli accade. «Sei il figlio di Giuseppe, il carpentiere; Maria, tua madre, è in mezzo a noi; i tuoi parenti, la tua tribù sono qui…» (cfr. Mc 6,3). L’evangelista Marco usa un verbo un po’ strano: il verbo «scandalizzarsi», che noi adoperiamo nel suo significato di “restare male per un comportamento”; ma il verbo «scandalizzare» di per sé significa «inciampare». Anche nel Padre Nostro c’è un versetto un po’ tormentato: «Non ci indurre in tentazione». Esso sta per «fa’ che non facciamo passi falsi, che non mettiamo il nostro piede in una tagliola, che non inciampiamo – appunto – in uno scandalo». Gesù, quindi, fa sì che i suoi concittadini, avendolo visto nascere e crescere sotto i loro occhi e conoscendo bene la sua famiglia, restino sbigottiti, meravigliati. Tutto questo avrebbe dovuto azionare in loro un movimento verso la fede, un processo di fede. Invece si bloccano. Sarebbe molto bello che ogni domenica ascoltando il Vangelo restassimo meravigliati. Bello anche se certi vangeli mettessero degli interrogativi dentro di noi. A me piaceva molto quando mio babbo, rincasando dopo la Messa domenicale, confidava di non essere d’accordo su alcune parabole di Gesù (per esempio quella degli operai dell’ultima ora). Forse voleva solo provocarmi e vedere se riuscivo a rispondere. Qual era la soluzione nella mia famiglia? Era quella di restare con l’interrogativo… Ciò è positivo: vuol dire che il Vangelo inquieta, fa meraviglia, ci si accorge che viene da altrove, che gli “stellatesi” non hanno le categorie per capire, perché è una sapienza che viene da oltre. Per questo c’è bisogno di incaricati, del parroco, che spieghino le Scritture. Invece i nazaretani vogliono normalizzare Gesù, lo vogliono mettere dentro i loro schemi, perché diventi innocuo, perché, tutt’al più dica cose edificanti, ma non provocanti. Gesù è amareggiato; vive un momento di sconforto in cui gli esce un pessimo proverbio (che circolava già): «Nessuno è profeta in casa sua» (cfr. Mc 6,4). Tuttavia, Gesù non si fa miracoli addosso, il suo potere taumaturgico non è un fluido incontrollabile (anche se domenica scorsa abbiamo sentito che guarisce una donna che gli tocca il mantello… ma lui se ne accorge). E i miracoli non li compie per lasciare a bocca aperta le persone o per attirare narcisisticamente l’attenzione su di sé. Il miracolo che Gesù compie è sempre per condurre alla fede.
Il Vangelo si chiude dicendo che Gesù fa lo stesso qualche miracolo. A Nazaret non poteva compiere nessun prodigio, ma «solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità» (Mc 6,5-6a).
Gesù, però, non si ferma, va oltre. Conclude il Vangelo: «Percorreva i villaggi dintorno insegnando» (Mc 6,6b).
Incoraggiati dalla Prima Lettura di Ezechiele, ciascuno di noi pensi che è un profeta. Quando si dice di una persona che è un profeta, spesso si immagina che riesca a predire il futuro: non è così. Profeta è colui che parla a nome di Dio. Il Signore lo chiama e gli dà questo impegno. A noi il Signore Gesù chiede di essere testimoni della sua risurrezione con la nostra vita. Allora, la nostra vita sia un incanto, una danza, un alleluia.
Nel “cartellone del campo”, stamattina ho disegnato un grande rigo musicale. Le note sono ciascuno di noi, posizionate in modo da comporre l’alleluia che è la nostra vita di risorti che hanno ricevuto il Battesimo. Se prestiamo attenzione, nella Messa ci sono tanti riferimenti alla risurrezione e alla Pasqua (cfr. Colletta: «O Padre, togli il velo dai nostri occhi e donaci la luce dello Spirito, perché sappiamo riconoscere la tua gloria nell’umiliazione del tuo Figlio e nella nostra infermità umana sperimentiamo la potenza della sua risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo…»).
Signore, eccoci: abbiamo tante fragilità, ma ce la mettiamo tutta, perché andiamo nel tuo nome, con la tua forza. «È quando sono debole che sono forte» (2Cor 12,10). Così sia.

Omelia nella XIII domenica del Tempo Ordinario

Montecopiolo, 1 luglio 2018

Sante Cresime per la parrocchia di Villagrande

Sap 1,13-15; 2,23-24
Sal 29
2Cor 8,7.9.13-15
Mc 5,21-43

(da registrazione)

Anzitutto un saluto a voi, cari ragazzi. Sono state molto belle le frasi che avete letto davanti a tutti noi. Basterebbe riflettere su quello che avete detto per capire la bellezza della Santa Cresima.
Saluto anche i vostri genitori, le madrine e i padrini, i familiari e gli ospiti che provengono da altri paesi.  Benvenuti! Che siate tutti nella possibilità di vivere bene quest’ora di preghiera.
In tutte le chiese oggi si è alzato il grido: «Gloria, gloria a Dio nell’alto dei cieli, pace in terra agli uomini di buona volontà». Un’invocazione di pace per tutto il mondo.
Mi soffermo sul brano del Vangelo di Marco. Do per conosciuto, apprezzato e trasformato in preghiera l’atto miracoloso che Gesù compie, prima verso la donna che aveva perdite di sangue e poi verso la figlia malata di uno dei capi della sinagoga, Giairo. Il problema per quella donna era enorme, non solo dal punto di vista fisico, ma anche dal punto di vista spirituale (per la cultura del tempo il sangue rappresenta la vita quando scorre dentro il corpo, ma è morte quando scorre fuori).
Mi soffermo più che sui miracoli sulla attenzione che Gesù ha per le persone. Parto da una mia personale esperienza. Ho fatto per molti anni l’insegnante e l’educatore in Seminario, poi mi sono ritrovato a fare il parroco e, improvvisamente, a fare il vescovo. Fra i problemi che ho dovuto affrontare subito è stato l’incontro con le grandi assemblee. Ricordo il giorno dell’ordinazione episcopale. La cattedrale di Ferrara era gremita e, come previsto dal rito, al termine dell’ordinazione dovevo attraversare la navata per dare la benedizione. Temevo molto quel momento. Inoltre, al termine della celebrazione, sono stato accompagnato in una sala del palazzo arcivescovile per salutare i presenti. Ho salutato tantissime persone, stretto mani, incrociato sguardi. È stata un’esperienza per un verso gratificante, ma anche di grande imbarazzo, almeno per me… In una tale occasione si vedono tante persone, ma non se ne incontra neanche una. Era una folla. L’incontro, invece, presuppone un minimo di rapporto.
Come ho detto, nel commentare il brano di Vangelo scelgo di non fermarmi sui due miracoli. Mi concentro su Gesù sommerso dalla folla. Lui sì che sa andare in profondità. Cerca l’ «a tu per tu». Gesù dice a Giairo – così si chiamava il papà della fanciulla: «Vengo con te». Ed è andato a casa sua, nel luogo della sofferenza. Poi ci sarà il miracolo; Gesù dirà: «La fanciulla non è morta, dorme» (Mc 5,39). Gesù ha fatto alcuni miracoli, ma il dolore non è risparmiato a nessuno. Torniamo all’incontro con quella donna che soffriva di emorragia. La folla travolge Gesù; tutt’attorno il vociare della gente; gli apostoli fanno largo al maestro e Gesù sta camminando svelto verso la casa di Giairo. Di colpo Gesù si ferma. Si gira. Si guarda attorno. Cerca gli occhi di una persona. «Chi mi ha toccato?» (Mc 5,30), esclama. Il Vangelo registra lo stupore degli apostoli che vedono Gesù attorniato dalla gente: in tantissimi lo avranno sfiorato! Gesù, invece, è attento alla presenza intimidita della donna. Anche se era tra tante persone che lo acclamavano, per Gesù esisteva solo quella donna che soffriva e che si è accostata a lui con infinita fiducia. Quella donna pensava: «Basta che tocchi il lembo del suo mantello… Non voglio spettacolarità, non voglio mettermi in evidenza. Mi basta sfiorarlo, perché ho fiducia in lui» (cfr. Mc 5,28). Qui c’è l’essenza della nostra vita di cristiani. Vorrei dire a tutti, a chi frequenta la parrocchia, ma anche a chi non ne ha l’opportunità per i più svariati motivi: «Gesù ti vuole incontrare». La parola “incontro” è la parola chiave della fede cristiana. Andare a Messa non è come andare ad una cerimonia. La Messa è un incontro. Se per caso una persona dovesse pensare di essere un peccatore, deve sapere di essere la preferita di Gesù. Se in questa chiesa ci fossero 99 santi e un solo peccatore, Gesù andrebbe dal peccatore!
Carissimi ragazzi, fra alcuni minuti riceverete una effusione sacramentale dello Spirito Santo. Esternamente non si vedrà nulla di spettacolare, ma succederà “tutto”. Gesù vi imprime il suo bacio sulla fronte. Domani non sentirete più l’umido dell’olio profumato sulla fronte, ma quel bacio non si cancellerà mai più. Da parte di Gesù l’amore per voi è garantito. Avrete lo Spirito di Gesù con voi per sempre. E che cosa fa lo Spirito Santo? Vi farà prendere la forma di Gesù. Crescendo, diventerete sempre più somiglianti a Gesù. Per il Padre voi siete già Gesù: «Tu sei mio figlio, mia figlia».