Periodico Montefeltro Febbraio 2016

Omelia Mercoledì delle Ceneri

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Cattedrale di Pennabilli, 10 febbraio 2016
 
Gl 2,12-18
Sal 50
2Cor 5,20-6,2
Mt 6,1-6.16-18

In questo anno speciale, Anno Santo, Giubileo della Misericordia, la Chiesa, a nome di Cristo, torna ad invitarci alla conversione.
Abbiamo sentito riecheggiare parole forti della Sacra Scrittura:
«Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12-18);
«Con l’elemosina, il digiuno, la preghiera» (cfr. Mt 6,2-4.5.16-18);
«Lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20).
Tra poco, durante l’imposizione delle Ceneri, ritornano i motivi e la finalità della conversione:
«Ricordati, uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai» (Gen 3,19).
«Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15).
Ma perché? Ci chiediamo. Perché l’incessante, il martellante ritornello alla conversione? Perché?
Le motivazioni di fondo fanno capo al mistero di Cristo e al mistero dell’uomo.
Il mistero di Cristo, nella sublimità della sua vetta e nella profondità del suo abisso, è inesauribile; impossibile da prosciugare, eccedenza di luce, di amore, di santità… il Vangelo!
Il mistero dell’uomo (che pure solo in Cristo trova il suo compimento) è di natura tale da rinchiudersi sempre in se stesso e da ricadere nelle proprie oscurità; inquieto e, tuttavia, bisognoso di essere liberato da sé e risollevato dalla stanchezza, dal torpore, dalla mediocrità, dal suo peccato. Polvere!
C’è bisogno di fare Pasqua, ossia di fare il passaggio ad una vita nuova.
Guardandoci attorno – lontano e vicino – constatiamo drammi, tragedie, indifferenza, incomprensioni, ostilità, delinquenze e corruzioni che si potevano ritenere scomparsi dalla scena della nostra società.
Come uomini – non possiamo farci estranei a quanto accade ai nostri simili – portiamo anche noi la responsabilità di quanto andiamo scoprendo giorno per giorno in questo nostro mondo.
Non possiamo offrirci alla penitenza in favore degli altri presumendo di essere personalmente innocenti. Né vale la scusa di ignorare quanto accade perché attenti ai nostri interessi… e così diventiamo complici.
Se la questione morale è la prima e sta a monte di ogni vera riforma, se è una e indivisibile, tutti siamo coinvolti; nessuno è senza peccato (peccati personali e comunitari) e tutti abbiamo da pentirci e da convertirci. La sete del denaro, la ricerca dei propri interessi, la mentalità mondana non sono penetrati anche nella nostra coscienza e nella nostra condotta?
In questi casi la conversione e la penitenza è quanto fa per noi.
C’è una solidarietà nel bene a cui occorre richiamarci; ma c’è una solidarietà anche nel male. Il peccato di uno è a svantaggio di tutti, depaupera tutto il corpo, lo corrompe, innestandovi germi di morte.
Invece, la conversione di uno genera benessere e avvia processi di salvezza per tutti. Un’anima che si eleva, eleva il mondo!
Convertiamoci e lasciamoci convertire. «Ecco il tempo favorevole! Ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,2).
Come canta il Salmo raggiungeremo «la sincerità del cuore», ricreato da Dio. Ci verrà creato «un cuore puro», «uno spirito saldo». «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu o Dio, non disprezzi» (Sal 50,8-20).
Il pressante invito alla conversione, che risuona in questo giorno, parte dal grido del profeta Gioele che personalizza e umanizza la conversione: «Ritornate a me» – a me! – «con tutto il cuore» – con tutto il cuore! Un rapporto personale, nuovo, tra lui e noi.
Al termine del cammino pasquale ritorneremo a sentire il profeta Gioele che ci farà constatare il risultato della nostra collaborazione alla iniziativa di Dio: «Effonderò il mio spirito sopra ogni uomo… i vostri figli e le vostre figlie avranno visioni, i vostri anziani sogni» (Gl 3,1-2).
Per il frutto della conversione quaresimale, il dono pasquale dello Spirito opererà una nuova creazione nella nostra società, e «rinnoverà la faccia della terra» (cfr. Sal 103,30).
Allora: «Ritornate a lui con tutto il cuore»! Così sia.

Omelia per le esequie di Padre Egel Morilla Reinaldo

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Dogana, 10 febbraio 2016

Gen 12, 1-3
2Tm 4,6-8
Sal 50
Gv 14,1-6
Leggo la vicenda umana e spirituale di padre Egel alla luce dell’esperienza vocazionale di Abramo. «Parti dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Ti benedirò… e diventerai una benedizione» (Gen 12, 1-2).
Dunque c’è:
– una partenza,
– un paese in cui abitare,
– una benedizione.
Don Egel è partito da un paese lontano da noi (l’Argentina), è arrivato in una terra lontana da lui (l’Italia e la Repubblica di San Marino). La sua vita, come quella di Abramo, è stata un lungo viaggio: un altro emisfero, un’altra cultura, un’altra lingua; distacchi non metaforici e incontri altrettanto reali…
Entriamo nel cuore di chi parte per un lungo viaggio: che cosa prova?
«Beato chi decide nel suo cuore il santo viaggio» (Sal 84,6). E che altro è il viaggio se non il preludio di un incontro e di tanti incontri? Il viaggio è metafora della vita. Meditiamo sul viaggio compiuto da padre Egel – un prete raffinato, affidabile, colto – e sul nostro quotidiano cammino.
Mi aiuta un apologo orientale. C’è chi procede con i piedi: i suoi passi si impolverano su strade assolate e si attardano, talvolta, in oasi e locande. Costoro sono i mercanti, i cui percorsi sono governati da fini precisi e il cui viaggio è sempre e solo un transito.
C’è chi avanza per le strade con gli occhi: avido di scoprire e di sapere, di fermarsi ad ammirare le creazioni di quelle civiltà o l’orizzonte luminoso di un panorama. Costoro sono i sapienti.  Infine, c’è chi viaggia col cuore: egli non s’accontenta di camminare, visitare, sapere, ma vuole vivere con gli uomini e le donne delle regioni attraversate, vuole ascoltarli e parlar loro e “mettere in luce la perla segreta di Dio” che dappertutto è riposta. E costui è il pellegrino.
Non bastano il desiderio delle cose e i progetti da realizzare, occorre scegliere di partire. Non basta una mèta per camminare, occorre concretamente saper aprire le vele.
C’è un altro rischio che può vanificare il viaggio: muoversi chiusi in una sorta di bolla di sapone o campana di vetro. Accade quando si cede alla tentazione di assicurarsi un guscio, una valigia capace di contenere il mondo che si lascia. Quando ci si mette in viaggio si deve mettere in conto l’incontro con ciò che è “diverso”: ambienti, culture, persone.
L’incontro sarà pieno se chi cammina con noi non resterà solo un ingombrante compagno di viaggio, ma un amico, uno di cui si impara a conoscere il mondo interiore.
Quando si viaggia e si cammina si va avanti. Il viaggio è procedere, proseguire, andare verso una tappa ulteriore. Si scopre pian piano, però, che il viaggio, in verità, è una… discesa. O meglio, l’andare avanti trascina in profondità perché, in realtà, la strada e la mèta del nostro viaggiare sono interiori.
Il paese nuovo incontrato da padre Egel è stato la Repubblica di San Marino, la diocesi sammarinese-feretrana, la parrocchia di Borgo prima, la parrocchia di Falciano poi; infine, la collaborazione con parrocchie, gruppi e quella rete di cuori che ha saputo tessere e coltivare.
L’ho conosciuto in una casa famiglia della Papa Giovanni: amato e ascoltato. Ho ricevuto spesso i suoi messaggi di adesione alle proposte diocesane, pur non potendo parteciparvi per le difficoltà di salute che sono andate crescendo. Avrei voluto frequentarlo più spesso in questi ultimi mesi di ripetuti ricoveri in ospedale e, definitivamente, al “Casale La Fiorina”. Gli incontri con lui sono stati sempre caratterizzati da una profonda comunione. La comunione del vescovo col suo presbitero e del presbitero col suo vescovo è essenziale; va ben oltre la cortesia, la stessa disciplina, l’intesa pastorale, pur necessaria. È una comunione generativa. Per questa comunione gli ho chiesto di offrire la sua vita per la nostra Chiesa e per i suoi preti in particolare. Ci siamo dichiarati, ad ogni incontro, la disponibilità a far sì che Gesù fosse presente tra noi per la carità reciproca: «Dove due o più sono uniti nel mio nome – assicura Gesù – io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). Nell’ultimo incontro – la scorsa settimana – gli ho chiesto: “Il primo di noi che incontra la Madonna le porterà un saluto speciale per l’altro”. Mi ha detto: “Sì”. Ho aggiunto: “Potrei essere io il primo a partire per il Cielo”. Ha inarcato le sopracciglia è ha sorriso…
Ho accennato al mio rapporto con lui, ma tanti potrebbero raccontare… Perché padre Egel ha abitato veramente questa terra e questa diocesi. “Abitare, voce del Verbo”. Ringrazio chi l’ha accompagnato, chi gli è stato vicino, chi l’ha assistito all’ospedale e al “Casale La Fiorina”.
Ci sono dieci verbi al futuro nel racconto di Abramo: «Parti verso il paese che ti indicherò. Farò di te un grande popolo. Ti benedirò. Renderò grande il tuo nome. Diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno. Maledirò coloro che ti malediranno. In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».
Il futuro di padre Egel diventato presente è la dimora definitiva, anzi, il «posto» preparato per lui, terra promessa. «Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto» (cfr. Gv 14,2). Meta raggiunta. Promessa compiuta. Fedeltà di Dio, nella fede di chi ha terminato il viaggio ed ora riposa nella luce.
L’esistenza di un prete è una benedizione: egli benedice in nome di Dio, è ministro della grazia sacramentale di Cristo, proclama la Parola, riunisce e guida la comunità, è un segno nella società, anche nella nostra secolarizzata. «Lasciate un paese senza prete – diceva il curato d’Ars – e vedrete in quali condizioni lo ritroverete».
La ragione più profonda del prete-benedizione sta nel mistero della sua vocazione, precisamente nell’essere una esistenza offerta. La sua vita è chiamata ad essere conforme al sacrificio che celebra sull’altare. Ci sovviene, allora, un’altra pagina della vicenda di Abramo. Dio gli chiede il sacrificio del figlio. Abramo intraprende il viaggio più drammatico della sua vita. «Prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme» (Gen 22, 6). Isacco, che reca la legna per il proprio sacrificio, è figura di Cristo che porta la sua croce. Tuttavia, portare la legna dell’olocausto è ufficio del sacerdote. Così egli diventa vittima e sacerdote. Dice Isacco ad Abramo: «Padre mio!» (Gen 22,7). Questa voce del figlio, in un momento simile, è la voce della tentazione. La voce di Isacco sconvolge il cuore del padre. Abramo risponde con una voce che tradisce l’affetto paterno: «Che vuoi, figlio?».
E lui: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?». Abramo risponde: «Dio provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio» (Gen 22, 7-8). Commuove la risposta di Abramo, così delicata, prudente e profetica.
L’agnello immolato è Cristo. Il sacerdote, consacrato per l’imposizione delle mani, diviene partecipe del sacerdozio di Cristo. Le sue membra diventano le membra della redenzione: con l’offerta del quotidiano servizio alla propria gente, con la corrispondenza al dono del celibato, con il fedele rimanere aggrappato alla croce di Cristo, con la sublimazione della sofferenza.
Siamo partiti dal viaggio misurato con i chilometri, siamo arrivati a considerare il viaggio dell’anima che sale con Gesù sul monte «per la vita del mondo» (Gv 6,51).
Preghiamo. Accetta, o Signore, l’offerta della sofferenza e della vita di padre Egel. Uniscila al tuo sacrificio. Signore, concedi a noi sacerdoti di continuare a spenderci e a donarci senza riserva per la nostra gente. Fa’ che la nostra vita insieme a quella del nostro popolo diventi una liturgia per la tua gloria. Così sia.

Messaggio per la Quaresima

«Mi risuona in cuore la confidenza di un amico: “Non ti prende, talvolta, una voglia di vita nuova, di vita più armonica, più pulita?”. Sono d’accordo. E non è solo questione di primavera che sboccia. Pur nello scenario difficile che fa da sfondo alle nostre giornate, non è ingenuità parlare di rinnovamento.
Ci sono milioni e milioni di cristiani che ci vogliono provare; ci vogliono provare soprattutto in questa Quaresima speciale e fortunata che sta iniziando nel segno della misericordia, parola che papa Francesco, con i suoi gesti e con i suoi insegnamenti, sta sdoganando dall’ambito devozionale.
Quaresima: quaranta giorni in cammino verso Pasqua. Il credente, lungi dal confidare troppo nei suoi buoni propositi, testimonia che lo spirito del rinnovamento viene da Dio; anzi, diamogli il suo vero nome: risurrezione; intendiamo la Risurrezione di Cristo, “vita nuova” entrata in circolo.
Il cammino quaresimale è da percorrere insieme, sul tracciato della liturgia: l’ingresso in penitenza con l’austero rito delle Ceneri, il 10 febbraio; le sei domeniche “lucane”, cioè caratterizzate dalla lettura del Vangelo di Luca (scriba mansuetudinis Christi – Dante Alighieri) e le iniziative di solidarietà (specialmente a favore di un centro pastorale in Congo: un progetto lanciato da Caritas e Centro Missionario), di preghiera e di riflessione fino alla Settimana Santa e alla Veglia pasquale, sabato 26 marzo; Veglia alla quale tutti devono convergere, senza eccezioni.
Le guide per il cammino sono i nostri parroci, impegnati, tra l’altro, a farci visita nelle case, per dire “pace” e per portare, se gradita, la benedizione.
Non ci sarà vera risurrezione se i propositi, le aspirazioni, gli slanci non approderanno al sacramento della Riconciliazione (Confessione). Preparare la Confessione di Pasqua è la prima opera per vivere bene l’Anno Santo, Giubileo della Misericordia. La Lettera del Vescovo, che sta per essere recapitata alle famiglie, inizia con una provocazione: “Confessarsi o convertirsi?”. È vero, ci si confessa meno, ma ci si confessa meglio: si vive il sacramento alla ricerca di un più profondo cambiamento personale e meno come pratica abitudinaria.
Preghiamo perché ci sia dato di praticare, a nostra volta, le opere di misericordia, a partire dalla più difficile: il perdono. Buon cammino a tutti».

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Omelia V Domenica del Tempo Ordinario

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Basilica di San Marino (RSM), 7 febbraio 2016

Giornata della vita

Is 6,1-2.3-8
Sal 137
1Cor 15,1-11
Lc 5,1-11
Il lago, la folla, Gesù. Entusiasmo e voglia di ascoltare il Maestro: quasi un assalto. Non lontano due barche dondolano, ormeggiate alla riva, dopo un ennesimo fallimento. Barche vuote e pescatori che fan su le canne – come suol dirsi –  intrappolati nelle loro reti vuote, indifferenti a quanto sta succedendo a pochi passi da loro. Eppure è proprio di quelle barche che il Maestro ha bisogno: ne vuol fare il pulpito dal quale risuonerà la Parola di Dio. E’ il primo miracolo che vediamo in questa giornata di prodigi. Gesù cerca la mia povera barca. Anzi, cerca me. Anche la barca della mia vita può diventare un punto di partenza, ma devo cederla a Gesù come ha fatto Simone: «Ecco quel poco che ho e quel poco che so fare». E’ interessante notare come Gesù parli stando su una barca dondolante sull’acqua, mentre la gente preferisce stare coi piedi ben piantati a terra… Chi ha fede è sicuro, non teme stare con Gesù su una piattaforma che appare insicura e non teme la navigazione al largo.
Segue un prodigio ancora più grande allorché viene ceduta non una barca, ma la propria volontà: sulla tua parola getterò le reti. Farò quello che vuoi tu, anche se mi vien da pensare che tu, Signore, di pesca non te ne intendi (non si va a pescare in pieno mezzogiorno!). Faccio quello che mi chiedi anche se, come vedi, non sono un gran pescatore e i pesci non han voglia di abboccare… Ci provo ancora.
Chi non si sente provocato da questo racconto così lontano eppure così vicino? Affiorano alla coscienza i fallimenti, le delusioni, le inconsistenze: una barca vuota. Vuota perché piena dei «secondo me», piena della mia volontà. Eppure è successo e succederà ancora, se lo voglio: ceduta al Signore quella barca tracimerà di pesci. Il pescatore di Galilea, salpato per altri mari, ben più profondi e vasti, diventerà pescatore di uomini. Quella Parola risuona anche per me: Non temere. «Segui Gesù a costo di lasciare tutto (o meglio: quel poco che sei e quel poco che hai). A te che, a mala pena, hai messo fuori il naso dal tuo cortile, darà in eredità le genti (cfr. Sal 2)»! Gesù non si lascia impressionare dai miei difetti e dai miei limiti e neppure da quello che a me pesa di più: la mediocrità. La mediocrità è riscattata quando si fa per amore.
Gesù mi affida persino il suo vangelo: anch’io posso fare qualcosa per gli altri e per Dio. Dalle mie parti, sulle rive del Po, c’è un vecchio barcone ben ancorato all’argine. L’hanno trasformato in un ristorante galleggiante; lo chiamano “Il mulino sul Po”. Gesù non pensa la sua Chiesa come un barcone ancorato, ma come un’agile barca che risale le acque del mondo.

Programma dettagliato della Giornata della vita

Ai Responsabili delle Associazioni, Gruppi e Movimenti laicali della diocesi

Carissimi,
in vista della giornata della vita 2016 comunico alcuni importanti informazioni ed aggiornamenti del programma, integrato approfittando della presenza a S.Marino dei Padri francescani Simone Herro e Feras Hejazin:

Venerdì 5 febbraio (ore 21.00 Teatro parrocchiale di Novafeltria)

Proiezione del film-documentario: “Il sale della terra”

Domenica 7 febbraio: GIORNATA DELLA VITA

Durante le S.Messe domenicali, verranno raccolte le offerte per le comunità cristiane di Siria e Palestina (ciò avverrà durante la questua, per cui non verranno allestiti banchi di raccolta fuori dalle chiese); è possibile contribuire alla raccolta di fondi anche effettuando un versamento tramite i seguenti c/c bancari:

– SM60X0854009813000130166989 intestato a UCIDS presso la Banca di San Marino;
– SM02V0606709806000060111425 intestato a UCID presso la Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino.
N.B. è indispensabile indicare la causale “PRO SIRIA”

Giovedì 11 febbraio (ore 21.00 a Borgo Maggiore, chiesa parrocchiale)

Veglia di preghiera per le popolazioni cristiane del Medio Oriente

Seguirà un piccolo rinfresco presso il Centro Comunitario Don Bosco di Borgo Maggiore (i responsabili delle Aggregazioni sono pregati di comunicare il numero indicativo delle persone del proprio gruppo/associazione che parteciperanno alla cena; referente Federico Bartoletti fbartoletti@omniway.sm)

Venerdì 12 febbraio (ore 12.00, Palazzo Pubblico)

Udienza degli Ecc.mi Capitani Reggenti. Per ovvie ragioni protocollo, sono invitati i soli responsabili delle Aggregazioni laicali (si prega di confermare la partecipazione, referente Federico Bartoletti; il numero massimo di posti disponibili è 10)

Venerdì 12 febbraio (ore 21.00 Sala Montelupo di Domagnano)

Conferenza sul tema: “Ogni uomo è mio fratello” – Vivere e difendere la dignità umana in un territorio di globalizzazione dei conflitti e delle loro conseguenze

Federico Nanni
Ufficio famiglia

Seconda Stazione Giubilare

Forum del dialogo

Ritiro di Quaresima

Omelia per la Festa della Presentazione del Signore

Omelia di S.E. Mons. Andrea Turazzi

Chiusura dell’Anno dedicato alla vita consacrata

Cattedrale di Pennabilli, 2 febbraio 2016
Ml 3,1-4
Sal 23
Lc 2,22-40

Celebriamo di cuore, con tutto il cuore, questa festa: la presentazione del Signore al tempio, Giubileo dei consacrati, nel giorno che conclude un anno intero dedicato a loro, alla loro vita e alla loro missione nella Chiesa e nel mondo.
Indico tre parole che ritornano nella liturgia; tre parole da portarci a casa: presentazione, purificazione, sacrificio.

  1. Celebriamo con la nostra luce (quella che portiamo nelle nostre mani), quella della fede e dell’amore, la rivelazione del Signore-luce, tutto luce, gloria di Israele, «luce delle genti»! Egli viene presentato dalla Vergine Madre. E si presenta nel tempio in sacrificio, sostituito, allora, dal sacrificio di una coppia di tortore o di giovani colombi. Si presenta al sacrificio e, sulle labbra di bambino, possiamo raccogliere le parole (senza parole!) del Salmo ripreso dalla Lettera agli Ebrei: «Tu non hai voluto né sacrificio, né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti, né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà”» (Ebr 10, 5ss).
  1. Egli viene per purificare. La purificazione è azione di misericordia, perché di noi si prende cura. «Purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possono offrire al Signore un’oblazione secondo giustizia» (Mal 3,3). Egli è fuoco purificante, fuoco che brucia le scorie perché l’oro risplenda. Prima, però, vuole assimilarsi a noi che dobbiamo essere purificati e – pur non avendo peccato – accosta noi peccatori, mangia e beve con noi. «Gesù sorprende i suoi ascoltatori. Turba e disarma il peccatore. Converte, conquista, fa crescere e abbraccia. È un crescendo. Così è stato con Levi Matteo, intento al suo compromettente lavoro di esattore di tasse; con la donna silenziosa che non smette, riconoscente, di baciargli i piedi, di bagnarli con le lacrime e di asciugarli coi capelli. Così è stato con Zaccheo, scovato, tra le foglie della sua curiosità, al passaggio del Maestro, poi suo ospite; così con Maria di Magdala, la discepola dalla quale erano usciti sette demoni; così con l’adultera, rimasta sola con Gesù; così col ladrone canonizzato all’istante: «Oggi sarai con me in Paradiso»! (dalla Lettera pastorale del Vescovo Andrea per l’Anno Giubilare 2016, p.10).
  1. Come si compie la sua purificazione? Può essere sintetizzata così: dalla “condiscendenza”, cioè dal suo “abbassamento” (cfr. Fil 2,6ss), al dono di sé, al sacrificio! Il sacrificio di Gesù è il dono che fa di sé. «Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, (…). Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Ebr 2,14-18). In tal modo, egli, che è puro, purifica: purifica perché fuoco d’amore; purifica perché purificato dal dolore. Egli, che è luce, illumina e trasforma in luce. Quella luce che il vecchio Simeone vide e da cui fu avvolto e invaso al termine della sua vita: «I miei occhi han visto… » la luce! (Lc 2, 32).
  1. Questa è la presentazione di Gesù, quella che Gesù fece di sé; quella che Maria fece di Gesù, quella che, nel giorno della sua purificazione legale, la Madre fece nuovamente di sé (secondo un’antica tradizione, era già stata presentata al tempio). Questa presentazione di Gesù e di Maria, oggi si attualizza ancora tra noi, in forme diverse ma con sostanza unica. I religiosi e le religiose, tutti i consacrati, che vivono e operano tra noi, nella nostra diocesi, rinnovano insieme il dono della loro professione e vengono ripresentati al Signore, a Cristo, Cristo sposo, come Chiesa, come “vergine casta” (2Cor 11,2). E noi tutti, fedeli e battezzati, siamo chiamati a offrirci in coerenza con la dignità del sacerdozio regale e della missione affidataci. Ricordate San Pietro? «Quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo» (1Pt 2,5). E San Paolo: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rom 12,1). Cogliamo la grazia che ci viene offerta di rivivere la nostra presentazione al tempio: «Signore, siamo qui alla tua presenza. La tua misericordia ci avvolge come una marea di luce e di grazia». A nostra volta ci dichiariamo disponibili, con le opere della misericordia, ad andare verso i fratelli. Dio voglia che tanti giovani sappiano ascoltare la voce del Signore e impegnarsi con colui, servire il quale è regnare e consumarsi così per la vita del mondo (cfr. Gv 6,51). Una vita eucaristica. Dio voglia che tante ragazze abbiano il coraggio, in risposta agli appelli dello Spirito, di consacrarsi con la pienezza delle loro doti ed energie alle aspirazioni più profonde del loro cuore, alle più vere esigenze della nostra società e del nostro tempo. Per essere tutti insieme carezza di Dio per la nostra gente. Così sia!