Omelia nella XVII domenica del Tempo Ordinario

La Verna (Colonia RSM), 29 luglio 2018

2Re 4,42-44
Sal 144
Ef 4,1-6
Gv 6,1-15

(da registrazione)

Oggi avrei potuto celebrare l’Eucaristia a San Marino, nella splendida basilica, o a Pennabilli, nella Cattedrale, oppure in alcuni monasteri di clausura… Invece ho voluto venire qui. Qualcuno di voi ragazzi riesce ad intuire il perché? «Perché ci vuoi bene?». Sì, è vero; e vi conosco tutti, essendo stato quest’anno in tutte le scuole durante la mia prima Visita Pastorale. Ma non è questo l’unico motivo per cui sono qui. Sono venuto qui a celebrare la Messa perché nel vangelo di oggi si parla di un ragazzo come voi, un ragazzo che non era sbadato ed era previdente: si era portato nello zaino “la merenda”, «cinque pani e due pesci». Il motivo per cui sono venuto a leggere questo vangelo con voi è che mi aspetto che Gesù vi chieda: «Mi dai i tuoi cinque pani e i due pesci?». Immagino siate disposti a darli a Gesù. Sono venuto per questo, ma anche per un altro motivo. «Chi accompagna il ragazzo da Gesù per moltiplicare i pani e i pesci?». È l’apostolo Andrea che dice: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» (Gv 6,9). Andrea sono anche io che dico a Gesù che qui ci sono 92 ragazzi pronti a dargli «cinque pani e due pesci», cioè pronti a mettersi a sua disposizione. Sono qui per un atto di grande generosità che dopo deve diventare concreta.
Mi sono fatto questa domanda: «Quante categorie di affamati ci sono?». In questo brano viene in rilievo non tanto la compassione di Gesù, ma la sua “diversità”: è Dio, il Signore. Gesù sa che ci sono tre categorie di fame. La fame di pane, il bisogno di mangiare. Poi c’è la fame del cuore; anche il cuore conosce la fame, quando ha bisogno di affetti, di amicizia, di amore. In questi giorni in Colonia l’amicizia tracima, ma ci possono essere dei momenti nella giornata in cui si sente un po’ di nostalgia, oppure ci saranno momenti in cui si ha bisogno di stima, di fiducia. C’è anche una fame spirituale. Sono sicuro che molte mamme e molti papà sono venuti qui per voi, ma anche perché altre volte hanno sperimentato questa ora di raccoglimento e sentono il bisogno di pregare, di innalzare la propria anima. L’anima è l’unico uccello che è in grado di sollevare la propria gabbia. A volte il nostro corpo è come una gabbia e l’anima si sente prigioniera. Ma quando l’anima prega solleva tutto.
Concludo con un racconto che mi ha fatto un missionario che viveva in Brasile, nelle favelas. Aveva notato un ragazzino che ogni mattina andava in tutte le chiese e partecipava a otto o nove S. Messe. Ad un certo punto, pensando avesse la vocazione al sacerdozio, gli chiese: «Ma perché vai a tutte quelle Messe?». «Per fare la Comunione», rispose. «Ho molta fame e non ho nulla da mangiare, per questo vado a fare la Comunione in tutte le chiese del quartiere. Così rimedio almeno la colazione». Il missionario lo sgridò, perché quel ragazzino non sapeva distinguere il pane eucaristico dal pane comune. Ma credo che Gesù non fosse scontento di quel ragazzino. Quel ragazzino infatti si sfamava di lui. Sfamava solamente la fame del corpo, invece Gesù vuole che sfamiamo la fame del cuore e la fame dello spirito.
Oggi vi nomino, seduta stante, quel ragazzo di cui non sappiamo il nome. Infatti, di Andrea è stato detto il nome, ma del ragazzo no. È così perché ciascuno di voi possa vedersi in lui.
Questo miracolo compiuto da Gesù viene chiamato “la moltiplicazione dei pani”. Questa denominazione è sbagliata perché Gesù non parla di moltiplicazione ma di distribuzione. Voi siete tutti “distributori del pane”, soprattutto del pane dell’amicizia e del pane spirituale. Poi anche di quello materiale.
Ecco, Signore, i nostri «cinque pani e i nostri due pesci». È poco. Ma è semplicemente tutto.

Omelia in occasione della Giornata sacerdotale durante il pellegrinaggio diocesano dell’USTAL a Loreto

Loreto (Basilica della Santa Casa), 27 luglio 2018

Gv 2,1-11

(da registrazione)

Perdonate il candore: «Ma che ci fa Gesù ad una festa di nozze?». Schiavi, lebbrosi, poveri d’ogni sorta gridavano la loro disperazione verso il Cielo. E, prima, generazioni di oranti avevano implorato che il Cielo si aprisse in loro soccorso. Ma Gesù, il Messia che viene nel mondo, comincia da una festa di nozze. A Cana, uno degli ultimi villaggi della Galilea delle genti, in quel contesto di festa “campagnola” – ma festa grande – compie il primo dei suoi segni: cambia l’acqua in vino. Verrebbe da dire che la potenza taumaturgica del Messia sia sprecata per uno scopo così modesto, quasi un numero da giocoliere. E tutto per cavar fuori dall’imbarazzo una coppia di sposi. Tutto qui?
Il Vangelo fa capire però che sotto c’è qualcosa di molto importante, carico di mistero, ben al di là di un episodio di cronaca familiare.
Andiamo anche noi, oggi, con Maria, Gesù e gli apostoli a Cana di Galilea e, partecipando a quella festa, guardiamo la famiglia con gli occhi di Gesù. Non sappiamo il futuro di quegli sposini di Cana. Certo, hanno avuto un inizio molto fortunato. Ma anche i nostri sposi hanno un inizio fortunatissimo, perché si sposano nel Signore, più o meno consapevoli. La Chiesa fa uno sforzo, quando gli è possibile, con l’impegno dei parroci e dell’équipe che guida gli incontri di preparazione al matrimonio. Si dirà che è poca cosa, ma posso testimoniare – ed è stato anche oggetto di conversazione nel tavolo dove mangiavo ieri – che per molti c’è la sorpresa di vedere cambiata la Chiesa. «Siamo venuti a testa bassa a questi incontri, pensando che ci avrebbero “bastonato” per le nostre assenze alla Messa e per la convivenza» confidano alcuni. «Tuttavia, c’è spirito di accoglienza, vogliono che parliamo, veniamo salutati con entusiasmo».
Come vive la famiglia, Gesù? Prima di tutto la vede come dono. Poi come una responsabilità. Infine, come una vocazione. La famiglia forse è il dono più grande, e lo è per tutti, anche per noi sacerdoti che professiamo il santo celibato per il Regno dei cieli. Anche noi proveniamo da una famiglia, anzi, coltiviamo relazioni famigliari. Vorremmo addirittura che le nostre comunità avessero caratteristiche di famiglia; non sapremmo pensarci fuori da una famiglia. La famiglia è un dono per tutti, davvero, perfino per quanti ne hanno sperimentato la difficoltà, il fallimento. Sono una grande sofferenza la mancanza della famiglia, i suoi cedimenti; un dolore che ha il timbro della nostalgia.
C’è una pagina meravigliosa della Genesi a cui Gesù ricorre spesso ed è una pagina che illumina la storia di ogni famiglia. Tutto parte da una parola di Dio: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2,18). Il male originale, il primo che appare sulla Terra prima ancora del peccato, è la solitudine, perché non c’è nessuno che basti a se stesso, nessuno che possa essere felice da solo, neppure il paradiso è sufficiente. Per questo Dio dice: «Voglio fare all’uomo un aiuto che gli corrisponda». Questo dono per Adamo è Eva, data a lui nel sonno, perché l’uomo non ha fatto nulla per meritarsela, tratta dal fianco perché pari nella dignità e ineffabilmente attraente. C’è un midrash che dice che Dio non ha tirato fuori la donna dalla testa dell’uomo perché la donna avrebbe potuto montare in superbia; non l’ha tirata fuori dai suoi piedi, perché l’uomo non la tratti come uno zerbino; l’ha tolta da una costola, dal suo cuore, perché fosse pari nella dignità. Insieme, uomo e donna, sono chiamati ad un amore per sempre e chiamati a suscitare vita. All’inizio, prima della «durezza del cuore» (Mt 19,8), era proprio così. Poi, con la «durezza del cuore», sono venuti i distinguo, le concessioni legali, i ripudi legittimati. Ma Gesù, nel tempo delle nozze di Cana, cambia l’acqua in vino, fa agli sposi il dono del sacramento del matrimonio. L’amore umano non viene abbassato, ma innalzato e trasfigurato, riconsegnato all’uomo e alla donna con un valore aggiunto, fino ad essere segno dell’amore tenero, fedele, indissolubile e fecondo di Dio. Gesù ripropone la grazia del principio. Chi si sposa, chi è sposato, chi progetta il suo matrimonio pensi a questa grazia. È potenza di Dio, non si basa sulle proprie forze, sulle proprie promesse di giovani innamorati. «Tutto ciò che fu visibile del nostro Redentore è passato nei segni sacramentali» (San Leone Magno). Nel sacramento del matrimonio passa la potenza di Gesù, del suo amore. Il matrimonio è un dono perché la creatura che viene al mondo, un cucciolo d’uomo, ha bisogno per amare di essere amato dal papà e dalla mamma. Il matrimonio è un dono perché è uno spazio spirituale dove le differenze possono fare armonia: giovani e adulti insieme, doni e carismi, uguaglianza e diversità, proprio come rami che da un unico albero, dallo stesso tronco, salgono divaricandosi. La famiglia dunque è luogo di intense relazioni, vera palestra di umanità.
La famiglia a volte viene chiamata, anche nella Bibbia, “la casa”. Ricordo che nei giorni del terremoto a Ferrara, nel 2012, molti di noi vivevano fuori casa, in tenda, e una famiglia venne a chiedermi il permesso di parcheggiare la roulotte nel cortile della scuola materna parrocchiale, perché non osava più tornare a casa; ho capito che “la casa” era la loro unione, era la famiglia. Ecco, le Scritture ci dicono che la famiglia è un grande dono, per questo facciamo festa ed è giusto, con immensa gratitudine. La famiglia, in quanto dono, va protetta, difesa, non sprecata.
Poi, la famiglia è una responsabilità perché ogni suo componente deve averla a cuore, dipende da lui la famiglia, non dipende solo dal papà o dalla mamma. Non vale essere soltanto “a rimorchio”. Occorre che ognuno faccia la propria parte. Responsabilità, del resto, vuol dire risposta. Amore che va e amore che torna nella reciprocità. È opportuno un esame: che cosa facciamo per la vita e la missione della mia famiglia? Inoltre, essendo anche una responsabilità sociale, occorre chiedersi che cosa facciamo per difenderla e per promuoverla come il più grande dei doni. Questo vale a livello politico, a livello culturale e come Chiesa.
All’inizio è detto che i due, uomo e donna, sono «una carne sola» (Gn 2,24), perché l’amore decide di assumere la vita dell’altro come propria; l’amore non è solo perdersi nell’altro, ma ritrovarsi, ritrovarsi più ricco perché la vita dell’altro diventa la tua. Quando si parla di fedeltà a volte si avverte una connotazione un po’ negativa, quasi di rimprovero; invece la fedeltà è ricchezza, perché la tua vita si riempie sempre più del profumo dell’altro e dell’altra che vive con te.
Infine, la famiglia è una vocazione. «Il Signore disse ad Abramo: “Vattene dalla tua terra,
dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò”» (Gn 12,1). E Abramo partì. Quando vado ad incontrare i fidanzati nei corsi di preparazione al matrimonio mi viene sempre da pensare ad Abramo e vedo grande l’esperienza spirituale che stanno facendo quei fidanzati, anche se spesso sono già conviventi. È un inizio, è una partenza, è un rischio, come ogni vocazione… Ad esempio, che ne sapevo io il giorno che nella cattedrale mi sono disteso per terra davanti al vescovo per ricevere la consacrazione sacerdotale: avevo solo ventitré anni. Mi hanno fatto chiedere la dispensa per l’età (si può ricevere l’ordinazione sacerdotale solo al compimento del ventiquattresimo anno di età). Penso anche, soprattutto in questo momento, a Maria. Anche per lei il matrimonio è stata una vocazione. Quando dico “vocazione” sottolineo che è “iniziativa di Dio”. Può sembrare che i due sposi si siano scelti e che abbiano deciso loro di sposarsi; ma se scendiamo in profondità, capiamo che c’è un progetto meraviglioso che li ha fatti incontrare, che ha fatto sì che si piacessero, che diventassero una cosa sola, un progetto di Dio. Certo, c’è una partenza e un distacco, ma anche la promessa di una benedizione. E le promesse di Dio non sono come quelle del marinaio. Si compirà la promessa, la vocazione, con la forza che viene da Colui che chiama. L’audacia del “sì” non è temeraria. Il Signore chiama ad una missione, non a diventare “due cuori e una capanna”: la famiglia è una grande risorsa sociale ed ecclesiale.
Il Signore ha pensato alla famiglia non solo per prendersi cura l’uno dell’altro; anche la sessualità va ricondotta nell’alveo della crescita interpersonale e nella prospettiva della vita, della generazione. Questa missione è stata affidata dal Signore. Coraggio! Pensiamo a quanta stima, a quanta fiducia ha il Signore nel chiamarci ad essere nella famiglia suoi collaboratori per la vita, per la trasmissione della fede, per un amore sempre più grande. Così sia.

Messaggio sull’accoglienza ai migranti

Il Vescovo Andrea Turazzi, facendo eco al messaggio della Presidenza della CEI della scorsa settimana, manda questo suo messaggio alla Diocesi.

È davvero una situazione, quella del Mediterraneo, che ci fa soffrire tanto e ci mette in crisi.
È da più di cento anni che aiutiamo i fratelli e le sorelle dell’Africa in casa loro: penso ai missionari, penso alle nostre collaborazioni, ecc.
Mentre riaffermo il dovere dell’accoglienza, ribadisco che occorre impegnarsi, ancor di più, per garantire ai popoli la possibilità di non emigrare, di vivere nella propria terra.

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Omelia XVI domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (Santuario B.V. Grazie), 21 luglio 2018

Incontro dei “referenti” della Camminata del Risveglio

Ger 23,1-6
Sal 22
Ef 2,13-18
Mc 6,30-34

(da registrazione)

Ho riflettuto per diversi giorni soltanto sul primo versetto del Vangelo: «Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato» (Mc 6,30). Il testo greco è ancora più esplicito con l’utilizzo di un verbo che esprime il ritorno concentrico degli apostoli. Gesù li aveva mandati in tutto il mondo «a due a due» (Mc 6,7). E dopo aver fatto questa esperienza di apostolato, di missione, sono entusiasti di rivedere il loro maestro, il loro amico, e di stare con lui. Avevano lasciato tutto per lui: il lavoro, la famiglia, tutto ciò che avevano. Ora tornano da lui: che affetto, che amicizia! Gli apostoli raccontano quello che hanno detto e fatto nel suo nome. Sì, loro hanno detto e fatto quello che il Maestro aveva loro indicato. C’era già un’effusione di Spirito Santo sufficiente per capire che non erano andati a fare un apprendistato missionario, una sorta di propedeutica. No, Gesù gli aveva dato la sua potenza, addirittura quella di cacciare i demoni, guarire i malati e annunciare la conversione: le opere che fa il Messia! Ebbene, sono divenuti partecipi della missione di Gesù. Che bello, allora, tornare e raccontare.
Questo primo versetto mi è piaciuto tanto perché questa settimana ho fatto il riassunto delle Visite Pastorali. È prescritto che il Vescovo, dopo la Visita Pastorale, scriva quello che ha visto e vissuto stando con i suoi fratelli. I primi tempi della Visita Pastorale scrivevo ogni sera quando tornavo a casa, ma con il passare dei mesi ho tralasciato questo lavoro e mi sono ritrovato a dover scrivere tutto alla fine. Però questa settimana è stata molto bella, perché scrivendo mi sembrava di raccontare a Gesù quello che avevo detto e quello che avevo vissuto. L’apostolato ha il ritmo del cuore, perché è come il cuore da cui il sangue parte e poi viene risucchiato, rinnovato e rimandato: un movimento di andata e ritorno. Così è l’apostolato. Pensavo: «Signore, mi hai affidato il capitale della tua Parola, come l’avrò trafficato?». È naturale che la missione si concluda con l’incontro personale con Gesù. Mi piace vedere come Gesù non pretenda che i suoi amici siano degli stakanovisti della predicazione. Gesù ha compassione; sa che è stato difficile per loro. In alcuni posti gli apostoli sono stati accettati, in altri li hanno scacciati. Hanno faticato. E Gesù adesso gli consente di sperimentare il suo amore, che li chiama a sé in luogo appartato, tranquillo, per riposare. La parola “riposare” richiama la Genesi, quando Dio, dopo aver compiuto la creazione, «riposò il settimo giorno» (cfr. Gn 2,2). E che cos’è la domenica se non il settimo giorno, il giorno nel quale il Signore ci chiama a stare con lui? Il riposo, i missionari non lo troveranno nel successo, nemmeno nella proporzione tra la semina ed il raccolto; non è questo che dà riposo, sollievo. Ma unicamente l’essere sul cuore di Gesù.
Viviamo così la domenica, quando andiamo alla Messa. La Messa è un incontro. Una volta si sottolineava l’aspetto dell’obbligo, del precetto. La Chiesa è anche una madre e una maestra, quindi cerca di educare, ma per gli adulti nella fede la Messa non va vissuta come precetto da adempiere, ma come sosta nel cuore di Gesù. Una settimana siamo stati mandati a fare i missionari, la domenica Lui ci richiama a stare con Lui, a fare l’esperienza di Giovanni che ha posto la sua guancia sul petto di Gesù. A questo proposito mi viene in mente che spesso ai miei seminaristi – ero educatore in Seminario – proponevo di vivere la scena di un vecchio film, “Marcellino pane e vino”. Li invitavo a fare così: «Immaginate di appoggiare una scaletta alla croce di Gesù, salite e poi mettete la vostra guancia sulla guancia di Gesù, il vostro cuore sul cuore di Gesù per sentirne i battiti, per sentire il suo respiro e immaginate di parlare cuore a cuore con Lui». Quante vedove di Nain da consolare, quanti lebbrosi da sanare, quanta disperazione salita al cielo in forma di preghiera… e Gesù chiama gli apostoli alla sosta, a riposare. Sembra un perdere tempo, ma la preghiera non è mai tempo perso. È una tentazione il pensare che ci sono cose più urgenti da fare. Papa Francesco, ai Vescovi italiani riuniti all’Assemblea Generale del maggio scorso, come prima cosa chiese: «Voi pregate?». «Il Vescovo deve pregare il doppio degli altri – proseguì il Papa – perché deve combattere per il suo popolo, deve stare con le mani alzate davanti al Signore per il suo popolo».
Gesù portò i suoi “in vacanza”, in un luogo deserto, ma la gente si era accorta della barca e, poiché il mare di Galilea ha molte insenature, la gente sulla riva può rincorrere la barca e arrivare a destinazione prima di essa. Quando Gesù approdò all’altra riva vide la folla che lo attendeva. Anche qui l’evangelista utilizza un verbo bellissimo, tradotto in italiano con la parola “commozione”. In realtà il verbo greco è più forte, la compassione è come una lacerazione dei visceri. Gesù prova questa lacerazione di fronte alla folla che è come «pecore senza pastore» (Mc 6,34). Allora stiamo sul cuore di Gesù, sulla guancia di Gesù e sentiamo forte la lacerazione dei suoi visceri: è la sua compassione d’amore.

Inaugurazione nuove sale Museo del Montefeltro

S.E. Mons. Andrea Turazzi ha il piacere di invitare alla inaugurazione delle nuove sale che raccontano il DIALOGO DELLA CHIESA CON IL MONDO presso il Museo del Montefeltro “A. Bergamaschi” con sede nei locali di Palazzo Bocchi (Pennabilli, p.zza Sant’Agostino).
La presentazione si svolgerà il giorno 1° AGOSTO alle ore 11:30 presso la nuova sede dell’Istituto Diocesano Sostentamento Clero (Pennabilli, Porta Carboni).
Saranno presenti S.E. Mons. Adriano Bernardini, già Nunzio apostolico nella Repubblica di San Marino e in Italia e la Prof.ssa Silvia Cuppini, storico dell’arte.
Per informazioni: Museo del Montefeltro tel. 0541 913750 info@museo-diocesano-montefeltro.it.

Camminata del Risveglio

Periodico Montefeltro luglio-agosto 2018

Proposta formativa ISSR 2018/19

Cos’è l’ISSR?

L’Istituto Superiore di Scienze Religiose interdiocesano “Alberto Marvelli” delle Diocesi di Rimini e San Marino-Montefeltro è un centro di formazione accademica, eretto dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica e collegato direttamente alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna (FTER – Bologna). L’attività è incentrata sulla ricerca, lo studio e la formazione al sapere teologico in una prospettiva interdisciplinare e interculturale, riservando una particolare attenzione alla conoscenza della fede cristiana (biblica, storica, teologica, morale, spirituale ecc.) in dialogo con la storia del pensiero e delle scienze umane e nel confronto conoscitivo con le altre religioni. Si propone come luogo di eccellenza a servizio della crescita umana e culturale, nel quale s’incontrano esistenza e pensiero, fede e ragione.

I titoli conferiti sono riconosciuti in conformità agli accordi internazionali e ai parametri stabiliti dalla Convenzione di Lisbona e dal Processo di Bologna tramite il sistema di accreditamento europeo (ects).

Nella stessa struttura dell’Istituto è presente la Biblioteca Diocesana, munita di un vasto patrimonio librario specializzato nelle scienze religiose, disponibile per la lettura, lo  studio,  il  prestito  e  la  consultazione (www.bibliotecadiocesana.rimini.it).

ISCRIZIONI

Le iscrizioni al ciclo di studi triennale si ricevono presso la Segreteria dell’Istituto dall’1 Settembre al 15 Ottobre e la proposta formativa è aperta a tutti coloro che desiderano intraprendere uno studio accurato e sistematico delle Scienze Religiose.
L’iscrizione è possibile in diverse forme:

Come studenti ordinari per coloro che, aspirando ai gradi accademici rilasciati dalla Facoltà, frequentano tutti i corsi previsti dal piano degli studi dell’Istituto e hanno l’obbligo di frequenza alle lezioni nell’ordine dei 2/3.

Come studenti uditori per coloro che, non volendo conseguire il grado accademico, desiderano solo frequentare i corsi in vista del rilascio del relativo Attestato di frequenza.

Come studenti ospiti per coloro che, non volendo conseguire il grado accademico, desiderano frequentare qualche corso e sostenere il relativo esame (non oltre 1/3 dei corsi presenti nel ciclo di studi), per un eventuale riconoscimento presso altri Istituti.

ORARI delle LEZIONI

Le lezioni della Laurea Triennale si svolgono presso la sede dell’ISSR il Giovedì e il Venerdì dalle ore 17.10 alle ore 22.25.
L’INIZIO LEZIONI per gli studenti del Primo anno è previsto nella prima settimana di Ottobre.

L’indirizzo di studio Pedagogico-Didattico intende offrire l’opportunità di una formazione completa non solo a tutti gli aspiranti insegnanti di religione cattolica nella scuola pubblica e privata (come previsto dalla nuova Intesa tra Ministero dell’Istruzione e CEI, del 28 giugno 2012), ma anche a tutti coloro che intendono qualificarsi in ambito pedagogico per una concreta risposta all’emergenza educativa in atto. L’intento, infatti, è quello di formare educatori con un’ottima competenza non solo nelle scienze umane, ma anche in quelle teologiche e religiose, da inserire nella vita pastorale al servizio della comunità ecclesiale, ma anche di oratori e centri educativi; operatori culturali e della comunicazione sociale.

Il Master universitario di I livello intende offrire una valida preparazione nel campo dell’Arte sacra e del pellegrinaggio, a partire dall’acquisizione di specifiche conoscenze degli strumenti,  fonti,  studi  specifici  e  tecniche  operative.
L’obiettivo è valorizzare il patrimonio artistico ecclesiale come straordinario potenziale teologico, simbolico, catechetico e spirituale, ma anche come risorsa per lo sviluppo culturale ed economico del territorio, offrendo concrete opportunità formative e professionali connesse al pellegrinaggio e al turismo religioso e culturale.
Il Master è proposto:
– in collegamento con la Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna
– in collaborazione con: Opera Pellegrinaggi della Romagna, Opera di Religione della Diocesi di Ravenna.
–  Con il patrocinio di: Alma Mater Studiorum Università di Bologna Campus di Rimini, Ordine degli Architetti (Provincia di Rimini), Fondazione Universitaria San  Pellegrino  (Misano Adriatico), Ufficio Nazionale della CEI per la pastorale del tempo libero turismo e sport, Ufficio Nazionale CEI per i Beni Culturali ed Ecclesiastici, Fondo Ambiente Italiano FAI Delegazione di Rimini, Società Italiana di Scienze del Turismo (SISTUR), Centro di Studi Avanzati sul Turismo (CAST).

Per info
ISSR “Alberto Marvelli” Rimini, Via Covignano n.265
Tel. e Fax  0541.751367
e-mail: segreteria@issrmarvelli.it

www.issrmarvelli.it

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Corso di Alta Formazione

La Scuola Superiore di Studi Storici dell’Università degli Studi di San Marino e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” delle diocesi di Rimini e di San Marino-Montefeltro, attivano a partire dall’anno accademico 2018-2019 in Corso di Alta Formazione in “Dialogo Interreligioso e Relazioni Internazionali”.
Il Corso si propone di elaborare una cultura del dialogo interreligioso ed ecumenico, della convivialità e delle relazioni internazionali, presupposti imprescindibili per arginare ogni forma di radicalismo, di fondamentalismo e di scontro tra le civiltà.
La conoscenza religiosa, l’educazione al dialogo e al confronto costruttivo tra le diverse comunità socio-religiose rivestono oggi un ruolo cruciale non solo dal punto di vista culturale e spirituale, ma anche sociale, politico e delle relazioni internazionali, assumendo una particolare rilevanza nei processi di integrazione e pacificazione. Una particolare attenzione sarà riservata all’area balcanica e a quella mediterranea.

Il percorso formativo ha durata biennale, per complessivi 60 ECTS (crediti universitari), equivalenti a un Master universitario di I livello.

Il Corso di Alta Formazione si rivolge in particolare a coloro che operano, o intendono operare, in settori strategici delle relazioni internazionali, del dialogo interreligioso, ecumenico e interculturale, e che dunque necessitano di competenze specifiche di carattere teorico e pratico nella conoscenza delle grandi tradizioni religiose dell’umanità.
Per la sua unicità e organicità di approccio al fenomeno religioso, esteso anche all’attualità sociale e politica, esso si rivolge inoltre a tutti coloro che sono coinvolti in ambiti educativi e formativi, in progetti di mediazione culturale e di pacificazione, ma anche di volontariato internazionale.

Potranno iscriversi al Corso di Alta Formazione coloro che dispongono di una Laurea triennale preferibilmente in scienze storiche, giuridiche, filosofiche, letterarie e umanistiche. Saranno ammessi inoltre coloro che sono in possesso della Laurea triennale in scienze religiose, del Baccalaureato in Teologia, di un Magistero in scienze religiose; i docenti di religione cattolica nella scuola media inferiore o superiore, i docenti di diritto, storia e filosofia e di altre discipline umanistiche [per le indicazioni dei profili professionali cfr. Progetto integrale sul sito dell’Issr].

FINALITÀ

Offrire un’accurata preparazione specialistica nel campo della conoscenza delle grandi Religioni dell’umanità, delle loro interconnessioni e interrelazioni con i diversi contesti geopolitici e culturali.
Fornire specifiche competenze, metodologie e tecniche necessarie per affrontare scientificamente le sfide e i mutamenti inerenti al rapporto tra religioni, culture e società, a partire da una rigorosa ermeneutica delle fonti, delle tradizioni e del loro sviluppo storico-culturale nel contesto contemporaneo.
Esplorare le forme antropologiche, linguistiche, filosofiche, spirituali, mistiche, artistiche delle diverse tradizioni religiose, al fine di comprendere più a fondo le radici delle diverse civiltà e identità culturali, il loro sviluppo storico, la loro diffusione e il loro influsso.
Generare autonome capacità di ricerca nel settore della storia religiosa e delle altre discipline attinenti al fenomeno religioso, con particolare riferimento allo studio della pluralità degli ordinamenti etico-giuridici (religiosi e secolari) presenti nella società contemporanea.
Il metodo si propone di tenere insieme identità e differenza, dimensione personale e dimensione pubblica del fatto religioso, per favorire una fondazione rigorosa del dialogo di fronte alle sfide che il pluralismo e la globalizzazione impongono a ogni Religione.

COMITATO SCIENTIFICO

Franco Cardini (presidente), Natalino Valentini (direttore), Riccardo Burigana, Carmelo Dotolo, Aldo Ferrari, Piergiorgio Grassi, S.E. Mons. Mtanious Hadad, p. Antonio Olmi, Adriano Rossi, Brunetto Salvarani, p. Guglielmo Spirito, Lubomir Žák.

Coordinatore del Corso: Adolfo Morganti.

INFORMAZIONI UTILI E ISCRIZIONI

Il conseguimento del titolo finale richiede il completamento del percorso formativo con relativi obblighi di frequenza (2/3 delle attività proposte), oltre al superamento della prova finale.
Il titolo di Diploma universitario di Alta Formazione in Dialogo Interreligioso e Relazioni Internazionali viene rilasciato congiuntamente dall’Università degli Studi della Repubblica di San Marino e dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose, sulla base del Protocollo d’intesa sottoscritto tra le due istituzioni.
L’attività didattica del Corso è strutturata su un biennio che viene attivato in modo ciclico cui ci si può iscrivere in qualsiasi Anno Accademico.
Le lezioni dei corsi fondamentali si svolgeranno presso l’ISSR interdiocesano “Alberto Marvelli” da ottobre a maggio e saranno concentrate nella giornata di lunedì (ore 17.10-22.25). Le attività seminariali si svolgeranno prevalentemente il sabato mattina e potranno essere ospitate anche presso la Scuola Superiore di Studi Storici – Università della Repubblica di San Marino e altre sedi.

Le iscrizioni sono aperte dal 1 giugno al 15 ottobre.
La quota di iscrizione annuale è di ¤ 1.200,00, da versarsi in tre rate.
Le iscrizioni si effettuano presso la Segreteria dell’ISSR “A. Marvelli”, Via Covignano n. 265, 47923 Rimini.
email: segreteria@issrmarvelli.it tel: 0541. 751367

Ulteriori informazioni sono presenti sul sito:

www.issrmarvelli.it

 

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Omelia XV domenica del Tempo Ordinario

Omelia nella Chiusura della Visita Pastorale
nella parrocchia di Casteldelci

Senatello, 15 luglio 2018

Am 7,12-15
Sal 84
Ef 1,3-14
Mc 6,7-13

(da registrazione)

Contraccambio le parole del diacono Antimo per ringraziare e salutare tutti voi. Un saluto particolare al signor Sindaco che rappresenta la cittadinanza di questo vastissimo comune. Ringrazio dell’accoglienza. Ringrazio il coro che ci sta aiutando nella preghiera.

1.
Il Vangelo che abbiamo ascoltato incrocia la mia vita, la mia storia. Gesù chiama a sé e poi manda nel mondo. Ecco, modestamente, con i miei pochi mezzi, sono stato chiamato dal Signore e mandato a “fare strada” (gr. odon poiein): non solo a camminare – come diremmo in italiano –, ma anche letteralmente a “fare strada”, perché a volte bisogna “farsi strada” in mezzo ad un bosco o ad un territorio difficile. Quando il Signore chiama – questo vale per ognuno di noi – ti fa sentire nel cuore che ha una certa confidenza con te; non ti chiama per cullarti ma per mandarti a “fare strada”. “Fare strada” non va inteso in termini di chilometri, perché anche quello che si vive in casa, nelle piccole o grandi aziende, nella scuola, nella famiglia, è tutta “strada” che si fa, “strada di dentro”, cammino interiore. Anche un perdono esige un cammino interiore profondo, anche le diversità di opinione, di sensibilità, esigono che dentro si faccia strada per incontrarsi. Il Signore chiama per farci “fare strada”, per indicarci un cammino. Il cammino è il futuro, è creatività, è generatività. Il Signore toglie dalla situazione di “panchinaro”, per metterci in azione.

2.
Come manda il Signore il suo camminatore? Il Signore non manda mai navigatori solitari, li «manda due a due», perché a parlare non siano le parole, ma la testimonianza della carità reciproca. Due a due, insieme, facendo comunità. Li manda con un equipaggiamento molto leggero; le uniche eccezioni consentite sono il bastone e i sandali, già un’allusione alla missione fuori da Gerusalemme. Questo testo, dunque, non è antichissimo, è già in una fase di sviluppo del cristianesimo, fuori da Gerusalemme e dalla Giudea. Lì occorreva andare col bastone per tanti motivi, per sorreggere il passo, come gli amici sorreggono il cuore. L’equipaggiamento è molto leggero, perché il Signore vuole che la Parola che viene annunciata si imponga da sé; non sono i mezzi, le attrezzature che rendono convincenti, neanche la cultura del predicatore, che pur deve esserci. Il Vangelo farà breccia non sui mezzi. Un minimo di mezzi di sussistenza è necessario, ma anche se avessimo tutti i network del mondo e se avessimo la possibilità di esibire ricchezze, non per quello il Vangelo prenderebbe piede. Il Vangelo attecchisce di per sé, per la sua forza interiore, ma anche per la testimonianza. Quindi, la prima predica, la più convincente, è la propria povertà. Il Signore, nonostante i nostri dubbi, le nostre fragilità, le nostre fatiche, dice: «Vai!».

3.
Dove ci manda il Signore?
Gesù Risorto dirà: «Andate in tutto il mondo a predicare il Vangelo» (cfr. Mc 16,15). Ma voglio sottolineare una frase di questo Vangelo in cui Gesù dice di andare «nella casa». La casa anche storicamente fu il luogo dove il cristianesimo è nato. «Si radunavano nelle case» (cfr. Rm 16,3-5). Alla chiusura della Visita Pastorale posso dire, dopo aver girato molte case dove ci sono anziani e ammalati, che la casa è il luogo dove il mistero di Gesù morto e risorto è quanto mai significativo, spiega la nostra vita, perché dire “Gesù morto e risorto” in moneta corrente è dare la vita, è l’amore che passa attraverso il dono di sé. Potremmo anche dire attraverso “la morte” di noi stessi, come dice la parola del Signore: «Siamo passati da morte a vita», la risurrezione, non solo alla fine, quando Dio vorrà che ci sia la grande risurrezione, ma in ogni attimo «passiamo dalla morte alla vita» quando amiamo i fratelli (1Gv 3,14). «Siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo»: questo vorrei lasciarvi come ricordo della Visita Pastorale.
Sulla Terra stiamo per arrivare a 8 miliardi di esseri umani: 8 miliardi di bocche da sfamare, ma anche 8 miliardi di cervelli e di cervelli connessi fra loro. Che potenza! Bisogna che questi 8 miliardi di cervelli siano indirizzati verso il bene, verso l’amore.