Omelia nella IV domenica del Tempo Ordinario

Maciano (RN), Convento Santa Maria dell’Oliva, 30 gennaio 2022

S.Messa in memoria della Beata Maria Bolognesi

Ger 1,4-5.17-19
Sal 70
1Cor 12,31-13,13
Lc 4,21-30

È l’evangelista Luca che quest’anno ci fa conoscere un altro profilo di Gesù. Durante il tempo natalizio ci ha informato sulla sua nascita: Luca racconta tutto con gli occhiali della risurrezione – è testimone di come Gesù è risorto, è vivo – e quindi racconta anche l’infanzia in questa ottica. Il Bambino adagiato nella mangiatoia è il Signore deposto nel sepolcro. Il Signore che viene accompagnato al Tempio è il Messia che prende il suo posto nella Casa del Padre. Poi, sembra esserci un grande silenzio, per trent’anni: la vita di Nazaret. Per la cronaca sono trent’anni di silenzio, ma in verità quei trent’anni anni sono un urlo, perché Gesù proclama con la sua vita il valore del quotidiano, della famiglia, del lavoro, con tutte le virtù che vediamo concentrate nella casa di Nazaret. Poi, Gesù scende al fiume Giordano e lo oltrepassa. Qui Giovanni Battista lo accompagna e c’è la grande rivelazione: quel Gesù, figlio del falegname che vive a Nazaret è il Messia, il Figlio di Dio su cui è scesa visibilmente la presenza dello Spirito. Però dovrà attraversare il deserto, proprio come il popolo d’Israele; dovrà essere provato per farci vedere come si vive da figli, cioè nell’abbandono fiducioso al Padre.

Da quel momento comincia la vita profetica di Gesù. Avete sentito il profeta Geremia nella Prima Lettura: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto…». Questo è vero in modo eminente per Gesù. «Prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato e ti ho stabilito profeta delle nazioni». Poi, il profeta Geremia continua con un invito al coraggio. L’evangelista Luca racconta come Gesù lascia il Giordano, il deserto e le rive del lago, dove ha già fatto dei miracoli e radunato un drappello di compagni di viaggio (gli apostoli) e va a Nazaret, torna al suo villaggio, preceduto da una certa fama. Lo invitano in sinagoga, a leggere le Sacre Scritture – forse l’aveva fatto anche altre volte – e a prendere la parola: «Lo Spirito del Signore è su di me, mi manda per annunciare ai poveri la tenerezza di Dio, la luce per chi è nel buio, la libertà per chi è oppresso, un anno di grazia per tutti». I presenti sono ammirati: Gesù ha fatto un discorso eccellente, ma dopo un po’ le cose cambiano. I suoi concittadini sono in difficoltà su due punti; è importante saperlo, non è un pettegolezzo del passato, forse sono gli “inciampi” che proviamo anche noi nell’accettare totalmente Gesù, senza riserve.

Primo “inciampo”: «Gesù, tu dici cose meravigliose, ma chi ti credi di essere? Stai usando un tono così definitivo che ci sembra pretenzioso. Dici che oggi si è adempiuta questa scrittura… Vola basso, sei il figlio di Giuseppe, il falegname!». Il primo “inciampo” è la difficoltà ad accettare che il profeta Gesù, che si rivelerà pienamente nella sua identità di Messia, è un uomo comune, è uno del posto, uno che vive accanto a tutti: cosa può avere di così speciale? Questo capita anche tra di noi… Terribile l’invidia: è un meccanismo che si subisce, ma di cui bisogna prendere coscienza, soprattutto quando si è alla pari in una famiglia, in una comunità, in una diocesi, tra colleghi e ci si confronta. Se non lo si rimuove, cresce e fa disastri. Di chi ci sorpassa si dice: «Quello è un arrivista! Chi si crede di essere!».

Ho fatto un’esperienza come postulatore per la beatificazione di un parroco che aveva dodici piccole parrocchie sull’appennino parmense. Ho ricevuto lettere di alcuni che pensavano che quel sacerdote non fosse poi così speciale. Era un sant’uomo, amava molto i poveri; raccontano che, quando scendeva in città a Parma dava via tutto quello che aveva e doveva chiedere in prestito i soldi per pagarsi il biglietto per poter tornare. Però era un sacerdote “normale”. La santità non consiste nel far cose mirabolanti. Padre Raffaele, parlandoci della beata Maria Bolognesi, ha riferito che neppure i suoi famigliari sapevano che aveva dei doni mistici. Io, ad esempio, rimasi molto sorpreso: sapevo che, in alcuni momenti, soprattutto in Quaresima, riviveva la coronazione di spine, ma, incontrandola, mi accorsi che aveva una fronte bellissima. Quando è stata beatificata – ero presente alla cerimonia a Rovigo il 7 settembre 2013 – ricordo che mi venne un gran desiderio di santità, di darmi a Dio per davvero. Fu una grazia attuale data attraverso di lei. Ho capito che la santità è per tutti, è praticabile.

Il secondo “inciampo” per i nazaretani fu questo (complice Gesù): per parlare della tenerezza di Dio Gesù è ricorso a due esempi che non sono piaciuti. Gli ascoltatori non si accorgono che Gesù parla proprio di loro. Sono loro i ciechi, i lebbrosi, i poveri che devono aspettarsi la tenerezza di Dio. Gesù parla per loro, per offrire loro l’amore di Dio. Gesù fa l’esempio del profeta Elia che va a Sidone, città della Fenicia, dove ci sono stranieri, pagani, lontani. I nazaretani non amano essere paragonati ai pagani. Gesù fa un altro esempio: Eliseo fa sentire la prossimità di Dio a Nàaman, un pagano, un nemico, un siro. I nazaretani non capiscono questa abbondanza di grazia fuori dal loro cerchio. Ma il Signore non conosce frontiere!

Vi invito a rileggere l’Inno alla carità (Prima Lettera di San Paolo ai Corinti). Comincia con l’ultimo versetto del capitolo 12: «Aspirate ai doni più grandi». Poi nel capitolo 13 Paolo fa l’elenco di tutti i doni straordinari, concludendo che quello che vale è l’amore. Tutti siamo capaci di amare, perché siamo stati fatti ad immagine di Dio, di Dio-Amore. Dio non ci chiede di essere artisti, cantanti, presidenti della Repubblica… ci chiede di amare. E questa è la santità!

Trigesimo di S.E. Mons. Luigi Negri

Carissime e carissimi,
lunedì prossimo 31 gennaio ricorre il trigesimo della morte di mons. Luigi Negri, nostro vescovo emerito. Dispongo venga ricordato nelle celebrazioni e raccomandato alla preghiera dei fedeli.
Io celebrerò una solenne Eucaristia in Cattedrale a Pennabilli alle ore 18. Invito a partecipare chi ne ha la possibilità.
Rinnoviamo la nostra gratitudine al Signore per averci dato mons. Luigi come pastore, padre e maestro. Siamo stati davvero fortunati a godere del suo magistero e della sua testimonianza.
Riporto una sua parola: «Quel Dio che ho cercato di servire con tutte le mie forze faccia diventare la mia testimonianza di fede e di missione un bene per tutti».
Preghiamo per il suffragio della sua anima, certi che anche lui continuerà a intercedere per noi. Personalmente gli devo tanto, talvolta stupito della sua attenzione verso di me.
Come accennato nell’omelia che ho tenuto in die septima dalla sua morte, dovremo fare tesoro del suo messaggio e dei suoi scritti, soprattutto per quanto riguarda il periodo sammarinese-feretrano. Per quanto riguarda la valutazione pastorale del suo passaggio fra noi posso attestare d’aver trovato una Diocesi viva, con un laicato attivo e impegnato, un presbiterio accogliente e disponibile alla formazione permanente, comunità religiose fervorose ed una situazione patrimoniale ed economica buona.
Tutto questo, pur tra le normali difficoltà e problematiche acuite dal tempo presente.
Vi benedico di cuore

+ Andrea Turazzi

GIORNATA PER LA VITA

Gli Uffici diocesani Pastorale della Famiglia e Pastorale Sociale con le aggregazioni ecclesiali diocesane attraverso un breve sussidio desiderano ricordare l’importanza dell’appuntamento con la Giornata per la vita, che si celebra ogni anno la prima domenica di febbraio.

In secondo luogo desiderano offrire alcuni suggerimenti per la preparazione e l’animazione della Giornata nelle comunità parrocchiali.

Di seguito:

  1. il testo integrale del messaggio della CEI per la giornata;
  2. una introduzione e alcune intenzioni per la celebrazione eucaristica;
  3. alcune proposte per la preparazione nella comunità della Giornata tratte dall’esperienza del Movimento per la vita di Novafeltria

Scarica il Sussidio in preparazione alla Giornata

 

2 FEBBRAIO, GIORNATA DELLA VITA CONSACRATA

Una Diocesi ricca di carismi

Conosciamo la vita consacrata?

Nella storia del cristianesimo la vita consacrata ha sempre avuto un ruolo unico e indispensabile, coessenziale alle altre vocazioni. Lo Spirito Santo ha suscitato lungo i secoli uomini e donne sempre nuovi che vivessero in modo originale lo spirito del Vangelo e imitassero Gesù Cristo in un aspetto particolare della sua vita come risposta ai problemi di un preciso momento storico.
Con il Concilio Vaticano II non solo si sono rinnovate le antiche famiglie religiose, ma lo Spirito che fa ringiovanire la sua Chiesa ha suscitato forme nuove di consacrazione a Dio e di servizio nel mondo. Conosciamo tutti il carisma di Agostino, Francesco, Chiara, Domenico, Giovanni Bosco, ma anche di Madre Teresa di Calcutta, suor Elisabetta Renzi, don Oreste Benzi…
In un momento delicato e bello della vita della Chiesa, come quello che stiamo vivendo, torna alla ribalta con tutta la sua attualità e forza profetica la realtà della vita consacrata.

Perché una Giornata della Vita consacrata?

Anche la nostra Diocesi è solita celebrare la Giornata della Vita consacrata il 2 febbraio di ogni anno. In questo modo le nostre comunità:
dicono grazie al Signore per i carismi della Vita consacrata, uno dei segni più forti della profezia che accompagna il cammino della Chiesa;
dicono grazie per quanti hanno risposto con generosità alla chiamata;
evangelizzano la Vita consacrata facendo sì che i segni della consacrazione siano sempre più eloquenti, al di là dei pregiudizi nei riguardi dei temi vocazionali e delle scelte radicali di vita, come la verginità liberamente scelta per il Regno;
educano ai valori della profezia, nonostante l’atteggiamento diffuso di rassegnazione passiva, il clima culturale che ci avvolge, il benessere che spesso soffoca la dimensione spirituale.

Perché il 2 febbraio?

La Giornata della Vita consacrata di per sé non deve sovrapporsi alla Festa della Presentazione del Signore al Tempio, una delle feste più antiche e più care alla Chiesa, ma deve essere ispirata ad essa e da essa dedurre i motivi di fondo.
Gesù è “il Re della gloria” davanti al quale si alzano le porte antiche del Tempio (cfr. Sal 23). Cristo penetra fin nel fondo di questo simbolo e manifesta in se stesso la dimora di Dio tra gli uomini (cfr. Ap 21,3) e fa dei discepoli un regno di sacerdoti per Dio Padre (cfr. 1Pt 2,5).
«Il primogenito sarà sacro al Signore», così leggiamo nel Vangelo della Presentazione al Tempio. Gesù è il primogenito di Maria di Nazaret e, nello stesso tempo, è “il generato prima di ogni creatura” (cfr. Col 1,17). Nella Festa del 2 febbraio si celebra, in Gesù, la primogenitura evangelica dei discepoli. Le candele accese per la processione sono un segno della schiera che cammina dietro a colui che è “luce delle genti” (cfr. Lc 2,32).
I religiosi e le religiose vedono dischiuso il significato più profondo della loro consacrazione al Signore e della scelta della “parte migliore” di cui parla il Maestro (cfr. Lc 10,42).
Presentazione significa offerta. Recandosi al Tempio, Maria e Giuseppe, testimoniano la volontà di dare al rito della Presentazione tutto il suo valore; Maria porta tra le braccia ciò che ha di più caro, il figlio Gesù, e lo consegna a Dio Padre senza indietreggiare davanti al dolore che le viene preannunciato da Simeone. L’offerta di Maria è modello dell’offerta con la quale i religiosi si uniscono al sacrificio di Cristo.

Scarica la Lettera del Vescovo Andrea per i consacrati e le consacrate

Discorso in occasione della Preghiera ecumenica nella Domenica della Parola

«In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per adorarlo» (Mt 2,2)

Incontro online

Mt 2,1-12

Ringrazio don Marco Scandelli e don Rousbell Parrado che hanno organizzato questo raduno, rivolgo un caro saluto a padre Gabriel Cerbu (Parrocchia Ortodossa Romena di San Marino), ad Alessandro Esposito (Chiesa Valdese di Rimini), al Prof. Natalino Valentini (Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli”) e abbraccio tutti voi, care sorelle e cari fratelli.
«Dio disse ad Abramo: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle”» (Gn 15,5). Un amico astronomo mi ha detto che di stelle se ne contano approssimativamente 400 miliardi, solo per stare alla Via Lattea, e di galassie ce ne sono a non finire… Mi incanto davanti al cielo stellato in queste sere d’inverno e mi incanto davanti al Bambino su cui si è posata la stella di Betlemme, un’estasi vissuta dagli antichi astronomi, dai magi, dai poveri pastori e dai poeti dinanzi allo stesso cielo stellato.
Baruc, un profeta post esilico, vede le stelle danzare di gioia. «Le stelle – scrive – brillano dalle loro vedette e gioiscono; il Signore le chiama e rispondono “eccoci!” e brillano di gioia per colui che le ha create» (Bar 3, 34-35). Isaia precisa che il Signore le chiama tutte per nome e nessuna manca all’appello (Is 40,26, cfr. Sal 147,4). Chiedo: come si chiama la stella dei magi? Troviamole un nome. Io la chiamo stella dei cercatori. Possono vederla quelli che, senza restare impigliati troppo nel fare, sanno alzare gli occhi al cielo. Questa – la stella dei cercatori – è una stella fatale, che mette in cammino. Irresistibilmente. Assomiglia tanto al desiderio che ti lascia inquieto finché non trovi riposo.
Per i magi il cammino fu reale, non metaforico; hanno macinato molta strada; hanno, fotografati nella mente, tanti paesaggi, dall’Oriente fino a Betlemme. Andata e ritorno. Hanno messo in moto non soltanto i piedi e le gambe, ma anche la mente e il cuore. È probabile non sia mancato chi si è preso gioco di loro e della loro improbabile storia di stelle. Tanta strada per cosa poi? Non porteranno a casa né oro né avorio, né marmi preziosi… troveranno soltanto terra sabbiosa riarsa. E poi verrebbe da dire: «Non è l’Oriente la culla della luce? Perché cercare in Occidente?». Ma “chi cerca trova”, anche se gli può succedere di sbagliare. Ai magi è capitato di sbagliare. All’inizio hanno mancato il bersaglio. È nato il re dei Giudei, dove cercarlo se non nella grande città di Gerusalemme, la città santa, la città cosmopolita? Quel Bambino nasce a Betlemme, che era ben oltre la città di Gerusalemme: era un piccolo villaggio nella campagna. E a Gerusalemme che cosa fanno i magi? Vanno a palazzo. Dove cercare un re se non in una reggia? Come direbbe Giovanni Battista: «Là dove abitano quanti vestono in morbide vesti…» (cfr. Mt 11,8). Ma il Bambino che li attende è adagiato sulla paglia. Interpellano incautamente Erode, la corte, i sacerdoti del Tempio, anziché interrogare i pastori… Tutti errori: la grande città, il palazzo, i grandi sapienti, mentre invece quel Bambino non è nato a Gerusalemme, ma a Betlemme, non è in un palazzo ma in un presepio e di lui sanno di più i poveri pastori che i dotti. Errare humanum est, si dice, ma i magi hanno l’infinita pazienza di ricominciare: interrogano di nuovo le Scritture e la stella. Confermo, “chi cerca trova”, e chi trova non smette di cercare. Per chi trova, infatti, è molto importante anche il ritorno. È strada nuova, perché l’incontro li ha fatti nuovi. Dice il Vangelo: «Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese».

Vorrei concludere con una preghiera: «La tua venuta, Signore, è stata annunciata dai profeti. Michea ha indicato il luogo della tua nascita, “da te Betlemme uscirà il capo del mio popolo Israele” (cfr. Mi 5,1); Isaia svela il mistero e grida: “Risplendi, Gerusalemme, è venuta la tua luce, la gloria del Signore si è alzata su di te” (Is 60,1). Con te, Signore, finisce la notte, arriva il giorno, la luce sorge e brilla, sei tu Gesù questa luce. Un giorno lo dirai tu stesso ai discepoli – questa sera lo dice a noi –: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12). Tu sei la gloria del Padre che sprigiona su noi. Venendo in mezzo a noi, ci riveli il mistero del Dio che è amore e che vuole condividere con noi il suo amore. Gesù, questa è la tua missione sulla terra, missione che la tua Chiesa deve continuare. Inevitabile, Signore, che ci chiediamo: la nostra vita è luce e gloria del Signore? Alla tua nascita una luce ha brillato sul mondo. In Oriente i magi hanno saputo riconoscerla: “Abbiamo visto la sua stella e siamo venuti!” (Mt 2,2). Tu, Signore, continui a brillare sulla terra, vogliamo essere più attenti a scoprire la tua stella. Del resto, è la stella dei cercatori, ci tiene continuamente in cammino. Siamo così spesso ripiegati su noi stessi, sui nostri problemi, sui nostri interessi, proprio come Erode e gli scribi di Gerusalemme ai quali non importa di venire a te. I magi riconoscono nel Bambino che sta tra le braccia della fanciulla di Nazaret, Maria, il re dei Giudei. Il loro atteggiamento esprime bene la loro fede e il loro amore, cadono in ginocchio e ti offrono i loro doni. È quello che questa sera vogliamo fare anche noi, tutti insieme, in questo cammino verso l’unità. Nell’accoglienza di questo dono che tu, nella fede, già ci fai». Così sia.

Omelia nella III domenica del Tempo Ordinario

Murata (RSM), 23 gennaio 2022

Domenica della Parola

Ne 8,2-4.5-6.8-10
Sal 19
1Cor 12,12-30
Lc 1,1-4; 4,14-21

1.

In conformità con lo stile letterario del tempo l’evangelista Luca comincia il suo Vangelo con un Prologo, una dedica e una descrizione del metodo di lavoro che ha seguito. Siamo abbagliati dal Prologo di Giovanni, ma non dobbiamo sottovalutare quello di Luca. Luca vuol porre il suo scritto alla pari di altri lavori letterari della sua epoca e mostrare così che il contenuto del libro – il Vangelo – non è riservato alla cerchia ristretta di iniziati palestinesi, ma ha un valore universale. La storia di Gesù appartiene alla storia del mondo e quindi ha qualcosa da dire ad ogni persona del suo tempo, il mondo greco-romano, così come al mondo di tutti i luoghi e di tutti i tempi, compreso il nostro: siamo noi i lettori.

2.

Interessante notare come Luca taccia il suo nome. Non si è dimenticato! È come se Luca si mettesse da parte per far parlare la Tradizione apostolica, così egli stesso diventa un servitore della Parola. Ha consapevolezza di non appartenere più alla prima generazione, cioè quella di chi ha vissuto con Gesù. Luca viene dopo, però sente che è importante mettere insieme, con cura e con grande scrupolo, tutto quello che Gesù fece ed insegnò da principio. Da notare: i fatti riguardanti Gesù appartengono ad una realtà che ha raggiunto la sua pienezza (Luca adopera il verbo “portare a compimento”). La vita di Gesù, infatti, ha raggiunto il suo compimento con l’evento della morte e risurrezione, evento che getta la luce su tutti i fatti e su tutto il comportamento di Gesù terreno e, nello stesso tempo, apre tale esistenza alla storia successiva. Possiede attualità nell’oggi di ogni tempo. L’evangelista vuol scrivere una storia, ma lo fa con l’occhio del credente che vede la vicenda di Gesù alla luce della fede e la inserisce nel grande disegno di Dio. Il Vangelo, dunque, non è nato da un entusiasta nostalgico che, dopo tanti anni, s’è messo in testa di scrivere i suoi ricordi, ma tutto è scritto secondo la garanzia di testimoni oculari.

3.

Al tempo di Luca – quando scrive il Vangelo siamo nel 70-80 d.C. – nascono già gli errori, le deviazioni, che minacciano le comunità sia dall’esterno che dall’interno. Di conseguenza, Luca giudica necessario questo ritorno alle fonti, all’autentica Tradizione apostolica. Anche oggi abbiamo bisogno che la parola chiara del Vangelo dia solidità alla nostra fede nel Signore Gesù, al di sopra di tutte le incertezze, delle paure ad impegnarci sulla parola del Vangelo. Anche noi, in qualche modo, siamo quei “Teofilo”, parola che significa “amico di Dio”. Teofilo è un personaggio ben preciso della prima comunità cristiana, però ognuno di noi può dire di essere un “teofilo”, “un amico di Dio” (interessante:  anche Bach ha una sua composizione dedicata ad un certo Gottlieb Theophilus).

4.

Dopo il Prologo la pericope evangelica di oggi parte con l’attività pubblica di Gesù in Galilea. Gesù va in sinagoga, luogo della riunione e della preghiera per ogni pio israelita; partecipa con puntualità – il Vangelo dice che andava ogni sabato – alla preghiera comune; ascolta le parole che Dio ha rivolto al suo popolo, canta i Salmi. Avrete notato come la Prima Lettura, quella del libro di Esdra, e questa pagina di Vangelo si rimandino vicendevolmente. Qui Gesù proclama la Parola, al tempo di Esdra altrettanto. La gente era commossa, era piena di gioia, festante: Dio ci parla! Anche Gesù era contento e ha anche imparato una cosa (forse gliel’ha insegnata la mamma o san Giuseppe): nelle cose di Dio non vale il “fai da te”. Gesù è contento di appartenere al suo popolo, di partecipare ai suoi riti e alle sue tradizioni: Gesù è come un fiore che sboccia sul grande albero della storia di Israele.
Quel sabato, dopo la preghiera iniziale, Gesù viene invitato a prendere la parola: era un giovane conosciutissimo (Nazaret era un piccolo borgo), forse non era la prima volta, ma l’evangelista dà grande rilievo a questo momento e, con fine arte letteraria e sensibilità psicologica, evidenzia l’atmosfera di suspence dell’uditorio di fronte al nuovo maestro e, in tal modo, sottolinea il carattere programmatico del commento che Gesù farà a quella pagina della Scrittura. Quello che Gesù sta per dire è della massima importanza, è il suo manifesto. È sorprendente la solennità con cui si compie quel rito: viene consegnato il rotolo, Gesù lo apre, trova il passo, si alza, legge, chiude il volume, lo restituisce al cerimoniere, gli occhi di tutti sono puntati su di lui, si fa grande silenzio. I nazaretani cominciano a capire chi è Gesù. Anche noi! A differenza dei predicatori del suo tempo non si perde nei labirinti dell’esegesi o dell’ampollosità della retorica, ma va al sodo. È come se Gesù dicesse: «Cosa dovete portarvi a casa oggi? Quale idea dovete portare con voi per la vostra vita?». Gesù punta dritto su ciò per cui è stato scritto quel testo (Is 61). «Oggi si compie questa Scrittura che oggi avete udita con i vostri orecchi». Vale per noi: oggi si compie quello che la Parola dice. La parola “oggi” ha un peso specifico. Con quell’oggi Gesù lega la sua persona all’avvento del Regno di Dio, alla signoria di Dio, alla regalità di Dio. Il Regno sta per comparire tra gli uomini; l’umanità che sfila agli occhi di Isaia è povera, prigioniera, cieca, oppressa…

5.

Sottolineo un paio di particolari: Gesù non mette se stesso come scopo della storia, ma la persona umana. «Lo Spirito del Signore – sottolinea Gesù (immagino l’abbia detto con un trasporto particolare) – è su di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato» proprio per questa umanità. La vocazione di Gesù – questo è un testo altamente vocazionale – è quella del prendersi cura con tenerezza di questa umanità. E l’esito della missione di Gesù è un’umanità finalmente liberata, gioiosa, senza paure, con occhi di luce. Permettete una metafora: come nello sviluppo delle fotografie su pellicola si passa dal negativo al positivo, così la vocazione di Gesù può essere raccontata come il giudizio sull’umanità ribelle, considerata nell’abisso del suo peccato, da ricondurre a sottomissione (ricorderete la predicazione di Giovanni Battista) oppure la predicazione di Gesù può essere vista come una buona notizia, come festa di poveri che possono cominciare a sperare, di uomini riconciliati, di oppressi che alzano il capo e danzano. Inizia così il cammino di Gesù tra noi. Sono i poveri il cuore del Vangelo.
Si può obiettare: la guerra divampa in molte regioni… Sì, però abbiamo scoperto la forza della nonviolenza. Si potrebbe dire che dopo duemila anni i poveri sono ancora tanti tra noi, ma la condivisione è venuta a sostituire l’umiliante carità fatta dall’alto. Qualcuno potrebbe dire che la dignità dell’uomo è calpestata dalla prepotenza delle finanze mondiali, ma ci sono uomini di buona volontà che si inventano forme di economia sociale e di economia di comunione per tradurre il bene nella storia.
Lo Spirito che era sopra Gesù riposa oggi su di noi, su chi avanza, pur con poveri mezzi, con un cuore aperto verso gli altri per il bene. Se tu leggi il Vangelo e lo vivi diventi un altro Gesù, oggi. Questa è la perenne novità del Vangelo.

Domenica della Parola

GIORNATA DEI GIORNALISTI

Pennabilli, 17 gennaio 2022

AI PROFESSIONISTI DELL’INFORMAZIONE

Gentili Signore e Signori,
nonostante le difficoltà del momento presente non rinunciamo, pur con tutte le precauzioni, alla tradizione avviata qualche anno fa di vivere un momento di amicizia, di preghiera e di riflessione fra giornalisti e operatori dell’informazione nella festa del santo patrono Francesco di Sales, lunedì 24 gennaio prossimo.
L’attualità incalza; oltre all’epidemia tengono banco le manovre per l’elezione del Presidente della Repubblica italiana e tanto altro… Tuttavia, perché non regalarci un’ora per ripensare alle responsabilità e agli ideali che motivano il nostro impegno nella comunicazione?
Un’altra considerazione: ai media non sfugge l’apertura che papa Francesco propone a tutti per il rinnovamento della Chiesa attraverso l’indizione di un Sinodo con un’ampia consultazione “dal basso”, come mai accaduto. È su questo che proponiamo l’incontro del 24 gennaio: “Il Sinodo per una Chiesa rinnovata: Chiesa dell’ascolto e della vicinanza”.
Nella speranza di poterci salutare di persona auguriamo un anno finalmente più sereno

+ Andrea Turazzi, vescovo

Francesco Partisani
Direttore Uff. dioc. Comunicazioni Sociali

PROGRAMMA GIORNATA DEI GIORNALISTI
24 gennaio 2022, festa del patrono San Francesco di Sales
Chiesa di Murata (RSM), San Marino Città, via don Bosco, 12 RSM

Ore 10:45 – Accoglienza
Presentazione di Francesco Partisani
Ufficio Comunicazioni Sociali – Diocesi San Marino-Montefeltro

Saluto di Roberto Chiesa
Presidente Ordine dei Giornalisti di San Marino

Ore 11:15 – Liturgia della Parola
presieduta da S.E. Mons. Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Risonanze da parte di alcuni amici giornalisti

Ore 12:15 – Conclusioni

DOMENICA DELLA PAROLA

Pennabilli, 17 gennaio 2022
 

Va consolidandosi la dedicazione speciale di una domenica alla Parola di Dio: quest’anno domenica 23 gennaio.
Abbiamo da poco contemplato e celebrato il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio ed ora, nel mese dedicato al dialogo ecumenico e all’incontro con l’ebraismo, la Chiesa chiede di radunarsi di nuovo attorno a quel Verbo per poter riflettere sull’importanza che le Sacre Scritture hanno per tutto il popolo di Dio. «Ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo!», scriveva san Girolamo.
La comunità dei credenti vive della Parola: è suo nutrimento (cfr. Deut 8,3 in Mt 4,4) ed è lampada per il suo cammino (cfr. Sal 119,105).
Siamo cresciuti nella necessità di non disgiungere mai il Sacramento dalla Scrittura. Ora viene raccomandato, nel Cammino Sinodale appena avviato, di aprire ogni incontro con l’ascolto profondo della Parola, docili allo Spirito Santo.

Il Programma pastorale diocesano chiede un nuovo slancio nel promuovere l’ascolto comunitario della Parola di Dio: «Di per sé l’omelia non basta. Questo obiettivo da realizzare può essere chiamato “gruppo del Vangelo”, “incontro biblico” oppure “lectio divina”… Si tratta di far sbocciare dall’ascolto della Parola l’impegno e la testimonianza».

Quella dedicata alla Parola è una “giornata”, ma perché tutte le giornate siano ascolto dello Spirito che parla attraverso le Scritture, ascolto di ciò che il Signore fa in chi accoglie la Parola, ascolto tra fratelli che, vivendo insieme la Parola, formano un sociale cristiano.

Ogni sacerdote, con la collaborazione del diacono e di laici e religiosi, ha intelligenza, cuore e intraprendenza per celebrare in modo conveniente la Domenica della Parola, anche con segni esterni (introduzione solenne dell’Evangeliario, incensazione, benedizione, ecc.). All’Ufficio Catechistico e all’Ufficio Missionario e per l’Ecumenismo è stato chiesto di preparare un momento diocesano unitario online: domenica 23 gennaio dalle ore 16 alle 18 su piattaforma Zoom:

https://us02web.zoom.us/j/9121968689?pwd=NzU4WGlCY3dkL0JSR3pLekQ0UEFsQT09

ID Riunione: 912-196-8689
Password: 2689112333

Auspicabile – dove è possibile – riunirsi in più persone per partecipare alla preghiera ecumenica. Commenteranno il testo biblico proposto (Mt 2,1-11) il prof. Natalino Valentini, già direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” e docente di Ecumenismo, il pastore Alessandro Esposito della Chiesa Valdese, padre Gabriel Cerbu, presbitero della Chiesa Ortodossa-Rumena, e il Vescovo Andrea Turazzi, che ospita l’incontro.
Apriranno e chiuderanno con un saluto il direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano (don Marco Scandelli) e il direttore dell’Ufficio Missionario e per l’Ecumenismo (don Rousbell Parrado).

A cura dell’Ufficio Comunicazioni Sociali
Diocesi di San Marino-Montefeltro

Omelia nella II domenica del Tempo Ordinario

Sartiano (RN), 16 gennaio 2022

Is 62,1-5
Sal 95
1Cor 12,4-11
Gv 2,1-11

Cana è il primo dei segni, dei miracoli, compiuti da Gesù. Perché la liturgia ha scelto di raccontarci questo episodio? È il primo dei miracoli, ma non è il primo episodio del Vangelo. È stato scelto perché ci fa vedere che Gesù è un grande taumaturgo? Non è tanto questo. Per evidenziare la compassione per quei giovani sposi? Forse neppure per questo. Il vero motivo è che qui siamo in presenza di una “epifania”. Se ci fu quella ai magi, nella casa di Betlemme, poi quella sulle rive del fiume Giordano con la proclamazione di Gesù Figlio di Dio, il Servo sofferente, l’amato, adesso, a Cana di Galilea, c’è la manifestazione di Gesù Sposo. Il Vangelo ci invita subito alla fede. Non c’è una manifestazione lenta, progressiva, riguardo a chi è Gesù. Gesù, fin dalla prima pagina del Vangelo di Giovanni, è presentato come il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne. Allora è inevitabile che, fin dall’inizio, davanti a lui si prenda una decisione: credere o non credere.
Meditando questo Vangelo si possono cogliere tantissimi temi: l’intercessione di Maria e il suo invito: «Fate tutto quello che lui vi dirà»; il significato di quelle anfore vuote, poi riempite d’acqua che viene trasformata in vino.
Offro quattro sottolineature riguardo al segno compiuto da Gesù a Cana di Galilea: segno di gioia, segno di amore, segno di Pasqua e segno per gli sposi.
Segno di gioia. In effetti il primo prodigio di Gesù – l’acqua trasformata in vino – non è altro che un messaggio di gioia: siamo ad un banchetto di nozze, c’è festa. È la gioia la caratteristica che Gesù annuncia subito. Nelle risposte che sono state date in alcuni Gruppi Sinodali è stato sottolineato: «Perché la Chiesa non sembra annunciare la gioia? O meglio, perché annuncia solo quella nella vita eterna, dopo questa valle di lacrime? Non c’è un messaggio di gioia anche nel presente? La Chiesa non dovrebbe, come ha fatto Gesù, annunciare il Regno come una festa di nozze?».
Il miracolo di Cana è anche un segno di amore. Ho letto il commento di un autore che chiosa: «Venite, venite! Dio si sposa!». In effetti Gesù dà alla sua predicazione una intonazione nuziale. Quando Dio vuol parlarci del suo amore sceglie il segno dell’amore fra lo sposo e la sposa. E noi, a nostra volta, quando vogliamo dire qualcosa di grande riguardante il matrimonio facciamo riferimento all’amore di Dio. Quel vino di nozze, che è il simbolo della gioia, non è da centellinare, come si fa con ciò che svapora in fretta, o da custodire gelosamente. Al contrario, è in abbondanza, è per sempre, è il vino dell’alleanza e della gioia; la Chiesa non deve tenerlo per sé, per farne uso esclusivo, ma lo fa tracimare per offrirlo a tutti.
Il miracolo di Cana è anche segno della Pasqua. L’evangelista Giovanni non ha il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, ma presenta tre avvenimenti che la preannunciano (prolessi): Cana (il brano che stiamo meditando), il discorso del Pane di vita nella sinagoga di Cafarnao (cfr. Gv 6) e la lavanda dei piedi (cfr. Gv 13). Cana, dunque, è l’annuncio profetico del Corpo di Cristo che viene dato e del suo sangue che viene versato ed è presente Maria: come a Cana, Maria è presente nel momento della croce, quando Gesù dà interamente se stesso. Là sarà giunta la sua ora qui anticipata. Anche a questo proposito ho raccolto qualche provocazione nei Gruppi Sinodali: «Le nostre Messe non dovrebbero essere sotto il segno della gioia? Non viene condiviso il sangue della nuova Alleanza che è il vino nuovo portato da Gesù? Perché, talvolta, appaiono tristi, dimesse, poco vissute?». Dipende da noi.
Il segno di Cana è un segno per gli sposi. Molti hanno scelto il racconto delle nozze di Cana per la celebrazione del loro matrimonio. Accade, anche fra gli sposi più innamorati, che venga meno la tenerezza, il perdono, l’amore con la sua intensità. Allora è bello rileggere questa pagina e vedere come Gesù, nell’oggi della sua presenza sacramentale, assicura tutto l’amore e la tenerezza necessari. Fare memoria del sacramento del Matrimonio è una grande risorsa, soprattutto nei momenti difficili. Auguri, «venite alle nozze! Dio si sposa», si sposa con noi.