Iniziative per la Giornata della vita

Tutta la Diocesi convocata sul tema della VITA

Tre appuntamenti a febbraio in occasione della Giornata della Vita

La programmazione prevista all’interno della proposta “intorno alla vita per 80 giorni” giungerà a conclusione a febbraio, in occasione della Giornata della Vita e della Giornata del Malato.

Questo lungo tempo di riflessione e preghiera, avviato a dicembre con la Veglia per la vita nascente, gli Uffici per la pastorale familiare e del lavoro e le associazioni laicali della diocesi, si concluderà con la programmazione di tre interessanti incontri pubblici, volti a sensibilizzare le coscienze del popolo diocesano sul tema dell’accoglienza della vita, ma anche di quella parte della comunità civile che accetterà di lasciarsi “provocare” da esso.

Vediamo in dettaglio questi appuntamenti diocesani (senza dimenticare che faranno parte integrante di questa attenzione diocesana anche le celebrazioni liturgiche parrocchiali di domenica 3 febbraio in occasione della Giornata per la vita e le iniziative animate da Ustal/Unitalsi i successivi 10 e 11 febbraio per la Giornata del malato).

L’Enciclica HUMANE VITAE, tra continuità e novità

Due incontri a 50 anni dalla promulgazione di una enciclica coraggiosa e “profetica”

venerdì 1 febbraio, ore 21.00 Sala Montelupo (Domagnano di S.Marino)

Paternità e maternità responsabili oggi: si può e si deve!

Prof. Massimiliano Cucchi (Docente di Bioetica all’ISSR “A. Marvelli”)

venerdì 8 febbraio, ore 21.00 Sala parrocchiale di Macerata Feltria

Dalla “profezia” alla realtà: il senso e il significato del procreare umano alla luce di Humanae vitae Prof. Gabriele Raschi (Docente di Morale sessuale e familiare all’ISSR “A. Marvelli”)

Il senso autentico della sessualità umana si esprime con pienezza corporea e spirituale nell’amore coniugale ed è aperto al dono della vita, essendo la fecondità una delle sue principali caratteristiche. E’ però altrettanto vero che questa potenzialità deve essere vissuta e attuata in modo umano, cioè nella libertà e nella responsabilità. Infatti l’agire morale del cristiano deve essere ispirato da atteggiamento buono e comportamento corretto.

Grazie all’aiuto offerto dall’ISSR interdiocesano “A.Marvelli”, verrà proposta una duplice riflessione sull’enciclica di Papa Paolo VI Humanae vitae giunta al cinquantesimo di promulgazione, al fine di assimilarne lo spirito attraverso una lettura non semplicemente normativa, come suggerito dalla più recente esortazione apostolica Amoris laetitia. Due incontri, dunque, per affrontare sia gli aspetti teologici, sia quelli biologici e morali della sessualità e coniugalità.

Ovviamente, le tematiche verranno affrontante secondo un approccio accessibile a tutti, e quindi l’invito è rivolto non soltanto ad operatori pastorali e studiosi di teologia e bioetica.

SIAMO FATTI DI-VERSI, PERCHE’ SIAMO POESIA

Incontro-spettacolo ispirato al libro “Anna che sorride alla pioggia”

venerdì 15 febbraio (Teatro parrocchiale di Novafeltria, ore 21.00)

L’arrivo in famiglia di una figlia Down ha ispirato papà Guido ad aprire una pagina Facebook, nella quale raccontare «le buone notizie che porta Anna»: in essa, con humor e sensibilità, vengono trasmessi messaggi contro i pregiudizi che ancora oggi tutte le forme di disabilità, sindrome di Down compresa, portano con sè. E poiché le buone notizie riescono a raggiungere un vasto pubblico, complice anche l’irresistibile piccola protagonista della pagina, il successo arriva subito. Più di 36 mila followers, migliaia di interazioni, condivisioni e commenti, milioni di visualizzazioni. Le buone notizie di Anna sono contagiose quanto il suo sorriso, e ben presto arriva anche un libro autobiografico che ha come protagonisti Anna, la sua famiglia, la sua disabilità: “Anna che sorride alla pioggia, storia di calzini spaiati e cromosomi rubati”, edito da Sperling & Kupfer. Un romanzo ironico e commovente, che, come per la pagina Facebook, ha una missione: raccontare a tutti che la disabilità va accolta e non bisogna fuggirne perché – come afferma papà Guido – «le paure che riuscite a guardare in faccia, si trasformano in coraggio».

L’appuntamento di Novafeltria proporrà la presentazione del libro nella forma di un vero e proprio spettacolo teatrale: l’autore racconterà Anna e la propria famiglia utilizzando immagini, musica e parole. Attraverso canzoni, video, qualche pezzo comico e letture di alcuni brani, lo spettatore si troverà ad osservare la diversità da nuovi punti di vista.

Federico Nanni e Gian Luigi Giorgetti

 

Giornata della vita consacrata

Ai sacerdoti e ai consacrati
A tutti i fedeli della diocesi

Pennabilli, 27 gennaio 2019

Carissimi,
sabato 2 febbraio prossimo si celebra con particolare solennità la Giornata della vita consacrata.
Alle ore 15 le religiose e i religiosi presenti in diocesi, rispondendo all’invito del Vescovo, si raduneranno a Monte Grimano Terme (dove il Vescovo si trova per la Visita Pastorale), presso la sala parrocchiale, per un primo momento di accoglienza.
Alle ore 15:30, le religiose e i religiosi, insieme a tutti i fedeli presenti, partiranno in processione, con le candele accese, verso la chiesa parrocchiale per la solenne liturgia della Presentazione al Tempio di Gesù e per la rinnovazione dei voti di povertà, castità, obbedienza, facendo memoria del Battesimo.
Tutti sono calorosamente invitati a partecipare. Sarà una ulteriore e provvidenziale occasione per riscoprire tanta ricchezza carismatica, spirituale e pastorale tra noi. Sarà anche occasione propizia per ringraziare il Signore di questi doni per la nostra Chiesa e per rinsaldare rapporti fraterni fra tutti.
Saranno spiritualmente partecipi gli eremiti diocesani e le comunità claustrali. Al termine ci sarà un momento di conoscenza reciproca, di scambio fraterno e di agape.
Vi benedico tutti di cuore

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Omelia nella III domenica del Tempo Ordinario

San Marino Città, 27 gennaio 2019

Festa di San Giovanni Bosco

Sir 1, 1. 23; 2, 1-6. 10-11
Sal 32
Fil 4, 4-9
Mt 18,1-6.10

Buona festa a tutti voi!
Oggi farò un’omelia un po’ diversa dal solito. Immagino di fare un’intervista a san Giovanni Bosco. Vado da lui col mio tablet e gli rivolgo delle domande.

  1. «Don Bosco, dove ti trovo? Dove mi dai appuntamento?».

Don Bosco: «In chiesa… Io sto qui». «Ma c’è tutta Torino da incendiare d’amore – gli rispondo – ci sono migliaia di giovani scesi dalle montagne per avventurarsi in città, cercando lavoro, una vita più aperta, un futuro diverso! E tu stai in chiesa?».
«Sono qui, perché qui sbocciano i miei sogni. Qui traggo ispirazione. È qui che ripeto al Signore – si sarà ormai stancato –: “Ti cedo tutto, ma dammi i ragazzi. Te lo dico anche in latino: Da mihi animas, cetera tolle. È qui che ho pensato all’oratorio dei ragazzi e sono venuti in centinaia. Ho pensato non solo ai ragazzi di oggi, ma anche a quelli di domani. A quelli del Piemonte, ma anche a quelli della Repubblica di San Marino! Ho preso casa in periferia; a disposizione c’era solo una bicocca fatiscente. Ho coinvolto tante persone, persino la mia mamma Margherita. Ci mancava di tutto, ma una cosa non mancava mai da noi: era – stanne certo – l’allegria. Anzi, avevo uno slogan: “Scrupoli e malinconia, fuori da casa mia”. E guai a chi parla male dei ragazzi! Sono monelli, a volte graffianti, soprattutto disoccupati – così sono tanti giovani nella mia Torino. Non critichiamoli, ma diamo loro cultura, lavoro, opportunità».

  1. «Don Bosco, che cosa pensi dei bambini e dei ragazzi?».

«Quando ho di fronte un ragazzo – risponde don Bosco – so che dentro di lui c’è una perla: ogni ragazzo è come una conchiglia. Cerco di forzarla e di aprirla: che sorpresa! Dentro, chiusa come in uno scrigno, c’è una perla di inestimabile valore. A volte i ragazzi non lo sanno neppure. L’ho capito, ad esempio, con il primo dei ragazzi che ho incontrato, quello a cui ho chiesto: «Sai scrivere?». «No». «Sai leggere?». «No». Sai disegnare? «No!». Sai cantare?». «No». «Sai fischiare?». Questa era l’arte di don Bosco che non si arrendeva e continuava a cercare anche solo una cosa positiva. Quel ragazzo disse: «Sì, certo». Allora lo chiamò per iniziare con lui a formare l’oratorio.
I discepoli, una volta, hanno chiesto a Gesù: «Chi è il più grande nel regno dei cieli?» (cfr. Mc 9,34). Tu che ne pensi? «Quella domanda – con tutto il rispetto per gli apostoli – è un po’ sciocca, per lo meno ingenua, perché rivela che loro pensavano il Regno di Dio come una grandezza mondana (di questo mondo), dove contano le carriere, il potere, le gerarchie. Invece Gesù ha chiamato un bambino in mezzo a loro – con grande acume didattico – e ha detto che, per entrare nel Regno di Dio, bisogna diventare come quel bambino. Il bambino è nativamente spontaneo, sincero, non ha ambizioni egemoniche. E la comunità dei discepoli di Gesù non dovrà dar credito a carrierismi, ma essere accogliente, semplice, discreta. Guai a chi si vergogna ad accogliere anche uno solo di questi bambini, anche se a volte sono fastidiosi, perché pongono tante domande e vogliono giocare. Si guardi bene l’educatore, l’animatore, il leader dal «disprezzare anche uno solo di questi piccoli». «Gesù ci ha detto – continua don Bosco – che “i loro angeli (ogni bambino ha un angelo custode) nel cielo vedono sempre la faccia del Padre”, fanno parte del consiglio ristretto di Dio (anche Dio ha un consiglio pastorale!)». Gli angeli dei bambini possono essere nostri avvocati difensori o, al contrario, i nostri accusatori.

  1. «Caro don Bosco, permetti che ti faccia una domanda un po’ imbarazzante, che tocca una situazione che stiamo vivendo oggi nel mondo: ci sono degli adulti, a volte sono parenti, allenatori, maestri, qualche volta persino dei sacerdoti, che non hanno rispetto dei ragazzi e delle ragazzine. Tu che ne pensi?».

«Quanto dolore. Quanta sofferenza, soprattutto per chi è stato vittima di molestie e di mancanze di rispetto. Quanta ingiustizia ai danni della convivenza sociale. E quanta vergogna per la comunità cristiana che al suo interno si è trovata crimini che più di altri smentiscono il Vangelo. Eppure, è accaduto e accade. Ciò che sconcerta di più – mi confida don Bosco – è il tentativo di coprire e di proteggere chi fa del male ai ragazzi. Però non basta la condanna, occorrono la prevenzione e la cura di chi è stato vittima».

  1. «Se le cose stanno così, caro don Bosco, allora non verrebbe neanche voglia di dedicarsi ai ragazzi… Che ne dici?».

«No, vorrei incoraggiare tutti coloro che sono educatori, catechisti, animatori Scout, insegnanti, a continuare a prendersi cura dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, con trasparenza, con rispetto, con amore. Chiedere perdono per il male che è stato fatto e cercare riparazione è il primo passo, ma non è sufficiente perché guarda solo al passato. Occorrono risposte che guardino avanti, al futuro, che assicurino un cambiamento radicale di mentalità, perché la sicurezza dei bambini e dei ragazzi ha la priorità assoluta. Sta scritto: “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme”(1Cor 12,26)».

  1. Avrei un’ultima domanda. «Don Bosco, tu sei santo, san Giovanni Bosco, ma ti sentiamo ancora vivo, vicino, ti sentiamo “dei nostri”. Qual è il segreto della santità?».

«Anche tu devi farti santo!».
«Santo? Impossibile. La santità mi sembra una cosa da recordman, da persone grandi. E poi… aureole, nicchie, mani giunte, non fanno per me, non mi appartengono.
«Cos’hai capito della santità? Che sia una posa? Tutti siamo chiamati ad essere santi. “Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei una ragazzina o un ragazzino? Chiediti quello che Gesù farebbe al tuo posto. E poi studia, quando è ora di studiare, prega, quando è ora di pregare, gioca, quando è ora di giocare” (cfr. GE 14)».
Quando senti la difficoltà, la tua debolezza, alza gli occhi al Crocifisso e digli: «Signore, io sono un poveretto, ma tu puoi compiere il miracolo di rendermi un poco migliore». Ecco la santità.
«Tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei tuoi pensieri».
Caro don Bosco, grazie e arrivederci!

Veglia dei giovani

Omelia nella II domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (monastero della Rupe), 20 gennaio 2019

Is 62, 1-5;
1Cor 12,4-11
Gv 2,1-11

Gesù, Maria e i discepoli sono invitati ad uno sposalizio nel “terzo giorno”. Il vino viene a mancare… «Fate tutto quello che lui vi dirà!», dice Maria riprendendo le stesse parole del faraone agli Egizi durante la carestia: «Andate da Giuseppe e fate tutto quello che lui vi dirà» (cfr. Gn 41,55). Giuseppe, l’ebreo votato alla morte dai suoi fratelli, era sopravvissuto, prima schiavo, poi prigioniero e interprete dei sogni.
Quali sono gli ordini di Giuseppe? Aprire i granai per accogliere il grano e poi ridistribuirli nei giorni delle “vacche magre” per soccorrere quanti arrivano a causa della loro miseria.
Gesù, che dà compimento a tutte le figure della Prima Alleanza, è, come Giuseppe, votato alla morte, ma eccolo risorto, vivente per sempre. Viene non solo per sfamare le folle – lui, pane di vita – ma per versare il vino delle nozze.
In modo stilizzato san Giovanni ci riporta al mistero della morte e della risurrezione di Gesù, che già si profila: Gesù, uscito vivente dal sepolcro il “terzo giorno”, viene per le nozze definitive fra Dio e l’umanità, e l’acqua cambiata in vino ne è il segno. Questo miracolo, ben lontano d’essere il racconto di una cronaca di paese, è il “primo dei segni”, è epifania del Messia, il Signore. La liturgia ce lo propone come ultimo suggello del tempo natalizio, tempo della manifestazione.
Oggi sale da tutte le chiese la preghiera per l’unità. «Fate tutto quello che lui vi dirà», dice Maria. «Ut omnes unum sint», dice Gesù. E noi? Eccoci all’opera nel cantiere per fare un mondo unito. Preghiamo.

Assemblea vicariale di verifica

 

A TUTTI GLI OPERATORI PASTORALI

Carissimi,
vi invito all’assemblea di verifica sulla prima parte del Programma Pastorale 2018/19 Alle prime luci dell’alba nel Vicariato di vostra appartenenza. Queste sono le date:

lunedì 21 gennaio ore 20:45 a Domagnano (RSM)
martedì 22 gennaio ore 20:45 a Novafeltria
mercoledì 23 gennaio ore 20:45 a Macerata Feltria

Il contesto assomiglierà a quello descritto in Atti: «La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola […]. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia» (At 4,32-33).
La griglia da seguire è quella indicata a pag. 19 del Programma Pastorale. Rispondendo al questionario potremmo condividere esperienze, osservazioni e proposte per il futuro. In ogni caso sarà per tutti occasione per vivere concretamente e insieme quanto forse non abbiamo sperimentato nei mesi trascorsi: la consapevolezza della presenza di Gesù Risorto. Chiedo ad ognuno di prepararsi personalmente (meglio ancora se insieme ad altri operatori pastorali) per offrire il proprio contributo e per disporsi ad un ascolto consapevole. In sintesi: preghiera, comunione, corresponsabilità. Questo il programma dettagliato:

Ore 20:45 Accoglienza, saluto del Vescovo, preghiera
Ore 21:15 Momento di catechesi
Ore 21:30 Esercizio di sinodalità e dialogo in assemblea
Ore 22:15 Rilancio della II/III unità del Programma
e conclusione del Vescovo
Ore 22:30 Chiusura della serata

Uniti nella vicendevole stima

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

La ricerca dell’unità dei cristiani

VENERDÍ 18 Gennaio 2019, alle ore 20,45, nella giornata inaugurale della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”, che da molti anni la Chiesa Cattolica in accordo con il Consiglio Ecumenico delle Chiese celebra dal 18 al 25 gennaio, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli”, in collaborazione con la Commissione diocesana per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso, sono lieti di invitarvi alla Conferenza pubblica dal titolo

La ricerca dell’unità dei cristiani

Quale pastorale per l’Ecumenismo a 25 anni dal Direttorio?

La relazione sarà svolta dal Prof. Riccardo Burigana (Direttore del “Centro Studi Ecumenici” di Venezia). L’incontro si svolgerà presso l’Aula Magna dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” (San Fortunato, via Covignano n. 265, Rimini.

A oltre 25 anni dalla pubblicazione del “Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo” da parte del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, teso a declinare dal punto di vista pastorale gli orientamenti ecumenici del Concilio Vaticano II, si propone un momento di ricognizione e verifica del cammino ecclesiale compiuto in questi anni. Sebbene questo cammino verso l’unità dei cristiani risulti lento e faticoso, si tratta comunque di un impegno irrevocabile per l’intero popolo di Dio che il Direttorio ha richiamato e precisato con particolare vigore, nella consapevolezza che la dimensione ecumenica coinvolge tutta l’attività pastorale della Chiesa. Ma quale considerazione viene oggi riservata a questa dimensione nella pastorale ordinaria delle nostre comunità? Quale consapevolezza esiste oggi tra i fedeli in ordine al cammino ecumenico?

Il Prof. Riccardo Burigana è direttore del Centro Studi Ecumenici di Venezia, docente di Storia della Chiesa all’Istituto di Studi Ecumenici “S. Bernardino” di Venezia e di Ecumenismo presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale (Firenze) e al Corso di Alta Formazione in “Dialogo Interreligioso e Relazioni Internazionali” attivato dall’ISSR “A. Marvelli” e dall’Università degli Studi di San Marino. Collaboratore dell’Osservatore Romano e direttore scientifico della rivista “Colloquia Mediterranea”, è autore di numerosi studi e pubblicazioni sulla storia del movimento ecumenico, la Riforma protestante e i Concilio Vaticano II. Tra le sue più recenti pubblicazioni segnaliamo: Storia del Concilio Vaticano II, ed. Lindau, 2012; Una straordinaria avventura. Storia del movimento ecumenico in Italia, EDB, 2013; Un cuore solo. Papa Francesco e l’unità dei cristiani, ed. Terra Santa 2014; Fratelli in cammino. Storia della dichiarazione Nostra aetate, ed. Terra Santa, 2015.

Per ulteriori informazioni contattare la Segreteria dell’ISSR “A. Marvelli”, Rimini – Via Covignano 265; Tel. e fax 0541-751367; sito internet: www.issrmarvelli.it; e-mail: segreteria@isrmarvelli.it.

Omelia nella festa del Battesimo di Gesù

Talamello, 13 gennaio 2019

Is 40,1-5.9-11
Sal 103
Tt 2,11-14;3,4-7
Lc 3,15-16.21-22

Quella notte la cattedrale splendeva di una luce accecante: era la notte di Pasqua di qualche anno fa. Grondavano gli Alleluia polifonici. L’organo, dopo i giorni del silenzio della Settimana Santa, intonava “ripieni” di vittoria. Condivisi con i presenti l’estasi di quella notte piena di misteri svelati, di simboli e di canti.
Lascio la cattedrale – ormai è notte fonda – ed entro, ben coperto, nell’oscurità della notte. Piove. Attraverso la piazza di Pennabilli: sto raccontando un’esperienza reale. Da una via secondaria si ode un chiacchiericcio sommesso: decine di giovani stazionano davanti al bar stracolmo di gente. È solo una tappa verso i luoghi del sabato sera. Passano così la notte di Pasqua. Sarebbe stato bene imboccare quella direzione, attaccar bottone con quei ragazzi per raccontare la novità, perché di novità si tratta: Gesù è Risorto, è vivo! Il contrasto è stridente. Ma il timore di essere importuno, la fretta del rientro, la preoccupazione per le eventuali reazioni dei ragazzi mi hanno fatto riprendere la strada senza fermarmi. Poi, quasi subito, rincasando muto e deluso dalla mia prudenza, mi sono fatto queste domande: «Per te dov’è la forza della Pasqua? Quanto grande è il tuo convincimento della novità cristiana? Qual è lo spessore reale del tuo incontro con Gesù Risorto?».
Chiedo un po’ di benevolenza. Parto da questa esperienza reale per dire qualcosa del nostro Battesimo.
Le statistiche assicurano che in Italia il 98% degli italiani è battezzato (probabilmente tale valore si è un po’ abbassato per l’arrivo di persone provenienti da altra cultura e altre religioni). E molti si ritrovano cristiani senza aver mai deciso di diventarlo. Non è che chi non pratica o non pensa al suo Battesimo sia una persona meno sensibile ai valori, meno raffinata moralmente, meno dedita al prossimo. Ma essere cristiani è semplicemente un’altra cosa. L’essere cristiani ci situa in una responsabilità diversa.
Un indice abbastanza significativo di quello che sto dicendo è la diversità con cui viene celebrata la Pasqua rispetto al Natale. Molta gente frequenta il Natale. Invece le Veglie pasquali, che sono il centro della vita della Chiesa, sono povere di presenze. Il Natale – si dice – col suo messaggio di pace, di bontà, con le sue melodie pastorali e le tradizioni famigliari, è sentito da tutti. Perfino la tv ne parla e sovrabbonda di richiami natalizi, tralasciando quasi sempre riferimenti al Festeggiato. Eppure, la Pasqua è il centro teologico e temporale della fede cristiana. «Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede», già dicevano i primi cristiani (cfr. 1Cor 15,17). La Veglia pasquale è il momento più alto e significativo per il nostro cammino come comunità cristiana. È «la grande notte» nella quale i cristiani si connettono con la grande epica di Israele: liberazione dalla schiavitù, passaggio del mar Rosso, esodo verso la terra promessa, esperienza di un Dio presente che non sta “sopra”, ma “davanti” ai cammini di liberazione. La notte di Pasqua fa rivivere tutto questo. Gesù, dopo aver dato la sua vita sulla croce per amore, risorge e comunica la vita nuova a chi l’accoglie. L’antico esodo, adesso, lo si vive nel Battesimo. Allora ogni cristiano dovrebbe riprenderlo in considerazione seriamente e fare di nuovo “il passaggio” ad una vita nuova, che è la vita stessa di Gesù. Gesù, nella più solenne delle sue apparizioni davanti ai testimoni oculari, ha detto: «Battezzate» (cfr. Mt 28,19). Ci sarebbero molte cose da dire, ma penso subito al nostro personale Battesimo. Il Papa più volte in questi anni ci ha invitato a disturbare il nostro parroco per chiedergli di farci vedere sui registri quando siamo stati battezzati. In alcune famiglie c’è una piccola acquasantiera; c’è anche davanti alla porta della nostra chiesa. Quando intingiamo la mano nell’acqua e facciamo il segno di croce, facciamo memoria del nostro Battesimo e ricordiamo con quale amore siamo stati accolti nella famiglia di Gesù.

Vorrei soffermarmi sulle “tre parole” che vengono pronunciate nel momento del nostro Battesimo. Parole sconvolgenti e programmatiche: sono le stesse che sono state pronunciate su Gesù nel giorno del suo Battesimo al fiume Giordano. Basta la meditazione di queste parole per farci ritrovare la consapevolezza di cosa significhi essere un battezzato. Sono parole che grondano Bibbia, anche se sono brevissime, incisive, ma dietro vi stanno pagine e pagine di Sacra Scrittura, scritte per noi. Sono parole che esprimono intensità di relazione. Sono state rivolte a ciascuno di noi, come unico destinatario. Parole creatrici e arcane, come sono tutte le parole di Dio. Risuonarono in quel momento, ma riempiono tutto il tempo della nostra esistenza. La stessa dichiarazione d’amore indirizzata a Gesù dal Padre, viene, per così dire, indirizzata a ciascuno di noi per la nostra felicità. Non si finisce mai di gustarle. Risulteranno sempre nuove. Ci saranno momenti nei quali ci parranno addirittura incredibili, tanto sorprendono; alcune volte sono consolanti, soprattutto quando ci sentiamo sbagliati. Qualche altra volta sono un balsamo, mentre ci battiamo il petto riconoscendo i nostri peccati. Teniamole sempre presenti. Sono parole semplicissime. Ognuno le senta rivolte proprio a sé. Le faccia oggetto di meditazione durante la settimana, nei momenti di passaggio tra un’azione e l’altra, nei momenti di preghiera, anche quando si guida l’automobile. Ecco le tre parole.

«Tu sei figlio mio». È una dichiarazione. Molti testi sacri, anche delle altre religioni, concordano nell’affermare che, essendo creature di Dio, in un certo senso siamo figli di Dio. Ma noi lo diciamo con un altro significato, perché qui è svelata una relazione profonda. Siamo chiamati ad una relazione interpersonale con Dio. Siamo innalzati alla sua stessa guancia, possiamo rivolgere il nostro sguardo nei suoi occhi e ripetere senza fine: «Tu sei mio Padre».

«Tu sei l’amato». «Amato» è un participio che nelle Scritture viene usato per Isacco, figlio di Abramo, il figlio della promessa, sacrificato sul monte e riavuto, generato due volte (al tramonto del grembo sterile di Sara e sulla cima di una terribile obbedienza che chiedeva la sua immolazione).

«In te ho il mio compiacimento», cioè tu sei oggetto della mia gioia. Verrebbe da dire con uno scrittore cristiano: «Si può aggiungere splendore al sole, dolcezza al miele, felicità al paradiso?». Eppure, quest’affermazione è forte: tu sei gioia per il Signore. Che cosa trova di così appagante nella sua creatura? L’ha creata a sua immagine, l’ha destinata a partecipare alla sua vita. Se la lontananza genera nostalgia, il ritorno colma di gioia. In due passi del Vangelo sta scritto: «Si fa più festa in cielo per un peccatore che si converte che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7-10).
Questo è semplicemente il contenuto delle Scritture, è il linguaggio usato da Dio nelle sue parole ed è ciò che noi celebriamo in ogni Battesimo. «Tu sei figlio mio, l’amato, oggetto del mio compiacimento, della mia gioia».

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

Omelia nella Messa esequiale per don Armando Evangelisti

Talamello, 8 gennaio 2019

1Gv 4,7-10
Sal 71
Mc 6,34-44

Il Natale con le sue luci e le sue tradizioni è ormai passato, ma lo splendore del Signore Gesù, risorto e vivo in mezzo a noi, continua a brillare. Questa, cari fratelli e sorelle, è la sostanza della nostra fede; questo il programma della nostra azione pastorale e il fondamento della nostra speranza.
Che cosa si è manifestato nel Natale? Ce l’ha ricordato Giovanni nella sua Prima Lettera: «Si è manifestato l’amore di Dio in noi: … non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati». (1Gv 4,10). È con questa fede pasquale che siamo accorsi in tanti, e con profonda commozione, a portare il nostro saluto a don Armando, una delle figure più espressive della nostra Chiesa diocesana.
È conosciuto il suo cammino in mezzo a noi: parroco a Maiolo, poi a Borgo Maggiore; vicerettore e rettore del Seminario; parroco a Novafeltria e poi a Talamello; incaricato della pastorale famigliare. Molti lo ricordano come insegnante.
In circostanze come questa si è soliti sentire frasi di questo tipo, amplificate sui media: «Vivrai nel nostro cuore…», «Sarai sempre con noi… », «Sei vivo nell’insegnamento che ci hai lasciato… »: troppo poco! Queste frasi sono troppo povere rispetto a quello che noi crediamo. Memori di quanto dice Gesù a Marta e a Maria: «Tuo fratello risorgerà» (Gv 11,23), noi diciamo: «Don Armando, tu vivi in Gesù Risorto».
La morte non consente quell’ultimo chiarimento, né quell’ultima parola, né quell’ultima stretta di mano. Non si torna indietro. Ma la fede apre infinite altre possibilità e totalità di desideri.
Don Armando è stato molto amato dal Signore. Il Signore gli ha fatto dono di una intelligenza lucida e brillante, di una fede robusta e sicura. L’ha dotato di un temperamento forte e creativo, capace fino alla fine di vampate di entusiasmo. Il Signore l’ha chiamato al sacerdozio e, in questo stato di vita, non ha cercato carriera, né riconoscimenti, né titoli. Schietto fino all’impertinenza, ma in coscienza di verità. Il cristiano, il sacerdote, ciascuno di noi è grande perché «generato da Dio», non per opere compiute o per vanto di meriti. «Noi siamo opera sua» (Ef 2,10): questo il nostro vanto. Nel contempo sappiamo di essere circondati di infermità, segnati dai nostri limiti, condizionati dal nostro carattere. Voi avete conosciuto don Armando, la sua umanità, il suo zelo, la sua intraprendenza e la sua cultura. Chi non si è fermato alla scorza, è rimasto sorpreso dalla sua tenerezza: questa è stata la mia esperienza con don Armando. Mi viene in mente quello che diceva santa Teresa d’Avila di san Pietro d’Alcantara: «Quando io lo conobbi, era molto vecchio e così estenuato che sembrava fatto di radiconi d’albero» (S. Teresa d’Avila, Vida 27,17). E poi, se avevi la fortuna di stabilire un rapporto, di guardarlo negli occhi, scoprivi la tenerezza. Era una sorpresa! Chi gli è stato vicino, familiari, parrocchiani, sacerdoti, colleghi di scuola, amici, gli ha voluto bene. Don Armando è stato molto amato dal Signore.
E quali sono stati gli amori di don Armando? Chi è amato, ama a sua volta. Non so dare una precedenza: un amore non esclude l’altro. Comincio con l’amore alla sua chiesa, il santuario del Crocifisso (aveva legato il suo nome anche alla chiesa di Michelucci a Borgo Maggiore RSM, essendo parroco quando venne completata, ma io l’ho conosciuto recentemente). Me ne parlava spesso e sempre come la prima volta, della chiesa e, nella sua chiesa, del confessionale. Fu lì, in un colloquio intimo, che accolsi definitivamente le sue dimissioni e gli proposi di lasciare la parrocchia, colloquio che si chiuse con un abbraccio.
Un altro grande amore di don Armando: la gioventù. Quanta immaginazione, quanto entusiasmo, quante iniziative. Così dagli anni dell’insegnamento scolastico agli ultimi giorni col catechismo organizzato insieme ai genitori (ottima intuizione pastorale). E poi il coro… Sarebbe stato disposto a salire da Rimini per continuare a coltivarlo e garantire un servizio liturgico nel quale non mancasse il canto.
Non posso tacere, con un pizzico di ironia, i suoi assalti al Vescovo per destinare Casa Tomasetti alle iniziative giovanili. Non per sé, ma per i ragazzi. La realistica situazione (la sua età, il numero ridimensionato degli animatori e anche della popolazione giovanile) non l’ha dissuaso dall’insistere. Tuttavia, la Casa era ed è abitata dalle suore di cui ugualmente vedeva la provvidenziale presenza per la cura del Santuario e l’adorazione eucaristica, suore che fu proprio lui ad invitare.

La lettura evangelica ci ha parlato di una manifestazione (epifania) di Gesù come Messia, epifania della sua grandezza, della sua potenza, ma anche della sua misericordia: moltiplica pani e pesci. Il Messia ha compassione. Vede la gente come pecore senza pastore (cfr. Mc 6,34). Che cosa fa? Si mette ad insegnare: «Non di solo pane vive l’uomo» (Mt 4,4). È il primo servizio richiesto all’apostolo: indicare orizzonti e insegnare a trovare il senso della vita. E subito dopo la compassione per il pane che manca. Gesù insiste: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37). «Cominciate – aggiunge – col mettere davanti quel poco che avete: cinque pani e due pesci. E poi distribuite con me. Prestatemi mani, braccia e cuore per essere una mia presenza». E che altro è un prete se non questo? Un operaio evangelico, non a ore, non a cottimo, ma sempre… Tutto. Preghiamo per le vocazioni sacerdotali che vanno diminuendo. Chi ci spezzerà il pane della Parola e del sacramento? Preghiamo perché tanti giovani sappiamo accogliere e rispondere all’appello del Signore per un sacerdozio entusiasmante, gioioso, per una donazione senza risparmio. Val bene la pena di impegnare la vita per un tale ideale. Talvolta, l’ideale val più della vita stessa. Questa mia insistenza sulla preghiera è per ricordare una delle responsabilità che don Armando rivestiva in diocesi: l’Apostolato della preghiera. Preghiamo non solo per il suffragio di don Armando, ma per ottenere il premio alle sue fatiche, alla dedizione da lui dispiegata per tanti anni. Il Signore non può dimenticare, lui che non lascia passare un bicchier d’acqua fresca procurato ad un assetato (cfr. Mt 10,42). Il Signore non dimentica il più piccolo dei favori fatti a lui. Nessuno può separare dal Signore chi gli è debitore di un atto di amore: il Signore lo ripaga, lo contraccambia, lo ricompensa con un dono ancora più grande: «Oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43). Così sia.