Omelia nella XVIII domenica del Tempo Ordinario

Chiusi della Verna (AR), Colonia sammarinese, 31 luglio 2022

Qo 1,2;2,21-23
Sal 89
Col 3,1-5.9-11
Lc 12,13-21

Fino al cap. 9 del Vangelo di Luca, Gesù si reca dove la gente ha bisogno di lui: va a curare ammalati, va ad incontrare persone che hanno mancanza di insegnamenti, si intrattiene con i bambini. Dalla fine del cap. 9 in poi Gesù ha in mente solo una cosa: arrivare a Gerusalemme, la città santa. Gesù ha fretta, perché a Gerusalemme deve compiersi un passaggio difficile e bellissimo ad un tempo: la sua Pasqua, la sua morte in croce e la sua risurrezione, cioè la redenzione. Gesù è pieno di questa tensione per il Regno di Dio che sta per accadere, un avvenimento travolgente che mobilita tutto il suo cuore e l’entusiasmo dei primi discepoli. Immaginate Gesù in cammino, di fretta; gli si fa incontro una persona che gli pone una questione che per Gesù è del tutto secondaria, non perché non voglia immischiarsi in vicende famigliari penose, ma per l’urgenza dell’avvento del Regno di Dio sulla terra. Quella persona, dopo la morte del padre, gli chiede di fare da arbitro tra lui e suo fratello maggiore in merito all’eredità. Il padre aveva un’azienda e, secondo la legislazione dell’epoca, il figlio maggiore avrebbe ereditato tutti i beni immobili (case, terreni, attività avviate…). Tuttavia, i fratelli più giovani potevano chiedere un risarcimento. Ciò era fonte di grandi litigi famigliari. Il figlio più giovane va da Gesù e gli chiede: «Maestro, fai tu da arbitro in questa vicenda». Ma Gesù si sottrae: non è venuto sulla terra per fare l’avvocato! Anche se avrebbe potuto dire di fare metà per uno, oppure di dare al più grande una parte maggiore e al più piccolo una parte minore, in realtà Gesù sposta la questione più a monte: «Che rapporto hai con le cose, con il denaro? Dove hai il tuo cuore?». Gesù non è contrario ai beni della terra, ma, se hai il cuore solamente nel tuo smartphone, in quel vestito, nel denaro, quelle cose diventano i tuoi padroni, ne sei schiavo.
Gesù racconta una parabola. C’è un uomo che ha molta terra, il raccolto va straordinariamente bene e ciò diventa una preoccupazione: riempie i suoi magazzini di frumento, ma non ci sta tutto. Allora deve costruire altri magazzini, altri silos: è tutto preso da questo. Quell’uomo però è molto solo, parla tra sè: «I miei beni, i miei magazzini, la mia vita, il mio futuro…». Tutto è suo, è blindato dentro al proprio io. Ad un certo punto si sente una voce fuori campo che dice: «Stolto! Questa notte stessa ti porteranno via l’anima, morirai: che te ne fai dei tuoi tesori?».
È un invito ad usare bene le proprie ricchezze. Se uno è pieno di cupidigia, diventa infelice, perde la libertà, è sempre preoccupato. Le ricchezze si possono usare in due modi: per se stessi, fino al punto di diventare ingiusti con gli altri, oppure per la condivisione, per arricchire davanti al Signore. Cosa vuol dire arricchire davanti al Signore? Fare molte preghiere? Fare molta carità? Tutte cose buone… Si arricchisce davanti a Dio lavorando senza affanno, ma soprattutto aiutando il prossimo, creando legami di amicizia. Ho conosciuto persone talmente ripiegate su di sé, indaffarate, prese dal lavoro, che hanno perso la salute, la famiglia, l’amicizia col Signore.
Concludo con un racconto. Un cowboy voleva avere dei terreni che erano di una tribù di indiani. È andato a chiederli al capo tribù, ma non poteva cederli: erano dei loro padri. Il cowboy insistette. Il capo tribù fece questa proposta: «Ti diamo tutta la terra che vuoi; domattina, quando sorge il sole, parti dalla mia tenda e fai un giro che abbracci tutto ciò che desideri. Tutto quello che riesci a prendere dentro nel tuo giro sarà tuo… Così non faremo guerre tra noi». Secondo i patti, la mattina seguente il cowboy partì. Vide delle belle colline e le volle circoscrivere per conquistarle; vide un lago e volle anche quello, poi una prateria, un terreno coltivabile… Ormai il sole tramontava e fu costretto a rientrare. Quando arrivò davanti alla tenda del capo tribù stramazzò a terra morto stecchito. Chi troppo vuole, nulla stringe!
L’insegnamento di Gesù è moderno. Cari ragazzi, abituatevi ad essere liberi e generosi. Qui in Colonia siete come in un laboratorio: cercate di sperimentare una società più bella, in cui si condivide quello che si ha… Domani potrete esportare in tutta la Repubblica quello che qui sperimentate.

Campo estivo per coppie e famiglie

Summer school 2022

Sorella pace è il nostro sogno e il nostro impegno di donne e uomini che credono nella fraternità e giorno dopo giorno, pur nella fatica, cercano di realizzarla, nella convinzione che sia la nostra identità più profonda.

In questi tempi, inquietati da venti di guerra, crediamo che la pace abbia bisogno di nuovi sostenitori, persone che con i mezzi a loro disposizione, si danno da fare per costruire relazioni, famiglie, comunità, istituzioni che vivano in pace e siano disposti a fare la loro parte per promuoverla. Da qui nasce la Summer School Sorella Pace che si svolgerà nel Monastero Agostiniano di Pennabilli dal 2 al 4 settembre 2022.

Per iscriversi è necessario compilare il seguente modulo: https://forms.gle/yuXLAaNEymCdncQ76

Quota di iscrizione: 20 euro. Le possibilità per l’alloggio saranno fornite al momento dell’iscrizione.

Per informazioni:
Monache Agostiniane di Pennabilli
Tel. 0541 928412 – Whatsapp: +39 333 4725096 – email: osa.pennabilli@gmail.com

 

IL PROGRAMMA DELLA SUMMER SCHOOL

Venerdì 2 settembre: In ascolto della realtà. Leggere i cambiamenti in atto

MATTINO: I GIOVANI E LA PACE
  • 9:30 – Accoglienza.
  • 10:00 – Pace e guerra: cosa pensano i giovani? Dibattito condotto da Paola Bignardi, Pedagogista.
POMERIGGIO: TUTTO è CAMBIATO
  • 15:00 – Leggere i cambiamenti politici, economici e sociali. In dialogo con Don Matteo Prodi, Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna.
SERA: UN FILM PER LA PACE
  • 21:00 – Cineforum

 

Sabato 3 settembre: In ascolto della Parola. Percorsi biblico-simbolici a partire dall’enciclica Fratelli tutti

MATTINO: IL SOGNO E LA TUNICA
  • 9:00 – Percorso guidato da Don Davide Arcangeli e Don Marco Casadei. ISSR A. Marvelli – Diocesi di Rimini e San Marino Montefeltro.
POMERIGGIO: LA CASA SULLA SOGLIA
  • 15:00 – Dalla Rupe al Roccione. Con Don Davide Arcangeli e Don Marco Casadei.
SERA: ALLA FONTE
  • 21:00 – Serata di contemplazione e preghiera – Piazza V. Emanuele II.

 

Domenica 3 settembre: Parole di pace. Il vocabolario della fraternità

MATTINO: PAROLE DI PACE
  • 9:00 – Scriviamo insieme le nostre parole di pace. Realizzazione di un prodotto culturale collettivo. Attività guidata da Paola Bignardi.
  • 12:00 – Celebrazione Eucaristica presieduta da S.E. Mons. Andrea Turazzi.

Omelia nella XVII domenica del Tempo Ordinario

San Marino Città (RSM), 24 luglio 2022

2a Giornata mondiale dei nonni e degli anziani

Gen 18,20-32
Sal 137
Col 2,12-14
Lc 11,1-13

L’Eucaristia, oggi, si carica di un ulteriore motivo: dire grazie al Signore per il dono e la presenza dei nonni e degli anziani. La Chiesa vuol fare festa a coloro che il Signore – come dice la Bibbia – «ha saziato di giorni». Una lunga vita è una benedizione e gli anziani sono un segno vivente della benevolenza di Dio che elargisce la vita in abbondanza. «Benedetta la casa che custodisce un anziano – scrive papa Francesco –, benedetta la famiglia che onora i suoi nonni» (Papa Francesco, Messaggio per la Giornata Mondiale dei nonni e degli anziani, 2022). Questo messaggio va controcorrente rispetto a ciò che talvolta si pensa di questa età della vita e anche rispetto all’atteggiamento, a volte rassegnato, di alcuni anziani che vanno avanti con poca speranza e senza più attendere nulla dal futuro. In effetti, la vecchiaia è una stagione non facile da comprendere per due motivi. Nonostante arrivi dopo un lungo cammino, nessuno prepara ad affrontarla, sembra quasi cogliere di sorpresa. Inoltre, la società spende molto per questa età della vita, e questo è bello, ma non sempre aiuta ad interpretarla: «Si offrono piani di assistenza, ma non sempre progetti di esistenza» (Papa Francesco, Catechesi sulla vecchiaia, 23.2.2022). È difficile guardare al futuro e cogliere l’orizzonte verso il quale tendere. Da una parte la tentazione di esorcizzare la vecchiaia, nascondendo le rughe, facendo finta d’esser giovani; dall’altra sembra che non si possa fare altro che vivere in maniera disillusa, rassegnati a non aver più frutti da portare. Ma ecco, la consegna che ci viene offerta in questa Giornata dei nonni e degli anziani: «Nella vecchiaia essi daranno ancora frutti» (Sal 91,15). Come vivere questa parola? Vivendo la relazione, la grande risorsa del cuore. Si possono perdere l’udito e la vista, ma il cuore non perde colpi!
Mi sono chiesto che cosa pensi Gesù dell’anzianità, lui che è morto giovane (a trenta o trentatré anni). Che cosa ne sa Gesù di ciò che vive una persona di settant’anni? Mi sovviene un testo che ci fa capire come Gesù, pur non avendo raggiunto l’anzianità, abbia saputo interpretarla: «Avendo amato i suoi, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). Non c’è fine nell’amore! «Quando dici basta nell’amore, sei finito» (Sant’Agostino, Sermo 169, 15 [PL 38, 926]).
Per vivere la relazione è fondamentale condurre una vita attiva dal punto di vista spirituale. Molte volte abbiamo fatto “da Marta” nella vita, ora può essere più consona la vita “da Maria” di Betania: coltiviamo la vita interiore attraverso la lettura della Parola di Dio, la preghiera quotidiana, la consuetudine dei sacramenti. Poi, per portare frutto, insieme alla relazione con Dio occorre curare il rapporto con gli altri, con la famiglia, a cui offrire attenzione e affetto; spostare l’attenzione da sé verso gli altri. Quando ti chiedono “come stai?” e ti viene da iniziare il racconto di tutti gli acciacchi, replicare subito con: «E tu come stai? Che cosa stai vivendo in questo periodo? Che cosa passa per il tuo cuore?». Tutto questo può aiutare a non sentirsi spettatori nel teatro del mondo e della vita.
Papa Francesco parla della rivoluzione della tenerezza. L’ho avvertita ieri quando sono stato a celebrare la S.Messa in una Casa di riposo; ho visto l’attenzione e la prossimità agli anziani di tante persone. «Una rivoluzione – dice il Papa – disarmata e spirituale; una conversione che smilitarizza i cuori, permettendo a ciascuno di riconoscere nell’altro un fratello» (Papa Francesco, idem).
I nonni e gli anziani hanno una grande responsabilità. Siamo passati tutti sulle ginocchia dei nonni che ci hanno tenuto in braccio e hanno maturato una saggia e utile consapevolezza di cui il mondo ha tanto bisogno: non ci si salva da soli! La felicità è un pane che si mangia insieme.
Per gli anziani “più anziani”: anche il lasciarsi accudire, spesso da persone che vengono da altri paesi, è un modo per dire che vivere insieme non solo è possibile, ma necessario.
Il Papa invita i nonni a valorizzare lo strumento più prezioso a disposizione: la preghiera.
Permettete qualche sottolineatura sul brano di Vangelo proclamato poco fa dal diacono. Innanzitutto avrete notato lo stupore dei discepoli nel vedere come Gesù pregava. Anche noi siamo curiosi di conoscere il luogo adatto, il tempo migliore: «Signore, facci entrare nella tua preghiera!». Di solito i discepoli non fanno domande nei Vangeli, è rarissimo. È Gesù che fa le domande, è il suo metodo di argomentare: fare domande per suscitare la partecipazione dell’ascoltatore. Ma qui sono loro che chiedono: «Signore, insegnaci a pregare». Si chiedono se usa una raccolta di preghiere o se ha dei metodi privilegiati, come Giovanni Battista insegnava ai suoi discepoli o come gli Esseni che, nel deserto, facevano lunghe preghiere… Gesù non ha composto un libro di preghiere, ma ci insegna che la preghiera è un rapporto, una relazione. Gesù risponde: «Quando pregate, dite: Padre».
Poi c’è un elenco, quasi una traccia, per dire che con il Padre bisogna discorrere, avere perseveranza e audacia.
Ci sono preghiere che ci sembra non vengano esaudite… Ma la preghiera è per vivere con il Signore la nostra vita, per vivere con lui le nostre difficoltà. Il Padre non è il genio della lampada di Aladino, ai nostri ordini! L’evangelista Luca non vuole fondare la preghiera sull’illusione che basti chiedere qualsiasi cosa a Dio per essere immancabilmente esauditi. La preghiera, infatti, non deve essere considerata un mezzo per fare pressione su Dio, perché cambi idea e per ottenere che Egli ceda dinanzi ai nostri desideri. Solo la preghiera che ci apre all’azione dello Spirito Santo, un’azione che ci conforma ai desideri di Dio e alle sue esigenze, è una preghiera autentica. Così sia.

Messaggio al popolo sammarinese in merito al progetto di Legge sulla IVG

Sento il desiderio di condividere qualche pensiero costruttivo e schietto in merito all’imminente discussione presso la Commissione Consiliare preposta e successivamente in Consiglio Grande e Generale della Repubblica di San Marino sul progetto di Legge che regolamenta l’Interruzione Volontaria della Gravidanza, a seguito del recente referendum popolare a cui si deve dare attuazione.
Prendo la parola nel pieno rispetto delle Istituzioni della nostra Repubblica e delle procedure democratiche. Non è mia competenza, né mio compito intervenire sugli aspetti tecnici del progetto di Legge, ma credo di poter sottolineare alcune esigenze etiche sulla questione.
Sono intervenuto in più occasioni sull’argomento dell’Interruzione Volontaria della Gravidanza: è chiaro a tutti il pensiero della Chiesa, ultimamente ribadito da papa Francesco.
Presuppongo in tutti il desiderio di operare per il meglio della nostra comunità, per la tutela della vita e per il sostegno alle donne e alle famiglie.
Anche se il cattolico sa che nessuna legge può rendere moralmente lecita la soppressione di una vita umana – quello che viene proclamato come diritto, in realtà è una delle piaghe dell’umanità – è importante ora operare attivamente per migliorare quanto più possibile tale legge, al fine di supportare con ogni aiuto possibile i figli, le loro madri ed i loro padri, per limitare il ricorso all’aborto.
Esorto i cattolici a saper valorizzare, senza timore, le ragioni della propria fede e, insieme alle persone di altre convinzioni e laiche, far riferimento alle motivazioni di ragione, in sintonia con la secolare tradizione umanistica della Repubblica di San Marino.
Auspico che – questo è il momento opportuno – tutte le forze politiche adempiano la promessa fatta coralmente durante la campagna referendaria: dare vita ad una rete di prevenzione efficace e solidale che aiuti la donna in difficoltà ed ogni gravidanza difficile, senza lasciare indietro nessuno; investire di più nell’educazione al rispetto del proprio corpo e delle relazioni affettive, sia nella società civile, sia nella scuola.
Vorrei si fissasse con chiarezza almeno il limite temporale entro il quale l’aborto viene depenalizzato, in modo rispettoso dell’embrione umano e in considerazione dei progressi della scienza medica.
Insostituibile ritengo sia il ruolo della famiglia; non si isoli la donna dal coniuge e le figlie dai genitori.
Coerentemente con quanto avviene in tutti i Paesi dell’Europa, chiedo si riconosca il diritto all’obiezione di coscienza all’aborto per tutto il personale medico e paramedico. Si riconosca, altresì, libertà di iniziativa alle associazioni laiche e cattoliche che agiscono per aiutare le famiglie e le donne in difficoltà.
Chiedo, infine, non sia consentito un utilizzo a fini di commercio dei resti umani degli aborti.

Colgo l’occasione per esprimere apprezzamento e incoraggiamento a quanti si impegnano per la tutela dei nascituri e operano per una cultura della vita.

Pennabilli, 21 luglio 2022

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

La vita… una festa!

Sabato 23 luglio ritorna l’evento: LA VITA … UNA FESTA! Dalle ore 18 all’arena della casa parco Laiala di Serravalle (RSM). Momento aperto a tutti ed in particolare alle famiglie con animazione, cena, testimonianze e spettacolo. Occasione per ricordarci di vivere ogni giorno all’insegna della gioia, della condivisione di tutte le circostanze della vita e del valore inestimabile di ogni vita umana. L’ingresso è libero.

Questo il programma:
LA VITA … UNA FESTA!
Sabato 23 luglio 2022
Esterno casa parco Laiala Serravalle RSM

Arrivi dalle ore 18
Ore 19 – 20 ATTIVITÀ PER PICCINI E GRANDI _ RACCONTASTORIE
a cura della Cooperativa Centro 21 di Riccione

Dalle 19,30 Possibilità di CENARE con piada e cassoni
(su prenotazione entro mercoledì 20 luglio al 337 1010902 anche WhatsApp)
o organizzandosi autonomamente / è presente il servizio bar

Ore 20,30 TESTIMONIANZE sul valore della vita

Ore 21 Anima film presenta: “VITTORIA” di Giorgia Coppari
film e performance dal vivo a cura di Giulia Merelli
Un omaggio ad Alice, venuta alla luce alla 24esima settimana,
e a tutti i bambini che lottano per la sopravvivenza e a chi combatte per loro

Promossa da:
Associazione Accoglienza della Vita, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII,
Associazione Uno di Noi, Centro Sociale S. Andrea

Collaborazione del:
Coordinamento delle Aggregazioni Laicali del Vicariato di San Marino

Omelia nella XVI domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 17 luglio 2022

Gn 18,1-10
Sal 14
Col 1,24-28
Lc 10,38-42

«Gesù, sei un grande camminatore! Continui a camminare per le vie assolate della Palestina; dietro a te un grappolo di persone coraggiose che ti seguono e condividono il tuo sogno: tu senti di appartenere alla famiglia umana e vuoi che ogni fratello sia raggiunto dalla buona notizia del Vangelo, dall’annuncio di una liberazione che dà gioia e fa sentire la fraternità».

Ad un certo punto, Gesù sente il bisogno di una pausa. Entra in un villaggio. Era stato nei villaggi dei samaritani, dai quali era stato respinto, ora va a Betania, presso la casa di due sorelle, Maria e Marta; di loro abbiamo informazioni anche dall’evangelista Giovanni. Si fa avanti per prima Marta, che accoglie Gesù con gioia e organizza subito un pranzo per lui e per le persone che sono al suo seguito.
A dire il vero, Gesù non cerca soltanto una sosta perché è stanco, ma cerca amicizia: è un cultore dell’amicizia. Nell’Ultima Cena dirà: «Non vi chiamo più servi, ma amici» (Gv 15,15). Gesù cerca amicizia ed è sensibile alla gratitudine; attende il gesto di riconoscenza e di amicizia dei lebbrosi sanati: «Solo uno è tornato a ringraziare?» (cfr. Lc 17,17). Ricorderete, poi, la scena della donna silenziosa che, nella casa di Simone, non smette di baciare i piedi del Signore; a tanto amore Gesù risponderà col suo perdono (cfr. Lc 7,36-50). Mi piace come Giotto, nell’Ultima Cena, coglie l’apostolo Giovanni che mette il suo capo sul petto di Gesù. Dunque, Gesù vuole l’amicizia, l’intimità con lui e sembra dire: «Non m’importa quello che fate per me, mi interessa che voi siate con me».

Marta accoglie Gesù come un ospite di riguardo: lo chiama Signore, che è il termine col quale Gesù viene chiamato dopo la risurrezione. Maria si mette in cammino “stando seduta”. Sembra un controsenso! In realtà, sedendosi ai piedi di Gesù, mette in cammino il suo cuore, bevendo la sua Parola.
Ricordo una cara signora, la maestra Rina, che mi diceva: «Per stare in piedi bisogna stare in ginocchio» (una frase che diceva spesso anche don Oreste Benzi). Maria ha intuito quanto sia importante fermarsi per ascoltare il Signore: è la vera discepola! Quando Gesù si reca da qualcuno, non va per prendere, ma per dare: «C’è più gioia a dare che a ricevere» (At 20,35), insegnerà un giorno. Maria ne approfitta: Gesù le dona la sua Parola. Gesù vorrebbe che anche Marta potesse ricevere il dono della Parola, infatti la invita, ma Marta protesta la sua preoccupazione dicendo: «Signore, non t’importa che mia sorella sia distratta?». In verità, “distratta” è Marta, distratta dalle molte cose che deve fare. Sicché Marta rimane là dove gli uomini dell’epoca rinchiudevano le donne, cioè nella cucina, negli affari domestici, mentre invece Gesù introduce un seme di cambiamento di mentalità. Alla donna, infatti, non era consentito partecipare, come agli uomini, alle liturgie sinagogali; le donne avevano un posto riservato dal quale assistervi. Un testo del Talmud dice che la Torah preferisce «andare a bruciare nel fuoco piuttosto che essere messa nelle mani delle donne». È facilmente riconoscibile la mano di Luca, che non solo ama sottolineare la libertà di Gesù di fronte ai tabù religioso-culturali del suo ambiente, ma anche il ruolo dinamico delle donne nella nuova comunità messianica, non solo a livello pratico (cfr. At 9,36), ma anche nel compito dell’annuncio e della catechesi (cfr. At 18,26). Mi fa piacere che, proprio in questi giorni, papa Francesco affidi ad alcune donne ruoli importanti, organizzativi, significativi nel governo della Chiesa.
Non è vero che l’atteggiamento di Maria sia di disimpegno; in verità, Maria sta “facendo” ascoltando. Lo stare con Gesù non dis-trae, ma concentra e ti porta a compiere quello che sei chiamato a fare con attenzione di amore e di servizio. In Marta possiamo riconoscere l’atteggiamento interiore che ci porta a colmare il nostro tempo di “cose da fare”. C’è – per così dire –  la paura della solitudine o di essere soli con se stessi: «Non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola?». Allora il lavoro può diventare come una “droga” che stordisce: è una forma dell’accidia.
Non si deve contrapporre Marta a Maria; non bisogna farne, per così dire, due biografie troppo diverse. La preoccupazione di Luca è quella di presentarci l’armonia di Betania, dove l’ancella e l’amica vanno insieme: che cosa fa Maria dopo aver ascoltato il Signore, se non mettersi a servizio? E che cosa fa Marta una volta che ha finito di darsi da fare per l’accoglienza, se non mettersi a gustare la presenza del Signore?
Qui è tracciato l’itinerario di ogni cristiano: passare dalla preoccupazione di quello che deve fare per Dio alla emozionante sorpresa di vedere quello che Dio fa per lui.

Festa di San Leone

Omelia nella XV domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 10 luglio 2022

Dt 30,10-14
Sal 18
Col 1,15-20
Lc 10,25-37

Parabola arcinota (era persino sul mio Sussidiario delle Scuole elementari…), ma vorrei gustare insieme con voi la sua novità, provare qualcosa che smuova apatia e mediocrità, per divenire fervore e decisione nella vita. Penso che questo sia possibile se la rileggiamo come fosse la prima volta, nella preghiera e nell’ascolto profondo.

Possiamo iniziare con la composizione di luogo: ci troviamo in una strada tortuosa che discende da Gerusalemme verso Gerico, una strada di 27 km, con 1.000 metri di dislivello; una strada pericolosa, con curve e con possibili sorprese: i briganti. Un’altra cosa interessante da notare è che la parabola parla di «un uomo», un uomo senza identificazione; non viene detto il nome, né la provenienza, né l’età, né se sia povero o ricco, ignorante o colto. Potremmo vedere in quell’uomo, l’umanità, tutti noi. È, in fondo, il mistero di ogni persona umana che, prima o poi, si imbatte in qualche disavventura, che gli fa provare la sua fragilità e il suo bisogno di essere aiutato. Questo è il primo personaggio della parabola.

Gesù, poi, fa entrare in scena altri tre personaggi. Il primo è un sacerdote; non ci viene detto da dove viene; si può supporre venga da Gerusalemme, dove forse ha svolto il culto e ha fretta di tornare a casa, oppure forse sta salendo a Gerusalemme per praticarlo. Nella città di Gerico vivevano, infatti, molte famiglie di sacerdoti e di leviti. Il secondo personaggio, per l’appunto, è un levita, non addetto direttamente al culto, ma dedito ai servizi che si prestano nel tempio di Gerusalemme. Ambedue questi notabili peccano di omissione di soccorso. Il lettore si scandalizza: due educatori del popolo di Dio, due addetti al tempio, al culto, non si accorgono di un uomo che giace mezzo morto lungo la strada! Non sappiamo i motivi: Gesù non lo dice. Forse la paura? Potrebbe succedere anche a loro, mentre soccorrono il malcapitato, di cadere nelle mani dei briganti, quindi preferiscono darsela a gambe. Probabilmente temono il contatto con il sangue o con un morto e così contrarre impurità rituale, che avrebbe inibito il culto. Il lettore si scandalizza; insorge in lui un sentimento di anticlericalismo. Ma Gesù sorprende introducendo il terzo viaggiatore. Ci si aspetterebbe fosse un laico israelita. Questo darebbe alla parabola un carattere di giudizio sul clero: un laico fa quello che il religioso omette! Invece Gesù fa entrare un samaritano, un mercante, che si ferma e si prodiga a favore di quel malcapitato. Dunque, Gesù va ben oltre la vena anticlericale: fa vedere come proprio questo straniero, questa persona eretica, odiata, estromessa dal popolo di Dio (così erano considerati i samaritani), compia l’azione di soccorso, di aiuto.
È interessante – molti commentatori lo sottolineano – vedere l’abbondanza di verbi che descrivono nel dettaglio l’azione di misericordia del samaritano: lo vide, gli passò accanto, ne ebbe compassione, gli si fede vicino, gli fasciò le ferite, versando olio e vino, lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo, si prese cura di lui, tirò fuori due denari, li diede all’albergatore… Undici verbi: uno in più delle dieci parole del Decalogo. Sorprendente!

Torno alla questione iniziale. Il dottore della legge aveva interloquito Gesù in questo modo: «Che devo fare per avere la vita eterna?». E Gesù gli aveva risposto: «Che cosa leggi nella Scrittura?». Il dottore della legge enuncia alla perfezione i due comandamenti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Gesù conclude dicendo: «Fa’ questo e vivrai». Ma quello, quasi per giustificarsi, perché vuol avere l’ultima parola o non vuol fare la figura dello scolaretto che ha detto la lezione, replica a sua volta: «Chi è il mio prossimo?». Una questione tutt’altro che innocua: al tempo di Gesù si discuteva, in modo legalistico, fin dove arrivasse l’estensione del precetto dell’amore al prossimo: per i farisei il prossimo è chi appartiene al loro circolo; per gli esseni valeva la regola: «Ama i figli della luce, odia i figli delle tenebre». Gesù doveva prendere posizione; propone un capovolgimento: risponde alla questione non attenendosi alla casistica, ma portando un fatto, raccontando un episodio. Tant’è vero che alcuni esegeti non definiscono questa come “parabola”, ma come “racconto di comportamento”. Gesù non dice «chi è il tuo prossimo», ma invita a farsi prossimi degli altri. Il capovolgimento è soprattutto perché Gesù mette nel comportamento del samaritano – uno che è fuori dal popolo dell’Alleanza – la professione del comandamento dell’amore al prossimo; lo pone come interprete della volontà di Dio. Dal samaritano viene questa lezione!
Riassumendo, Gesù risponde non legalisticamente, ma con un’esperienza: conferma che il prossimo sei tu che ti avvicini all’altro; invita a “prendere lezione” da una persona che non ti aspetteresti.

Torniamo all’«uomo incappato nei briganti». Attualizzando la parabola non si può evitare una riflessione sulla giustizia sociale. Oggi la parabola viene letta da milioni di cristiani, i quali si mettono davanti all’esigenza della carità, a comportamenti sempre più ispirati al Vangelo, ma anche di fronte alla prospettiva della fraternità universale. Una delle forme più alte della carità e dell’amore al prossimo è la politica: «Uscire dai problemi da soli – diceva don Lorenzo Milani – è l’egoismo, sortirne insieme è la politica». Intendo la politica nel senso più ampio di partecipazione alle vicende della comunità. Allora, quando guardiamo la tv, non fermiamoci solo ai programmi di evasione, ma mettiamoci in ascolto, partecipiamo al dibattito, sentiamo i problemi dei fratelli come i nostri.
Mi piace anche considerare che il samaritano non offre soltanto l’olio che cura le ferite o il vino che placa il dolore o i due denari per l’albergatore: tutte cose utili, belle, necessarie, ma che poi gli possono ritornare in qualche modo. Il samaritano dona soprattutto il suo tempo e il tempo, una volta che è stato dato, non torna più. I maestri antichi vedono nel buon samaritano la figura stessa di Gesù, che non dà qualcosa, ma se stesso.
Vi auguro di vivere questa settimana con questa tensione positiva, costruttiva. Donare non qualcosa, ma noi stessi: attenzione, tempo, disponibilità.

Omelia nella XIV domenica del Tempo Ordinario

Ponte Cappuccini (PU), 3 luglio 2022

Is 66,10-14
Sal 65
Gal 6,14-18
Lc 10,1-12.17-20

La parola “apostolo”, da cui derivano le parole “apostolato”, “apostolico”, significa “uno che è mandato”. Ma come intendeva Gesù i suoi apostoli?
L’evangelista Luca in forma narrativa ci descrive chi è l’apostolo e che cos’è l’apostolato. Parto con un esempio che riguarda le mie origini. Sono nato in un piccolo paese sulle rive del Po. Dalle mie parti, di tanto in tanto, si trova un barcone saldamente attraccato alla riva e trasformato in ristorante. Ebbene, la Chiesa non è un barcone attraccato all’argine: è una barca a vela che solca tutti i mari. La Chiesa o è missionaria, o è “in uscita”, o non è; altrimenti smentisce se stessa. O è apostolica oppure diventa museo con opere d’arte, volumi, papiri, tradizioni… Talvolta abbiamo un’idea della Chiesa molto statica: una Chiesa costruita sulla roccia, sì, ma questo non dice tutto, perché la Chiesa per definizione è un popolo in cammino, in movimento. Anche l’istituzione non va fraintesa: è un popolo unito e compaginato, ma itinerante.

«In quel tempo, Gesù designò altri 72». Alcuni li aveva già mandati (cfr. Lc 9,51-55): erano andati per preparare il suo arrivo. Non tutti hanno accettato l’arrivo degli apostoli missionari; due di loro, Giovanni e Giacomo, hanno proposto a Gesù una punizione: «Chiediamo a Dio che mandi dal cielo un fuoco che incenerisca “i cattivi”, come è stato fatto con Sodoma e Gomorra?». Ma questo non è lo stile di Gesù! Ora ne manda altri 72, e li manda 2 a 2. Questi numeri, evidentemente, hanno anche un valore simbolico: un’aritmetica teologica! Questo uno dei possibili significati del numero 72: 72 è il prodotto di 12 per 6. 12 è il numero del nuovo popolo d’Israele, fondato sulle 12 colonne che sono gli apostoli; 6, invece, è un numero imperfetto (7 sarebbe il numero della perfezione): Gesù insinua l’idea che siamo nel tempo del cammino, in cui non c’è ancora la pienezza. Lo scorrere del tempo accompagna questo camminare verso la pienezza; un po’ come il sesto giorno della creazione trova compimento nel settimo giorno, il giorno della pienezza.
I 72 che dovranno preparare l’arrivo di Gesù devono andare 2 a 2. Non per farsi compagnia e per guardarsi le spalle, ma perché 2 è il minimo della relazione e perché, per dare testimonianza, non basta una persona sola. E gli apostoli devono portare una testimonianza; non devono piazzare dei prodotti o elaborare teorie da rovesciare addosso alla gente: sono testimoni, la loro concordia parla. Che bella la testimonianza degli sposi con il loro amore fedele, perseverante, nel dono di sé: è Vangelo che parla! Possono essere testimoni anche due colleghi, due oblati, due suore, un vescovo e un sacerdote… Gesù vuole che la testimonianza venga portata con la vita. «Il Vangelo si testimonia con la vita, qualche volta anche con le parole», diceva san Francesco. I due apostoli itineranti vanno a constatare che Gesù è già arrivato. Il loro primo compito è di saper vedere quello che Dio sta facendo nel cuore dell’uomo. Partire da qui! La messe biondeggia… Gesù non è pessimista come noi, vede la messe abbondante, il Regno di Dio che avanza.

«Pregate perché il Padre mandi chi lavora la messe». La messe c’è già! L’evangelizzazione – sto sfiorando temi di dibattito oggi nella Chiesa – non è indottrinamento. A volte qualcuno pensa che bisogna essere più aggressivi, che occorra affrontare di petto l’antropologia dominante e cambiarla, sostituirla. Dall’altra parte c’è chi pensa non sia il caso di sbilanciarsi troppo per non favorire reazioni di rifiuto. Sono entrambi eccessi, sia l’evangelizzazione aggressiva che la paura di mettersi in gioco. L’apostolo deve andare e deve mettere in evidenza il Vangelo che c’è, partire dal positivo, fare interventi costruttivi. Quante persone si impegnano per la loro famiglia, sentono dentro il cuore il desiderio di infinito, a modo loro pregano…

«Non fermatevi a salutare per strada…». Gesù non voleva certamente negare i saluti, gli abbracci e la cortesia, ma intendeva dire che l’apostolo deve avere dentro la gioia e l’urgenza del Vangelo e stare attento a non perdersi in giri di parole e in convenevoli (Gesù parlava al mondo orientale dell’epoca, in cui i saluti erano una vera e propria cerimonia quotidiana). Gesù in sostanza dice: «Entrate subito “in medias res”», poi aggiunge che questi saluti non diventino un alibi per non arrivare al dunque, per non prendere la decisione e rinviare l’annuncio.
A volte, quando ero parroco, mi capitava mi chiamassero perché era successa una disgrazia; un giorno, ad esempio, una mamma si era tolta la vita mentre il papà era al mare con i bambini. Quando mi sono venuti a chiamare ho cercato di sottrarmi con la scusa di impegni già programmati, finché lo Spirito Santo mi ha spinto ad andare ad abbracciare il dolore di quella famiglia. I saluti a cui allude Gesù vediamoli come la tentazione dei nostri rinvii, le nostre pigrizie o le scuse del non sentirsi adeguati.

Gesù ci manda «come agnelli in mezzo ai lupi». Ci invita ad avere coraggio, non perché ci sbranino (non siamo in terra di martirio), ma perché quando testimoniamo il Vangelo ci mettiamo in gioco e siamo osservati, criticati. Gesù ci esorta a non avere paura perché lui è con noi. Con questa fiducia prendiamo dal Vangelo di oggi l’impegno ad essere apostoli, ognuno nel raggio d’azione in cui il Signore lo ha posto. Così sia.