Diario della Visita ad limina – 25/26 febbraio

FAMILIARITÀ E UNIVERSALITÀ DELLA CHIESA
25/26 febbraio 2024

Visita ad limina apostolorum: al di là delle parole sono chiamato a rinnovare la fede cattolica, a fare memoria degli apostoli di cui sono successore, a rinsaldare l’unità col Vescovo di Roma, il Papa, che presiede alla carità nella Chiesa.
Mi attendono ben sette giorni di incontri ai massimi livelli in Curia Romana: più di dieci Dicasteri o Uffici centrali. Ogni Vescovo, con i suoi collaboratori, si presenta con una relazione scritta sullo stato della Diocesi mettendo a confronto i dati di dieci anni prima (di per sé la Visita ad limina avverrebbe ogni cinque anni). Ci aspettano giorni di fraternità fra noi quattordici Vescovi o, come si dice propriamente, di collegialità episcopale.
Sono partito da Pennabilli col desiderio di portare tutti con me al centro della cristianità, sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Mi sento davvero piccolo davanti alla Chiesa universale, ma ho l’entusiasmo di “tirare la volata” per la mia gente in un rinnovato slancio di fede. Parto con ancora negli occhi il grande cerchio degli Scout sammarinesi che si sono dati appuntamento per la Giornata del pensiero: erano tantissimi, accompagnati dai loro Capi. Ho preso la parola e raccontato loro la cosa più semplice e più comune: il Segno della Croce, un segno inclusivo che unisce chi accoglie Gesù, un abbraccio della Trinità d’amore, una benedizione tracciata sul cuore, sulla mente e sulle braccia.

È domenica pomeriggio, 25 febbraio, mi affretto a preparare la valigia. Ci hanno detto di portare l’abito per le cerimonie e le vesti liturgiche. Come farci stare tutto?
Durante il viaggio – mi accompagnano Paola e Massimiliano – si riposa, si prega, si fa un po’ di lavoro d’agenda e soprattutto ci si prepara interiormente all’incontro con Papa Francesco, fissato per l’indomani di buon mattino.

26 febbraio: primo appuntamento con i Vescovi dell’Emilia Romagna sulla tomba dell’apostolo Pietro. Si comincia così: Messa e solenne professione di fede nelle Grotte Vaticane. Stiamo risalendo per l’incontro col Papa, sono emozionato. Ci raggela la notizia che il Papa non può riceverci: le informazioni sono un po’ imprecise e questo fa più male. Poi finalmente un chiarimento: il Santo Padre è solo stanco. Ci premuriamo di informare chi ci segue da casa e si prepara al pellegrinaggio per l’Udienza Generale del mercoledì. Non resta che uscire per una buona colazione, un giro in libreria e la registrazione del FlashdiVangelo, niente meno che in un angolo di piazza San Pietro.

Il pomeriggio è piuttosto impegnato. Siamo convocati al Dicastero della comunicazione. Il Prefetto introduce. Mi aspetto sia un importante Cardinale, invece no: è un laico che proviene dalla carriera giornalistica ed è attorniato da collaboratori e collaboratrici. Rivolgendosi a me, dopo la presentazione, mi dice che conosce bene il direttore della RTV sammarinese, il dottor Vianello. Prometto di portare i suoi saluti. Dopo l’introduzione del Prefetto, mons. Giovanni Mosciatti (Imola) legge una relazione introduttiva, a cui segue il racconto dei nostri piccoli-grandi sforzi nel campo della comunicazione. Il Prefetto ci spiazza: la comunicazione non si gioca tanto con le TV, i giornali (decisamente in crisi), i social, ma sulla capacità di tessere relazioni. E la Chiesa – aggiunge – ha in sé gli strumenti per fare comunicazione: sono le persone delle nostre comunità. I social e le altre forme di comunicazione cambiano continuamente. Occorre rendere tutti responsabili nel fare rete, a servizio del Vangelo. Un invito: coinvolgere i giovani e… i ragazzi.

L’incontro si prolunga. Non è assolutamente formale. Davanti a noi ci sono pannelli che illustrano il cammino della Santa Sede nel campo della comunicazione (dalla foto di Pio XI imbarazzato davanti alle telecamere alle trasmissioni di un Pio XII ieratico, dall’afflato spontaneo di Giovanni XXIII allo sguardo intenso di Paolo VI, dalla comunicazione travolgente di Giovanni Paolo II al parlare diretto di Francesco). Mi piace l’intervento del Vescovo Nicolò (Rimini): sottolinea come le parole di Vangelo debbano calarsi nella vita delle persone. Mons. Douglas (Cesena) invita tutti a ricordare come le notizie cattive fanno un gran rumore, le buone spesso sono sconosciute: val la pena farle girare.

L’incontro si conclude con grande cortesia. Si respira l’universalità della Chiesa, ma anche la familiarità.
Serata tranquilla. Siamo in attesa del pullman che porterà gli amici della Diocesi qui a Roma.

Vescovo Andrea

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Marcia-Veglia di preghiera missionaria

Quaresima missionaria: “Adotta un Seminario!”

Comunità e persone singole del nostro territorio di San Marino e del Montefeltro sono celebri per la loro generosità e lo spirito di condivisione: mille ruscelli che vanno ad ingrossare il fiume della carità. C’è chi è coinvolto nel soccorrere le popolazioni provate dalla guerra, c’è chi si mobilita nelle realtà in via di sviluppo. Ma c’è anche chi è sensibile alle necessità di tante famiglie vicine a noi.

Per la Quaresima in corso, l’Ufficio missionario e la Caritas della nostra Diocesi propongono di aiutare concretamente una Chiesa sorella. Si tratta di concorrere alla costruzione di un Seminario destinato alla formazione dei futuri sacerdoti per la Diocesi di Bondo (Repubblica Democratica del Congo). Mi sia consentita una provocazione: ci preoccupiamo per chi non ha i mezzi per una vita dignitosa (guai se non ci preoccupassimo di questo!), ci impegniamo per la promozione umana – ed è ben giusto e necessario – ci disponiamo all’accoglienza verso chi bussa alla nostra porta (un insegnamento dei nostri padri). Si tratta spesso di opere compiute con il coinvolgimento del cuore, con spirito di sentita partecipazione. Opere tutte che il Signore ritiene fatte a sé: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Ma chi pensa all’anima? Chi pensa a sostenere le ragioni del credere? Chi offre con gratuità i motivi profondi della speranza? Chi accende i cuori della carità e fa sentire il perdono di Dio? È l’insostituibile missione del prete. Accade che, dalle nostre parti, ci siano Seminari grandi e attrezzati, ma non ci sono giovani che li abitano, mentre nelle Chiese sorelle nei territori in via di sviluppo vi sono tanti giovani disponibili alla missione, ma non si hanno ambienti per la loro formazione. Ecco come nasce la proposta per questa Quaresima2024: “Adotta un Seminario”!

Agli inizi del cristianesimo vi era una sentita fraternità fra le Chiese. Celebre la “colletta” che san Paolo propose alle comunità della Grecia per la comunità di Gerusalemme…

Invito tutti ad essere generosi. Suggerisco a tutti di “esserci” e concorrere alla preparazione di uomini dedicati al Vangelo ed alla spiritualità: «Non di solo pane vive l’uomo».

Vescovo Andrea

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Per informazioni e per offrire il proprio contributo:

Centro Missionario Diocesano (CMD)

Iban: IT 89 D 08995 68460 000000056419

Via del Seminario 5 – Pennabilli (RN)
Direttore: don Rousbell Parrado
E-mail: rousbelp@yahoo.com
Cell. 338 5765224

Veglia diocesana per la Giornata Internazionale della Donna

Quest’anno la Veglia diocesana per la Festa Internazionale della Donna, in un contesto internazionale sempre più segnato dai conflitti della “terza guerra mondiale a pezzi”, vuole focalizzare l’attenzione sulla pace e sull’apporto originale delle donne alla sua costruzione.

Il desiderio di sostenere le donne nel loro impegno per la pace trova eco nelle parole di Papa Francesco nell’omelia dell’ultima Giornata mondiale della Pace: «Il mondo ha bisogno di guardare alle madri e alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono».

La Veglia diocesana, presieduta dal Vescovo Andrea, che si svolgerà giovedì 7 marzo alle ore 21 presso la chiesa parrocchiale di Borgo Maggiore, si propone di integrare preghiera e riflessione, quest’ultima soprattutto attraverso alcune testimonianze significative di donne che hanno a cuore la pace e contribuiscono alla sua realizzazione negli ambienti in cui vivono, lavorano e si impegnano.

Ufficio diocesano di Pastorale Sociale

Scarica la lettera-invito del Vescovo Andrea

Omelia nella II domenica di Quaresima

Pennabilli (RN), Cappella del Vescovado, 25 febbraio 2024

Gen 22,1-2.9.10-13.15-18
Sal 115
Rm 8,31-34
Mc 9,2-10

La Trasfigurazione si è impressa fortemente nel ricordo dei primi discepoli di Gesù. Viene raccontata, a varie riprese, dai Sinottici, nella Prima Lettera di Pietro e anche dall’evangelista Giovanni, sia pure senza la spettacolarità della teofania (in Gv 12,24-28 Gesù parlerà del chicco di grano caduto per terra e si sentirà la voce del Padre che lo glorifica). La narrazione secondo l’evangelista Marco si può leggere da due prospettive: la prospettiva del catecumeno che si prepara a ricevere il Battesimo (è anche la nostra prospettiva, nel cammino verso la Pasqua) e la prospettiva dell’uomo-Gesù (collegata alla sua vicenda pasquale).

Secondo la prospettiva del catecumeno, questo brano è fondamentale per i discepoli incamminati verso il Battesimo come per il nostro cammino verso la Pasqua. Abbiamo appena iniziato la Quaresima e potremmo sentire già la fatica della seconda tappa: ce la faremo ad arrivare fino in fondo?
Ricordo un’esperienza di montagna; eravamo in cammino verso il “Cimon de la Pala” (Pale di San Martino). Dopo un tratto di sentiero abbiamo abbandonato prima il bosco, poi il prato e siamo arrivati alle roccette, quando è scesa una fitta nebbia che ha avvolto completamente la vetta. Qualcuno ha pensato di fermarsi, avvertendo la stanchezza e valutando l’incertezza atmosferica. Improvvisamente si è aperto uno squarcio nelle nubi ed è apparsa la cima della montagna: quella visione ha infuso coraggio e ci siamo rimessi in cammino…
Questa pagina è molto utile per noi, per riprendere il cammino, sapendo che davanti abbiamo la prospettiva della risurrezione di Gesù e il passaggio verso la vita nuova.

È importante anche considerare questo episodio dal punto di vista di Gesù. Gesù ha appena annunciato ciò che gli sta per accadere: è il primo annuncio della Passione (Mc 8,31). Comprendiamo il suo stato d’animo. È di fronte ad un interrogativo. Lo rendiamo con parole nostre: «Sono nella prospettiva giusta? Sto facendo il Messia come vuole il Padre? Così vado verso la morte… Non sarà il caso che mi limiti a fare semplicemente qualche miracolo, a raccontare massime edificanti e buone prassi?». L’ostilità dei contemporanei sta diventando totale: a parte la piccola squadra che lo segue, tutti gli altri gli sono contro. Gesù è, per così dire, ad un tornante della sua vita. E cosa fa? Sale sul monte. Vuole vivere un momento forte di intimità col Padre; noi diremo un momento di discernimento o di verifica vocazionale. Lo fa, da pio israelita, con le Sacre Scritture. Quando l’evangelista scrive che Gesù è insieme a Mosè ed Elia, adopera, in fondo, una formula tecnica, le Sacre Scritture si chiamavano così: Mosè (a cui era attribuito il Pentateuco), Elia (scritti profetici e altri scritti). Del resto, quando Gesù si affianca ai due discepoli di Emmaus parla di quello che «si riferisce a lui in Mosè, nei profeti e nei Salmi» (cfr. Lc 24,27).
Gesù entra nella dimensione della preghiera, dell’intimità col Padre e vuole associare a sé tre discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. È sul punto di donare la sua vita, è il momento in cui inizia la sua autodonazione. Attorno a lui c’è appena questo piccolo grappolo di discepoli. Mi viene da pensare alle nostre Eucaristie. Talvolta, sull’altare, Gesù sta per dare sacramentalmente la sua vita e lo fa alla presenza di sei o sette persone; ma se anche fossero cento, che cosa sarebbero in confronto alla sua autodonazione per l’umanità intera? “I tre” sono stupefatti, atterriti. L’evangelista racconta il loro spavento di fronte a questa intimità che Gesù vive con il Padre, accompagnata da una luce potentissima: «Le vesti di Gesù diventano splendenti, bianchissime: nessun lavandaio avrebbe potuto farle così bianche». È un momento di Trasfigurazione. Pietro dice: «Signore, facciamo tre tende: una per te, una per Mosè, una per Elia. È bello per noi stare qui». La frase di Pietro è certamente generosa, bella, anche noi diciamo così a volte: «Com’è bello, Signore, stare con te». Tuttavia, la proposta sottende due equivoci. Il primo: Pietro vuole costruire una tenda, non sta davanti a Gesù che si autodona. Scatta subito in lui l’homo faber, che deve progettare, costruire, fare… Per fare una tenda servono un telo o una quantità notevole di frasche, da cercare; occorrono i picchetti, il palo principale che regge la tenda… Pietro non resta più davanti a Gesù. Questo capita tante volte anche nella nostra preghiera. A me succede, mentre sono in meditazione o in adorazione, di fermarmi per annotare qualche appunto in vista di un’omelia o di un incontro con i giovani; allora vado a cercare una matita, un quaderno… Dobbiamo imparare a stare, stare accanto a Gesù.
Il secondo equivoco è quello di voler rinchiudere Gesù sotto una tenda o in una nicchia per custodirlo. Nell’inconscio è come se si volesse incasellarlo. Ma Gesù non ci sta!
Il Padre fa udire la sua voce: «Non occorre costruire una tenda: io ti avvolgo con la nube…». La nube è segno di tenerezza, di un abbraccio.
La nube richiama la nube dell’esodo, un riferimento assolutamente pertinente per noi che siamo in cammino verso la Pasqua. Quella nube risplende nella notte, ripara dal sole che dardeggia nel deserto e accompagna nel cammino: segno della presenza di Dio con il suo popolo. Da quella nube viene una voce: «Ascoltate il Figlio mio…».
Sottolineo un altro particolare: la capanna o la tenda in ebraico si dice “succot”. La Festa delle capanne o delle tende era una festa nel calendario delle celebrazioni ebraiche. Si celebravano in primavera e si ricordavano con la costruzione di tende o di capanne i quarant’anni che il popolo aveva trascorso durante l’esodo (è un po’ come a Natale noi costruiamo la capanna di Gesù Bambino, la capanna dei pastori, ecc.). Anche gli ebrei costruivano le capanne, per celebrare il ricordo dei quarant’anni nel deserto, quando abitavano nelle tende, e soprattutto la fedeltà di Dio che ha accompagnato il suo popolo. Da notare che, al tempo di Gesù, la festa delle “succot” acquisiva un nuovo significato: si annunciava che il Signore stava preparando la grande tenda, sotto la quale erano convocate tutte le genti. Era un riferimento alla risurrezione, alla vita per sempre, al paradiso, diremmo noi.
Pietro, Giacomo e Giovanni scendono dal monte con “Gesù solo”. È lui l’essenziale. Tutto il resto è conseguenza o contorno. Vale per noi: siamo solo all’inizio della Quaresima, perseveriamo in questa tensione, stiamo seduti ai piedi del Signore, come fa Maria, non cadiamo, come dice papa Francesco, nel “martalismo”, cioè nell’attivismo di Marta. Il tempo della Quaresima è stare con “Gesù solo”. Buon cammino.

Stemma episcopale del Vescovo eletto Domenico

Secondo la tradizione araldica ecclesiastica, lo stemma di un Vescovo è tradizionalmente composto da:

  • uno scudo, che può avere varie forme (sempre riconducibile a fattezze di scudo araldico) e contiene dei simbolismi tratti da idealità personali, da particolari devozioni o da tradizioni familiari, oppure da riferimenti al proprio nome, all’ambiente di vita, o ad altro;
  • una croce astile in oro, posta in palo, ovvero verticalmente dietro lo scudo;
  • un cappello prelatizio (galero), con cordoni a dodici fiocchi, pendenti, sei per ciascun lato (ordinati, dall’alto in basso, in 1.2.3), il tutto di colore verde;
  • un cartiglio inferiore recante il motto scritto abitualmente in nero.

Nello stemma del Vescovo Domenico si è scelto uno scudo di foggia gotica frequentemente usato nell’araldica ecclesiastica e una croce “trifogliata” in oro, con cinque gemme rosse a simboleggiare le Cinque Piaghe di Cristo.

Descrizione araldica (blasonatura) dello scudo

“Interzato in pergola rovesciata. Nel 1°d’argento al leone rampante di rosso, reggente nella branca destra tre gocce d’oro male ordinate; nel 2° d’azzurro alla stella (7) d’argento; nel 3° di rosso alla conchiglia di San Giacomo d’oro”

Il motto:

TIMOR NON EST IN CARITATE
(1 Gv 4,18)

Per il proprio motto episcopale, Mons. Beneventi si è ispirato alla Prima Lettera di Giovanni laddove recita: «Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore …» («Timor non est in caritate sed perfecta caritas foras mittit timorem…»).

Interpretazione

Lo stemma del Vescovo è “agalmonico” (o “parlante”) in quanto reca al proprio interno un simbolo che richiama il nome: infatti, il nome Domenico significa “del Signore, dedicato al Signore, consacrato al Signore” e la consacrazione, nella vita di un cristiano avviene attraverso l’unzione del Crisma ed ecco perché il leone, simbolo di Cristo Re, che, in Ap 5,5, indica il Messia, «il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide che aprirà il libro e i suoi sette sigilli», regge le tre gocce del Crisma che hanno caratterizzato i tre momenti salienti della vita del Vescovo: il Battesimo, l’Ordinazione presbiterale e, infine, quella episcopale.

La stella a sette punte simboleggia Maria, la Nostra Madre Celeste, qui identificata come la Madonna dell’Olmo e Stella del Mattino, venerata nel suo paese natìo, da cui il Vescovo si lascia guidare, secondo la preghiera di San Bernardo di Chiaravalle: «Seguendo lei non puoi smarrirti, pregando lei non puoi disperare. Se lei ti sorregge non cadi, se lei ti protegge non cedi alla paura, se lei ti è propizia raggiungi la mèta».

Mons. Beneventi è un pellegrino di Santiago, da cui il simbolo della conchiglia del pellegrino che vuole anche richiamare il ruolo principale della Chiesa pellegrina sulla terra, in perenne cammino di conversione, sui passi degli ultimi (Cfr. Don Tonino Bello), discepola del suo Maestro e Signore.

I colori dello stemma sono l’argento che simboleggia la trasparenza, quindi la verità e la giustizia, doti che dovranno costituire fondamento dello zelo pastorale del Vescovo; l’azzurro, colore simbolo dell’incorruttibilità del cielo, delle idealità che salgono verso l’alto; rappresenta il distacco dai valori terreni e l’ascesa dell’anima verso Dio e il rosso, colore simbolo della carità, dell’amore e del sangue, dell’amore infinito del Padre che invia il Figlio a versare il proprio sangue per la nostra redenzione, «sacrificando se stesso, immacolata vittima di pace sull’altare della Croce» (Cfr. Prefazio della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo).

 

 

 

Lettera del Vescovo Andrea per la Quaresima e per l’ingresso del nuovo Vescovo Domenico

A tutti i fedeli della Diocesi
di San Marino-Montefeltro

Carissimi,
prima di tutto, l’augurio per una Quaresima intensa e ricca di frutti. Siamo in cammino verso la Veglia pasquale per rinnovare le promesse del nostro battesimo. L’abbiamo ripetuto più volte: succede di «ritrovarsi cristiani senza mai aver deciso di esserlo». La Veglia fra il 30 e il 31 marzo potrebbe essere la volta buona: rinnovare la nostra totale adesione al Signore.
Il tempo della Quaresima ha molte analogie con l’antico Ordo Poenitentium. Viene soprattutto in rilievo la dimensione ecclesiale dell’itinerario, dove si cammina insieme come popolo, c’è abbondanza di Parola di Dio, si prega gli uni per gli altri, si gode dell’intercessione della Vergine Maria e dei Santi e ci si sostiene con l’esempio e l’amicizia spirituale. Esperienza di Corpo mistico.

Vi ricordo qualcuno degli appuntamenti quaresimali che ci siamo dati come Diocesi, senza nulla togliere alla creatività della vita parrocchiale e dei nostri gruppi. Esorto a partecipare per sentire la comune appartenenza e per essere quella “gente di Pasqua” che porta un annuncio di speranza nella nostra città, nei nostri borghi e nelle nostre contrade.

Venerdì 23 febbraio alle ore 20:45 si terrà la Veglia eucaristica dei giovani nella chiesa di San Francesco (San Marino Città RSM). I giovani inaugureranno la mostra sulle opere dedicate all’Eucaristia nel nostro territorio: arte e fede.

Giovedì 7 marzo, vigilia della Giornata internazionale della Donna, l’appuntamento è per una Veglia per la pace: “Pace e donne: quale contributo?”. Non è solo uno slogan, ma un dare voce alle donne come messaggere e operatrici di pace (ore 21 presso la chiesa parrocchiale di Borgo Maggiore RSM). L’invito è rivolto a tutti.

Venerdì 15 marzo ore 20:45 Marcia missionaria da Monte Cerignone (PU) al Santuario del Beato Domenico per allargare il nostro sguardo alle Chiese sorelle e all’internazionalità del Vangelo. Quest’anno l’attenzione è rivolta alla Diocesi di Bondo (Repubblica Democratica del Congo) che ha seminaristi, ma non ha seminario. A quest’opera destiniamo il frutto della nostra carità quaresimale.

Vi comunico quanto più mi sta a cuore: l’accoglienza del nuovo pastore che il Signore ci invia: mons. Domenico Beneventi. Gli ho manifestato più volte, in questi giorni, la nostra gioiosa attesa, il nostro desiderio di conoscerlo e, fin d’ora, la nostra piena comunione. Dopo la Pasqua organizzeremo i preparativi con la partecipazione di tutti.

La domenica 7 aprile celebreremo l’assemblea diocesana, ultima tappa del Cammino Sinodale imperniato attorno ai verbi eucaristici: «Gesù spezzò il pane e lo diede…». Ci prepareremo secondo le indicazioni che ci verranno date a breve. Il pomeriggio si concluderà con l’Eucaristia che celebrerò per dire il mio grazie per questi dieci anni di ministero episcopale.
Le date da segnare con attenzione e che costituiscono lo scopo principale di questa lettera sono le seguenti:

Sabato 20 aprile ore 10, nella Cattedrale di Acerenza (PZ), Ordinazione episcopale del Vescovo eletto Domenico. Verrà organizzato il viaggio in pullman per chi desidera partecipare.

Sabato 18 maggio ore 16 ingresso del nuovo Vescovo di San Marino-Montefeltro nella Cattedrale di Pennabilli.

La grazia della successione apostolica è un dono incalcolabile per la nostra Diocesi, ma anche una grande responsabilità.
In comunione

Vescovo Andrea

Omelia nella Solennità delle Ceneri

Pennabilli (RN), Cattedrale, 14 febbraio 2024

Gl 2,12-18
Sal 50
2Cor 5,20-6,2
Mt 6,1-6.16-18

La Quaresima si apre con un gesto semplice e austero, ma assolutamente eloquente. Dice più di molti discorsi: è l’imposizione delle ceneri sul nostro capo davanti a tutti. Un po’ di cenere per ricordare chi siamo. Un invito alla verità su noi stessi: siamo polvere e cenere. Un’esortazione al pentimento per i nostri peccati. Una ripresa del cammino verso il Signore. Due parole, a scelta del sacerdote, accompagnano l’imposizione delle ceneri: «Ricordati, uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai» (cfr. Gn 3,19), «Convertiti e credi al Vangelo» (cfr. Mc 1,15). Con la prima parola ci viene ricordata la nostra condizione, fragile e precaria; con la seconda viene riproposto l’essenziale: credere al Vangelo di Gesù.
È esperienza comune, prima o poi, quella di essere sopraffatti dalla constatazione del nostro limite: venir meno della salute, crisi delle nostre relazioni, distacchi, fallimenti. Non ci si pensa di solito. Il lavoro e gli impegni, il tempo travolgente, il frastuono attorno a noi, ci tiranneggiano. In questo senso la Quaresima è un tempo di libertà per riprendere in mano le redini della nostra persona, con sano realismo.
L’altra parola invita a ricentrarci su Gesù, è Lui il Vangelo: «Credete a questo Vangelo» – dice Gesù – che è Lui.
Tante religioni conoscono riti e tempi di austerità, di purificazione, di penitenza. Ad esempio, c’è qualche somiglianza tra il Ramadan, che viene praticato dai nostri amici musulmani, e la nostra Quaresima, ma è una somiglianza esterna: il digiuno, l’astinenza, la solidarietà, ecc. Ramadan e Quaresima sono due esperienze profondamente diverse. Per noi cristiani fare Quaresima comporta penitenze, elemosine, preghiere, ma sono tutte realtà nell’ordine dei mezzi, il fine è altro: rimettere Gesù al centro, fare la scelta di Dio. Siamo peccatori, è vero; il peccato – come dice la Genesi – sta accovacciato alla porta del nostro cuore (cfr. Gn 4,7). Come combattere il peccato? Come contrastarlo? Come vincerlo? A volte pensiamo di cavarcela con un po’ più di impegno, con la forza della volontà, col dominio di noi stessi, con una maggiore attenzione ai nostri atti, salvo poi cadere nei medesimi difetti, restare impigliati nei nostri vizi, constatare la nostra inconsistenza. Per questo c’è chi si affligge, si abbatte, è deluso. Mi viene in mente l’immagine dei ragazzi che vanno in giostra, quelle giostre con i seggiolini che volano in alto, in cerchio. Man mano che il seggiolino viene lanciato, si può arrivare a cogliere un peluche che si trova più in alto. Chi è bravo a sbilanciarsi fuori può arrivare a prenderlo e se lo porta a casa. Si tratta di sapersi allungare e cogliere l’attimo. Per tantissimi la delusione, perché non riescono a prenderlo. Qualcuno, allora, smette di puntare così in alto: «Non fa per me», pensa. Fuori di metafora: lasciamolo fare ai santi, a quelli che sono straordinari… Una metafora per la nostra vita interiore, ma anche per dire che l’opposto del peccato non è tanto la virtù, che pur ci vuole insieme all’impegno e all’attenzione, ma la fede: credere al Signore Gesù, affidarsi alla sua grazia. La conversione è possibile perché è un dono, un dono da chiedere e da ricevere attraverso i sacramenti: «Tutto ciò che fu visibile del nostro Redentore è passato nei segni sacramentali» (San Leone Magno), per questo l’accostarci ai sacramenti ci dà la forza, la capacità di crescere. I sacramenti arrivano dove le nostre risorse si inceppano. Si potrebbe pensare: «Se l’opposto del peccato è la fede, basta che io creda…». No. Non dobbiamo essere passivi, considerando la santità come una grazia che piove dal Cielo, come una magia; al contrario l’impegno penitenziale è teso ad esprimere la nostra fede. Signore, sei così importante nella mia vita che pongo dei segni che lo esprimano, che proclamano che veramente tu sei più importante, più importante del cibo, più importante della carriera, più importante di tutto. Davanti a tutto c’è il nostro desiderio di incontrare Gesù: lui e la potenza della sua risurrezione (cfr. Fil 3,10).
Infine, Quaresima è un cammino ecclesiale, che si fa tutti insieme e in un tempo preciso: non ci si mette a fare Quaresima in agosto… La Quaresima comincia oggi e finisce con la Veglia pasquale (culmine del Triduo pasquale). È un cammino da fare insieme, una cordata, dove a turno tutti facciamo la locomotiva e tutti, a volte, siamo anche vagone. In cima a questa cordata vedo la Vergine Maria e i Santi, che ci incoraggiano e fanno piovere grazie su di noi con la loro grande carità. Poi ci sono i cristiani, i cristiani di Pennabilli, i cristiani che sono a San Marino, i cristiani che sono in Belgio, i cristiani che sono negli Stati Uniti, i cristiani che sono ad Acerenza (la Diocesi del nostro futuro Vescovo), ecc. Siamo un corpo che cammina insieme!
Com’è bello stasera, insieme a chi non ha potuto venire, fare l’ingresso in penitenza. Terremo vivo l’impegno delle cinque domeniche che ci preparano alla Settimana Santa. Ogni domenica ci consegna un messaggio che arricchisce la nostra vita cristiana. In tutta la Chiesa ci sono le stesse letture, lo stesso pasto della Parola di Dio.
Lungo la Quaresima avremo delle “tappe di luce”. Penso ai nostri giovani che si raduneranno venerdì prossimo per la Veglia di adorazione nella chiesa di San Francesco in San Marino. Poi vorremmo entrare nella Giornata internazionale della donna con un pensiero e un grido di pace; la Commissione di pastorale sociale ha studiato l’argomento e propone: «Pace e donna: quale contributo?». La Commissione dà la parola alle donne, portatrici della vita, che gridano e sostengono la speranza. A Pennabilli vivremo il Venerdì Bello e a Monte Cerignone la Marcia missionaria di solidarietà: la nostra Chiesa sente la sua fraternità con le Chiese più povere; in particolare, quest’anno, si è deciso di aiutare, con le nostre penitenze e i nostri sacrifici, la Diocesi di Bondo, che vorrebbe costruire un Seminario per i suoi seminaristi. Ogni parrocchia, poi, organizza catechesi, preghiere, Vie Crucis. Infine, la notte fra il 30 e il 31 marzo, la Veglia pasquale, il punto d’arrivo. È il momento in cui i cristiani rinnovano il Battesimo e decidono di essere cristiani. Tutta la Quaresima non è altro che preparazione alla Veglia pasquale. Stiamo facendo molta fatica, dopo più di cinquant’anni, a far passare l’importanza della Veglia, la notte più bella dell’anno liturgico, di cui la Chiesa vive. Noi ci saremo!

Omelia nella VI domenica del Tempo Ordinario

San Marino Città (RSM), 11 febbraio 2024

XXXII Giornata Mondiale del Malato

Lv 13,1-2.45-46
Sal 31
1Cor 10,31-11,1
Mc 1,40-45

Questa pagina di Vangelo è una pagina pasquale. Si potrebbe dire che tutto il Vangelo è pasquale, però questo brano è speciale, perché è speciale la malattia di cui Gesù si prende cura. Un lebbroso è uno che ha la morte nel corpo. Nell’antichità la lebbra era l’emblema della maledizione (cfr. Lev 13,1-2). Oltre la malattia, il lebbroso si porta dietro uno stigma: «Sei un maledetto!». Le persone vedono nella decomposizione del corpo quello che succede nell’anima: il peccato fa nel cuore ciò che la lebbra fa nel corpo. Qualcuno pensa che quello che gli succede sia il risultato del suo peccato. Il lebbroso sente la reazione dell’altro, una reazione di fastidio, di rigetto, di disagio forte. Il lebbroso è un fallimento fatto persona: questa la mentalità dell’epoca. Oggi, invece, la lebbra si cura. Un santo, padre Damiano De Veuster, missionario nelle isole Hawaii, accettò di abitare in una piccola isola in cui erano relegati i lebbrosi. Visse con loro per dieci anni, ridimensionando l’opinione che fosse una malattia così tanto contagiosa, ma soprattutto permise di avviare sperimentazioni e cure. Il lebbroso, al tempo di Gesù, è un uomo isolato, la quint’essenza della non relazione: non può vivere relazioni, perché ogni relazione deve passare sotto un giudizio severo, negativo, da parte degli altri. «Tu emani cattivo odore», gli dicono. Questa frase venne rivolta a Gesù quando volle salire al sepolcro dell’amico Lazzaro: «Non andare, Signore, già manda cattivo odore» (cfr. Gv 11,39). Il lebbroso già emanava un odore sgradevole, ma più sgradevole è avere davanti agli occhi ciò che ci è più ripugnante: fare questa fine. Il lebbroso mette davanti la morte, perché è un morto che cammina. Così la cultura antica.

Perché questa pagina di Vangelo è una lettura pasquale? L’evangelista Marco propone l’episodio come una guarigione emblematica. Il corpo, dentro la tomba, finisce proprio così, come il corpo di un lebbroso. Marco è di un realismo e di una crudezza assolute, perché mostra che la fede cristiana non è l’insegnamento di una regola del buon vivere, ma qualcosa di ben più grande. Il Vangelo dice che la tua vita non può finire così. Il Vangelo, di fronte alla tragedia mortale del lebbroso, dice “no”: il tuo corpo risorgerà. Non diciamo, come i sapienti di Atene quando san Paolo fece l’annuncio della risurrezione, della vita per sempre, del paradiso, che più corrisponde all’implorazione del nostro cuore. «T’ascolteremo un’altra volta su queste cose» (cfr. At 17,33), gli avevan detto. Proclamazione di totale scetticismo. Questo è l’annuncio che la Chiesa deve fare oggi. Va benissimo il nostro impegno – lo dico agli amici dell’USTAL-UNITALSI, qui presenti, che si dedicano al volontariato e fanno visita agli ammalati –, ma non dimentichiamo che l’essenziale è l’annuncio della risurrezione.

L’incontro di Gesù con il lebbroso è come l’incontro finale che avremo con il Signore Gesù. Ogni episodio del Vangelo di Marco, ce lo dicono gli esegeti, in realtà è un incontro col Risorto. È un Vangelo brevissimo, appena 16 capitoli, e si chiude senza finale (finisce con l’avverbio greco “car” che si può tradurre con “perché?”). Poi, è stata scritta una breve aggiunta canonica, ma, di per sé, il Vangelo termina con le due discepole che vanno alla tomba di Gesù, constatano che è vuota, e accolgono l’annuncio evangelico: «Andate in Galilea, là lo incontrerete» (cfr. Mc 16,1-8). È un detto di tipo simbolico. È come se Marco riavvolgesse le vicende della vita di Gesù e le leggesse dal punto di vista della risurrezione; l’incontro del lebbroso con Gesù è l’incontro di un malato con Gesù Risorto, un “ritorno al futuro”. Per questo il brano è fondamentalmente pasquale e viene promesso il recupero della nostra corporeità. La pienezza della persona, anima e corpo, sarà avvolta dalla vita e dalla gloria della risurrezione. I Padri della Chiesa dicevano: «Il punto di arrivo della salvezza è la salvezza del corpo». La promessa è del corpo. Gesù non si sottrae al farsi avanti di questo lebbroso; la lebbra non impedisce a Gesù di lasciarsi toccare, anzi il Vangelo dice che Gesù provò dentro di lui una sorta di compassione: viene usato un verbo greco che indica un movimento viscerale, come quello che avviene nel grembo materno. Gesù, in quel momento, vibra come una madre che sta per dare la vita. Tocca il lebbroso: c’è il contatto fisico. Questo era vietato non solo per motivi igienico-sanitari, ma per anche per motivi religiosi: si contraeva impurità rituale. Gesù lo sa. Prende su di sé la malattia, l’impurità: diventa lui impuro.

Alla fine del brano viene detto che Gesù non entrava più in città, ma abitava in luoghi deserti. Il motivo, di per sé, è che non vuole passare per un guaritore. Lui è il Salvatore: un conto è guarire, un conto salvare. Se guarisce è per dimostrare che può salvare, che può dare senso a tutto. Marco allude al farsi lebbroso di Gesù: d’ora in poi non entra più in città, anche lui ora va in luoghi deserti.
Il lebbroso viene inviato al tempio, dove i sacerdoti hanno l’incarico di verificare se veramente la malattia è superata (un po’ come, durante il Covid, si veniva mandati a fare il tampone…). Non si andava a mani vuote, occorreva portare una vittima sacrificale. Questo “salvato” non va al tempio, ma grida la bella notizia della guarigione. Prima del culto, sembra dirci l’evangelista, c’è la testimonianza: «Io, l’escluso, il maledetto, colui che manda cattivo odore, l’inavvicinabile, ora sono salvato…. C’è stato uno che si è avvicinato, si è preso cura di me, non ha provato ribrezzo, mi ha toccato». Questo è il kerygma: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita dei discepoli che hanno incontrato Gesù» (EG 1). Gesù ti salva.

E l’offerta sacrificale? L’offerta sacrificale c’è già: è Gesù. In effetti, sta incominciando la crisi nel rapporto di Gesù con i capi del popolo; si profila la crocifissione. Lui è la vittima. Dirà san Paolo: «Lui si è fatto peccato al posto nostro per darci la vita» (cfr. 2Cor 5,21). Il lettore del Vangelo di Marco può dire: «Il lebbroso sono io che sono stato salvato».
Domandiamoci: quali sono le mie lebbra? Che cos’è che mi tiene fuori dalla relazione? Forse il mio carattere, forse un errore che ho commesso, forse il partire sempre da me, dal mio punto di vista… Questo mi fa stare lontano dagli altri. Lasciamoci toccare da Gesù che è l’unico capace di non abbandonarci mai. Questo cambia la nostra vita. Così sia.