Comunicato Associazione “Uno di noi”

“Ogni madre ha diritto all’assistenza e alla protezione della comunità”

Nei giorni scorsi si è conclusa la discussione sul progetto di legge per l’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) nella Commissione parlamentare competente. Ora il progetto passa in discussione in Consiglio Grande e Generale.
L’associazione “Uno di noi”, laica e di ispirazione cristiana, interviene su una questione importante: la legittimità dei cittadini di offrire alle donne in difficoltà sostegno ed aiuto.
La sussidiarietà è uno dei fondamenti della Dottrina Sociale cristiana, principio che da alcuni non viene riconosciuto.

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Camminata del Risveglio

Omelia nella Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria

Pennabilli (RN), Santuario B.V. Grazie, 15 agosto 2022

Ap 11,19; 12,1-6.10
Sal 44
1Cor 15,20-26
Lc 1,39-56

Non ci soffermiamo quasi mai su un dettaglio importante. Si tratta di un versetto che, a prima vista, può sembrare soltanto redazionale. In realtà, apre la mente ed il cuore ad una profonda meditazione: «E l’angelo partì da lei» (Lc 1,38).
Siamo nella casa di Nazaret. Qui il Vangelo di Luca narra l’evento dell’Annunciazione. Qui è accaduto qualcosa di unico e di straordinario. C’è un annuncio portato da un messaggero celeste, c’è la risposta di un’umile ragazza. «Et verbum caro factum est» (Gv 1,14).
San Bernardo di Chiaravalle, in una celebre omelia, contempla l’attimo di sospensione fra chiamata e risposta. Immaginando d’essere presente, con la preghiera implora il “sì” di Maria: «Perché tardi? Perché temi? Credi all’opera del Signore, dà il tuo assenso ad essa, accoglila. […] Apri, Vergine beata, il cuore alla fede, le labbra all’assenso, il grembo al Creatore. Ecco che colui al quale è volto il desiderio di tutte le genti batte fuori alla porta. […] Levati su, corri, apri! Levati con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo assenso. “Ecco”, dice, “sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”» (Lc 1, 38). (Bernardo di Chiaravalle, Om. 4, 8-9; Opera omnia, ed. Cisterc. 4, 1966, 53-54)
Potremmo anche noi avere l’audacia di un intervento: lo potremmo fare immaginando di essere il lebbroso che implora guarigione, oppure il cieco di Gerico che domanda luce, oppure la peccatrice che chiede d’essere accompagnata ad una vita nuova. Col suo “sì” Maria introdurrà nel mondo colui che risana, che dà luce, che fa nuovi: Gesù Salvatore! Dio ha chiesto la collaborazione di Maria. L’angelo ha dato l’annuncio, ha recato a Nazaret il desiderio di Dio. Maria deve rispondere liberamente.
A volte ci chiediamo come fu l’Annunciazione. Fu una visione interiore che scosse la fanciulla di Nazaret? Fu irruzione di luce in quel “tugurio” (una povera casa palestinese)? Ci fu un lembo di Cielo che si è reso visibile?
Il racconto evangelico, da questo punto di vista, è assai laconico. Una cosa è certa: dopo quell’annuncio non ci sarà svolazzo di angeli su quella casa, né sul quotidiano di Maria. Ci fu, semmai, un quotidiano povero, umile, nascosto al mondo e tanto silenzio.
«E l’angelo partì da lei». L’incarico è adempiuto. Ma questa è soltanto cronaca? Il commiato dell’angelo impone una particolare attenzione. «L’angelo partì da lei», ma lo Spirito continuò ad agire in lei: la spinse ad attraversare le montagne, a raggiungere la “città di Giuda”, per soccorrere la cugina Elisabetta, per cantare la lode alle grandi opere di Dio. Soccorrere e cantare!
Anche noi siamo, almeno qualche volta nella nostra vita, sfiorati dall’angelo. Riceviamo un incarico, una chiamata, una missione, un dono della grazia, una luce, ma non possiamo fermare il momento che fluisce. Ci accade spesso di non riuscire a vivere “il passaggio”, ci chiudiamo nella “grande ora”, mentre esteriormente la vita continua. Corriamo il pericolo di fermarci su ciò che è avvenuto, come in un sogno, come in un nostalgico incanto, sorvolando sul presente. Oppure è il presente che ci travolge e ci fa smarrire quello che dovrebbe essere lievito della quotidianità.
A Maria riuscì “il passaggio”. Lo Spirito fece crescere in lei la Parola e il coraggio dei piccoli e grandi passi richiesti dalla sua vocazione.
Anche ai discepoli presenti all’evento della Trasfigurazione è successo di pensare «alle tre tende» (cfr. Lc 9,33). Gesù domanda loro di scendere dal Tabor, di fare “il passaggio”. È necessario il coraggio di riversare la “grande ora” nella prosaicità della vita e dell’agire quotidiano.

Che cosa fa Maria lungo la via? La domanda non porta a speculazioni pie. Maria, nella dedizione alla meta della sua via, guardò dentro se stessa, nella Parola che viveva e cresceva in lei. Maria pregò. Più volte il Vangelo ci ricorda che «Maria conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (cfr. Lc 2,19.51).
La meditazione può continuare sul tema della Visitazione. Maria va da Elisabetta a soccorrere, perché Elisabetta è incinta: una gravidanza ai tempi supplementari. In due versetti Luca, per quattro volte, usa la particella “verso”: un avverbio di moto che esprime concretezza, apertura, relazione, attenzione, fatica e, finalmente, la gioia incontenibile dell’incontro.
A ben vedere il testo evangelico non ci riferisce soltanto un episodio di cronaca famigliare e neppure solo un esempio di virtù: troppo poco per occupare uno spazio così centrale nel Nuovo Testamento. Maria è mossa dallo Spirito. È gravida di Gesù. Realizza il disegno del Padre. Tutta la Trinità è presente.
Quella visita va ben oltre la cortesia: è segno del Dio che visita il suo popolo. I Salmi e i profeti l’hanno implorato: «Oh se tu squarciassi i cieli e scendessi» (cfr. Is 63,19), «vieni, Signore, a visitare la terra» (cfr. Sal 64,10). Il tema della Visitazione sarà l’esordio della grande berakah (benedizione) di Zaccaria, appena riavuta la parola: «Benedetto il Dio d’Israele perché ha visitato il suo popolo» (cfr. Lc 1,68).
Il racconto evangelico della Visitazione è tutto incentrato e collegato con l’evento dell’Incarnazione del Verbo: Dio viene a salvare!
Allora si capiscono il sussulto del bambino di Elisabetta nel grembo, l’inondazione di Spirito Santo che avvolge la scena, il canto di Elisabetta che ricalca quello del racconto antico che saluta l’Arca dell’Alleanza trasportata nella città santa (cfr. 2Sam 6,1-15) e poi il saluto di Maria, nuova Arca dell’Alleanza!
Maria è andata a soccorrere Elisabetta in una città della Giudea. Solitamente viene individuata con il villaggio di Ain-Karim, sei chilometri a ovest di Gerusalemme. Ma la Vergine è andata anche a cantare la lode del Signore. Non c’è contrapposizione fra il soccorso e il canto, fra azione e contemplazione, fra servizio e preghiera.
Il canto del Magnificat mette al centro l’opera di Dio; l’Ancella ci indica dove guardare, dove deve indirizzarsi il nostro canto insieme al suo. Maria è tutta “fuori di se stessa”; lo sguardo è rivolto verso Dio. Nessun intimismo, ma consapevolezza della sua missione. Maria guarda l’opera di Dio e la sua visita all’umanità assetata di giustizia, di amore e tuttavia così provata dall’odio e dalle divisioni… Un testo rivoluzionario!
Preghiamo il Magnificat.

Omelia nella XX domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 14 agosto 2022

Ger 38,4-6.8-10
Sal 39
Eb 12,1-4
Lc 12,49-53

Gesù adopera due immagini archetipe: il fuoco e l’acqua del Battesimo. Prometeo – secondo la mitologia greca – ruba il fuoco agli dei che ne erano gelosissimi. Per questo sconterà un terribile castigo. Gesù, invece, viene a portare il fuoco. La storia dell’umanità è segnata dal tentativo di impossessarsi del fuoco, di dominarlo e di farne sorgente di energia per la propria vita. Il fuoco illumina, scalda, purifica, fonde i metalli e li rende plasmabili… Purtroppo il fuoco distrugge. Gli incendi procurano ferite profonde nella natura (lo stiamo vedendo anche quest’anno). «Sono venuto a portare fuoco sulla terra», dice Gesù. Ed aggiunge: «Come vorrei fosse già acceso!». Ma si riferisce all’amore!
L’acqua dice vita e dice morte. Gesù allude al Battesimo che sta per ricevere, la sua Pasqua, il momento in cui darà la prova del suo slancio e del suo amore. Gli avversari vorrebbero impedirgli di parlare, di prendere posizione o di agire, ma lui prosegue il cammino che lo porterà dritto al Calvario. Nella Pasqua si compie il giudizio di Dio. Anche il cristiano è chiamato ad un giudizio sulle situazioni, ad una certa aggressività (che non ha nulla a che fare con l’intolleranza) e ad una presenza significativa che altro non è che amore. Non è possibile delegare, dilazionare, stare con un piede su due staffe. Né si può immaginare che il Battesimo introduca automaticamente in una “pace paradisiaca”. Gesù dice che non è venuto a portare pace sulla terra, ma inquietudine. Gesù fa una specie di sociogramma presentando l’immagine di una famiglia in cui ci si divide «due contro tre e tre contro due». È un’allusione ad un testo di Michea (cfr. Mi 7,6), profeta del dopo esilio, che registra come non tutti volevano tornare in Palestina, perché in esilio in molti si erano fatti il proprio “nido”, c’erano anche imperatori tolleranti che permettevano di vivere bene. All’interno delle stesse famiglie – dice Michea – c’era chi voleva tornare e chi voleva restare. In una famiglia ci può essere disaccordo a motivo di Gesù: occorre fare una scelta e vivere la conflittualità come ha fatto san Massimiliano Kolbe, che festeggiamo oggi. A noi piacerebbe che tutti fossero contenti di noi, che tutti fossero come noi; invece, la diversità, che viene tanto inneggiata, a volte fa soffrire. Non sempre siamo accettati, accolti, graditi.
L’insegnamento di Gesù è Gesù stesso. Gesù non dà un insegnamento, ma si dà lui stesso, lui che è passato attraverso il fuoco, attraverso l’acqua del Battesimo, attraverso il conflitto, semplicemente per amore, amando. La vocazione cristiana è di una serietà drammatica: vuoi vivere da “uomo nuovo”? Sì o no? Prendere o lasciare!

Discorso alla Fiaccolata durante la festa patronale della Pieve di Ponte Messa

Ponte Messa (RN), 13 agosto 2022

Ponte Messa è in festa. Vedo tanta gente che si è unita, bambini e giovani, famiglie e adulti, uomini e donne. In mezzo a noi, spiritualmente, è presente la Madonna.
Può essere che durante il percorso a piedi non sempre siamo stati attenti (ci è venuto da pensare che non piove mai, oppure a chissà cosa pensano gli automobilisti che sfiorano la processione…), le distrazioni sono tante. Tuttavia, ci siamo fatti accompagnare dalla Madonna. Prima di lasciare la vostra splendida Pieve, incoraggio ciascuno a formulare una preghiera personale, che parta dal cuore.
La Madonna non ha bisogno di essere portata a spalle, è sempre in mezzo a noi, però il segno della Madonna lungo le strade della comunità ha un grande valore simbolico. Non siamo noi che accompagniamo la Madonna: è Maria che visita le nostre case.
Il Vangelo che è stato scelto per la festa dell’Assunzione (15 agosto) è quello della Visitazione: Maria, dopo aver ricevuto l’annuncio dall’angelo e aver detto il suo “sì”, si è stretta al cuore la Parola di Dio che era arrivata a lei attraverso il messaggero. Avrebbe potuto bearsi, perdersi in quella Parola e invece lascia Nazaret e si incammina verso un quartiere alle porte di Gerusalemme che si chiama Ain Karim (a 6 km da Gerusalemme). Maria conserva la Parola nel suo cuore. Più volte il Vangelo dirà che Maria «conservava tutte queste cose e le meditava nel suo cuore» (Lc 2,19). Nel contempo si mette in cammino e va da Elisabetta, sua cugina. In due versetti del Vangelo di Luca per ben quattro volte incontriamo la particella “verso”. Perché questa ripetizione? L’evangelista vuol farci capire che Maria è tutta dono, è tutta “fuori di sé”, attenta “verso” chi ha bisogno, in questo caso sua cugina che è incinta. Maria non pensa a sé, non ha nessun ripiegamento su di sé, è rivolta verso gli altri. La preghiera e l’ascolto della Parola di Dio da una parte, l’impegno e la concretezza dall’altra, vanno insieme, non si escludono a vicenda. Anzi, se a volte siamo poco concreti, poco caritatevoli è perché stiamo poco nella preghiera.

Concludo con tre sottolineature sulla preghiera mariana.

  1. Pregare attraverso Maria. Spesso usiamo questo modo di dire: «Prego la Madonna». Non è un errore. Tuttavia, la preghiera cristiana, di per sé, è sempre rivolta a Dio: Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Quando diciamo che preghiamo Maria, si intende dire che Maria prega per noi, si mette fra noi e Dio, intercede per noi. Questo è accaduto anche a Cana di Galilea, quando ci fu il banchetto per le nozze e Maria si accorse che era venuto a mancare il vino. Maria intercede e parla a Gesù di noi. A noi dice: «Fate quello che lui vi dirà» (Gv 2,11).
  2. Pregare con Maria. La Madonna è al nostro fianco quando preghiamo. Lo fa come una mamma che sostiene il parlare incerto del suo bimbo. Si mette accanto a noi, prega con noi. A questo riguardo è molto bello ricordare quando Gesù, sulla croce, affida la Madonna al discepolo Giovanni, che ci rappresenta tutti: «Ecco tua madre» (Gv 19,27). Anche i discepoli che vanno nel Cenacolo dopo l’Ascensione godono della presenza di Maria che prega insieme con loro.
  3. Pregare come Maria. Come pregava Maria? Custodiva nel suo cuore tutte le cose che viveva; le vedeva e le considerava davanti al Signore, le cose più belle e quelle più difficili. Maria ci insegna come si fa a pregare. Nel giorno dell’Assunzione di Maria leggeremo e mediteremo: «L’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46). San Luca non era presente, non l’ha registrato dalle labbra di Maria, ma è sorprendente che metta sulle labbra di una ragazzina una preghiera di lode al Signore così aperta sulle vicende della storia del suo popolo. Dio sta dalla parte dei poveri e mantiene le sue promesse di salvezza. Attraverso Maria, Dio visita il suo popolo.

La Madonna è stata con noi questa sera e lo sarà per sempre. La sua presenza ci dice che il Signore, l’Onnipotente, è in mezzo a noi e di noi si prende cura.

Omelia nella Festa di Santa Chiara

Valdragone (RSM), convento delle Clarisse, 10 agosto 2022

Auguri per la festa della vostra Madre e… vostra, perché ognuna di voi è chiamata ad essere Chiara.
Le immagini di santa Chiara di Assisi sono tantissime, tutte suggestive, tutte esegesi del Vangelo, tutte ben documentate nella storia. Penso all’incontro di Chiara con Francesco, alla “fuga d’amore” di Chiara che, alla domanda di Francesco: «Cosa vuoi?», risponde: «Dio!». Penso all’immagine di Chiara circondata da una schiera di vergini che la seguono; e all’incontro con il Papa per chiedere il privilegio di vivere in assoluta povertà.
Desidero fermarmi sull’icona che raffigura Chiara che va incontro ai saraceni, assoldati dall’imperatore per saccheggiare il monastero, stringendo nelle mani il ciborio con l’Eucaristia e attorno a lei le sue figlie. Chiara, le sue sorelle, il monastero, l’Eucaristia, il programma di vita fraterna, Gesù povero in mezzo a loro: tutto questo ci parla della Chiesa, Sposa di Cristo, Corpo di Gesù.

Sono quattro gli elementi essenziali che rivelano, radicano, configurano la Chiesa nella comunione: da essi non si può prescindere.

  1. La comune chiamata. Noi non ci siamo scelti, siamo stati chiamati, al di là delle singole provenienze. Si sta insieme, come cristiani, non per simpatia o per comunanza di idee, tanto meno per un censo economico. Paolo, rivolgendosi ai Corinti, dirà: «Non vi sono tra voi molti nobili, molti sapienti, eppure al Signore è piaciuto riunirvi insieme» (cfr. 1Cor 1,26-27). È un Altro che ci ha chiamati e ci tiene insieme; è guardando a lui, il Signore Gesù, che facciamo comunione tra noi.
  2. L’ascolto della Parola di Dio. Siamo tutti sotto la sua Parola. C’è un momento suggestivo nell’ordinazione di un vescovo: due diaconi prendono l’Evangeliario e lo mettono sul capo dell’eletto come per dirgli: «Sei sotto la Parola di Dio; accoglila, fanne riferimento esplicito della tua vita». Questo è vero per ogni cristiano. La comunità cresce sempre di più con la condivisione dei frutti della Parola: «Quando leggi il Vangelo e lo vivi, ti trasforma in un altro Gesù», tant’è vero che la Chiesa – docile alla Parola – diventa Corpo di Cristo. Si potrebbe stabilire un’analogia fra le parole pronunziate sul Pane nella Messa e le parole pronunziate sulla comunità. La condivisione delle esperienze consolida il tessuto comunitario; si tratta di narrazioni che testimoniano ciò che lo Spirito fa in ciascuno di noi.
  3. L’Eucaristia. Si dice: «L’Eucaristia fa la Chiesa» ed è proprio così, Chiara ce lo insegna in modo particolare. Come far sì che le nostre diventino sempre di più comunità eucaristiche? Bisogna che quanto si celebra diventi programma di vita. Proviamo a passare in rassegna tutti i momenti della Messa: l’accoglienza; la richiesta e l’offerta di perdono; l’ascolto attento della Parola di Dio; l’offertorio, con cui si mette sull’altare la nostra vita, la nostra giornata, quello che ci rattrista e quello che ci rallegra: la vita cristiana come oblatività; la consacrazione: parole pronunciate sul pane ma anche sulla comunità: «Questo è il mio corpo dato per voi, questo è il mio sangue versato per voi» (Lc 22,19-20); il momento dell’intimità con lo Sposo; la missione. Se vivessimo tutti i momenti della Messa, potremmo dire di avere una vita eucaristica.
  4. L’attesa, la tensione verso l’avvento del Regno. In genere si dà poca importanza all’attesa, relegandola al momento liturgico dell’Avvento, eppure è elemento fondamentale. Di fronte al comune sguardo sull’orizzonte, sul futuro, su quello che avverrà alla fine della nostra vita e alla fine della storia, i nostri passi e le nostre volontà si congiungono e gridiamo: «Vieni Signore Gesù!». La comunità è tale non solo per l’origine, ma anche per l’attesa condivisa, traguardo del cammino, speranza del futuro.

Elementi tutt’altro che decorativi, soprattutto nei momenti in cui è facile perdersi di coraggio e si sente la stanchezza. Questi quattro elementi – la comune chiamata, l’ascolto della Parola di Dio, l’Eucaristia, la tensione verso l’avvento del Regno – sono, in fondo, le quattro perseveranze di cui ci parlano gli Atti degli Apostoli. Così si dice dei primi discepoli: «Erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento, nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42). Tutto questo è da calare nel nostro tempo. Qual è il nostro compito come comunità cristiana? È quello di tenere accesa, per il bene di tutti, la semplice fiamma della vita evangelica. «Tutte le volte che la comunità dei cristiani sa restituire ossigeno alla fiamma del Vangelo qualcuno alza sguardo»; qualcuno di altra cultura, di altra formazione che, magari solo da lontano, osserva la fiamma del Vangelo come un segnale da non perdere d’occhio. Quella luce che la comunità cristiana ha tra le sue mani serve anzitutto a lei per non smarrire la strada, ma quando è capace di tenerla viva i suoi riflessi trascinano anche le moltitudini.
Ormai alla fine dell’estate si sta cominciando a pensare al Programma Pastorale che la nostra Chiesa vuole ostinatamente attuare. In questo tempo di fragilità è necessario credere nello Spirito Santo, che genera e rigenera la comunità, continuare a vivere il Vangelo che ci è stato affidato, senza preoccuparci troppo dei numeri, tentazione sempre in agguato. Quando ci si incontra tra vescovi spesso ci si chiede: «Quanti seminaristi hai? Quanti giovani perseverano? Quante famiglie sanno progredire nella comprensione del sacramento del matrimonio?». Domande che costringono a prendere nota dei numeri. Non dobbiamo preoccuparci di questo, ma rimanere fedeli all’essenziale, reagire, nel caso ci sia avvilimento, continuare ad essere discepoli.
È passato circa un mese dall’Assemblea di fine anno pastorale. I partecipanti, in quell’occasione, hanno avuto la percezione spirituale di ritrovarsi nel Cenacolo, insieme con Maria, la Madre di Gesù, avvolti dallo splendore dello Spirito Santo. Propongo di ripartire, nel nuovo anno, in continuità con quell’esperienza. È il momento dell’uscita dal Cenacolo sulla piazza della città. Questo vale anche per chi non era presente all’Assemblea, vale per tutti. Credenti e diversamente credenti siamo mandati ad “abbracciare il mondo”, particolarmente in questi giorni così difficili; siamo chiamati ad esercitare la nostra responsabilità, non da soli ma insieme. Ho rivisitato recentemente un testo antico, dal Concilio di Trento (1563), mi è parso suggestivo: la comunità è paragonata alla Sposa del Cantico dei Cantici, della quale si dice che è così bella che sbaraglia eserciti con una sola delle sue trecce. La bellezza che conquista è la sua unità (cfr.  Sessione XXIII, c.4). «Uniti perché il mondo creda» (cfr. Gv 17,21). Facciamo nostro il fascino della comunione. Così sia.

Omelia nella Festa di San Lorenzo

Belforte all’Isauro (PU), 10 agosto 2022

2Cor 9,6-10
Sal 111
Gv 12,24-26

Ci sono due modi di spiegare la Parola di Dio. C’è l’esegesi, cioè lo studio “parola per parola” sui testi originali, facendo confronti e paralleli. Dobbiamo essere molto grati a coloro che studiano le Sacre Scritture, perché forniscono, anche a noi sacerdoti, suggestioni e contenuti: tirano fuori la ricchezza che è implicita nella Parola di Dio.
C’è un secondo modo di spiegare la Parola: è la vita dei santi. I santi sono la spiegazione viva, anzi vivente, della Parola del Signore.
Oggi ci siamo trovati di fronte ad un brano di Vangelo con paradossi e contraddizioni (anche se, poi, diremo che sono apparenti): morire per dare vita, guadagnare perdendo…
Come Gesù ci ha dato la sua vita, il fiotto immortale della risurrezione, attraverso il suo morire, così il discepolo e diacono Lorenzo ha dato la sua vita nel martirio. La sua vita è stata piena di senso ed è stata gioia per i poveri che assisteva. Non ha soltanto donato la vita nel morire, ma tutto il suo vivere è stato un dono di sé.
Se preferiamo Cristo e il suo Vangelo ai nostri interessi personali, alle nostre soddisfazioni, ai nostri egoismi, allora, per così dire, moriamo a noi stessi, ma viviamo veramente. Anche in ciascuno di noi si compie questo “paradosso”: «Si passa da morte a vita perché si ama» (cfr. 1Gv 3,14).
Ci sono due modi di amare e di vivere: si può amare malamente, e quindi vivere malamente, e si può amare bene, e quindi vivere bene. Vivere malamente la propria vita è trascorrerla egoisticamente. Viverla bene è donarla a Dio e ai fratelli.
Penso a Maria di Betania, che – dice il Vangelo di Giovanni (cfr. Gv 12,1-3) – accoglie Gesù nella sua casa e spezza un vaso intero di profumo, di nardo purissimo, assai costoso, per cospargere Gesù; Maria non dona col contagocce: dà tutto; quel gesto è simbolo del dono totale di sé. Come ha fatto san Lorenzo con i poveri della Chiesa.
Ricavo un’altra sottolineatura dalla prima delle letture che sono state proclamate. Questo il contesto: c’è una carestia; tutta la comunità di Gerusalemme soffre per la fame. San Paolo invita i Corinti a fare una colletta per raccogliere il necessario da mandare ai fratelli di Gerusalemme (cfr. 2Cor 9,6-10). Questo particolare è importante, perché sta a dirci che il dono di sé non è sempre programmabile: l’occasione per realizzarlo non accade sempre secondo i nostri programmi. Tante volte bisogna essere attenti alle circostanze, alle occasioni in cui vivere questa dedizione. Mai i cristiani di Corinto avrebbero immaginato di avere una relazione così stretta con i cristiani di Gerusalemme: non si conoscevano e le distanze erano enormi. Eppure, hanno colto l’occasione: si sono fatti fratelli concretamente. Secondo la tradizione, Lorenzo è morto giovane, martirizzato. Avrebbe potuto pensare di donare se stesso da più adulto, come a volte diciamo noi: quando avrò più tempo, quando avrò finito gli studi, quando andrò in pensione… allora mi dedicherò agli altri. No, Lorenzo ha colto subito l’occasione. È sempre il momento buono per giocarsi una “vita per”.
Siamo in pieno paradosso cristiano: morire per vivere pienamente (morire a se stessi, al proprio egoismo). Tutti desideriamo non morire e non restare soli, però Gesù dice che, se non si vuole morire a se stessi, ai propri gusti, alla propria volontà, alle false ricchezze, non si può che restare soli, chiusi nel proprio mondo; chi, invece, rinuncia liberamente a se stesso, apre il cuore ad una dimensione più grande di lui, si apre al mondo, agli altri. La sua preghiera non è asfittica, non si limita a pregare per le proprie intenzioni; egli diviene “uomo-mondo” che sa alzare lo sguardo e si incammina verso Dio tenendo per mano gli altri, soprattutto i fratelli più in difficoltà.

Morire fa paura: tutte le morti, quelle parziali, di ogni giorno, fino a quella definitiva. Ma questa parola di Gesù ci assicura che, come è stato per lui, così sarà per noi: il chicco di grano che cade in terra porta molto frutto (cfr. Gv 12,24).
Concludo con un fatto che mi ha emozionato. Alla fine di maggio un nostro sacerdote, don Maurizio Farneti, è morto tra grandi sofferenze. Alla Messa del suo funerale fu proclamato il Vangelo del chicco di grano. Nell’omelia ho tentato di spiegare la logica del morire per vivere pienamente. Alla Messa del Trigesimo fu proclamato il brano di Vangelo che parlava di una messe abbondante, biondeggiante; e Gesù dice: «Pregate il Padre perché mandi operai…». Come capire questa logica “illogica” del Vangelo? Solo lo Spirito Santo può darcene la capacità. «Vieni, Spirito Santo, persuadi ciascuno di noi a vivere una vita piena di senso perché piena del dono di sé, ricominciando ogni giorno, cogliendo sempre nuove occasioni, come ha fatto il giovane martire Lorenzo, che non ha aspettato di essere grande, ma ha cominciato da subito a donarsi, e per questo fu grande!». Così sia.

Omelia nella XIX domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 7 agosto 2022

Sap 18,6-9
Sal 32
Eb 11,1-2.8-19
Lc 12,32-48

«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno». La Chiesa di oggi è “un piccolo gregge”. Sono solito, quando parlo ai ragazzi o ai giovani, rappresentare la Chiesa con le tre “p”: siamo pochi, poveri e piccoli. Eppure, è il gregge che il Signore ama! È luogo della sua presenza. Il Signore non manda “le sue pecorelle” con chissà quale equipaggiamento, ma con la relazione che lui ha con loro. E loro andranno ad accendere altrettante relazioni. Un “piccolo gregge”, che è chiamato a moltiplicarsi e a crescere. Gesù ricorre ad un’altra immagine, quella del cuore che inevitabilmente è attratto dal suo tesoro: «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore». Leggendo questo brano di Vangelo, vorremmo poter assicurare a Gesù che lui è il nostro tesoro, perché vorremmo che il nostro cuore fosse con lui. Verranno i momenti di difficoltà, di prova, i fallimenti… Anche i fallimenti possono essere occasione per dire: «Signore, io ho scelto te, non ho scelto la riuscita, i successi, ecc.».

Vorrei invitarvi a fare un lavoro su quello che forse è il tema principale del brano: la fedeltà.

  1. La mia fedeltà si fonda sulla fedeltà di Dio. È quello che è capitato ad Abramo e Sara: si sono fidati. Dio gli aveva promesso la sua vicinanza e loro hanno corso il rischio: «Parti, esci dalla casa di tuo padre, dalla tua patria, verso una terra che io ti mostrerò» (Gn 12,1). Dio gli ha promesso anche una discendenza «numerosa come la sabbia sulla riva del mare» (Gn 22,17) e loro l’hanno accolta, non poggiandosi sulle loro capacità, ma sulla fedeltà di Dio. A volte siamo fedeli perché abbiamo dato la parola: il nostro onore ci chiede di non mancare a quell’appuntamento, a quell’impegno, a quella responsabilità. C’è chi è molto fedele per rispetto alla persona, all’altro. Va benissimo. Ma, nel messaggio evangelico troviamo “una marcia in più”: sappiamo che sulla Parola di Gesù possiamo «gettare le reti» (cfr. Gv 21,6), possiamo dire il nostro “sì”. Di noi non ci fidiamo, ma ci fidiamo della forza e della vicinanza del Signore. Ci ispiriamo alla sua fedeltà. Fedeli perché lui è fedele! (cfr. 2Tm 2,13).

 

  1. La fedeltà è vigile. Gesù dice che è un guaio se il servo comincia a lasciarsi andare, visto che il padrone tarda a venire, o si mette a spadroneggiare nell’azienda, trattando male le persone… Occorre essere all’erta, perché il padrone, ad un certo punto, arriva e bisogna che il servo si faccia trovare fedele al suo posto di lavoro. Allargo la riflessione alla vita di coppia, alla mia vita di consacrato per il Signore, ai componenti di un gruppo; capiamo di dover essere umili, cioè consapevoli della nostra debolezza: allora scatta la vigilanza su di noi e sulle situazioni. Ad esempio, vediamo come oggi sia necessario essere vigilanti sulle notizie; è molto facile essere ingannati dalle notizie infondate (le fake news), ma anche dalle dottrine sbagliate che circolano nella comunità e soprattutto dalle false ricchezze. A volte si scambia quello che vale veramente con quello che è paccottiglia.

 

  1. La fedeltà è questione di amore. Guai se la fedeltà diventa rigorismo, rigidità, scrupolo! C’è qualcosa che non va quando si è troppo inflessibili, rigoristi, quando si ragiona per “si è sempre fatto così”. Non va imprigionata la fantasia dell’amore per il bene dell’altro, per ciò che giova veramente. Oggi vediamo tanta instabilità, ad esempio, nei sentimenti. È un fatto che è sotto gli occhi di tutti. Viene da dire: «Posso contare sulla mia capacità di amare o sulla capacità di amare dell’altro che è in relazione con me? Come posso promettere amore?». Ci vuole tenacia, fiducia, speranza. Questo vale in tutte le vocazioni. Penso alla mia vocazione sacerdotale (cinquant’anni!), a quando mi sono disteso per terra in cattedrale, secondo la ritualità dell’ordinazione, mentre si cantavano le litanie dei santi mi sono detto: «Sarò capace di essere fedele? Ho le risorse per esserlo?». Mi sono affidato, dicendo: «Signore, tu lo sai; ti dico il mio “sì”». In effetti, la fedeltà non è una cosa giocata una volta per tutte, ma qualcosa che si rinnova giorno per giorno, ogni giorno un “sì”.

 

  1. La fedeltà è apertura al futuro. Due ragazzi che si sposano, due genitori che donano la vita alla loro creatura, un sacerdote che comincia il ministero, una ragazza che si consacra al Signore, non sanno quello che accadrà lungo il loro percorso. Nella Lettera agli Ebrei si dice che il Messia, entrando nel mondo, prende nelle mani il rotolo scritto al suo interno e sigillato e dice: «Ecco, io vengo, per fare la tua volontà» (Ebr 10,7). Quindi, la fedeltà è il “sì” detto ogni giorno: occorre avere fiducia in Dio, negli altri e nel futuro. Il Signore ci chiede non tanto di fare “il dettato”, ma “il tema”: vuole la nostra creatività, non una fedeltà pedissequa.

Rivolgo a tutti questo augurio: restiamo sempre in “tuta da servizio”, pensiamo a Gesù che è venuto «non per essere servito, ma per servire» (Mc 10,45). La fedeltà è “accorgersi”. Quando si è in atteggiamento di apertura, di ascolto, di servizio “ci si accorge”. Accorgersi che uno del gruppo è in crisi, non parla più; accorgersi di uno che vorrebbe salutarti mentre tu parli con altri; accorgersi che manca un bicchiere sulla tavola… Accorgersi: anche questa è la fedeltà!

Camminata del Risveglio

Sulle orme dei nostri padri. Dal proprio paese all’Eremo del monte Carpegna.        

Giuseppe, Maria, Gesù e ogni famiglia ebrea, ha nel suo DNA il pellegrinaggio vissuto e da rinnovare. Sebbene le fatiche e i disguidi di camminare per giorni fra gente di villaggi diversi “lungo il cammino cresceva il loro vigore” e una volta arrivati alle soglie della Casa del Padre le scomodità del viaggio si trasformavano in annuali sorgenti di fede e di nuova speranza. Simili esperienze le ho ascoltate dalle mie sorelle e da altri anziani di quando erano adolescenti e i nostri paesi si svuotavano per salire a piedi dal proprio paese al Santuario della Madonna del Faggio. Saliamo e risaliamo per rafforzare la coscienza che se non siamo aggrappati a Cristo il mondo ci porta dove vuole.

Per cominciare siamo tutti invitati ad un INCONTRO per RISVEGLIARE le NOSTRE ANIME al PAZZESCO AMORE di CRISTO per NOI. Sarà come un aperitivo celeste presso sorelle accoglienti, illuminate e luminose nei monasteri di Pennabilli e Pietrarubbia GIOVEDI 18 AGOSTO ALLE 20.15. Poi lungo la strada GESU’ ci ripeterà la domanda che fece al cieco che gridava: COSA VUOI CHE IO TI FACCIA? VORRESTI VEDERE LA BELLEZZA DELLA VITA TUA E DEGLI ALTRI?  VORRESTI ASSAPORARE L’AMORE CHE NON TRAMONTA? Lasciamoci interpellare dal passaggio della Camminata del Risveglio 2022. Il cieco di Gerico avendole già provate tutte risponde: SIGNORE, TU CONOSCI IL MIO ISOLAMENTO, IL MIO RASPARE NELLA MELMA, FA CHE RIVEDA LA VIA DELLA VITA!        “Il pellegrinaggio avvicinava, metteva in contatto e univa tra loro le genti raggiunte dalla predicazione di Cristo (S.Giov PPII Santiago 1982) “La coscienza dell’Europa è nata pellegrinando (Goethe +1832) Anche la nostra società ha bisogno di essere attraversata dalla linfa celeste che Dio distribuisce principalmente attraverso i cristiani. Il farsi pellegrino ci fa cogliere più a fondo il rapporto che esiste fra la preghiera e il lavoro manuale; tra anima e pensiero; tra il tramontare a questo mondo e il risorgere con Cristo; del perché uno nasce in una famiglia, in un tempo storico, con una qualità e durata di vita che non ha scelto. Si, per quanto abili e prudenti possiamo essere, tanti aspetti della nostra vita sono accaduti e continueranno ad accadere al di fuori dei nostri programmi e del nostro consenso. Il Pellegrinaggio riassume il senso del vivere dal concepimento al transito verso il Cielo. Questa fede ci sosterrà nell’ora dello straripamento dei fiumi (che avverrà in tutti) e ci testimonierà che tutto contribuisce a non perdere la strada verso la Bellezza eterna del Regno di Cristo. La Camminata del Risveglio è quel fragile stoppino che mantenuto acceso ogni anno da chi vi partecipa illuminerà i passi delle generazioni. Ieri un ragazzo mi diceva che nel 2017 venne alla Camminata del Risveglio per chiedere la fidanzata e così fu. Chiedete alla Madonna la grazia di venire come famiglia, così com’è! Non esiste la famiglia perfetta. Abbiamo la grande missione di trasmettere la fede ai piccoli e ai grandi, ai vicini e ai lontani, con quell’autorità e libertà che Gesù a 13 aveva già.

LA SERA DEL 20 agosto vigilia della festa della Madonna del Faggio dei volontari metteranno in atto dei SEGNALI LUMINOSI che brilleranno dalle cime del monte Carpegna e saranno riflessi da altri monti per arrivare a tutta la Diocesi. Come la stella su Betlemme serviva al cammino dei magi, queste luci alla vigilia aiuteranno sia i pellegrini a camminare che i loro paesani a coinvolgersi alla Camminata del Risveglio in concomitanza della festa della Madonna del Faggio. ATTENZIONE: È importante che di anno in anno nei paesi dei monti, delle valli e della costa adriatica diffondiamo sempre meglio queste ricetrasmissioni di luci.  I primi 5 minuti (dalle 21.45 alle 21.50) dal monte arriveranno i primi segnali a lunga intermittenza come avviso di stare pronti. Poi dalle 21.50 alle 21.55 a breve intermittenza arriveranno i segnali di annuncio. Dalle 21.55 alle 22 la popolazione dei vari paesi è invitata a RISPONDERE ad INTERMITTENZA con le più disparate fonti luminose, come segno di vicinanza ai pellegrini e di amore a Maria madre di Gesù e madre nostra. Non sono luci per stupire come i fuochi d’artificio, ma una forma di dialogo tra il Padre celeste attraverso la Madonna con lo Spirito Santo e il nostro spirito e la nostra volontà. I referenti e i partecipanti si diano da fare pe smuovere anziani, giovani, bambini, cristiani e musulmani, credenti e non credenti, in questo giocare come bambini. Chissà che non partecipino anche gli Angeli! Tutti siamo invitati ad amplificare questo segno preparando per tempo potenti fari o torce sulle finestre, nelle piazze, spostandoci in zone dove si vedono le cime dei monti attorno al Carpegna.  Alle 21.40 bisogna essere già in postazione in zone non illuminate.  Dio vede tutto e sa apprezzare la collaborazione di tutti. Come quella di essere andati a visitare i malati e gli anziani e di accogliere i pellegrini in transito nei vostri paesi.  
Per dettagli sui SEGNALI LUMINOSI contattate Ester Giannini 339 571 9221.
Per la vigilia in tenda sui prati del santuario si rivolga a Filippo Pula 345 2101013

Per tutte le altre informazioni rivolgetevi a Giuliano Zerbini 328 207 6000, pellegrino da Montecerignone e da 8 mesi vedovo di Adele. Lei nell’esperienza del 2017 fra l’altro disse: “Nel matrimonio abbiamo ancora liti furibonde ma ora invece di andare dall’avvocato ci rivolgiamo con fiducia alla Chiesa …Cristo mi permette di vedere la mia miseria e meschinità, non più per complessarmi, ma per risorgere e da perdonata ricominciare a perdonare. Perché la storia illuminata dalla misericordia mi riappare in tutta la sua bellezza facendomi riscoprire la mia dignità di donna, di moglie, di madre e di nonna” Quest’anno l’esperienza sarà data da dei seminaristi di un seminario Israelo-Palestinese.

Massimo alle 9.30 del 21 agosto i pellegrini della Camminata del Risveglio, dovranno trovarsi  all’incontro della Croce nei prati dell’Eremo.
Alle 10.30 Mons. Andrea Turazzi Vescovo di S.Marino-Montefeltro presiederà l’Eucarestia per il popolo lassù raccolto attorno a Maria.

Per info sulla CdR del 22 agosto 2022 si rivolga a Giuliano nr cell. 328 207 6000  zerbini44@yahoo.it  Chiedete locandina con luoghi e orari aggiornati. Più avanti sarà pure su http://www.diocesi-sanmarino-montefeltro.it\
Ringraziamo padri, madri, nonni, sacerdoti, sindaci e tutti coloro che collaborano in questo slancio di risveglio, offerto a tutto il popolo.

Filippo Di Mario

Scarica la lettera-invito del Vescovo Andrea

Pellegrinaggio sui passi del Santo Marino