Primi passi verso un nuovo modo di camminare

Chiunque in questi mesi ha frequentato qualsiasi parrocchia della Diocesi avrà sicuramente sentito parlare del Sinodo. Ma come ci si sta muovendo per concludere la prima fase del Cammino voluto da Papa Francesco? Al momento di andare in stampa, la maggior parte delle parrocchie di San Marino-Montefeltro sono ancora nella fase embrionale delle discussioni.

Dappertutto i sacerdoti sono partiti come prima cosa coinvolgendo il Consiglio Pastorale. A Borgo Maggiore, ad esempio, sono stati “creati” cinque gruppi, ognuno rappresentante di una delle realtà che vivono all’interno della parrocchia. Sarà proprio il Consiglio ad analizzare i 10 punti e a distribuirne un paio a ciascun gruppo. Il neoparroco Don Alessandro Santini ci tiene però a spiegare: «Si vuole fare in modo che il Sinodo diventi un atteggiamento e non solo qualcosa di “astratto” su cui riflettere».

A Murata, frazione del Castello di San Marino Città, il Consiglio Pastorale ha discusso già a fine novembre del Sinodo, accettando la proposta e valutando come fosse meglio agire. Si è deciso di affrontare solo alcuni dei 10 nuclei tematici, quelli che la parrocchia sentiva a sé più pertinenti. Si è poi ragionato sul come coinvolgere i fedeli. Già a partire dalle ultime domeniche di gennaio a ogni funzione verranno lanciate delle domande ai partecipanti, prese dal punto 2 del sinodo. I fedeli avranno la possibilità di condividere scrivere le proprie riflessioni su un foglietto che poi sarà di volta in volta raccolto. Anche qui è coinvolto ogni gruppo che svolge la propria attività in parrocchia (salesiani, catechismo, coro, scout). Si sta anche pensando di organizzare alcuni incontri per fare in modo di coinvolgere anche chi non fa parte di nessuno dei gruppi citati. Già dalla prima riunione in cui si è iniziato a parlare di Sinodo si stanno prendendo appunti affinché alla fine si riesca a fare una relazione di quanto è stato fatto.

A Novafeltria il tutto è ancora in fase embrionale, ma c’è già stato un primo incontro con il Consiglio Pastorale. Anche qui si coinvolgeranno le realtà parrocchiali, con la speranza di poter avere pareri e contributi anche da chi non fa direttamente parte di questi gruppi.

Anche a Talamello si è dato inizio al cammino sinodale. Lunedì 17 gennaio vi è stato il primo incontro con tutti i membri del Consiglio Pastorale. Si è data spiegazione dell’evento “sinodo”, i suoi scopi e la sua metodologia. Un secondo incontro, avvenuto il 24 gennaio, è stato l’occasione di fare la simulazione con gli stessi membri del Consiglio e di progettare le modalità di vivere sul territorio della parrocchia questo cammino, coinvolgendo il maggiore numero dei parrocchiani. Quanto ai gruppi (il loro numero non è ancora ben deciso), si è pensato di mirare sui quartieri con responsabili scelti in seno al Consiglio.

Simon Pietro Tura

I primi frutti del Sinodo

Consultazione sinodale con gli Uffici Pastorali

Siamo partiti, un passo dopo l’altro, entrando sempre meglio dentro questo “Cammino Sinodale”, che ci fa fare l’esperienza di come è bello essere parte di questa grande famiglia che è la Chiesa.
Io stessa, come referente, mi trovo a conoscere sempre di più la mia Chiesa locale e intessere relazioni con molte persone che sono a servizio nelle nostre Comunità cristiane e con le quali mi accorgo di condividere questo amore per la nostra Diocesi.
I diversi Gruppi Sinodali nei quali sono stata coinvolta sono stati via via dei luoghi di confronto e comunione, dove ci siamo aiutati reciprocamente ad andare sempre più in profondità, a pensare e a ripensare la nostra Chiesa e il suo modo di camminare nella storia, nell’oggi.
È quello che è successo anche mercoledì 26 gennaio, dove il confronto era tra i referenti del coordinamento pastorale, i responsabili dei diversi Uffici Pastorali (sociale, della salute, della famiglia, della cultura…), quello che il nostro Vescovo ama chiamare il suo “esecutivo”, perché lì si concretizzano a livello pastorale le linee d’azione per l’intera Diocesi.
Quello che è emerso dal confronto sono soprattutto sentimenti di Fiducia, Speranza e Gioia nonostante un periodo storico che vuole farci perdere queste virtù così preziose. Virtù che sono animate in particolare dal fatto che si sente l’importanza per la nostra Chiesa di costruire e vivere relazioni vere, dove al centro si ha la priorità del Dialogo, un dialogo fatto di parole, ma soprattutto di ascolto. Sì, siamo in cammino e certamente dobbiamo farci più attenti ad ascoltare tutti, fino all’ultimo, il più lontano. Il nostro annuncio ha il desiderio profondo di raggiungere la gente, chi vive nella piazza.
Per fare questo è indispensabile recuperare la nostra identità di cristiani, recuperare il volto della Chiesa, andare a fondo nella nostra fede, renderla autentica solo così potrà essere credibile ciò che facciamo e andiamo dicendo.
Una critica che spesso è ritornata nei nostri incontri sinodali è quella, a volte, di peccare di efficientismo, attivismo. Quando il fare prende il sopravvento sull’essere ecco che siamo smarriti, stanchi, sopraffatti dalle difficoltà e soprattutto ci rendiamo conto che il nostro fare non cambia nulla, non incide sul mondo. La sinodalità non è fare, ma aver cura delle relazioni: è vivere in questo cammino di comunione. È solo in questo dinamismo tra le persone che lo Spirito entra come un “Vento impetuoso” e porta la novità, la creatività, operando cose indicibili.
Capita spesso di seguire la linea del “si è fatto sempre così”; purtroppo anche la nostra Chiesa locale si trova imbrigliata a volte in questa catena, ma la compagnia e la paternità del nostro Vescovo Andrea ci sta aiutando a sentirci liberi: liberi di parlare, liberi di ascoltare, liberi di agire, liberi di osare. In questi anni il Programma pastorale è stato un piccolo allenamento alla sinodalità ed ora con questa esperienza sinodale veniamo tuffati dentro questa riflessione che vuole spingere lo Spirito a farci rivivere in una Chiesa rinnovata, come ha detto Papa Francesco: «Non voglio una chiesa da Museo, che ha tanta storia e nulla di nuovo da raccontare». Stiamo imparando a “camminare insieme”, abbiamo cominciato a fare qualche passo; chi è da più tempo in questi organismi ci ha testimoniato una continua crescita della nostra Diocesi, in particolare una corresponsabilità tra parroci e laici, ma siamo consapevoli e viviamo nella speranza che arriverà un tempo in cui la nostra Chiesa locale e quella del mondo intero intonerà un canto nuovo e allora si apriranno gli orecchi dei sordi. Allora, amici, non abbiate paura, buttatevi in questo cammino sinodale, proviamo insieme a “Cantare al Signore un canto nuovo”. Queste parole del salmo mi fanno sognare, e a voi?

Lara Pierini

La Chiesa che vorrei…

«Ti faccio una domanda personale: che rapporto hai con la Chiesa?».
«Veramente non ho nessun rapporto…».
«Allora ho proprio bisogno di te!».
Ho deciso di intraprendere così la consultazione sinodale nel mio ambiente lavorativo, avvicinando il mondo delle persone in ricerca o dei “lontani” dalla Chiesa.
I colleghi che ho intervistato occupano posizioni di vario genere, spesso non direttamente collegate tra loro, mentre io, occupandomi di manutenzione degli impianti, collaboro con i vari reparti e sono riuscito ad instaurare con alcuni un rapporto che va oltre l’ambito professionale. Mi sono presentato proprio a questi ultimi con un foglio contenente una breve introduzione sul Sinodo: di cosa si tratta e su quali temi interpella ogni persona. Essendo un argomento che coinvolge la vita personale e non avendo tutti lo stesso livello di amicizia e confidenza tra loro, ho preferito avvicinare le persone “a tu per tu”, affinché si sentissero maggiormente libere di esprimersi, evitando l’imbarazzo che avrebbe potuto nascere in un vero e proprio Gruppo Sinodale.

«Ti senti ascoltato? Come vedi la Chiesa? C’è qualcosa o qualcuno che ti ha deluso? Cosa ti aspetti dalla Chiesa?»: queste, in sintesi, le domande proposte per la meditazione personale. Ho cercato, innanzitutto, di mettere a proprio agio il mio interlocutore senza fare pressioni e rassicurando sulla riservatezza e sulla libertà con cui poteva esprimersi.
Dopo una settimana, sono tornato dai “prescelti” per informarmi su come procedeva la riflessione. «Ho quasi fatto, a breve ti porto le risposte» – mi sono sentito dire – ed in effetti così è stato.
Attualmente sono riuscito a coinvolgere poche persone, ma ho percepito un grande interesse ed entusiasmo nell’aprire il proprio cuore a questa chiamata del Papa.

«Ti senti ascoltato?». «Non sempre è così…», mi scrive Gianfranco, proseguendo il discorso con il racconto di due esperienze, una negativa ed una positiva. In ogni caso ho recepito grandi attese di ascolto da parte della Chiesa; attese che a volte sono state accolte, altre volte sono state deluse. Molto dipende dall’esperienza personale, spesso maturata in occasione dei sacramenti dei figli.

«Come vedi la Chiesa? C’è qualcosa o qualcuno che ti ha deluso?». Questa seconda tematica comprende anche lo stile comunicativo e la testimonianza dei cristiani. Luca, nonostante si definisca agnostico, è un accanito lettore dei messaggi del Papa e spesso li condivide. Alcuni hanno amici credenti e vedono in loro una testimonianza vera, sempre pronti al confronto ed allo scambio di idee.

«Ti senti parte della comunità cristiana?». Le risposte variano dal “sì” al “ni”. L’andare verso l’altro dovrebbe essere la linfa della comunità, ma non sempre viene recepita un’accoglienza autentica; spesso è di ostacolo la vita frenetica delle famiglie e, a volte, si perde fiducia a causa degli scandali perpetrati da uomini di Chiesa. Però, tutti si sentono parte della Chiesa, direi un’appartenenza radicata nel proprio DNA, spesso ereditato da genitori e nonni.

«Qual è la missione della Chiesa? Cosa ti aspetti da essa?». Qui ho trovato unanimità: avvicinare i lontani, annunciare e testimoniare l’amore di Dio, farsi prossimi.

Ma non è tutto oro ciò che luccica! Ho ricevuto anche una totale accusa nei confronti della Chiesa, che evidenziava fragilità e meschinità. «Mi dispiace che mi vedi così…», ho risposto quasi d’impulso al mio “avversario”, che è rimasto molto sorpreso dalla mia reazione. «Perché io faccio parte di quello che hai appena descritto», ho aggiunto. Da questo breve scambio di opinioni è nato, poi, un bellissimo confronto, da cui sono emerse ferite lontane, delusioni, ma anche esperienze da ricordare.
Riflettendo sui contenuti delle conversazioni, mi chiedo perché questi colleghi si siano allontanati dalla propria comunità cristiana, visto che in loro sono ancora presenti grandi aspettative nei confronti della Chiesa. Le risposte che mi sono dato sono molteplici. È solo colpa dei nostri limiti umani? O l’aver vissuto una fede che non cambia la vita? Oppure l’aver avuto una famiglia d’origine che non ha trasmesso con convinzione questi valori? Credo che ognuno abbia la sua originale, unica, risposta.
Anch’io ero un “lontano”, ma un periodo di crisi interiore e poi di incontri con le persone giuste mi ha riportato a Gesù.
In questi mesi di cammino sinodale mi prefiggo di continuare ad “importunare” altri amici e colleghi per raccogliere le loro preziosissime testimonianze di vita, nella speranza che nasca un dialogo sempre bello, libero e schietto, che permetta di arricchirsi reciprocamente.

Massimiliano Meloni

Lettera del Vescovo al Santo Padre Benedetto XVI

Pubblichiamo il messaggio inviato dal Vescovo Andrea al Papa emerito Benedetto XVI in seguito alla lettera del Santo Padre circa il rapporto sugli abusi nell’Arcidiocesi di Monaco e Frisinga (6 febbraio 2022).

Prot. n. 12/2022

Pennabilli, 9 febbraio 2022

Santo Padre,
la ricordo con immensa gratitudine e filiale affetto. Prego per Lei. Prego il Signore ringraziando di averci dato la Sua guida, il Suo prezioso ministero, la Sua sapienza.
Non abbiamo mai dubitato della fermezza della Sua linea e del Suo deciso impegno in favore di chi ha sofferto per gli abusi. Ha voluto intervenire in questi giorni, Santo Padre, con una lettera. Mi ha commosso! Mi unisco a tutti coloro che Le hanno espresso sentimenti di fiducia e testimonianze di stima. Sul Suo esempio, Santo Padre, rinnovo il proposito di lasciarmi ogni giorno scrutare dal Signore e la disponibilità al cambiamento di me stesso.
Fra i tantissimi ricordi, ho in cuore soprattutto l’incontro in piazza San Pietro con noi sacerdoti: eravamo più di diecimila. Era l’anno che aveva voluto dedicare a noi. Come me, in tantissimi ce ne tornammo carichi di entusiasmo. Tante volte, in gruppo, abbiamo ripreso in mano le risposte che ci aveva dato.
Nella mia Diocesi di San Marino-Montefeltro è ancora vivo il Suo incontro con la Comunità: abbiamo celebrato, da qualche mese, il decimo anniversario di quell’evento di cui ancora viviamo. Come non rinnovarLe tutto l’affetto e la venerazione?
La Sua lettera sta segnando profondamente i nostri cuori, è un documento che resterà per la chiarezza, per il coraggio, per l’umiltà, per il volto santo della Chiesa che lascia trasparire, ma soprattutto per la serenità spirituale che infonde. Fortiter et suaviter. Ancora una volta è Lei, Santo Padre, a dare fiducia a tutti noi. Grazie!
Chiedo umilmente la Sua benedizione sulla mia persona e sulla Diocesi

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Giornata Mondiale del Malato

Venerdì 11 febbraio si terrà la Giornata Mondiale del Malato. In Diocesi l’Ufficio di Pastorale della Salute e l’USTAL-UNITALSI organizzano una S.Messa per gli ammalati e con gli ammalati alle ore 15:30 presso il Santuario del Cuore Immacolato di Maria in Valdragone (RSM). La celebrazione sarà presieduta dal Vescovo Andrea. Il tema scelto da Papa Francesco per quest’anno, “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”, ci permette di ricordare che l’opera della Misericordia è anzitutto di Dio, e che non viene meno nella pandemia!

Lettera dell’Ufficio diocesano di Pastorale della Salute in preparazione alla Giornata

Omelia nelle Esequie di don Orazio Paolucci

Pennabilli (RN), Cattedrale, 7 febbraio 2022

Fil 3,20-21
Sal 62
Gv 11,17-27

Sì, Signore Gesù, crediamo che tu sei la risurrezione e la vita. Hai chiamato a te don Orazio. La vita del sacerdote, e don Orazio è stato prete fino in fondo, è tutta una chiamata, una vocazione. Dalla prima, con la quale Orazio, appena fanciullo, è invitato a stare vicino a Gesù, all’altra, quando il Signore gli offre la sua missione e i suoi poteri, alle successive chiamate, varie e in vari ruoli, sino all’ultima chiamata, la vocazione eterna. «Ne costituì Dodici perché stessero con lui» (Mc 3,14), perché don Orazio stesse sempre con lui. La nostra cittadinanza – è stato letto poco fa – è nei cieli. Il Signore Gesù Cristo trasforma il nostro corpo per conformarlo al suo corpo glorioso.
Don Orazio ha corrisposto alle chiamate del Signore servendo tra noi con gioia. Quando l’ha chiamato per l’ultimo tratto si raccolse e fu pronto. Ha pregato, ha ricevuto i sacramenti della Riconciliazione, dell’Eucaristia e della Santa Unzione, carezza di Gesù per chi è malato. Gli avevo scritto qualche settimana prima: «Il Signore ci vuole bene e non ci chiede altro che ricominciare sempre a fare la sua volontà. Ci proviamo, ci proviamo insieme». Mi rispose: «Grazie, Eccellenza. Da ammalato ci proviamo a fare la sua…». La sua volontà.
La morte, come la vita, di un sacerdote offre a tutti motivi di riflessione, di confronto e di verifica vocazionale. Insieme all’amore a Gesù Cristo tre amori hanno caratterizzato la vita di don Orazio.

Ha amato le relazioni. Discreto, non appariscente, ma tessitore di rapporti, senza preclusioni; legami tenui per la riservatezza del suo stile, ma cari perché non invadenti. A lui si applicherebbe bene il detto di san Francesco di Sales: «Si attira di più con una goccia di miele che con una botte di aceto».
Penso al suo servizio in Curia: accoglienza delle persone, garbo nella gestione delle telefonate… Fili soltanto, si dirà, ma preziosi, gradevoli perché gratuiti. Grande considerazione e grande amore aveva per le monache della Rupe: me lo ha ripetuto anche durante il ricovero in ospedale, dispiaciuto di non poter salire al monastero.

Ha amato le lettere: saggi, articoli, letteratura classica (l’anno scorso aveva terminato “I miserabili” di Victor Hugo), la scuola. «La cura per l’istruzione è amore» (Sap 6,17), dice il libro della Sapienza.
Ha amato quanto ingentilisce lo spirito, quanto apre spazi di contemplazione sulla bellezza, sugli ideali, su Dio, quanto favorisce contatti, conversazioni e tutto ciò che introduce a rapporti di conoscenza, di amicizia, di collaborazione. Ricordava senza ombra di invidia il condiscepolo mons. Sambi, entrato da Pennabilli in servizio alla Santa Sede, divenuto poi Nunzio apostolico (ultima nunziatura a Washington). Agli studi del percorso seminaristico ha aggiunto gli studi universitari ad Urbino con laurea in Filosofia. Ha fatto scuola ad un gran numero di alunni di cui diceva: «M’han fatto tribolare, ma gli ho voluto tanto bene!» e dai quali è stato riamato, anche e soprattutto ben oltre la scuola.
La sera si ritirava nel suo studiolo (scherzosamente lo pensavo “lo studiolo del duca di Urbino”) e componeva messaggi da inviare ai parrocchiani e agli amici: un servizio soprattutto per chi non veniva in chiesa, diceva, e che comunque lui desiderava raggiungere per nutrire di Vangelo: «Non di solo pane vive l’uomo» (Mt 4,4). La bellezza con la quale va presentata la Parola di Dio è più che un dovere, soprattutto per noi sacerdoti, perché questa parola divina risplenda maggiormente, consegnata da una adeguata parola umana, e corra fra la gente e più facilmente, se così si può dire, la conquisti con la forza intrinseca della sua verità.

Ha amato la vita nascosta. Passando di frequente accanto alla sua casetta, timidamente affacciata sulla strada, il mio pensiero andava immancabilmente alla casa di Betania, la casa degli amici di Gesù: Marta, Maria e Lazzaro. Un saluto commosso rivolgo alle sorelle di don Orazio con l’assicurazione della nostra vicinanza e della nostra preghiera. Il primo pensiero, dopo aver appreso la notizia della morte di don Orazio, è stato proprio per loro.
Fu mandato in piccoli paesi, ma col cuore aperto su tutta la Chiesa e sul mondo. Fu mandato a Macerata Feltria, Rocca Pratiffi, Gattara, Maiolo e poi Miratoio e Ca’ Romano, ma non ha amato di meno la sua Pennabilli, apprezzando iniziative e dialogando con tutti. Nel Vangelo si dice di Gesù che la sua missione era di andare di villaggio in villaggio ad annunziare il Regno e a fare del bene (cfr. Mc 6,6; Mt 13,58; Lc 9,6). Un sacerdote, come Gesù, è inviato a passare da un luogo all’altro, da una comunità all’altra, per permettere così a Gesù di continuare nel tempo il suo ministero, umilmente.
Don Orazio se n’è andato in punta di piedi. Tutti noi, spiazzati dal rapido assalto della malattia, quasi non ce ne siamo accorti e adesso siamo impegnati a rovistare nella memoria l’ultima chiacchierata con lui, l’ultimo saluto, l’ultimo sorriso, eredità preziosa. Ha accettato solo per compiacenza al vescovo la nomina di canonico della Cattedrale. Voi tutti sapete quanto ha dato, sapete anche che non si è mai sopravvalutato, al contrario. Pregando per lui, con lui e ora insieme a tutti voi, sento la bellezza e la validità di queste parole del Messale Romano: «Di tutti noi abbi misericordia, donaci di avere parte alla vita eterna insieme alla beata Maria, Vergine e Madre di Dio; con gli apostoli, i santi, che in ogni tempo ti furono graditi, e in Gesù Cristo, tuo Figlio, canteremo la tua lode e la tua gloria».
Saluto don Orazio con le parole che il Siracide rivolge a Mosè: «Fu amato da Dio, fu amato dagli uomini, il suo ricordo è benedizione» (Sir 45,1).

Omelia nella V domenica del Tempo Ordinario

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 6 febbraio 2022

Giornata Nazionale per la Vita

Is 6,1-2.3-8
Sal 137
1Cor 15,1-11
Lc 5,1-11

Il lago, la folla, Gesù.
Il lago. Lo chiamano anche “mare di Genesaret” (cfr. Mc 1,16; 2,13; 4,1 e paralleli di Mt e di Gv), ma l’evangelista Luca, conoscendo la vastità del Mediterraneo preferisce chiamarlo “lago”; comunque, faceva impressione ai pescatori tanto era grande; aveva una forma che richiamava una chitarra, da cui il nome di Genesaret. Quante storie, quante meraviglie riguardo al lago, e quanta fatica pescare, ripulire le barche e le reti e poi le rotte, le burrasche, il vento…

La folla. La folla è fatta di persone stupefatte dall’insegnamento di quel Maestro. Sono affascinati dal suo parlare semplice e nello stesso tempo profondo. Racconta parabole, insegna con autorevolezza.

Gesù. Gesù questa volta, mentre ha la folla attorno che quasi lo comprime, vede in lontananza alcuni amici pescatori che sembrano non essere affatto coinvolti. Hanno pescato tutta la notte senza prendere nulla e sono aggrovigliati nelle loro reti vuote, nel loro fallimento, chiusi in se stessi. Gesù li chiama, li interpella e chiede loro una barca. Interessante che una barca diventi pulpito, luogo di insegnamento sul quale Gesù siede per ammaestrare. Interessante anche che Gesù domandi. Più volte nel Vangelo Gesù interpella persone che apparentemente hanno poco da spartire con lui. Basti pensare alla donna samaritana a cui rivolge la domanda: «Dammi da bere» (Gv 4,7), oppure a Zaccheo, peccatore pubblico, al quale Gesù dice: «Invitami a casa tua» (cfr. Lc 19,5). E se Gesù chiede è sicuramente per dare. Lo vediamo con Simon Pietro e con i suoi compagni pescatori.

In questa giornata di prodigi il primo miracolo è il fatto che Pietro e gli amici accettano di dare la loro barca vuota a Gesù. Faccio una lettura simbolica: mettono a disposizione quella barca vuota, i cuori avviliti, il fallimento della pesca, e Gesù sul loro “nulla” farà grandi cose.
Gesù è sulla barca che, ondulando, galleggia sulle onde, mentre la gente sta sulla terra ferma: lo ascolta, ma sembra non arrischiarsi più di tanto. L’insegnamento di Gesù effettivamente è “nuovo” e autorevole (cfr. Lc 4,36).
C’è un secondo miracolo: questi pescatori non solo cedono la loro barca, ma cedono – per così dire – la loro disponibilità. Superano il senso di fallimento per la pesca della notte precedente, andata male, accettano il rischio di mettersi a pescare in pieno giorno, quando si sa che il tempo favorevole è la notte, e avviene la sorpresa – il terzo miracolo di quel giorno –: si ritrovano le reti che quasi si rompono e una barca piena di pesci; chiamano gli amici per raccogliere questa pesca straordinaria. Pietro si getta ai piedi di Gesù dicendo: «Allontanati, Maestro, sono un peccatore». E Gesù invece lo invita a «non temere». Però, bisogna che la barca di Pietro – prendiamola come metafora – non sia come quelle barche lungo il fiume che sono ben piantate alle sponde e sono state trasformate in ristoranti galleggianti, romantici, con una cucina squisita… La barca di Pietro è una barca che deve lanciarsi, osare, affrontare il largo. Questo vale per tutti noi! Come vorremmo che la scialuppa della nostra comunità, la barca della nostra parrocchia, il transatlantico della Chiesa fossero pieni di audacia. Pietro, e noi con lui, non dobbiamo temere. Anche il racconto della vocazione di Isaia contempla un primo momento di smarrimento: l’impresa è grande. Notare la diversità dei luoghi della chiamata, ma la somiglianza nella risposta. Isaia sente la chiamata nel tempio, in una visione straordinaria. Pietro viene chiamato nella sua quotidiana e faticosa attività di pescatore. Ambedue i chiamati protestano la loro inadeguatezza, la loro condizione di peccatori e il loro timore. Poi rispondono: «Eccomi!». In questo anno pastorale, tutto incentrato sulla missione, rinnoviamo il nostro «sì!».
Faccio un altro collegamento: il lago, la navigazione e la nostra esistenza. Oggi è la Giornata Nazionale per la Vita, che ha come tema custodire ogni vita. Il vangelo di oggi è un grande invito alla fiducia, ad intraprendere questo cammino prendendoci cura gli uni degli altri, soprattutto di chi è più fragile: i bimbi che stanno per nascere, le persone anziane in difficoltà, gli ammalati, tutti coloro che ci fanno capire, con la loro fragilità, la preziosità della vita.
Auguri, buona navigazione!

Giornata per la Vita: Messaggio del Vescovo Andrea

Messaggio del Vescovo Andrea Turazzi per la 44a Giornata Nazionale per la Vita
“CUSTODIRE OGNI VITA”

Sarà percepita? Sarà ascoltata? Saprà intercettare intelligenza e cuore dei miei concittadini e fratelli? La parola è: custodire ogni vita. In Italia si celebra una Giornata dedicata a questo tema. Nella Repubblica di San Marino è la prima volta dopo il Referendum che ha proposto l’introduzione dell’aborto. Il vero diritto da rivendicare – lo ripeto – è quello che ogni vita nascente o terminale sia adeguatamente custodita. Prima di ogni altra considerazione questo mi sembra il momento favorevole per una pacata riflessione e per l’avvio di una legislazione che tenga conto del valore, della sacralità e della bellezza della vita.
Lo sguardo si allarga ad abbracciare ogni situazione di vita che – talvolta silenziosamente – chiede attenzione e cura, situazioni aggravate dall’epidemia Covid.
Tutti facciamo l’esperienza che quando una persona è accolta, accompagnata e incoraggiata ogni difficoltà può essere superata o comunque fronteggiata con audacia e speranza. Scommetto che tutti insieme sapremo superare tentazioni di indifferenza, egoismo e irresponsabilità. Del resto, «ciascuno ha bisogno che qualcun altro si prenda cura di lui». La vocazione del custodire riguarda tutti!

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Omelia nella Festa della Presentazione di Gesù al Tempio

Valdragone (RSM), Casa San Giuseppe, 2 febbraio 2022

XXVI Giornata mondiale della Vita consacrata

Ml 3,1-4
Sal 23
Lc 2,22-40

A quaranta giorni dal Santo Natale ecco la Festa della Presentazione del Signore al Tempio. «Alzate, o porte, la vostre fronte, alzatevi soglie antiche ed entri il Re della Gloria» (cfr. Sal 24,7). Se fossimo stati presenti in quel momento chi avremmo visto entrare attraverso il grande portale del Tempio di Gerusalemme? Avremmo visto una mamma, Maria di Nazaret, e il suo sposo, Giuseppe; avremmo visto un bimbo, neonato; avremmo visto un giusto, Simeone, e una donna anziana, Anna. Persone semplici. Ma, con gli occhi della fede, attraverso di loro, accade qualcosa di straordinario. Siamo nel cuore del Vangelo. Lo si dice di tante pagine, ma qui c’è l’attesa e c’è l’incontro; c’è lo splendore e la forma che quello splendore ha preso; c’è il desiderio e c’è il compimento. Il Figlio del Dio vivente entra nel suo Tempio. Nessuno se n’è accorto. Eppure, è accaduto qualcosa di straordinario, unico: Lui, la “pietra angolare” (cfr. 1Pt2,6-7), viene accolto nel Tempio fatto di pietre.
Mi vengono in mente – sono passati poco più di ventiquattro mesi dal pellegrinaggio diocesano in Terra Santa – le pietre del Muro Occidentale, là dove oggi si ritrovano gli ebrei per celebrare e implorare il “Santo, Benedetto Egli sia”, come dicono. Guardando quelle pietre, la mente attraversa il tempo e la storia. E noi, che siamo qui oggi, siamo invitati ad essere pietre vive di una Chiesa aperta al mondo, alla gente del nostro tempo. È stato bello stamattina, quando proprio uno degli eremiti ci ha fatto capire che la fraternità è la dimensione fondamentale della vita religiosa e, prima ancora, di ogni vita cristiana. “Pietre vive” della Chiesa (cfr. 1Pt 2,5), pietre sconosciute e spesso invisibili al mondo, pietre senza apparenza né splendore, direbbe il profeta Isaia (cfr. Is 53,2), ma poco importa. Dobbiamo essere e stare al nostro posto. Se manca una sola pietra, tutto può crollare.

Vi invito a volgere il vostro sguardo a Simeone e ad Anna. Ciò non ci allontanerà dal Signore, presentato al Tempio da Maria e Giuseppe. Simeone ed Anna sono degli anziani che l’attesa non ha invecchiato nel cuore. Le prove della vita (di Anna si dice che è stata sposata sette anni, quindi è vedova e una volta la condizione di vita di una vedova non era facile, perché non c’erano forme di assistenza), lungi dall’abbatterli, non hanno fatto che accrescere il desiderio di incontrare il loro Signore. L’augurio che faccio a tutti è di non calare di tensione verso il Signore. Come accade agli sposi nel matrimonio, c’è un grande amore all’inizio, un amore che li rende forti, capaci di affrontare le difficoltà e il cammino dei figli, ecc. Può avvenire che l’amore sia sopraffatto dall’abitudine e possa diventare mediocre. La grazia del sacramento è sempre presente.
Le esistenze di Simeone e Anna, rimaste giovani, non si spiegano altrimenti se non per l’intima presenza dello Spirito Santo che è in loro. Il Vangelo di Luca è il Vangelo dello Spirito Santo: Luca è l’evangelista della Pentecoste ed è colui che ci racconta come lo Spirito ha plasmato la prima comunità cristiana. La vita di Simeone ed Anna è animata dallo Spirito. Simeone è anziano, Anna ha 84 anni, eppure lo Spirito Santo li rende attenti a percepire il nuovo, a cogliere la presenza del Signore che viene. Simeone ed Anna hanno scritto ante litteram la Sequenza di Pentecoste: «Veni, Sancte Spiritus, et emítte caelitus lucis tuae rádium», perché ci sono quasi tutti gli appellativi con i quali noi identifichiamo lo Spirito Santo, la Terza Divina Persona. Hanno proclamato con tutto il loro slancio colui che è detto Consolatore perfetto: “consolazione d’Israele”, riposo: «ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola», sorgente e luce delle genti, colui che purifica, riscalda, guarisce, raddrizza… Chissà quante volte Simeone ed Anna, frequentatori affezionati e devoti del Tempio, hanno meditato il testo del profeta Malachia riguardante il Signore terribile e potente che entra nel suo Tempio. «E subito entrerà nel suo Tempio il Signore che voi cercate; l’angelo dell’alleanza che voi sospirate, ecco, dice il Signore degli eserciti». Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire?». Senza l’aiuto dello Spirito Simeone ed Anna non avrebbero potuto riconoscere in quel cucciolo d’uomo il Signore che prende possesso del suo Tempio. Simeone ed Anna oggi ci fanno da maestri, ci insegnano a vivere permanentemente in compagnia dello Spirito Santo. Cosa dobbiamo fare per convivere con lo Spirito Santo? Simeone ed Anna ci insegnano innanzitutto ad ascoltare la sua voce dentro di noi. Prima delle preghiere, chiediamo che lui ci introduca, ci faccia varcare quella soglia. Quando intingiamo la mano nell’acquasantiera, pensiamo all’acqua del Battesimo; ricordiamo quando Gesù ha gridato: «Dal seno di chi crede sgorgherà l’acqua che zampilla» (Gv 7,38). Invochiamolo di frequente durante la nostra giornata: «Vieni Santo Spirito!», durante una riunione in cui si fatica a trovare un accordo, «Santo Spirito fa’ che io dica una parola buona»… Manteniamo dentro di noi una conversazione con lui. Facciamo l’esercizio di imparare i sette doni dello Spirito Santo e, a seconda dell’opportunità, invochiamoli. Lo Spirito diventi il «dolce ospite dell’anima», come dice la Sequenza di Pentecoste. Dello Spirito si va dicendo che è il grande sconosciuto, per la nostra ignoranza, però non si dica che è estraneo. Lo Spirito non ci lascia nell’oscurità, ma ci guida verso la luce interiore dove si può incontrare Gesù.
Gesù entra nel Tempio di Gerusalemme, è accaduto. Adesso il Tempio dove entra è la mia persona e la persona di mio fratello e di mia sorella. Con la presenza coltivata dello Spirito Santo la nostra attesa non sarà delusa.