Seconda Domenica di Quaresima

San Leo, 16 marzo 2014

 

Gen 12, 1-4

Sal 32

2Tm 1,8-10

Mt 17,1-9

 

Sono pieno di emozione e di trepidazione nell’entrare nella prima sede dei vescovi feretrani, la più alta espressione di arte e di fede esistente nel Montefeltro.

Ma il cuore – cari fratelli – è subito preso dagli eventi naturali che in questi giorni hanno ferito profondamente la montagna di San Leo e le adiacenze della Rocca, tengono in apprensione tutta la città e mettono a dura prova famiglie e istituzioni. Porto insieme alla mia vicinanza, quella dell’intera diocesi. Al signor Sindaco vorrei significare tutta la nostra solidarietà e dare testimonianza per quanto ha fatto e sta facendo con intelligenza e impegno, insieme ai colleghi amministratori, ai tecnici e all’Arma dei Carabinieri, per tenere sotto controllo la situazione.

Siamo raccolti qui insieme per la preghiera gli uni per gli altri, davanti alla Maestà divina.

Siamo qui con delle domande nel cuore: “Signore, che cosa vuoi dirci attraverso questi eventi?”. E poi: “Come vivere da credenti tali prove?”. E come cittadini “come prevedere e prevenire?”. Ci viene ricordato anzitutto di circondare di rispetto e attenzione la natura, questa natura così bella e così fragile. Un dovere di tutti. Ma siamo anche avvertiti che la nostra vita sulla terra è caduca, in balia di mille eventualità e di crolli. “Non abbiamo quaggiù una stabile dimora” (cfr. Ebr 13, 14) – ci ricorda la Parola di Dio. Qui ci siamo di passaggio. Quanto sono stolte le nostre presunzioni e ridicole le nostre meschinità! L’anima credente s’acquieta, propendendosi verso il Regno dei Cieli: “Solo tu, Signore, non passi” (cfr. Sal 102, 27) e cantando le parole del Salmo: “Sei tu la mia roccia e il mio baluardo” (Sal 31, 4).

C’è nei Vangeli un racconto di cronaca nera riferito tempestivamente a Gesù: diciotto persone sono rimaste vittima sotto il crollo di una torre (cfr. Lc 13, 4). Si vuole una presa di posizione da parte sua. Tra gli interlocutori di Gesù, qualche teologo da strapazzo vuol fare il paladino di Dio, quasi che Dio abbia bisogno di un difensore d’ufficio! Cerca colpevoli: “Perché quei diciotto e non altri?”. Ma Gesù va ben oltre: quei malcapitati non erano più peccatori degli altri e gli scampati non i più santi. Non si deve leggere ogni disgrazia come intervento della giustizia divina, ma un’occasione per fare discernimento, per guardarsi dentro e proporsi l’essenziale. “Se suona una campana a morto – diciamo con le parole di un celebre romanziere – non chiederti per chi suona, perché suona per te”! I suoi rintocchi sono altrettanti inviti alla conversione. Un invito che raccogliamo e che diviene sostanza di questa Quaresima, impegnati – come tutta la natura di primavera – ad aprirci ad una vita nuova.

Il Vangelo proclamato in questa seconda domenica di Quaresima ci racconta la trasfigurazione. Mentre Gesù si incammina decisamente verso Gerusalemme, accade il prodigio: “Si trasfigurò davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” (Mt 17, 2). Di solito si interpreta l’evento come l’aiuto offerto ai discepoli perché non si smarriscano nel tempo della prova. In anticipo verrebbe loro rivelato lo splendore della risurrezione di Gesù dopo la sua morte. Come dire: “Non fuggite; non esitate a seguire il maestro, non perdetevi d’animo; Gesù alla fine vincerà”. Questa non è una interpretazione sbagliata; al contrario, ha valore apologetico e incoraggia anche noi nel cammino penitenziale verso la Pasqua. Tuttavia propongo una interpretazione che tocca più in profondità la nostra vita di fede, più esperienza spirituale che apologetica. La Gloria di Gesù, in tutto il suo splendore, si manifesta mentre sale a

Gerusalemme. E’ dentro al suo donarsi (la decisione di salire a Gerusalemrne) che appare la Gloria. La trasfigurazione, dunque, accade nel presente, sul pendio stesso di quella salita, nella durezza del suo destino. Dunque, in quel “mentre”. Nella trasfigurazione di Gesù c’è la nostra trasfigurazione; proprio nel momento in cui decidiamo di donarci e di spenderci senza riserve, la Gloria prende forma. L’avrete vista, questa Gloria, risplendere sui volti di tante persone che, avvolte dalla Grazia e piene di amore, hanno affrontato le prove. L’ho vista sul volto di madre Teresa di Calcutta quando ebbi la fortuna di incontrarla: un volto scavato dalle rughe, la schiena incurvata, ma gli occhi luminosi. L’ho vista sul volto di padre Roberto, un caro amico, divorato da un cancro ma sempre proteso a vivere l’attimo presente nell’amore, con la chitarra accanto al suo letto. L’ho vista brillare tra le lacrime di mamme e di papà che vivevano nella fede un presente difficile. Dicono che talvolta le lacrime diventano perle!

Omelia per il secondo anniversario della morte di Mons. Agostino Gasperoni

Uffogliano, 12 marzo 2014

 

1Sam 3, 1-10.19-20

Lc 11, 1-13

 

“Quorum laus est in ecclesia Dei” (LG 41)

Con queste parole la Lumen Gentium riconosce ed esalta in tanti sacerdoti l’esercizio della santità. Secondo il progetto di vita che il Concilio suggerisce ai presbiteri: “Pregando e offrendo il sacrificio per la loro gente e per l’intero popolo di Dio in nome del loro ufficio, consapevoli di ciò che compiono e imitando ciò che amministrano senza lasciarsi ostacolare dalle preoccupazioni apostoliche, dai pericoli e dalle tribolazioni, vi sappiano trovare un mezzo per ascendere a più alta santità; nutrano e animino la loro attività con l’abbondanza della contemplazione, a conforto dell’intera Chiesa di Dio”(…). “La loro lode risuona nella Chiesa”.

Sì, questa sera, nel secondo anniversario del suo passaggio da questo mondo al Padre, vogliamo ricordare la figura bella e tanto cara di don Agostino. Diamo lode al Signore e stiamo davanti a Lui come frutto della carità sacerdotale di don Agostino. Esprimiamo gratitudine per l’offerta del suo sacrificio preparato in tanti anni di donazione e di servizio, di studio e di magistero, di solitudine davanti a Dio e di compagnia con i fratelli, a immagine dello scriba evangelico che “estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13, 52). Compagnia soprattutto con le famiglie, alle quali ha riservato le sue migliori risorse e  la passione per la loro formazione spirituale, pensandole non solo oggetto delle sue cure, ma soggetti di evangelizzazione e di pastorale. La famiglia evangelizza in effetti per quello che è e poi con quello che fa. Non ho avuto occasione di incontrare don Agostino, né ho potuto leggere i suoi scritti. Tuttavia, usurpando il posto che lui ha nei vostri cuori dico: pensate la vostra casa come una piccola Nazaret, la casa di Giuseppe, Maria e Gesù. Di solito si dice che la vita di Gesù a Nazaret fu il tempo della vita nascosta (effettivamente le Scritture non ci raccontano la vita di ogni giorno in quella casa e in quel minuscolo villaggio). Eppure, quei trenta anni sono rivelazione in senso pieno e forte; i trent’anni non sono solo preparazione agli altri tre! Con la sua vita a Nazaret, Gesù annuncia che il Regno di Dio è giunto. Rivela in tutta la sua pregnanza la verità dell’incarnazione (Gesù cresce come crescono i nostri bambini: impara, gioisce, piange, ecc. ); proclama il valore della nostra vita semplice e nascosta al mondo: lavoro, relazioni, fragilità, ecc. ; dice la santità della famiglia, delle relazioni domestiche, luogo per l’esercizio delle virtù: amore, pazienza, laboriosità, servizio.

E’ bella l’esperienza dei gruppi famigliari, è una esperienza da sostenere da parte dei laici, dei sacerdoti e da parte della comunità e della comunità diocesana. Sono famiglie che si mettono in rete, coltivano la spiritualità, coniugano fede, preghiera e vita di casa. Da laboratorio diventano poi portatrici nella Chiesa delle loro esperienze, scoperte e – perché no? – delle loro istanze.

Don Agostino, come il piccolo Samuele, ha ascoltato la voce di Dio che gli ha parlato mediante le Scritture di cui è divenuto appassionato cultore. Don Agostino, come Samuele, “acquistò autorità perché il Signore era con lui, non lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole” (1Sam 3,19).

“Ascolta Israele”. È la parola che ogni giorno, più volte al giorno, il pio israelita ripete. “Ascolta”: in un tempo così “parolaio” veniamo ricondotti all’essenziale, alla più semplice delle attitudini, l’ascoltare. Attitudine semplice, ma non facile. L’ascolto vero è possibile quando ci si mette di fronte all’altro facendo il vuoto, essendo “nulla”. L’ascolto non è mera passività. È vuoto d’amore e quindi conquista, mai scontata.

Con la lettura di Luca, questa sera siamo posti davanti alla Preghiera di Gesù. Gesù non si limita a darci regole di preghiera, ma ci vuole coinvolgere nella sua relazione col Padre: “Padre, che sei nei cieli”.

Nella tradizione lucana del Padre Nostro manca il “sia fatta la tua volontà”. Don Agostino biblista ci avrebbe spiegato la differenza con la redazione di Matteo. La “volontà di Dio” come mistero e dono l’abbiamo cantata col salmo responsoriale (Sal 39). Volontà di Dio non sempre facile da comprendere e da accogliere (è mistero!), ma sempre dono perché è la realtà più bella: effusione dell’amore di Dio nei nostri cuori.

Omelia della Prima Domenica di Quaresima

Maciano, 9 marzo 2014

Gen 2,7-9; 3,1-7

Sal 50

Rm 5,12-19

Mt 4,1-11

 

“Militia est vita hominis super terram” (Gb 7, 1)

Ci sono le tentazioni: e chi non ne subisce! E c’è la “tentazione”, cioè la prova radicale della fede.

Le tentazioni si affacciano sugli ambiti più disparati della nostra vita. Guai andarle a cercare o mettersi nell’occasione prossima. Si può cadere! Meglio non presumere delle proprie forze. Tuttavia, sono inevitabili; per questo preghiamo “non indurci in tentazione ma liberaci dal male”. Le tentazioni sono, tuttavia, occasioni di crescita e di maturazione, di rafforzamento e di umile conoscenza di sé. Ci offrono l’opportunità di riaffermare la nostra fedeltà alla volontà di Dio e di vivere i “no” come altrettanti “sì” a Lui. Chi intraprende – come stiamo facendo con questa Quaresima – un serio cammino di fede e di conversione deve mettere in conto la prova. Le tentazioni non sono peccato, possono essere perfino un segnale che siamo sulla strada buona. Comunque, mai il Signore permette che siamo tentati oltre le nostre forze (cfr. 1Cor 10,13).Nelle prove sempre ci soccorre. I maestri spirituali insegnano non solo a non metterci nelle occasioni, ma a confidare le nostre prove ad una guida spirituale.

Ma la liturgia di oggi vuol metterci di fronte alla “tentazione”, prova radicale della fede, davanti alla quale si sono trovati i progenitori (come abbiamo sentito nella prima lettura), il popolo di Israele nel cammino dell’esodo e lo stesso Gesù. La “tentazione radicale” consiste nella tentazione di non fidarsi del Padre, nel pensare di essere soli davanti alla vita e, pertanto, consiste nel sussurrare al proprio cuore: “Se non penso io a me stesso, chi provvede?”. L’esito può essere quello della disperazione o quello dell’orgoglio e dell’autosufficienza, del non fidarsi e del bastare a se stessi.

I progenitori hanno ceduto alle insinuazioni del diavolo ed hanno steso la mano sul frutto proibito: presunzione di essere come Dio, di fare da soli, di “essere Dio”.

Il racconto delle tentazioni di Gesù secondo Matteo ha analogie impressionanti con le vicende dell’Esodo. Gesù è presentato come il vero Israele, il vero Mosè. L’analisi del testo non fa che confermare questo. Lo Spirito conduce Gesù nel deserto per essere provato. Anche Israele: “Dio lo condusse nel deserto alla prova, per educarlo come un padre educa il figlio” (Deut 8, 2-5). Il Deuteronomio aggiunge: “per quaranta anni”. Ad essi si riferisce Matteo con i suoi quaranta giorni, ben conoscendo il testo di Numeri 14, 34: “Per quaranta anni sconterete le vostre colpe, in base ai quaranta giorni che avete impiegato ad esplorare la terra. Ogni giorno conta un anno”. Il libro del Deuteronomio è un grande commento teologico all’esodo di Israele, soprattutto vuol dimostrare che il fallimento del popolo nel deserto è dovuto alla sua mancanza di fiducia in Dio. Dal Deuteronomio Matteo trae le citazioni con cui Gesù combatte le tre tentazioni. Nella prima, Satana mette Gesù nella stessa situazione di Israele: il popolo si lamenta perché ha fame. Israele non supera la prova, Gesù invece ne esce vittorioso: “L’uomo non vive di solo pane”. Nel suo deserto Gesù accoglie la volontà del Padre su di lui; vive della sua Parola.

Nella seconda, Gesù è tentato di compiere un prodigio spericolato, sensazionale e teatrale che lo accrediti come prestigioso Messia davanti alla folla attonita. Anche Israele a Massa, nel deserto, voleva costringere il Signore a compiere uno spettacolare prodigio. Per questo motivo Deuteronomio 6,16 ammoniva: “Non tenterete il Signore”. Gesù, a differenza di Israele, supera anche questa seconda prova. Sarà Messia, ma come vuole il Padre; un messia umile, sofferente, servo. “Gettati giù”: sembra il massimo della fede e invece ne è la caricatura perchè la ricerca di un Dio magico a proprio servizio. Satana è seduttivo; sembra voler aiutare Gesù “a fare il Messia”. La gente è sempre assetata di miracoli!

Anche la terza tentazione ricorda Israele: prima di entrare nella Terra era stato messo in guardia dall’idolatria. Ma Israele fallì, non ebbe fede in quel Dio che non vuole spartire con alcuno la fiducia del suo popolo. Gesù invece esce definitivamente vittorioso. Egli ha totale fiducia nel Padre. Diventerà il Signore del mondo, ma come il Padre vuole e per la via della croce, non in modo “disobbediente” e per facili scorciatoie. Il Padre sarà sempre con Lui. Gesù esce dal combattimento non solo indenne, ma vincitore. Non si è lasciato separare dalla volontà di Dio. In fondo Satana dice: “Vuoi cambiare il mondo con l’amore? Sei un illuso!”. La strada che seguirà Gesù non sarà mai quella del ricatto, della seduzione, del potere. In questa ottica cristologica e messianica il racconto acquista tutto il suo valore pedagogico per la Chiesa e per tutti noi che dobbiamo, in fondo, misurarci con la stessa tentazione: non fidarsi.

Celebrazione eucaristica delle Sacre Ceneri

Cattedrale di Pennabilli, 5 marzo 2014

 

Gl 2,12-18

Sal 50

2Cor 5,20-6,2

Mt 6,1-6.16-18

 

Quaresima, un tempo favorevole.

1.  Stiamo per entrare in un momento di grazia e di grazie: la Quaresima.

Tutto il tempo è un dono di Dio ed è “tempo favorevole”.

La Chiesa sposa vorrebbe abbracciare il suo Signore, tutto, tutto in una volta, tutto intero, tutto per sempre… ma non gli è possibile perché è nel tempo, che è scandito da giorni, settimane, mesi e anni; pertanto, contempla e gusta il mistero di Gesù poco a poco. Come in una spirale ascensionale: ogni anno più in profondità, ogni Anno liturgico.

L’Anno liturgico è scuola di evangelizzazione. In esso si racconta tutta la vita di Cristo e la si vive con Lui. Noi oggi, come Gesù, entriamo nel tempo del deserto; non siamo come semplici spettatori che guardano un film, vi partecipiamo appieno. Allo stesso modo, la Messa è il racconto di un fatto vero che riaccade nel momento presente.

 

L’Anno liturgico è scuola di spiritualità, perché ciascuno, partecipando alla vita di Gesù, può compiere un cammino interiore che lo porta a coltivare gli stessi sentimenti di Gesù (cfr Fil 2,6).

L’Anno liturgico è scuola di pastorale: la Chiesa si attrezza nel migliore dei modi per rispondere al suo Signore: suggerisce itinerari, tappe e verifiche; coinvolge risorse; propone cammini educativi.

 

2. Perché la Quaresima è un “tempo favorevole”?

E’ un tempo favorevole perché ripropone con forza la centralità della Pasqua. Siamo tutti in cammino verso la Veglia pasquale: cuore dell’Anno liturgico. Con la Pasqua risuona, con la stessa forza della prima volta, il grido: «Gesù, il Crocifisso, è risorto!». Ha vinto la schiavitù della morte e del peccato. Il Risorto effonde il suo Spirito. Inaugura un tempo nuovo. É risorto, ma dà anche a noi la possibilità di godere di una vita risorta, così che possiamo guardare con coraggio la morte, sconfiggere le nostre paure e le nostre delusioni. La Pasqua sdogana la speranza, la vita nuova intravista dai profeti: «Ecco, io faccio una cosa nuova che proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43, 19).

Tutta la nostra vita è pasquale, tutto il tempo lo è… e tuttavia la Chiesa, madre e maestra, prevede tempi e momenti, diversi e complementari, per educarci.

 

3. É un tempo favorevole perché l’Anno liturgico ha in sé un valore sacramentale: come un sacramento fa quello che annuncia e manifesta con segni visibili l’opera di Dio nel mondo.

Nella Quaresima facciamo esperienza concreta della “comunione dei santi”. C’è un popolo intero che si mette in cammino, che si fa cordata. Con la preghiera gli uni per gli altri e l’offerta di noi stessi, con l’intercessione dei santi, con l’intercessione di Maria, con il dono delle indulgenze, si sperimenta di far parte del Corpo mistico di Gesù.

La Chiesa ci dona abbondanza di Parola di Dio. Riceveremo in questi giorni la visita del parroco alle nostre case. Siamo incoraggiati a vivere un clima favorevole all’impegno ascetico: piccole mortificazioni, astinenza il venerdì, letture spirituali, ecc.

 

4. La Quaresima è anche tempo di grande gioia!

Dobbiamo fare ritorno alle nostre case con una gioia profonda: «Il Signore ama chi dona con gioia» (2 Cor 9, 7).

Una parola severa accompagna l’imposizione delle ceneri: «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai», oppure «Convertiti e credi al Vangelo». L’una e l’altra frase fanno riferimento alla nostra responsabilità.

Ma come compiere questo cammino? Come affrontare la difficoltà?

Noi dobbiamo avere la certezza che Gesù ha già vinto. Allora, quando siamo nella prova, non sprechiamo troppo tempo a guardarla, ad analizzarla. Passiamo subito oltre.

Anche se talvolta la barca è in mezzo alla tempesta, con vento forte e contrario, come gli Apostoli, spaventati, siamo tentati di rimproverare Gesù (ci sembra che stia dormendo sulla barca e ci lasci soli); ma non dobbiamo avere paura: Lui ha già vinto. Ma è solo con gli occhi della fede che vediamo la sua vittoria. Con gli occhi della fede riusciamo a scorgere quale sia la sua grazia in mezzo al grande problema. Per gli Apostoli la grazia poteva sembrare un secchio per vuotare la barca. Ma sappiamo che, buttato fuori un secchio d’acqua, sarebbe arrivata un’altra onda. La grazia invece era Gesù lì con loro, anche se stava dormendo. Il vero rimedio era guardare Gesù.

Allora buon cammino a tutti e buona Quaresima.