Sinodalità allo s(nodo) della Forma Ecclesiae

Siamo lieti di segnalarVi che tra le proposte formative in programma nel presente Anno Accademico presso l’ISSR “A. Marvelli”, è previsto lo svolgimento di un ciclo monografico di lezioni sul tema Sinodalità allo s(nodo) della Forma Ecclesiae, tenute dal Prof. Filippo Gridelli OFM Cap.

Le lezioni partiranno lunedì 27 febbraio alle ore 20.45, e si svolgeranno on-line sulla piattaforma Cisco Webex Meetings con cadenza settimanale. Dopo la lezione iniziale, le altre si svolgeranno nelle seguenti date: 6-13-20-27 marzo e 2-8-15-22-29 maggio (per le lezioni di maggio ci sarà anche la possibilità di partecipare in presenza).

Il corso prevede in totale 24 ore di lezione, e rilascerà agli studenti che lo frequenteranno 3 crediti formativi (ects).

Il corso è aperto sia agli studenti già iscritti all’ISSR sia ad ospiti esterni.

Programma del corso:

Il corso intende presentare un affondo teologico sulla forma della Chiesa nel contemporaneo, in stretto rapporto col cammino sinodale, ed è proposto dal prof. Filippo Gridelli, OFM Cap., che inquadrerà il processo sinodale in atto, frutto maturo dell’evento sinodale-pastorale Concilio Vaticano II, a partire dalla tensione generativa innescata con la sua esigenza più radicale: la riforma della Chiesa. La riflessione e soprattutto la pratica sinodale, pur nelle sue inevitabili fatiche, lentezze ed incognite invoca una incidenza sulla forma della Chiesa a diversi livelli: giuridici, ministeriali, pastorali. Ben conoscendo la complessità della questione nasce una prima domanda: che significa evocare la forma/riforma? Il corso parte da una ricognizione di questa categoria nelle sue molteplici accezioni, soffermandosi in particolare sulle virtualità ermeneutiche dagli sviluppi contemporanei della forma in ambito estetico, filosofico, linguistico. Il passaggio successivo sarà una rapida indagine su come la categoria è stata recepita in teologia, in ambito dogmatico, liturgico ed in particolare ecclesiologico. Nell’ultimo segmento il tentativo sarà quello di rileggere l’abbozzo ecclesiologico di alcuni teologi contemporanei in connessione alle categorie di “forma” relazionali, processuali e osmotiche, e suggerendone virtualità pratiche per la maturazione di una forma Ecclesiae sinodale al vaglio del cambiamento d’epoca in atto.

Filippo Gridelli

Dopo la Laurea magistrale in Beni culturali, ha conseguito il Baccalaureato all’Antonianum di Bologna, la Licenza e il Dottorato in Teologia Fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana, con una tesi su Forma Ecclesiae e Forma della vita religiosa. Alla ricerca di una relazione sotto il principio di pastoralità di Vaticano II, allo stesso tema ha dedicato anche studi e articoli. Ha collaborato con il Centro Fede e Cultura Hurtado, presso la Pontificia Università Gregoriana, e insegnato Teologia Fondamentale all’Istituto Teologico Laurentianum, nella sede di Milano.

Il corso si rivolge in modo particolare a coloro che svolgono attività pastorale o educativa, laici e presbiteri, ma non avrà un taglio specialistico, sarà pertanto fruibile anche da chi non abbia una formazione teologica, in quanto il linguaggio utilizzato sarà accessibile a tutti.

Il percorso avrà un costo di 50 euro per gli studenti ospiti esterni, mentre per gli studenti già iscritti all’ISSR sarà gratuito. A tutti è comunque richiesta un’iscrizione da effettuare in segreteria entro il 24 febbraio.

Per informazioni e iscrizioni contattare la Segreteria dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli”, Rimini – Via Covignano 265; Tel. e fax 0541-751367; sito: www.isssrmarvelli.it; e-mail: segreteria@isrmarvelli.it.

Omelia nella Solennità del Mercoledì delle Ceneri

Pennabilli (RN), 22 febbraio 2023

Gl 2,12-18
Sal 50
2Cor 5,20-6,2
Mt 6,1-6.16-18

Nell’ingresso in Quaresima Gesù ci invita alla preghiera, al digiuno e alla condivisione (preferisco il termine condivisione perché elemosina dà l’idea dello spicciolo che si dà ad un passante): tre atteggiamenti necessari che il Signore domanda esplicitamente per scuotere il nostro cuore e per sollevarci dalla nostra mediocrità.
C’è una condizione che torna come un ritornello: fare nel segreto. Il segreto è l’intimo del cuore, il luogo dove il Padre ha stabilito la sua dimora e dove noi possiamo incontrarlo. Nel segreto cadono le maschere, siamo finalmente noi stessi, nella verità del nostro essere. Il segreto, poi, è la garanzia della gratuità di quello che facciamo, del nostro fare sul serio. Dunque, non ci sarà nessun vantaggio, nessun guadagno per l’immagine che gli altri possono essersi fatti di noi: siamo quello che siamo, non importano i complimenti e neppure il vestito, il copricapo… L’essere nel segreto non esclude l’essere in comunione con gli altri. È qui che il Padre ci attende per consegnarci ai nostri fratelli.
Dei tre atteggiamenti necessari – preghiera, digiuno e condivisione – questa sera preferisco dire una parola sul digiuno: «Quando digiunate non assumete un’aria melanconica come gli ipocriti». Nel Salmo 50 c’è una frase che ha molta pertinenza con la Quaresima: «Rendimi la gioia di essere salvato» (cfr. Sal 50,14). Per questo la Quaresima non è un tempo triste!
Il digiuno fa bene al nostro corpo, al nostro spirito e al nostro rapporto con il Signore. La pratica del digiuno si trova in tutte le tradizioni religiose (ad esempio nel ramadan dei musulmani, nella regola dei monaci buddisti, nella prassi dell’ebraismo in occasione di diverse feste, tra i cristiani in Quaresima e non solo…) e si ritrovano diversi esempi nell’Antico e nel Nuovo Testamento: ad esempio quando Neemia, dopo il rientro dalla cattività babilonese, convoca tutto il popolo e proclama un giorno di grande digiuno, oppure quando la principessa Ester invita i giudei a digiunare insieme ai suoi servi o quando san Paolo prega per gli anziani inviati alle nuove comunità che sono state fondate. Nell’antichità il cibo scarseggiava, tuttavia si digiunava. Invece oggi il digiuno non trova una grande accoglienza; è una pratica desueta, perché sinonimo di mortificazione e di austerità. I parroci più fervorosi invitano tutt’al più ad altre forme di moderazione, indicano altre forme di penitenza (es. la rinuncia alla tv). Allora perché digiunare?

  1. Il credente digiunando coinvolge l’intero suo corpo. È un modo concreto di spendersi: la nostra fede non è disincarnata. Quando Gesù ci chiede di camminare con lui chiede di investire non soltanto l’anima, ma anche la nostra corporeità: muovere dei passi con lui, mettere in azione dei muscoli… Non si può avere una visione soltanto intellettualistica della fede. Possiamo dire che il digiuno è la più incarnata delle preghiere.
  2. Digiunare è un mezzo per partecipare a quello che vivono tanti poveri che sono nel mondo. I poveri mancano del minimo per vivere, mentre noi – nonostante anche qui ci siano difficoltà – facciamo parte della società del benessere. Fare una rinuncia, fare un digiuno è un piccolo passo verso gli altri che sono in difficoltà.

Attenzione, non si deve fare il digiuno quasi come una forma di scambio con il Signore: «Io digiuno e tu fai quello che io ti chiedo». Non si compra Dio! Non è detto che perché digiuni Dio manderà magicamente un pasto caldo a quella famiglia che tribola nell’inverno dell’Ucraina. Se digiuno è per pensare a Dio, per essere unito ai poveri, allora il digiuno è una preghiera.

  1. Il digiuno ci segna profondamente. Non mangiare lascia un vuoto concreto, metafora di un vuoto più profondo che dobbiamo riconoscere dentro di noi, un bisogno da colmare: «Non di solo pane vive l’uomo». Digiunare è come aprire una porta, creare uno spazio di disponibilità. Quando si fa una bella cena, un bell’incontro conviviale, più del buon cibo e del buon vino si dice che si fa famiglia. Si può fare famiglia anche con il digiuno.

Ma che ne pensa del nostro digiuno chi ha fame? Che beneficio ricava dal nostro digiuno?
Daremmo volentieri metà del nostro pranzo per chi ha fame, ma non lo possiamo spedire a chi ne ha bisogno. Allora a cosa serve digiunare? Digiunare in due è ancora peggio…
In certi periodi in famiglia si raccoglieva l’equivalente della cena e lo si consegnava in chiesa. Mio papà diceva: «Ti do i soldi per una cena, ma io ceno!». Digiunare ci lega veramente con chi soffre. La sofferenza dell’altro non ci sarà mai completamente accessibile, non la sentiremo totalmente su di noi. Tuttavia, digiunare vuol dire stare un po’ accanto ed esprime la misura della nostra capacità di fraternità. Vedendoci incapaci di risolvere il problema proviamo dispiacere, ma ci fa bene, ci rende umili. Non abbiamo altra risorsa che questa. Il digiuno produce questo effetto: non ci sentiamo più la persona che dall’alto si china benevolmente per offrire qualcosa: diventiamo compartecipi. Non ci resta che pregare e sperare.
Se la pratica del digiuno ci avvicina a Dio è perché, in fondo, è un atto di fede. Anche quando non vediamo gli effetti. Noi credenti sappiamo che il nostro digiuno non è mai un ricatto, come certi digiuni esibiti: «Mi lascio morire di fame davanti a te, perché non ho altra arma umana per ottenere ciò che voglio». No, il nostro digiuno è un atto di fede.
Crediamo anche alla dimensione soprannaturale che ci lega, il Corpo Mistico: «Quando un membro soffre, tutto il corpo partecipa di questa sofferenza» (cfr. 1Cor 12,26-27).
Inoltre, il digiuno lo si pratica in vista di un cammino che vogliamo fare dietro a Gesù per rispondere alla sua chiamata, per essere in comunione.
Avevo aperto la riflessione dicendo: «Perché digiunare?». La concludo dicendo: «Per chi digiunare?». Il profeta Zaccaria, rimproverando il popolo, scriveva: «Quando avete fatto digiuni e lamenti lo facevate per me?» (cfr. Zac 7,5). Vorrei che questa sera tutti dicessero: «Signore, vogliamo fare digiuno per te, perché vogliamo sentire la fraternità come la senti tu!».

Omelia nella S.Messa esequiale per il signor Tonino Giorgetti

Valdragone (RSM), Santuario del Cuore Immacolato di Maria, 21 febbraio 2023

Sir 2,1-13
Sal 36
Mt 25,31-46

La Prima Lettura dal Libro del Siracide presenta il ritratto del saggio secondo l’Antico Testamento. Vengono evidenziate tre caratteristiche: il saggio è intraprendente, si fida del Signore, ascolta. Ma il giusto viene anche provato: «Sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore». Il saggio, nella prova, si abbandona al Signore e non smette mai di coltivare l’amicizia con il Signore. Poi il brano si conclude così: «Si è mai sentito dire che un uomo così sia abbandonato da Dio?», domanda ripetuta tre volte.
Ora mi accingo a tuffarmi nel brano evangelico. Mi sembra che Tonino, questa sera, ci faccia un grande dono, dicendo a ciascuno di noi: «Non guardate me, guardate il Signore!».
Faccio notare, innanzitutto, che c’è uno stupefacente contrasto fra la grande scenografia del Giudizio finale e la semplicità delle domande che il Signore fa: «Avevo fame, mi hai dato da mangiare? Avevo sete, mi hai dato da bere?». Siamo di fronte all’esame più facile e più difficile che ci sia: facile perché, fin d’ora, ci viene dato l’elenco delle domande; difficile perché quell’esame costituisce la verifica sul nostro modo di pensare l’esistenza: lo svelamento della verità ultima del vivere, rivelazione di ciò che rimane quando non rimane più niente: l’amore.
Questa pagina di Vangelo risponde alla più seria delle domande: «Che cos’hai fatto di tuo fratello?». Il Signore elenca sei “opere”, ma poi sconfina: «Tutto ciò che avete fatto ad uno dei miei fratelli, l’avete fatto a me». Gesù Cristo stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini da arrivare a identificarsi con loro: «L’avete fatto a me!».

Sottolineo tre passaggi.

  1. Dio ci appare come colui che tende la mano: «Avevo fame, avevo sete, ero malato, ero nudo…». È come se a Dio mancasse qualcosa. Questa rivelazione – un Dio che chiede, che tende la mano – capovolge ogni idea sul divino che talvolta abbiamo. C’è da innamorarsi di un Dio così, mendicante di pane e di casa, che non cerca venerazione per sé, ma per i suoi amati. Li vuole tutti saziati, dissetati, vestiti, guariti, visitati, liberati: queste le risposte alle sei domande dell’esame. Davanti a questo Dio c’è da incantarsi. Vogliamo accoglierlo ed entrare nel suo mondo insieme a Tonino.
  2. L’argomento del giudizio non è il male, ma il bene. La misura dell’uomo e del mondo non è il negativo, l’ombra, ma il positivo, la luce. La bilancia di Dio non è tarata sui peccati, ma sulla bontà; verità dell’uomo non sono le sue debolezze, ma la bellezza del cuore.
  3. «Alla sera della vita saremo giudicati solo sull’amore (san Giovanni della Croce), non su devozioni o riti, pur importanti, ma sul nostro farci carico del dolore dell’altro. Il Signore non guarderà a me staccato dal mio contesto, ma accoglierà nel suo sguardo la realtà che ho attorno, comprese le persone di cui mi sono preso cura.

«Se mi chiudo nel mio io, pur adorno di tutte le virtù, e non partecipo all’esistenza degli altri, se non sono sensibile e non mi impegno, posso anche essere privo di peccati, ma vivo in una situazione di peccato» (E. Ronchi).
In questa pagina di Vangelo il Signore non ci appare come un bonaccione che caccia dentro al suo Regno tutti con una pacca sulla spalla e non è neanche un professore sessantottino che promuove tutti con il sei politico. La scena del Giudizio finale ci fa capire che il Signore prende sul serio le nostre azioni. Per lui non siamo marionette tenute dai fili di un grande burattinaio, ma siamo figli responsabili, chiamati a far fruttare le qualità che ci ha dato, qualità con cui possiamo far crescere la sua famiglia, perché costruiamo il cantiere che è la comunità, espressione della comunione effusa dallo Spirito. Rinnoviamo tutti l’impegno di essere costruttori di comunità: messaggio che ci rilancia Tonino.

Esercizi Spirituali AC adulti

Cura e Tutela: Vademecum per la Diocesi

Ci sono strumenti e sussidi più qualificati, completi e adeguati per quanto riguarda la cura e la tutela dei minori e delle persone vulnerabili. Perché allora questa brossura diocesana sull’argomento?
Molti hanno chiesto un Vademecum più agile, diretto, pratico e ugualmente serio. Eccolo! Persino con una grafica accattivante. Mi propongo di presentarlo anche con l’intento di valorizzare il lavoro che sta svolgendo il Servizio Diocesano Tutela Minori, un lavoro prezioso quanto discreto.
Chiedo che questa pubblicazione sia a disposizione di ogni educatore, catechista, responsabile di gruppo o di associazione; vorrei trovasse posto nella loro “cassetta degli attrezzi”. Confido nella collaborazione dei parroci per una distribuzione capillare.
L’iniziativa dice l’attenzione premurosa verso il mondo dei bambini e dei ragazzi. I casi problematici e criminali (ahimè succedono) non possono e non devono rallentare o bloccare la gioia per la missione educativa tra i piccoli. L’obiettivo è anzitutto prevenire.
Il presente Vademecum è stato pensato, progettato e scritto come sussidio per un adeguato servizio di prevenzione e di educazione. Un primo frutto del Vademecum è che potrebbe essere traccia per l’avvio di momenti di confronto, studio e riflessione su cura e tutela dei minori: uno strumento utile per la comunità cristiana e indispensabile per i Consigli Pastorali.
Mi sia consentito un breve richiamo a quanto ho detto nella “Veglia di preghiera per le vittime e ai sopravvissuti agli abusi”. Sono parole che possono aiutare ad affrontare la sofferenza di chi è stato vittima e di chi patisce per gli scandali a causa di comportamenti cattivi o impropri specialmente nei nostri contesti, comportamenti che purtroppo investono tutta la società. «Parlare e pregare attorno a questo tema può toccare punti fragili della nostra vita, rendendoci pensierosi, preoccupati e magari silenziosi. Come comunità cristiana potremmo correre il rischio di chiuderci in una posizione di autodifesa oppure cadere nella tentazione di parlare o pensare a situazioni o persone in modo non appropriato. Succede di sentirsi traditi, confusi, feriti, arrabbiati… “Quando uno scandalo scoppia nella Chiesa – mi diceva un caro amico e collega – quello scandalo è come un parafulmine: attira tutto il negativo che la gente sente verso la Chiesa”. Tante ferite, presenti e del passato, anche se non hanno niente a che fare con la pedofilia, vengono fuori. Allora vi invito – lo faremo anche con un gesto simbolico – a guardare Gesù Crocifisso: ha assunto tutto il negativo, il tradimento, le situazioni impossibili, l’assenza di aiuto… consumando tutto in sé nell’amore, e così ha trasformato tutto in amore. Egli si è fatto piaga per risanare tutte le piaghe. Accettiamo di essere a nostra volta “parafulmini”, lasciando che il negativo ci colpisca, che la sofferenza di chi è stato vittima gravi su di noi, e poi consegniamo tutto, come ha fatto Gesù, nelle mani di Dio Padre, credendo al suo amore: la preghiera di stasera – lungi dall’essere un comodo rifugio o un artificio consolatorio – ci aiuti a dare un nome ai tanti dolori e a guardarli con verità e maturità, a partire da quelli legati agli abusi sessuali, ma non solo. Creiamo lo spazio dove lo Spirito Santo possa agire in modo profondo nel cuore di ognuno» (cfr. Omelia nella Veglia di preghiera per le vittime, 18.11.2022). La Chiesa Cattolica ha avviato un radicale movimento di purificazione, di riparazione e di nuove prassi, soprattutto per quanto riguarda gli abusatori che, per il mandato che è stato loro conferito, sono incoerenti e, coi fatti, smentiscono le loro scelte etiche e di fede. Anche un solo caso sarebbe un crimine gravissimo. Credo si debba dare atto di questo impegno di cura e prevenzione, profuso soprattutto per il bene che vogliamo ai più piccoli e ai più indifesi.

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Scarica il Vademecum

Omelia nella S.Messa per la Giornata del Malato

San Marino Città (RSM), chiesa dei Santi Pietro, Marino e Leone, 11 febbraio 2023

Is 53, 1-5.7-10
Sal 102
Lc 1, 39-56

La liturgia della Parola ci presenta, nella Prima Lettura, il cosiddetto “Carme del Servo Sofferente” e il Vangelo della Visitazione di Maria ad Elisabetta, con il cantico del Magnificat: ambedue i testi parlano di Gesù. Il Servo Sofferente che prende su di sé il peccato dell’umanità, che redime con la sua sofferenza e diventa luce per le genti è il medesimo che Giovanni Battista, dal grembo di Elisabetta, sua mamma, già riconosce e saluta danzando. La Visitazione di Maria, in fondo, è una visitazione del Signore: Maria è l’arca che lo porta. Ognuno di noi oggi è qui per consegnare alla Madre la sofferenza, il dolore, la sua lotta personale e quella di tanti altri, ma viene invitato, sommessamente, dalla liturgia ad uscire da sé, ad alzare lo sguardo, a contemplare il Signore. Succede a tutti di ripiegarsi su di sé, soprattutto quando si è sotto un peso che schiaccia. Ci si lamenta, non si trattengono le lacrime. Ci dobbiamo aiutare, in questo momento, almeno per un attimo, a volgere uno sguardo d’amore, di riconoscenza, di compassione a «colui che hanno trafitto» (cfr. Gv 19,37), Gesù.
Mi hanno raccontato che padre Pio da Pietrelcina, quando ha ricevuto le stigmate, piangeva non per sé, per il male che sentiva, ma per il pensiero di quanto Gesù aveva sofferto. Aiutiamoci a non piangere su noi stessi, almeno per un momento, ma sul Signore, e in particolare sul suo Corpo Mistico che è l’umanità: Lui è il capo, noi umani le membra, membra che soffrono (ricordiamo le vittime e i sopravvissuti al terremoto… Ma di terremoti ce ne sono di tutti i tipi).

Chi è, dunque, il servo misterioso di cui parla il profeta Isaia? Alcuni ritengono che il profeta parli di se stesso; qualcuno pensa sia un’allusione al popolo di Israele, sempre umiliato, percosso, esiliato; qualcun altro pensa sia figura di ogni uomo che si mantiene fedele al bene e alla libertà, a costo della sofferenza, a costo di pagare di persona (in questo momento storico un popolo intero, l’Ucraina, sta difendendo la sua indipendenza). Questo carme, superando i confini dello spazio e del tempo, preannuncia misteriosamente Gesù, il vero Servo del Signore, prediletto dal Padre, Salvatore del mondo attraverso l’offerta della propria vita, poi glorificato da Dio e divenuto luce degli uomini. Gli evangelisti, e poi la tradizione cristiana, hanno sempre dato questa interpretazione. In effetti sembra che questa pagina profetica sia in anteprima il racconto della Passione. Il servo svolge la sua missione con dolcezza e con fermezza di fronte alla sofferenza, agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo e accetta la sofferenza ingiusta, l’accetta in silenzio, senza difendersi, senza chiedere la punizione dei nemici. Dopo la risurrezione la Chiesa ha continuato a rendere presente nel mondo il mistero salvifico di Gesù: «Dalle sue piaghe siamo stati risanati», «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto…».
Il discorso qui si sposta un po’. Ogni cristiano può essere servo del Signore, può continuare a rendere presente ciò che Gesù ha già realizzato, perché, in forza del Battesimo, è unito a Cristo, è una cosa sola con Lui e, come Lui – se accetta – diventa membra della redenzione. Ogni dolore fisico, spirituale, morale, ogni fragilità possono essere offerti per amore.
C’è un ministero della sofferenza, prima o poi per tutti, che viene riconosciuto e consacrato da un sacramento specifico che è l’Unzione degli infermi.
Il cristiano prolunga il ministero del Servo sofferente facendosi carico anche, con la parola e con le opere, delle sofferenze dei fratelli. Dobbiamo allargare l’orizzonte e considerare come servi del Signore coloro che portano la croce che dal mondo viene messa sulle loro spalle. Penso alla fatica e all’impegno quotidiano di chi cerca la pace, la giustizia, di chi si spende per gli altri. Anche questa ministerialità viene riconosciuta e santificata dall’unzione-sacramento, quella della Cresima.
Dice papa Francesco parlando della globalizzazione dell’indifferenza: «Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile». «La malattia fa parte dell’esperienza umana»: prima o poi tutti passiamo attraverso questa strada. Ma essa può diventare disumana. È umana perché di tutti gli umani, ma è disumana «quando è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono». Eppure, attraverso l’esperienza della fragilità e della malattia, possiamo imparare a camminare insieme con lo stile di Gesù.
Ho imparato molto da mio fratello missionario, padre Silvio: era paraplegico, è stato più di cinquant’anni su una sedia a rotelle. Quando era ora di partire per tornare in Africa – veniva a casa ogni tre anni – andava da solo. I nostri genitori erano preoccupati, ma lui li rassicurava dicendo che, quando arrivava all’aeroporto, vedendolo su una carrozzina andavano a gara per aiutarlo. Di fronte alla sofferenza gli altri tirano fuori il meglio: l’amore che hanno dentro. L’esperienza della fragilità e della malattia è disumana, soprattutto quando vissuta nell’abbandono e nella solitudine, ma può essere la molla per farci riscoprire la fraternità. Nel suo Messaggio per la XXXI Giornata Mondiale del Malato il Papa ci ha affidato l’icona del buon samaritano. Sottolineo un particolare: il buon samaritano, all’inizio del brano, fa esercizio di fraternità e di cura a tu per tu, ma poi la cura si allarga ad una cura organizzata. C’è il pericolo che un certo tipo di pensiero di cultura e di filosofia, non faccia riferimento a criteri sicuri per la scelta dei valori più importanti nella pratica sanitaria e nella politica sanitaria. Che cos’è assolutamente dovuto alla persona malata? Il rischio è di rispondere: «Ciò che i bilanci preventivi consentono». Questa risposta ha una parte di verità, ma, se diventa l’unica, insidia la cultura del primato della persona. Oggi è più che mai necessario un supplemento di sapienza, di saggezza, che sappia vedere chiaramente qual è il bene intangibile della persona e individuare quanto ne debba essere assicurato. Impariamo dal Signore ad essere una comunità che cammina insieme, capace di non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto.
Mi metto, ora, davanti al Vangelo della Visitazione: Maria si mette in viaggio verso la montagna, raggiunge in fretta la casa di Elisabetta, che è anziana e gravida al sesto mese. La visita di Maria alla grande casa che è la Chiesa e alle nostre case è attualità, come lo è stato a Lourdes per prendersi cura di noi peccatori, «adesso e nell’ora della nostra morte». Così sia.

Colonia montana “San Marino”

Quaresima missionaria

È consuetudine in Diocesi concretizzare le proposte della Quaresima – preghiera, digiuno ed elemosina – indicando un obiettivo concreto, possibile, coinvolgente singoli e comunità. Ufficio missionario e Caritas hanno scelto di concorrere alla costruzione di una scuola nella Repubblica Democratica del Congo, precisamente nella Diocesi di Isiro-Niangara, di cui è originario il nostro don Jean-Florent Angolafale (amministratore parrocchiale di Talamello, unità pastorale di Novafeltria).
Abbiamo ancora negli occhi e nel cuore le immagini della recente visita pastorale di papa Francesco in terra d’Africa. Le necessità sono tante, ma l’opera più urgente è la formazione: preparare “uomini nuovi” per un’Africa sempre più protagonista.

Scarica il dépliant illustrativo del progetto

“Appuntamento a Pasqua”: pomeriggio di spiritualità unitario

Chi l’ha detto che la Quaresima debba essere un tempo lugubre e amaro? Il canto che ritorna di frequente in questi quaranta giorni – il Salmo 50 – suggerisce il contrario: «Signore, rendimi la gioia di essere salvato». Dunque, un’attesa di gioia! La gioia è una dimensione della Quaresima; nel suo svolgimento il credente sperimenterà la gioia di sentirsi amato da Dio e la gioia di essere salvato da Cristo: è il mistero della Pasqua.

Si parte dal mercoledì delle Ceneri (22 febbraio) per puntare decisamente alla Veglia pasquale (la notte fra l’8 e il 9 aprile). “Quaresima e gioia” è una combinata che sembra rimbalzare sullo sfondo della primavera che trionfa sull’inverno. C’è un versetto del Cantico dei Cantici che risuona nella liturgia con l’armonia di un flauto dolce, è l’invito alla gioia di un innamorato: «L’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato…» (Cant 2,11).

Da qualche anno, gruppi, associazioni, movimenti hanno deciso di entrare insieme in Quaresima (come già per l’Avvento): una mezza giornata di intensa spiritualità, aperta a tutti. I vantaggi sono evidenti: superamento di una certa frammentarietà, maggiore ricchezza di stimoli, più ampia disponibilità di risorse.
L’iniziativa vuole essere un segno di come l’Anno Liturgico debba essere affrontato e percorso non individualisticamente dal singolo cristiano, quanto dalla comunità intera che vi si impegna e vi si esprime. In effetti, la proposta fatta dagli Uffici Pastorali diocesani rende più tangibile questo principio. La Quaresima non è un tempo privato, ma pubblico, senza nulla togliere al coinvolgimento e all’impegno personale. Come tale, comporta un programma, una successione di domeniche, organizzate secondo una coerenza complessiva.

Domenica 26 febbraio è la prima tappa dell’itinerario orientato alla Pasqua, centro dell’Anno Liturgico. Il pomeriggio verrà aperto e concluso dal Vescovo Andrea. A suggerire i temi di riflessione sarà mons. Francesco Lambiasi, vescovo emerito di Rimini, particolarmente apprezzato e amato, che aiuterà i partecipanti a sviluppare le tappe del percorso (ciclo annuale A).

L’itinerario della Quaresima nel ciclo liturgico dell’anno A

È un itinerario fortemente caratterizzato dalla tematica battesimale e costituisce la traccia per il catecumenato.
I quaranta giorni della Quaresima sono un tempo di particolare grazia e di forte esperienza ecclesiale: non si va da soli, ma si avanza “in cordata”.
La preghiera, il digiuno, la condivisione, l’intercessione dei santi e della Madonna, uniti alla grazia di Cristo, sono un tesoro a cui tutti possono attingere, un camminare “a corpo”.
Quest’anno la Quaresima missionaria propone di convogliare l’elemosina nel progetto “Scuola Murupi”: si partecipa alla costruzione di una scuola elementare nella Repubblica Democratica del Congo (diocesi di Isiro-Niangara).

La prima tappa pone il catecumeno di fronte all’esperienza drammatica delle tentazioni di Gesù nel deserto. Egli condivide con gli uomini l’asperità del cammino verso la libertà. Insegnamento necessario per chi muove i primi passi.
La seconda tappa si apre con uno squarcio di futuro e di speranza: la Trasfigurazione. I discepoli possono guardare con audacia la meta della loro trasfigurazione per mezzo del Battesimo. Intanto possono trasformare la realtà in cui sono immersi con l’amore che dà senso a tutte le cose.
La terza tappa presenta Gesù che chiede e offre acqua da bere alla donna samaritana: è un’acqua viva capace di colmare i desideri più profondi del cuore.
La quarta tappa vede in Gesù colui che dona la vista ad un cieco dalla nascita. Come nelle tappe precedenti, è anticipata la realtà del Battesimo, considerato come esperienza di purificazione e di luce.
L’ultima tappa prima della Settimana Santa ripropone il segno della risurrezione dell’amico Lazzaro, promessa di una pienezza di vita: la vita nuova in Cristo.

Quaranta giorni speciali! Giorni di cammino, di gioia e di speranza, come i quaranta giorni di Mosè sul monte; come i quaranta giorni di cammino del profeta Elia verso l’Oreb, come i quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto…
Tutta la Chiesa si mette sulle orme del suo Maestro e avanza. La meta? Per i catecumeni il Battesimo; per i fedeli la rinnovazione delle promesse battesimali; per tutti «l’unica cosa necessaria» (cf. Lc 10,45): in Quaresima si cammina e si sta! Si sta seduti ai piedi di Cristo per ascoltare la sua Parola; si cammina fuori da se stessi e dal proprio peccato.

Scarica la lettera del Vescovo Andrea 

Terremoto: sempre più drammatica la situazione in Turchia e Siria

La Caritas Diocesana di San Marino-Montefeltro, in contatto con Caritas Italiana, segue gli sviluppi del catastrofico terremoto che ha colpito il sud-est della Turchia ed il nord della Siria. Le necessità umanitarie sono enormi. “Manca acqua potabile, elettricità, le vie di comunicazione sono interrotte”: queste le parole del Vescovo Paolo Bizzeti, Vicario apostolico dell’Anatolia e Presidente della Caritas in Turchia.

In tutta l’area colpita dal sisma le condizioni meteo, con neve e temperature sotto lo zero, rendono i soccorsi più complicati.

In Turchia la Caritas, in coordinamento con le autorità locali, sta accogliendo gli sfollati in luoghi sicuri all’aperto. Ha già distribuito 400 coperte e 100 pasti caldi per le persone sfollate a Iskenderun. Presso l’episcopio sono stati messi a disposizione spazi all’aperto che al momento restano i più sicuri.
In Siria, la Caritas locale era già attiva in gran parte del territorio con programmi di assistenza umanitaria, sanitaria e riabilitazione economica. Si tratta di un’area particolarmente complessa che accoglieva già molti sfollati di una guerra che ha ancora focolai di conflitto.

Caritas Italiana ha espresso vicinanza, solidarietà e cordoglio alle Chiese locali ed è in costante contatto con Caritas Turchia, Caritas Siria e la rete Caritas Internazionale per sostenere l’organizzazione degli aiuti ed il coordinamento. Grazie al contributo della Conferenza Episcopale Italiana è stato predisposto un primo stanziamento di fondi per il sostegno degli interventi.

Considerata la difficile situazione socio-politica dei territori colpiti, nonché il delicato equilibrio in cui operano le Chiese, è necessario il massimo coordinamento. Si chiede di non effettuare raccolte di beni materiali e di non inviare beni all’estero. La forma di aiuto più opportuna resta la colletta in denaro, sostenendo Caritas Italiana per gli interventi che si stanno attivando in loco.

Per sostenere Caritas Italiana si può effettuare una donazione alla Caritas Diocesana attraverso i C/C seguenti:

Per l’Italia: DIOCESI SAN MARINO-MONTEFELTRO – IBAN: IT59D0306968481100000000471

Per San Marino: DIOCESI SAN MARINO-MONTEFELTRO – IBAN: SM57L0854009805000050188430

la cui raccolta sarà inviata a Caritas Italiana.

Il Direttore Caritas Diocesana
Luca Foscoli

Il Vescovo Andrea ha indetto per sabato e domenica prossima 11/12 febbraio una speciale giornata di solidarietà spirituale e materiale per le persone colpite da questa grave prova da celebrarsi in ogni parrocchia e in ogni chiesa.

Scarica la lettera del Vescovo