Giornata Mondiale della Pace

1° Gennaio 2021 – 54° Giornata Mondiale della Pace
LA CULTURA DELLA CURA COME PERCORSO DI PACE

Il 1° gennaio si celebra la 54° Giornata Mondiale della Pace, istituita da Paolo VI nel 1968 per invitare tutti gli uomini di buona volontà a dedicare alla pace il primo giorno dell’anno per affermare il desiderio che tutto l’anno sia dominato dalla ricerca della pace.
L’anno che si sta chiudendo è stato segnato dalla crisi sanitaria mondiale del Covid-19 e dalla conseguente crisi sociale che ha aggravato le tante crisi già in atto prima della pandemia: climatica, alimentare, economica e migratoria.
Ciò che l’umanità ha sperimentato nel corso di questo anno ci ha reso consapevoli della necessità di prenderci cura gli uni degli altri e tutti insieme del creato, la nostra casa comune, costruendo una società fondata su rapporti di fratellanza contro una concezione individualistica della società. Per questo Papa Francesco ha scelto come tema del Giornata Mondiale della Pace La cultura della cura pace come percorso di pace che propone una  cultura della cura contro la cultura molto diffusa dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro.
Per il Santo Padre “La cultura della cura, quale impegno comune, solidale e partecipativo per proteggere e promuovere la dignità e il bene di tutti, quale disposizione ad interessarsi, a prestare attenzione, alla compassione, alla riconciliazione e alla guarigione, al rispetto mutuo e all’accoglienza reciproca, costituisce una via privilegiata per la costruzione della pace.”

S.E. Mons. Andrea Turazzi consegnerà, nel rispetto delle disposizioni sanitarie vigenti, il Messaggio del Papa alle autorità politiche presenti durante le solenni celebrazioni del prossimo 1° gennaio per invitare al comune impegno alla costruzione della pace:
– alle ore 12.00, nella Basilica del Santo alla presenza degli Ecc.mi Capitani Reggenti, trasmessa in diretta dalla San Marino RTV;
– alle ore 18.00, nella Cattedrale di Pennabilli, trasmessa in streaming sulla pagina Facebook della Diocesi.

Commissione per la Pastorale Sociale
Diocesi San Marino-Montefeltro

Omelia nella S.Messa del giorno di Natale

Pennabilli (RN), Cattedrale, 25 dicembre 2020

Is 52,7-10
Sal 97
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18

Auguri a tutti, e con voi, insieme con voi, attraverso di voi, alle sorelle e ai fratelli della Diocesi. Voi siete nella Cattedrale, siete come la lente che mi consente di vedere ravvicinati tutti i fedeli della Diocesi di San Marino-Montefeltro, una Chiesa locale saldamente unita alla Chiesa di Pietro, il Pietro di oggi, papa Francesco.
Non possiamo non prendere l’avvio alla nostra meditazione senza fare almeno un riferimento a quello che stiamo vivendo. Tra le cose che il tempo di pandemia ci insegna c’è la necessità della preghiera. Siamo tutti in ginocchio, chi per un motivo, chi per un altro, chi per circostanze che lo riguardano personalmente, chi per i propri cari; qualcuno ha sentito la chiamata dell’Unità Sanitaria Locale che gli ha imposto la quarantena fiduciaria…
Un’esperienza molto bella che abbiamo vissuto è stata la Novena del Natale attraverso i canali web della Diocesi. Oltre quaranta famiglie, strapiene di bambini, si sono collegate ogni sera alle 20:45 per pregare insieme. Abbiamo colto un aspetto nuovo della preghiera. Siamo stati educati alla preghiera di lode, anche se talvolta contrastata da sentimenti di protesta: «Come faccio a lodare quando sono sotto un macigno?». Veniamo invitati puntualmente alla preghiera di richiesta di perdono, una preghiera che ci allinea tutti nella verità della nostra condizione di peccatori. Ci viene spontanea la preghiera di implorazione, di domanda, di richiesta di aiuto, a volte fervorosa, altre volte venata di scetticismo, perché vessata da perplessità: «Ho pregato tanto, ma non ho visto i risultati…». L’aspetto della preghiera che stiamo riscoprendo è la preghiera dentro la vita. Detto con una parola sola: la preghiera esistenziale. Consiste nel vivere insieme al Signore ogni passo, ogni preoccupazione, ogni pensiero, ogni “perché?”. Una compagnia. Questa preghiera è come una luce che, benché soffusa ed avvolgente, è calda. È contemplazione, pur nell’attività e nel quotidiano. È come un lievito che senza apparenza compie immancabilmente il miracolo del sollevamento, della crescita. Cammini in una valle oscura? Senti che in nessun modo hai potere su quello che ti succede? Ascolta, ad esempio, la preghiera del Salmo 23: «Il Signore è il mio pastore». Sarebbe bello ripercorrerlo, meditarlo, assaporarlo. La Scrittura era la prerogativa dei saggi, dei sacerdoti, dei sapienti; a volte mancava anche il papiro su cui stendere le parole o la tavoletta su cui inciderle, pertanto le parole erano contate e soppesate. Ebbene, in questo Salmo, dopo ventisei parole, prima delle altre ventisei, proprio nel mezzo, c’è la cifra più umana e nel contempo più divina della fiducia: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla… Se cammino in una valle oscura non ho paura, perché tu con me». Grande e indicibile consolazione. Al cuore di qualsiasi pericolo o avvilimento ci è dato di rinnovare con coraggio il nostro abbandono fiducioso nel Signore. Solo tre parole nella lingua ebraica: Perché tu con me, senza nemmeno il verbo espresso, in modo paratattico. Varie volte (365 volte) nelle Scritture il Signore dice ai suoi amici: «Non temere, perché io sono con te» (Is 41,10). Ma una sola volta, proprio in questo Salmo, il credente ardisce ripetere questa dichiarazione dal suo punto di vista: Perché tu con me. Difficile penetrare nel Santuario della coscienza di Gesù: è un dono concesso ai mistici. Ma è possibile immaginare che anche lui abbia fatto sue le parole di questo Salmo. Chissà quante volte deve averle pregate rivolgendosi al Padre suo: Perché tu con me. Sigla riassuntiva dell’assoluta confidenza nel Padre, a cui si rivolgeva testualmente nei Vangeli, con infinita famigliarità. Lo chiamava: «Abbà», che vuol dire “babbo” (Mc 14,36). Perché tu con me: questo è il cuore del Natale. Non vi pare?
Facciamoci portare da questa preghiera esistenziale. Quante volte nella giornata possiamo dire Perché tu con me: mentre si compiono le azioni quotidiane, mentre si fa la spesa, mentre si fa una telefonata… Sì, particolarmente in questo Natale nel quale siamo meno condizionati dal clamore, dal contorno consumistico. È un Natale più silenzioso. Il silenzio è il linguaggio di Dio (un grande teologo, Karl Rahner, ha scritto un libro molto bello intitolato: «Tu sei il silenzio»). Il Signore non ha camminato sulla terra di passaggio, come un turista, per poi sistemarsi nei piani alti del Cielo. Non è venuto a sfiorare la nostra carne, sia pure per curarla, come i medici nei reparti Covid, ben protetto dai peccati. Non è venuto per richiamarci al dovere come fa un preside, per richiamarci alla nostra vocazione tante volte tradita. No, si è fatto prossimo totalmente, uno con noi, ed è venuto per restare con la sua forza attrattiva, come la gravità, che è l’amore che attrae lo sposo alla sposa. «Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Per un cristiano antico che leggeva il testo di Giovanni, letteralmente abitare si traduceva con piantare la sua tenda in mezzo al suo popolo. È evidente il richiamo al periodo più terribile del popolo di Israele, l’epoca del suo esilio e prima ancora del suo esodo, in mezzo alla steppa, alle prese con la mancanza d’acqua, con la minaccia dei serpenti e degli scorpioni. Perché tu con me hai piantato la tua tenda! Facendosi uomo ha riconosciuto nella nostra umanità la sua stessa immagine e l’ha restituita al suo primo splendore. «A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12).

Come vivere questi giorni? Offro un suggerimento: stare più vicini al Signore, gustarlo, fermarsi davanti al presepio, guardare i personaggi (siamo noi!). Nel silenzio adagiare sulle nostre ginocchia il libro dei Vangeli aperto alla pagina del Prologo e lasciare fioccare lentamente, ad una ad una, quelle immense parole di luce, perché in quelle righe è intrecciata tutta la storia di Dio e la nostra. Davanti a quel Bambino adagiato in una culla di pietra e di paglia, con la Chiesa confessiamo che quel Bambino è il Figlio di Dio, eternamente nascente dal Padre «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero». A noi come ai pastori è dato di saperlo e a noi come agli angeli di cantarlo. Buon Natale!

Omelia nella S.Messa della notte di Natale

San Leo (RN), Cattedrale, 24 dicembre 2020

Is 9,1-6
Sal 95
Tt 2,11-14
Lc 2,1-14

C’è gente addossata al parapetto di un ponte che guarda l’esplosione della centrale nucleare, senza avvedersi che sta già respirando le polveri radioattive. Così inizia la serie televisiva “Chernobyl”, che probabilmente qualcuno di voi ha visto. Pressappoco quello che è accaduto a molti di noi all’inizio della pandemia. Ci fu sorpresa e subito spettacolarizzazione: si andava a vedere un telegiornale dopo l’altro. Il primo lockdown è stato preso da qualcuno come una vacanza anticipata e le zone rosse come luoghi di sofferenza vicaria (loro per noi…). Poi si è fatta più vicina ed inquietante la percezione reale della situazione carica di dolore, distacchi, solitudini, con preoccupate domande di fronte ad un nemico terribile perché invisibile, di fronte all’incrinarsi del mito del “tutto sotto controllo” e al paradosso dell’opportunità di distanziarci per salvare i legami: una contraddizione in termini.
Ora siamo ad una sorta di “collaudo strutturale” delle nostre comunità. Ci sono pilastri a rischio di cedimento, crepe da ricucire (non semplicemente da stuccare), bulloni da stringere. Fuori di metafora: l’urgenza della solidarietà, la disponibilità alle regole, la necessità di attenuare le tensioni sociali.
Intelligenza, cuore, mani giunte: queste le risorse a nostra disposizione. Intendo la ricerca scientifica e la razionalità organizzativa; gli affetti famigliari, la professionalità e il volontariato; la preghiera che infonde speranza, che pacifica di fronte alla nostra fragilità e fa vivere l’interconnessione come fraternità.
“Salvare il Natale”: è stato un appello ricorrente sulla stampa e sui social. Una espressione – a dire il vero – non senza ambiguità. “Salvare il Natale”: per qualcuno era la comprensibile preoccupazione per questi giorni di crisi commerciale ed economica; per altri un nostalgico desiderio di buoni sentimenti e di riti famigliari; per altri ancora una giusta enfasi sulla maternità in tempo di culle vuote.
Ma il senso del Natale va cercato ad altre profondità: un Dio si fa uomo, viene ad abitare in questo mondo per… restarci. Originalità ed audacia del cristianesimo!
È il Natale che salva noi. Ai cristiani, come ai pastori di Betlemme, è dato di saperlo e, come agli angeli, di cantarlo. Vorremmo poter dire a tanti che si chiedono «dov’è Dio?»: «Eccolo!». E aggiungere a ciascuno di accogliere, se vuole, il Signore, qui, adesso, in questo anno sanguinante. Anche se il cuore è appesantito e vuoto come una stalla – quella stalla – è proprio lì che Dio chiede di nascere. Starei per dire: «Sei tu il Natale di Dio».

Concludo con la citazione di un celebre scritto di un pensatore contemporaneo che si proclamava non credente, Jean-Paul Sartre. Questa pagina è scritta in un modo tale che ha fatto discutere sull’ateismo di questo pensatore. È appena un passaggio di un racconto sulla figura di Maria, rappresentato quando era in campo di concentramento a Treviri nel 1944.
«La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita. Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia”. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive» (Jean-Paul Sartre, Bariona o il figlio del tuono. Racconto di Natale per cristiani e non credenti). Originalità e audacia del cristianesimo!
A tutti voi il mio augurio di un santo Natale.

Omelia nella IV domenica di Avvento

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 20 dicembre 2020

2Sam 7,1-5.8-12.14.16
Sal 88
Rm 16,25-27
Lc 1,26-38

Entriamo in punta di piedi nella casetta di Nazaret, luogo semplice, umile e povero. Alla vigilia ci sentiamo ancora impreparati al Natale. Impariamo alla scuola di Maria il raccoglimento, l’ascolto e la custodia della Parola.

1.

Un messaggero entra in quella casetta; è inviato da Dio per portare un annuncio, un Vangelo: Gabriele è il suo nome. Nell’Antico Testamento Gabriele è “l’uomo di Dio” (così la traduzione del nome Gabriele), colui che spiega le apparizioni riguardanti «il tempo della fine» (Dn 8,16; 9,21). Maria è, quindi, collocata subito nella storia della salvezza, al suo compimento «nella pienezza del tempo», come scriverà san Paolo ai Galati (cfr. Gal 4,4).
Maria è di Nazaret, in Galilea. La gente del tempo non aveva molta considerazione né della Galilea, né di Nazaret: «Che cosa di buono può mai venire da Nazaret?», dirà uno dei primi discepoli chiamati da Gesù (cfr. Gv 1,46). Ma Dio non ha bisogno di mezzi potenti, né degli “illustrissimi di Gerusalemme” per compiere la sua opera, anche la più straordinaria (cfr. 1Cor 1-2). Nazaret è un piccolo villaggio, annidato tra i monti, un luogo qualunque. Eppure, diventa lo spazio dell’incarnazione. Confrontando l’Annunciazione a Maria con quella a Zaccaria si coglie un’importante differenza. L’Annunciazione a Zaccaria avviene nel tempio, durante un rito solenne, con ricchezza di particolari (cfr. Lc 1,5-25). A Nazaret nulla di tutto questo, ma semplicità ed essenzialità su uno sfondo domestico.

2.

Maria e Giuseppe vengono presentati con poche parole. Nella procedura matrimoniale ebraica esistono due fasi. La prima consiste nell’accordo legale matrimoniale: la ragazza diventa già moglie legittima, ma rimane ancora a casa dai genitori per circa un anno e non ha ancora relazioni sessuali col marito; la seconda fase consiste nella conduzione della sposa nella casa dello sposo, ove il matrimonio viene consumato. Maria, dunque, è vergine e sposa. Così, tramite Giuseppe, viene ad essere della discendenza di Davide e il figlio che nascerà potrà, a pieno titolo, considerare Davide «suo padre». Se, dunque, la verginità la ricollega all’oracolo dell’Emmanuele (cfr. Mt 1,23), la discendenza davidica la ricollega agli oracoli del re Messia (cfr. 2Sam 7,1-16). Notare come in queste prime righe del racconto l’evangelista si premuri di elencare tanti nomi propri di luoghi e di persone: ben sette. C’è precisione quasi meticolosa e concretezza per far capire al lettore come il “venire di Dio” prenda la totalità della vita.

3.

«Kaire». L’angelo non comincia con una esortazione: «Su, prega, sforzati…», ma con un invito alla gioia: «Rallegrati». C’è chi ha tradotto questo imperativo con «Ave» (effettivamente può anche essere considerato un saluto), ma qui è molto più che un saluto: è l’equivalente della parola “Vangelo”. È un richiamo esplicito a celebri oracoli profetici: Sofonia 3,14; Gioele 2,23; Zaccaria 9,9. In questi oracoli il popolo d’Israele è invitato a traboccare di gioia, perchè è vicino il Messia: «Ecco il tuo re che ti salva»! È la chiamata ad Israele a fare festa. L’evento gioioso mobilita i credenti, da Abramo – che esultò nella speranza di vedere quel giorno (cfr. Gv 8,56) – fino a Giovanni Battista – che danza di gioia nel grembo (cfr. Lc 1,44) –, il tempo della salvezza è venuto. E Maria è il termine dell’attesa. Come si vede, questo racconto dell’Annunciazione è un trapunto di citazioni bibliche.
«La-piena-di-grazia». A volte queste parole vengono scritte come una sola parola per rendere in modo più efficace il testo greco. «La-piena-di-grazia» è il secondo nome proprio di Maria, quello dato dal Cielo. Il primo è quello dato dai genitori: Miriam. Il terzo è quello che Maria darà a se stessa: l’ancella. Il nome «La-piena-di-grazia» può essere spiegato così: «Sei stata fatta oggetto dell’amore straripante di Dio», «amata per sempre». Maria riceve la stessa dichiarazione d’amore che Dio nelle Sacre Scritture rivolge al suo popolo, «l’amato più di ogni altro popolo» (cfr. Dt 4,7; 7,7). E – come scrive Ezechiele in 16,8 – «sono entrato in un patto d’amore con te». Maria è figura dell’Israele amato da Dio, giunto al punto cruciale della sua storia: Dio scende definitivamente tra i suoi, è l’Emmanuele, «il Dio con noi». L’angelo, infatti, dice a Maria: «Il Signore è con te».

4.

«Non temere». È un invito tipico e ricorrente nei racconti di vocazione, una rassicurazione. Maria non deve temere, colui che nascerà da lei non è solo un uomo grande, ma molto di più. Qui Maria viene vista come la «tenda» nel deserto su cui aleggia lo Spirito; oppure come il tempio di Sion in cui abita il Signore (cfr. Es 33,9; 1Re 8,10; 2Mac 2,8). In questo Maria è prefigurazione della Chiesa, tempio dello Spirito Santo (cfr. 2Cor 6,1-16; 1Cor 3,15; 6,19). C’è, infine, chi vede in questo adombrare dello Spirito sulla fanciulla di Nazaret un richiamo alla prima pagina della Genesi, dove lo Spirito di Dio, aleggiando sulle acque, introduce la creazione (cfr. Gn 1,2).
La risposta di Maria. Faccio notare un particolare che spesso sfugge. Il messaggero celeste parla direttamente alla donna, cosa del tutto insolita per la cultura dell’epoca. Ma ancor più interessante è sottolineare come l’ultima parola sia lasciata all’ancella! Ed è un “sì”. Da quel momento risuona in Maria la parola: «Il Verbo si fa carne e “viene ad abitare in mezzo a noi” (cfr. Gv 1,14)». Anche la Chiesa ha questa vocazione: «Accogliere la Parola e generare come Maria figli di Dio, un popolo santo e regale». Ma è vero anche per ciascuno di noi: «Accogliere e vivere la Parola che trasforma in Gesù».
C’è una preghiera che dobbiamo rilanciare: l’Angelus. È la preghiera che il Papa guida ogni domenica a mezzogiorno. Diventi la traccia per la nostra meditazione in questi giorni di vigilia. Buon Natale!

Giornata Mondiale della Pace

Omelia nella III domenica di Avvento

Mercatale (PU), 13 dicembre 2020

S. Cresime

Is 61,1-2.10-11
Lc 1
1Ts 5,16-24
Gv 1,6-8.19-28

Da dove scaturisce la pagina di Vangelo che è stata appena proclamata? Nasce dalla pagina del Vangelo secondo Giovanni ritenuta un “picco” del Nuovo Testamento, una delle pagine più belle, detta il “Prologo”, cioè l’ouverture del Vangelo di Giovanni (pagina che leggeremo il giorno di Natale). «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. […] In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. […] Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto; a quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,1.4.11-14).
Una pagina straordinaria che contiene tutti i temi che verranno trattati successivamente nel Vangelo. Un po’ come avviene nella lirica: nell’ouverture (brano introduttivo) – di solito eseguita solo dall’orchestra – vengono anticipati tutti i temi musicali che saranno presenti nell’opera. La pagina di oggi si aggancia, appunto, al “Prologo” di Giovanni.
Il primo Vangelo in ordine di tempo è quello dell’evangelista Marco, il quale dice che Vangelo non sono soltanto gli insegnamenti, le parabole, i miracoli di Gesù; Vangelo è la sua stessa persona. Gli evangelisti Matteo e Luca, poi, hanno voluto raccontare anche l’infanzia di Gesù. Dal momento della nascita Gesù è già “gloria di Dio”, pienezza del Vangelo. Giovanni risale ancora più indietro e dice che Gesù è il Verbo di Dio che esisteva ancor prima di incarnarsi. Giovanni Battista indica la presenza del Verbo fatto carne.
C’è una delegazione ufficiale che scende da Gerusalemme alle rive del fiume Giordano dove Giovanni battezza, con un segno austero che invita alla conversione, un rito di purificazione nelle acque. Gli inviati dicono: «Tu chi sei? Sei il Messia?». «Assolutamente no». «Sei Elia?». «No; mi vesto come il profeta Elia ma non sono Elia». «Allora sei il profeta atteso, il nuovo Mosè?». «No». «Ma allora chi sei?».
Durante la settimana, quando meditavo questo brano, mi sembrava che quella parola fosse rivolta a me: «Tu, Andrea, chi sei? Cosa dici di te stesso?». Sono stato severo con me, perché ho detto al Signore le mie fragilità e le delusioni che gli ho dato. Ma la voce continuava insistente: «Tu chi sei?». Ho dovuto riconoscere la cosa più bella del mondo: io non sono i miei peccati, i miei difetti, le mie inconsistenze; sono un figlio di Dio, sono fratello di Gesù. Giovanni Battista (letteralmente Giovanni significa “tenerezza di Dio”) dice ai messaggeri venuti da Gerusalemme ad indagare su di lui: «Sono una voce che indica presente in mezzo a noi la Parola, il Verbo».
Che rapporto c’è tra la voce e la parola? Per farmi capire uso l’esempio di un grande filosofo e santo, Agostino. Se abbiamo nel cuore o nella mente, un sentimento o un ragionamento, cioè un contenuto, lo possiamo travasare in chi ci sta di fronte attraverso la voce. La voce è uno strumento. Mentre parlo, la mia voce travasa dentro di voi i miei pensieri e i miei pensieri, pur venendo a voi, rimangono in me. È come una fiamma: con lo stoppino non si tira via il fuoco; il fuoco rimane, ma viene comunicato.
Tu, cristiano, chi sei veramente? Ogni cristiano dovrebbe dire: «Io sono una voce che deve dire la Parola, Gesù». Se vivo il Vangelo, il Vangelo mi plasma, mi trasforma, mi modula e posso testimoniare Gesù. Un altro esempio. Una volta ho incontrato Madre Teresa di Calcutta. Ricordo che era molto piccola, ricurva, sempre con le mani giunte alla maniera degli orientali, ma aveva occhi straordinari: avvertivi che in lei c’era Gesù.
Ho fatto il postulatore per il riconoscimento delle virtù di un sacerdote di Parma, don Dario Porta. Si vedeva in lui Gesù; si vedeva dalla sua tenerezza, da come parlava, da come sapeva amare. Era tutto Vangelo, trasformato dal Vangelo.
Adesso invocheremo lo Spirito Santo su voi ragazzi: lo Spirito Santo vi farà diventare come Gesù.
Alla fiera a volte si comprano i palloncini. Inizialmente appaiono come un grumo di gomma ma, quando ci si soffia dentro, il palloncino prende una determinata forma. Nella Cresima succede qualcosa di analogo: siamo spiritualmente informi, ma abbiamo già la predisposizione a modularci su Gesù. Lo Spirito Santo effuso su di noi ci fa diventare Gesù. Ora capisco meglio la frase finale del Vangelo: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». Eccolo Gesù: è in ciascuno di voi!
Il Vangelo era iniziato con la frase: «Venne un uomo mandato da Dio, il suo nome era tenerezza di Dio (Giovanni)». Ognuno di voi, ragazzi, è chiamato ad essere come Giovanni, presenza e tenerezza di Dio.

Omelia nella II domenica di Avvento

Pennabilli, Cattedrale, 6 dicembre 2020

Is 40,1-5.9-11
Sal 84
2Pt 3,8-14
Mc 1,1-8

1.

Oggi ci troviamo di fronte ad una lettura emozionante: è la prima pagina del Vangelo del primo degli evangelisti, Marco. Il libro che stiamo per aprire non appartiene al genere letterario delle biografie. Si tratta di un genere letterario completamente nuovo iniziato da Marco, l’accompagnatore di Pietro (la tradizione lo chiamerà «l’interprete di Pietro»). È come se Marco rispondesse a questa domanda: quando Pietro non ci sarà più, chi annuncerà la gioia della “buona notizia” che è Gesù? Allora Marco ha la geniale idea di raccogliere i detti e i fatti riguardanti Gesù, di cui Pietro è testimone diretto. Si tratta, dunque, della buona novella di Gesù, Cristo e Figlio di Dio, che sale a Gerusalemme per rivelare con la sua morte e risurrezione la sua identità e la missione ricevuta dal Padre.
Già la prima riga è un grido di gioia: Gesù è Cristo e Figlio di Dio. Due titoli importanti che dicono con chiarezza, fin dall’inizio, chi è Gesù. Il Padre lo dichiarerà tale al momento del Battesimo (cfr. Mc 1,11) e della Trasfigurazione (cfr. Mc 9,7). Anche i demoni sanno chi è (cfr. Mc 3,11). Gli uomini si interrogano: «Chi è costui?» (cfr. Mc 1,27;4,41).
A Pietro e agli apostoli che lo riconoscono, Gesù impone il segreto per evitare l’equivoco di un messianismo alla maniera umana (cfr. Mc 8,30). Sarà Gesù stesso davanti al sommo sacerdote, durante il processo, a sollevare il velo che nasconde la sua persona (cfr. Mc 15,62).
I credenti dovranno riconoscere il Crocifisso come “buona notizia”, come fa il centurione romano che esprimerà, con la massima limpidezza, la fede cristiana: «Veramente quest’uomo era figlio di Dio» (Mc 15,39).
Anche noi, davanti a questa pagina, possiamo confessare Gesù Figlio di Dio. L’abbiamo visto morire. Il suo sepolcro è vuoto. Il mondo intero attende la predicazione del Vangelo. La buona notizia di Gesù, Cristo e Figlio di Dio, nasce dalla croce!

2.

Siamo abituati a considerare la parola “Vangelo” come titolo di un libro. In realtà la parola è molto più ricca. Al tempo di Marco indicava l’annuncio solenne di una vittoria. Per Marco la grande vittoria è la risurrezione di Gesù. Quando non c’era più possibilità di confidare nella forza umana, Marco ci racconta che è intervenuta la potenza di Dio. Un terremoto ha annunciato la nascita di un mondo nuovo (cfr. Mc 15,33-38). La salvezza arriverà sino ai confini del mondo (cfr. Mc 16,20).
Per l’evangelista Marco ogni episodio, ogni pagina del suo scritto, sono da leggere in questa prospettiva.
Con la parola “Vangelo” si indicava anche l’annuncio della nascita di un personaggio importante e decisivo per il popolo. Per Marco la novità è Gesù: è lui la “buona notizia”, il compimento delle promesse.

3.

Dopo l’incipit, la pagina si apre con la proclamazione di una solenne profezia. In realtà si tratta di tre citazioni unite insieme. La prima echeggia la promessa di Dio a Israele di un angelo che lo difenderà e l’accompagnerà alla terra promessa (Es 23,20). Marco ci sta dicendo che ora accade qualcosa di ancora più grande dell’Esodo.
La seconda citazione è presa dal profeta Malachia; annuncia la venuta del Signore, del suo “giorno” e del suo “giudizio” (Ml 3,1).
Infine, la terza è l’oracolo di Isaia (del “Secondo Isaia”) che grida di preparare la via del ritorno dopo l’esilio (cfr. Is 40,3). È una profezia che apre il “libro delle consolazioni” (cfr. II Lettura).
La predicazione del Battista viene collocata proprio qui, dove Mosè aveva finito, sulle rive del fiume Giordano. Il Battista grida e invita “a fare il passaggio” attraverso l’acqua della purificazione, della conversione e del perdono.
Allora bisogna uscire dalla Giudea e da Gerusalemme, scendere al Giordano e prepararsi ad accogliere il Messia. La Giudea e Gerusalemme diventano simbolo delle nostre sicurezze, delle nostre presunzioni, del nostro “credere di credere”. La “voce” propone la conversione: la “conversione-metanoia”, cambiamento profondo e radicale e la “conversione-movimento” come movimento di tutta la persona verso Gesù, che consiste nel “girarsi” decisamente verso di Lui.
Ognuno porta sulle spalle il fardello dei suoi peccati, dei suoi fallimenti, dei suoi sensi di colpa. L’annuncio (kerygma) di Giovanni Battista è severo, come è austero il suo piglio, ma è tanto liberante. Col dito puntato in avanti indica il Signore che salva, che offre un Battesimo nello spirito: «C’è uno più grande di me…».
Come il personaggio del presepio, anche noi ci mettiamo sulla strada verso Gesù e gettiamo ogni nostro peso e preoccupazione. Non più peccati: li mettiamo nella sua misericordia. Non più sensi di colpa: siamo stati perdonati. Così alleggeriti, affrettiamo il cammino verso Betlemme.

Colletta alimentare 2020

Si è conclusa la storica iniziativa del Banco Alimentare giunta alla 24° edizione.
 

Nei diciotto giorni di Colletta Alimentare sono stati donati 6.074 Buoni Spesa convertiti in 14.500 Kg di alimenti equivalenti a 29.000 pasti*, che verranno consegnati al centinaio di famiglie in difficoltà attraverso la Caritas sammarinese convenzionata con Banco Alimentare dell’Emilia Romagna.

“I risultati ottenuti dalla Colletta Alimentare – afferma Remo Contucci, della Fondazione Banco Alimentare Emilia Romagna Onlus – sono il segno che la pandemia non ferma la solidarietà dei sammarinesi, che hanno risposto oltre ogni aspettativa eguagliando il risultato dello scorso anno anche con una forma diversa dal passato e in piena emergenza sanitaria. Non era possibile replicare la modalità degli scorsi anni e ci siamo organizzati di conseguenza. In questo anno così drammatico il numero delle persone che hanno bisogno di aiuto alimentare è aumentato del 40%. Parliamo di persone che in molti casi non avevano mai chiesto aiuto prima d’ora e si sono trovate improvvisamente senza lavoro e senza risparmi. La situazione non migliorerà a breve, anzi, ci aspettano mesi complicati in cui molti conteranno sul nostro sostegno per andare avanti e noi dovremo farci trovare pronti. Per questo facciamo appello alla generosità, abbiamo ancora bisogno dell’aiuto di tutti e la Colletta Alimentare è un gesto semplice, ma molto importante per stare accanto a chi ha bisogno.”

Un ringraziamento per l’aiuto al successo della Colletta lo rivolgiamo di cuore ai Direttori dei Punti Vendita che hanno aderito, agli addetti alle casse che hanno indossato la pettorina dei volontari e hanno ricordato ai loro clienti i Buoni Spesa, a San Marino RTV per lo spot che ha realizzato, alle Banche sammarinesi che hanno promosso la Colletta attraverso gli schermi dei Bancomat, al Vicariato di San Marino che insieme ai parroci hanno invitato ad aderire all’iniziativa e infine un grazie alla Fondazione Graziani,  a Banca Agricola Commerciale, all’Ente Cassa di Faetano e al Rotary Club di San Marino per il sostegno donatoci.

*Un pasto corrisponde a un mix di 500 grammi di alimenti (in base alla stima della European Food Banks Federation).
 

San Marino, 11 dicembre 2020

Commento all’Enciclica “Fratelli tutti”

“Da corpo a corpo”: l’impegno in politica