Comunicato stampa sul progetto di legge sulle unioni civili

In questi giorni il Consiglio Grande e Generale si appresta a discutere il progetto di legge di iniziativa popolare sulle unioni civili. Se da un lato è ammissibile l’esigenza di dare ordine ai diritti delle persone che compongono coppie dello stesso sesso, dall’altro è necessario non creare alcuna sovrapposizione con l’istituto del matrimonio in quanto ci sono aspetti antropologici e sociali, prima ancora che legali, rispetto a cui ogni manipolazione può rivelarsi artefatta e avventurosa per la società civile.
Quello delle unioni civili è un tema che esige di essere affrontato con serietà, avendo a cuore il bene comune, e non in maniera ideologica. Lo Stato deve garantire ai singoli i propri diritti, ma questo non può andare a scapito della famiglia composta da padre, madre e figli che è un bene della società intera, e in quanto tale è interesse della stessa società che sia custodita e preservata.
La legge di iniziativa popolare sulle unioni civile proposta è invece indirizzata a creare una sovrapposizione quasi completa con l’istituto della famiglia, in quanto richiama in gran parte la normativa che riguarda il diritto di famiglia. Ciò appare inammissibile per la natura evidentemente diversa delle due realtà, a ciascuna delle quali lo Stato deve riconoscere diritti adeguati alla rilevanza di ognuna per il bene comune.
Chiediamo alla politica di valutare attentamente le proprie decisioni per quanto è in gioco. Invitiamo ad ascoltare di più la famiglia, quella che da sempre è a fondamento della nostra società civile, che le consente di avere un avvenire e per la quale negli anni non sono state promosse politiche familiari corrispondenti alla rilevanza che ha rivestito e riveste per il paese.

San Marino, 21 febbraio 2018

Il coordinamento delle Associazioni Ecclesiali

Speciale giornata di preghiera e digiuno per la pace nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan

«Dinanzi al tragico protrarsi di situazioni di conflitto in diverse parti del mondo, invito tutti i fedeli ad una speciale Giornata di preghiera e digiuno per la pace il 23 febbraio prossimo, venerdì della Prima Settimana di Quaresima. La offriremo in particolare per le popolazioni della Repubblica Democratica del Congo e del Sud Sudan». Papa Francesco

Scarica il comunicato stampa della Rete Pace per il Congo

Omelia nella S.Messa in ricordo di don Giussani

San Marino (chiesa di San Francesco), 25 febbraio 2018

II domenica di Quaresima

Gen 22,1-2.9.10-13.15-18
Sal 115
Rm 8,31-34
Mc 9,2-10

Celebriamo quest’Eucaristia in memoria di don Giussani, come ringraziamento a Dio per il grande carisma che ha donato a lui e, attraverso lui, a tutta la Chiesa. Molti dei presenti possono testimoniare come l’incontro con lui abbia avuto il significato di una immensa dilatazione della vita, dell’intelligenza e del cuore.
La liturgia, per ben due volte nel corso dell’anno liturgico, ci mette di fronte al mistero della Trasfigurazione del Signore: il 6 agosto e la seconda domenica di Quaresima. Inoltre, l’avvenimento è riferito da tutti i Sinottici e nella Lettera di Pietro. In questo modo viene sottolineata l’importanza di questo evento per Gesù, per i suoi apostoli e per ciascuno di noi.
Come Pietro, Giacomo e Giovanni lasciamo che il Signore ci chiami a lui, «soli in disparte». Soprattutto in questo tempo di Quaresima, cerchiamo di fare in modo che non manchi mai lo spazio per la preghiera. Gesù fu molto radicale su molti aspetti: nei confronti del denaro, della testimonianza, del modo di vivere la sessualità, ecc. Ha esigito una radicalità anche per la preghiera. Come vescovo mi assumo tutta la responsabilità e la fierezza di aver indicato a alla Diocesi, attraverso la Lettera pasquale, l’urgenza della preghiera. Se c’è poca santità in noi, se la nostra società fatica a progredire è perché non si domanda. Mentre la grazia viva è dono di Dio, esclusivamente suo, senza nostro concorso, la perseveranza viene dalla nostra preghiera. «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5), dice il Signore.
Di fronte al racconto della Trasfigurazione secondo Marco vorrei fare tre sottolineature.

    a) Voi certamente conoscete il contesto (cap. 8). C’è la dichiarazione franca di Pietro sulla messianicità di Gesù, seguita dalla precisazione circa tale messianicità, fatta da Gesù: «Il Messia dovrà soffrire» (v.31). Messia sì, ma… Messia sofferente. Lo sappia chi vuole seguirlo (vv. 34-38). L’identità messianica di Gesù è costantemente protetta (29 volte nei Sinottici, 12 volte in Marco) dall’ingiunzione di conservare il segreto; perfino a Satana, dopo l’esorcismo che è avvenuto, Gesù chiede che non divulghi che lui è il Signore. L’ingiunzione rigorosa del segreto contrasta con l’episodio della Trasfigurazione: questa volta il segreto è svelato, nonostante poi l’ennesima proibizione di divulgare l’esperienza (v.9). Il segreto messianico è, in questo contesto, la chiave interpretativa del racconto: la Trasfigurazione è uno spiraglio aperto per i discepoli sul destino finale del Cristo Risorto. Solo a Pasqua, quando il Figlio dell’uomo «sarà risorto da morte» (v.9), essi comprenderanno il paradosso del Messia glorioso sofferente e se ne faranno annunciatori in tutto il mondo.
    b) Marco, per descrivere la Trasfigurazione, attinge abbondantemente al linguaggio veterotestamentario e all’esperienza di Israele con Dio (la menzione dell’alto monte, la nube, la notte, le vesti sfolgoranti, la presenza di Mosè ed Elia, la voce, il timore, non tanto la paura, ma l’atteggiamento di chi è cosciente di essere davanti alla maestà divina) per aprire varchi sull’origine divina del messianismo di Gesù: egli è veramente il “Figlio di Dio, l’amato” (v. 7), che tuttavia porterà a termine il mandato del Padre attraverso la sconvolgente via della croce (cfr. Rm 8,31-34). Non vi è altra salvezza se non quella che passa attraverso lo “scandalo” della croce, del Dio Crocifisso. Questo è l’insegnamento fondamentale di Marco. Alla fine del suo Vangelo sarà un centurione romano a fare la grande professione di fede: «Veramente, quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). Chi prende per mano l’evangelista Marco e fa tutto l’itinerario da catecumeno dovrà arrivare a riconoscere il Signore non tanto nella Trasfigurazione o nella moltiplicazione dei pani o nei prodigi, ma quando sarà innalzato da terra crocifisso.
    c) Ancora un’ultima sottolineatura di Marco. Pietro – ma in Pietro siamo tutti noi, la nostra comunità, la Chiesa di oggi – crede che quel tempo finale e glorioso sia giunto (v.5). Marco, in tono comprensivo e un po’ ironico mostra che sta prendendo il solito abbaglio! («Non sapeva quello che diceva», v.6). Pietro, come tanti contemporanei, era imbevuto di attese messianiche (l’Apocalittica attendeva per gli ultimi tempi la trasformazione dei giusti in uno splendore ultraterreno e sfolgorante).

Un monito: la comunità cristiana non deve “sedersi”; ogni trionfalismo è quasi sempre un “granchio”. Alla comunità non è dato che «Gesù solo» (v.8) e il suo Vangelo («ascoltatelo», v.7). Ritrovo qui una delle prospettive dell’insegnamento e dell’esperienza di don Giussani. È soltanto a Cristo che la comunità deve saldamente attaccarsi. È solo la sua parola che deve dirigere ogni paura e ogni preoccupazione. Solo così la comunità sarà immunizzata dalle ricorrenti tentazioni di voltare le spalle alla croce e lasciarsi abbagliare da compiacenti, ma estremamente equivoci, sogni di gloria.

Mi piace applicare questo messaggio evangelico anche alle situazioni concrete che appartengono al nostro quotidiano. Mi sono appuntato due piccole esperienze personali in cui mi capita di vivere la Trasfigurazione in contesti che non mi aspetto. Accade nell’incontro con le persone. A volte vedo rispetto, cortesia, buona educazione, ma ci sono momenti in cui vedo le persone con occhi nuovi, diversi, ad esempio nella comunicazione di un dolore, in un dialogo schietto… Lasciamoci sorprendere dalla persona che abbiamo di fronte, impariamo a coglierne tutta la ricchezza.
Un’altra esperienza proviene dal mio guardarmi allo specchio: vedo le rughe, le stanchezze… Ma qual è la bellezza vera? La vedo in una vita spesa, offerta, consumata. Prego perché questa settimana sappiamo vivere la Trasfigurazione, ad esempio offrendo un sorriso al posto del broncio e mettendo in rilievo la gioia nella fatica del lavoro. È l’amore che illumina, trasfigura, trasforma tutta la nostra vita.

Tempo per l’anima

Si rende nota una iniziativa per il tempo della Quaresima. Si tratta di un incontro mattutino di preghiera dalle ore 7:30 alle 8 nella chiesa di San Francesco (via Basilicius, 33, Repubblica di San Marino). La preghiera sarà animata dalle Monache dell’Adorazione Eucaristica a partire da lunedì 19 febbraio 2018.
L’iniziativa è pensata come momento di spiritualità e di raccoglimento, ma anche con una intenzione particolare per la pace sociale e internazionale. Tutti possono partecipare, ma l’invito è rivolto particolarmente alle persone che lavorano, a vario titolo, nella Pubblica Amministrazione che hanno la loro sede in Città.

È bello essere cristiani perché è bello essere di Cristo!

Messaggio del Vescovo Andrea per l’inizio della Quaresima

Rivolgo a tutti l’augurio per questo tempo speciale che è la Quaresima. Vorrei rivolgermi anzitutto agli amici di altra cultura e di altra convinzione per informarli, doverosamente e fraternamente, di quanto si preparano a vivere i cristiani. Sono certo di incontrare la loro cortesia.
Pensiamo a qualcosa di bello. Ad esempio, alla primavera: la natura, in questi giorni, si risveglia; le giornate si allungano, il sole comincia a scaldare, la terra si ricopre di verde, spuntano i primi fiori, c’è profumo nell’aria. Pensiamo al giorno delle nozze, quando ormai lo sposo è impaziente di iniziare una nuova avventura con la persona che ama. Pensiamo a qualcosa che sorprende, che riempie di gioia, valorizza tutto il positivo che è in noi e ci fa dire: «Ci sto!». Sono tutte esperienze di vita nuova: i cristiani dicono “di risurrezione”.
Così compreso il tempo della Quaresima è qualcosa di molto bello.
I cristiani chiamano Quaresima – dal latino quadragesima – i quaranta giorni che vanno dal Mercoledì delle Ceneri alla Pasqua; un periodo indispensabile per accogliere l’annuncio gioioso della risurrezione di Cristo, un avvenimento che non riguarda lui soltanto. La risurrezione, infatti, è potenza divina che investe il cosmo, riguarda tutti e tutti da vicino, coinvolti nella stessa esperienza di morte e risurrezione, di cambiamento e di novità. I cristiani sono proiettati verso la Veglia di Pasqua e l’attendono con ardore. In quella notte, la notte di sabato 31 marzo, dal fonte battesimale scaturisce la luce che rende nuovi. Col Battesimo viene sigillata indelebilmente l’appartenenza al Risorto. È un’appartenenza profonda, che radica l’essere in Cristo. È bello essere cristiani perché è bello essere di Cristo!
Fra gli impegni della Quaresima la Diocesi ne segnala tre in particolare.
La solidarietà fraterna: «Non è forse questo [il digiuno]: che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua carne?» (Is 58,6-7).
In particolare la Diocesi si mobilita per contribuire alla realizzazione di alcune opere necessarie alla missione in Mozambico (parrocchia Santa Cruz, Nampula), dove opera un missionario di Novafeltria, padre Franco Antonini.
Conoscere meglio le Sacre Scritture: viene proposto un più forte impegno di formazione; in pratica, dedicare tempo e risorse per meditare la Parola di Dio. In alcune parrocchie, come nei nostri monasteri, spuntano vere e proprie “scuole della Parola”. La Pastorale giovanile riserva ai ragazzi un week end per imparare a “pregare la Parola” e chissà quante altre iniziative sono in opera.
La preghiera: in questi giorni viene recapitata alle famiglie la mia lettera pasquale che ha come tema la preghiera. Sto con il Cardinale Martini che dedicò i suoi primi programmi pastorali a questi temi: “La dimensione contemplativa della vita” e “In principio la Parola”. La preghiera cristiana è ben altro che la recita di formule portafortuna. La preghiera è un rapporto da figlio a padre, da amico ad amico, da sposa a sposo. La preghiera è ardente desiderio, attesa di un “oltre”, ricerca di un volto.
Pregare è anche prendere una decisione pratica: ritagliare il tempo necessario, puntare la sveglia, spegnere la tv, sostare in chiesa, perché tutta la giornata ne risulta irradiata e diventi preghiera.

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

 

Omelia nella S. Messa di chiusura della Visita Pastorale alla parrocchia di San Marino Città

San Marino Città, 28 gennaio 2018

IV domenica del Tempo Ordinario

Dt 18,15-20
Sal 94
1Cor 7,32-35
Mc 1,21-28

(da registrazione)

1.
Incomincio salutando i ragazzi che stanno per ricevere il sacramento della Cresima. Può succedere – statisticamente accade – che, quando tornerete al posto dopo aver ricevuto la Cresima, i vostri familiari e alcuni amici provino, nei vostri confronti, una forma di soggezione, perché sentiranno che voi non appartenete più soltanto a loro. Avvertiranno che qualcosa di particolare è accaduto in voi. Potrà succedere anche che, durante la liturgia, portiate la mano alla fronte e sentiamo l’umido lasciato dall’olio mescolato col profumo, il crisma benedetto: sappiate che è il segno di un bacio, il bacio di Gesù, un bacio che non si cancellerà mai più, qualsiasi scelta o appartenenza viviate in futuro.

2.
Intelligenza e cuore mi confermano che la Visita Pastorale non è stata un adempimento burocratico e, men che meno, una noiosa ispezione.
La parola che indica la mia vocazione – sono vescovo – significa etimologicamente “sorvegliare, vegliare da sopra”, cioè “prendersi cura, proteggere, avvolgere di attenzione”. Ecco chi è il vescovo.
Di che cosa si prende cura il vescovo? Anzitutto dell’integrità della fede di una comunità: che nessun insegnamento di Gesù vada perduto. Poi si prende cura dell’unità fra i membri di una parrocchia-famiglia. Attenzione: unità non è uniformità. Persino i conflitti sono possibili, ma si impara a gestirli nella carità. Si prende cura della santità di ciascuno dei membri della Chiesa, assicurando i mezzi di santificazione (con la cura della liturgia e con la disponibilità dei sacerdoti per il sacramento della Confessione e per la direzione spirituale). Infine, si prende cura che la comunità – come una sposa – cammini piena di entusiasmo verso il suo sposo, Gesù Cristo, che non perda mai la tensione verso di lui, perché la Chiesa deve indicare il Cielo, pur occupandosi di tante cose della terra (cfr. Ef 1,10). Ad esempio, il campanile posto accanto alla chiesa è come una freccia che indica il Cielo.

3.
Ho abitato tra voi con questi pensieri. Che cosa ho visto? Che cosa ho vissuto?
Ecco una delle cose più belle che porto via con me. Ho fatto famiglia con i vostri preti. Ho dormito e mangiato nella loro casa. Mi sono reso conto delle loro fatiche. Non mi sono scandalizzato affatto per le tensioni (accadono in ogni famiglia!). Insieme abbiamo riso e scherzato. Abbiamo lavorato. Abbiamo pregato, la mattina, quando era ancora buio, davanti al SS. Sacramento. Mi hanno accolto e voluto bene. Penso che san Giovanni Bosco sia fiero di questi suoi salesiani!
Dico il mio grazie per avermi mostrato la parrocchia per quello che è, senza finzioni, e per avermi fatto incontrare tante persone. A voi dico: «Avvantaggiatevi della loro presenza; di ognuno cogliete la singolarità».

4.
Mi sono reso conto delle difficoltà legate alla vastità e alla configurazione geografica della parrocchia. La prima volta che sono venuto da solo ho impiegato 40 minuti da Santa Mustiola a qui. Mi sono perso. Menomale che don Roberto mi ha rincorso e riaccompagnato alla chiesa. Questa dispersione del territorio non aiuta; si fatica a conoscersi tutti e a sentirsi comunità. Oltre alla chiesa parrocchiale, poi, ci sono altre cappelle, con gruppi fervorosi di fedeli. I sacerdoti vanno a celebrare l’Eucaristia e fanno il possibile per tenere il collegamento, perché queste comunità sono parte dell’unica parrocchia, non entità “solitarie”.

5.
Nell’assetto parrocchiale accade una cosa singolare: sono i bambini, i ragazzi e i giovani che attirano e fanno parrocchia. Ho visto tutti i giorni il piazzale della chiesa pieno di automobili: erano genitori e nonni che accompagnavano bambini e ragazzi all’oratorio. Chi di loro aveva tempo osava entrare. Li ho visti contenti, contagiati da un clima bello e gioioso. Ho ripensato ad una conversazione tenuta da un professore al Museo etnografico di Bolzano. Quel professore aveva condotto me e i miei amici a vedere la celebre mummia del Similau, Ötzi, un uomo di 8 mila anni fa trovato tra i ghiacci in alta quota. Dopo aver descritto il territorio complesso del Trentino-Alto Adige, il professore ci chiese: «Secondo voi, chi ha scoperto i valichi alpini? Chi ha tracciato i sentieri più antichi e strategici? Chi, ad esempio, ha aperto per primo il Brennero?». Ha concluso: «Sono stati i camosci, i caprioli, i cervi e tutti gli altri animali inseguiti dagli antichi cacciatori, come Ötzi». Le prede, inseguite, sapevano sfuggire evitando burroni, aggirando ostacoli, scansando spuntoni di roccia, cercando traiettorie più rapide. Così le prede hanno insegnato ai cacciatori sentieri e passaggi. Vorrei dire a san Giovanni Bosco: «Caro don Bosco, hai vinto la scommessa. Avevi ragione: sono i più piccoli ad aprire il cammino e a favorire quello degli adulti, sono i ragazzi dell’oratorio, gli scout, i ragazzi del catechismo, i vari gruppi di giovani, che ci conducono alla parrocchia e fanno della parrocchia un luogo di attrazione, di incontro e di amicizia per tutti». Lasciamoci attrarre, andiamo a Gesù, il Signore! Che il carisma di don Bosco sia custodito, anche al di là di questo o quel sacerdote…

6.
Il territorio della parrocchia abbraccia anche il centro di San Marino con le sue istituzioni politiche, amministrative, finanziarie, educative. Ho fatto visita a molte istituzioni. Per me è stato a motivo, anzitutto, di cortesia. Non sono andato per chiedere privilegi, ma semplicemente per assicurare la volontà di collaborazione a vantaggio del bene comune. Sono andato per dichiarare l’impegno dei cristiani per la vita, per la famiglia, per l’educazione della gioventù. E se una cosa ho chiesto con forza e con soavità – una sola – è stata quella di avere libertà di parlare di Gesù e del suo Vangelo.
Ho potuto andare in tutti i luoghi dell’istruzione e della formazione, dagli asili nido – che, insieme alle altre scuole d’infanzia, sono un fiore all’occhiello di San Marino – all’università, dove sono capitato proprio nel giorno delle lauree.
Dove sono stato ho messo in rilievo due grandi lezioni di etica politica che ho apprezzato nella nostra Repubblica (speriamo non siano solo teoria). La prima: il potere come servizio. Il potere consegnato ai Capitani Reggenti, dopo sei mesi viene respinto e i due Capitani Reggenti tornano comuni cittadini, riprendendo il loro lavoro precedente. Il potere non appartiene alle singole persone, perché migliori delle altre. Essi hanno semplicemente svolto un servizio! Seconda lezione: il giorno del passaggio dei poteri fra la coppia dei Capitani Reggenti che scende e quella che sale sono invitati alla cerimonia gli ambasciatori di più di cento Paesi. Quel giorno si realizza nella Repubblica un sogno, un bozzetto del “mondo unito”. Fra le nazioni, la piccola Repubblica è un concreto segno di pace, di libertà, di spiritualità. E che cos’è questo se non civiltà?
Allora faccio un appello a tutti voi, ai giovani specialmente: non state alla finestra a guardare e a criticare; partecipate, assumete responsabilità, studiate le cose che riguardano la società (non sono soltanto economia, finanza… ci sono tanti aspetti della vita che non vanno trascurati).

7.
Poi do un messaggio ai bambini e ai ragazzi: conoscete le volpi di Sansone? Sansone voleva mettere a ferro e a fuoco i Filistei e ha escogitato un trucco. Ha legato delle torce alle code delle volpi, ne ha radunate molte sotto un cesto e poi ha acceso il fuoco. Le volpi sono scappate rapidamente e si sono tuffate nei campi di grano dei Filistei: si è creato un incendio globale. A quel punto i Filistei si sono arresi, hanno alzato bandiera bianca (cfr. Gdc 15,4-5). Non vi insegno ad essere piromani, ma ad incendiare d’amore la città, la scuola, la palestra, il campo di calcio, ecc. Potete mettere amore fra papà e mamma, fra gli insegnanti, invitare tanti vostri amici a venire in parrocchia ad incontrare Gesù. Non dite mai: «Siamo troppo piccoli!». Non siete troppo piccoli per amare, per essere apostoli.
Il mio cuore va anche agli adulti che ho conosciuto in questi giorni. In questa parrocchia si vive un’esperienza molto interessante. Ho visto gli adulti lavorare insieme con i giovani, in una reciproca inclusione e collaborazione. L’ho vista in tante realtà: penso agli ex- allievi, ai cooperatori, ai ragazzi che al venerdì si radunano per giocare insieme…
Coraggio, andiamo avanti! Come ci ha insegnato la pagina del Vangelo di oggi: Gesù è grande, attrae, vince il male. Addirittura, ha stanato non il male che c’era in piazza – macroscopico – ma quello nel cuore di qualcuno che era in sinagoga (la sinagoga era la parrocchia degli Ebrei). Ha scovato il male che c’è a volte nei nostri cuori. «Signore, liberami dagli spiriti cattivi e fa’ che anch’io possa godere del tuo abbraccio». Così sia!

Omelia nel Natale del Signore – Messa della Notte

San Leo (Cattedrale), 25 dicembre 2018

Is 9,1-6
Sal 95
Tt 2,11-14
Lc 2,1-14

(da registrazione)

Stiamo cantando le meraviglie del Signore: il Signore è grande. Ma il segno che ci è dato è quello di un bimbo. Gesù nasce in un clima di tensione, di disagio, di povertà. Nasce al tempo del censimento che, allora, significava umiliazione nazionale, inasprimento fiscale (il censimento era fatto per riscuotere le tasse), lunghi viaggi (bisognava andare nei luoghi della propria origine), scarsità di alloggi (tanto che Giuseppe è costretto a portare Maria a partorire in una stalla). I primi a riconoscerlo sono rozzi pecorai, malvisti dalla società di allora, inabili persino a testimoniare. Vien detto loro che troveranno il Messia nella forma di un fragile neonato, che tra l’altro diverrà profugo. Perché questi accenti?
Il Natale confligge con tante situazioni. Anzitutto il Natale cristiano confligge con il Natale comune: cenoni, regali, viaggi, ecc. Esso non ha nulla a che fare con il Natale di Gesù. È un momento di euforia dopata per dimenticare la crisi. «Buon Natale» – si dice –, auguri a raffica. Sia ben chiaro: non ho nulla contro le luci e contro i pranzi famigliari. Il problema è che si festeggia senza il festeggiato. Questo è il primo motivo di conflitto.
Poi, il Natale di Gesù confligge con una certa forma di religiosità, precisamente quella che da Dio si aspetta fortuna, salute, successo. A questi il Bambino di Betlemme dice: «Quelle cose chiedetele ai vostri dei, non a me. Come potrei concedervi queste cose? Nasco in una stalla, morirò su una croce». Qualcuno di voi mi dice: «Ma allora sei un Dio da poco, un Dio inutile: che ce ne facciamo di te, se non sai darci le cose che contano e che ci stanno a cuore?». La prima risposta è che Gesù non è Babbo Natale. La seconda la lascio dire a Pierre Claverie, uno dei monaci di Tibhirine, in Algeria, ucciso dai fondamentalisti e, insieme agli altri compagni, beatificato il 7 dicembre scorso. A chi gli domandava: «Perché rimanete in Algeria? Per fare che cosa?», lui rispondeva: «Noi siamo qui a causa del Messia crocifisso. Non abbiamo nessun interesse da salvare, nessuna influenza da mantenere, nessun potere e nessun privilegio da difendere. Siamo qui come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stringendogli la mano, asciugandogli la fronte. È, in fondo, la risposta del Bambino di Betlemme. «Non servo a nulla – dite voi – ma sappiate che quando vivete momenti di tensione, siete bastonati dalla vita, vi sentite in uno stato di confusione, io vi sono vicino, sono l’Emmanuele che vi è accanto e vi tiene per mano». Inoltre, il Natale confligge anche con una teologia sbagliata dell’incarnazione. A volte si dice: «La Parola di Dio deve essere presa là dove si trova e incarnata nella realtà della mia vita». Sforzo encomiabile, ma teologicamente scorretto, perché le cose stanno diversamente. Il Mistero del Natale ci ricorda che «tutto è stato fatto per mezzo di lui e nulla esiste senza di lui» (cfr. Gv 1,3). Se crediamo che la realtà è creata dalla Parola di Dio non dobbiamo applicare un bel niente alla realtà, semmai tirar fuori dalla realtà la Parola per farla nostra. Gli antichi parlavano dei “semi del Verbo”. «Tutto è stato creato per mezzo di lui e nulla esiste senza di lui». Ogni realtà, ogni cammino degli uomini, ogni cultura contiene “semi del Verbo”. Se applicare sa di sforzo, scoprire sa di stupore, di meraviglia. È Natale!
Anche quest’anno gli artisti si sbizzarriscono a fare il presepio o le tradizionali icone della Natività. Ci sono i pastori, gli animali, i piccoli borghi, i magi, il bambinello.
Alla fine della Messa si è soliti metterci davanti al presepio. Molti diranno la loro ammirazione per ciò che li colpisce di più: un villaggio lontano, una realistica riproduzione del tramonto, le mura di Gerusalemme, una finestrella illuminata, le stelle, Gesù nella mangiatoia. Voglio dirvi quel che mi piace del presepio. La prima cosa è il vedere che tutti i personaggi convergono verso la stalla della Natività. Pastori, magi, viandanti, casalinghe, pecorelle, tutti vanno verso Gesù. Persino nel presepe napoletano le tante figure, che sembrano poco interessate all’evento, sono sistemate in un movimento ascendente, quasi a spirale, che approda alla mangiatoia. Mi vengono in mente le parole di Gesù: «Innalzato da terra attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Innalzato sul legno della croce, ma, prima ancora, sul legno della culla che la prefigura. Sono sicuro che Cristo ci sta attirando tutti, ci sta interiormente seducendo. Ho fiducia che un giorno tanti torneranno, anche se non so come, quando, dove… Il mio augurio è che, dopo aver guardato il presepio, ci mettiamo tutti in cammino con i pastori, in sincero e appassionato cammino verso Gesù.
La seconda cosa che mi colpisce del presepio è la Sacra Famiglia. I pastori sono guidati dagli angeli, i magi dalla stella, ma chi porge il Bambino sono Maria e Giuseppe. Gesù non lo si incontra solo, ma in una famiglia, che lo ha accolto e custodito. Gesù lo si trova non con un percorso solitario, ma grazie ad una comunità, piccola forse, povera, con dei difetti, ma essenziale. Il mio secondo augurio, allora, è che nella nostra ricerca di Gesù non abbiamo paura a bussare alla porta non di Betlemme, ma della nostra parrocchia. Lì potremo riscoprire la necessità e la bellezza della dimensione comunitaria della fede. Andiamo insieme verso Gesù! Così sia.

Messaggio di Natale

Una sosta prolungata davanti al presepio

Perché un messaggio a Natale?
Solo per una consuetudine?
Il messaggio vuole esprimere ad alta voce un desiderio, anzi un sogno, e quando in tanti sogniamo insieme, si dice che quel sogno diventi realtà.
Ma il Natale è in se stesso messaggio: parla da solo, si impone al mondo e nel cuore, sonoro e delicato, domestico e politico, cristiano ed universale.
Ecco il messaggio: quando nasce un bambino è il mondo che rinasce e respira con lui per la prima volta. C’è una parola che sostiene la speranza dell’umanità: «Ci è nato un bambino». Ogni nascita è una tregua: un nuovo sguardo sul mondo, ahimè, spesso in lotta.
Da sempre gli uomini indagano sul mistero che li avvolge. La scienza ha aperto orizzonti, squarci sull’infinito. Già gli antichi si chiedevano chi avesse fatto il cielo, il sole e la luna. Gli Egizi si domandavano che cosa ci aspettasse dopo la morte. I Babilonesi studiavano le stelle (sono diventati i primi astronomi) e che dire dei filosofi dell’antica Grecia?
La storia dell’umanità scorre parallela alla storia delle domande che l’uomo si fa a proposito di Dio: una ricerca infinita sino al grande colpo di scena. Dio, forse stanco di essere studiato come un libro, risponde a secoli e secoli di congetture. E la sua risposta non è fatta di parole, ma di un volto, il volto di un bambino!
«Quando i saggi sono al fondo della loro saggezza, gli conviene ascoltare i bambini» (Georges Bernanos).
L’umanità ha bisogno di incontrare Dio: un Dio così, che non fa paura. Lo contempliamo e ci disarma. Nel Bambino di Betlemme, Gesù, Figlio di Dio, vediamo l’infanzia da proteggere, la giovane famiglia sulla strada, l’annuncio della gioia che viene da dentro.
Sì, quel Bambino sta dalla parte della vita che nasce; di tutto si priva ma non di una famiglia. Ci sfida ad osare la gioia: c’è più gioia a dare che a ricevere!
Propongo una sosta prolungata davanti al presepio. Pur essendo indispensabili le scelte di una buona politica, il mondo più giusto e più ospitale che tutti sogniamo dipende da ciascuno di noi.
Buon Natale!

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro

Giornata della memoria

Sabato 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, il Vescovo della Diocesi di San Marino Montefeltro, Mons. Andrea Turazzi, alle ore 9 si recherà in visita alla lapide posta in ricordo della Shoah in prossimità di Contrada Santa Croce. Sarà presente il Segretario di Stato per gli Affari Esteri, Nicola Renzi, l’ambasciatore d’Italia presso la Repubblica di San Marino, S.E. Guido Cerboni ed una rappresentanza degli studenti e delle studentesse della Scuola secondaria superiore.
Mons. Turazzi desidera sottolineare la necessità di non dimenticare la tragedia del popolo ebraico; con il Suo gesto vuole testimoniare la vicinanza ai familiari di coloro che furono deportati ed uccisi dai regimi nazista e fascista e vuole portare alla coscienza di ciascuno la consapevolezza delle conseguenze tragiche determinate da odio e razzismo, pericoli presenti anche nel mondo contemporaneo.

Nel documento pontifico del 1998 “Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah” si ricorda che il Novecento “è stato testimone di un’indicibile tragedia, che non potrà mai essere dimenticata: il tentativo del regime nazista di sterminare il popolo ebraico, con la conseguente uccisione di milioni di ebrei. Uomini e donne, vecchi e giovani, bambini ed infanti, solo perché di origine ebraica, furono perseguitati e deportati. Alcuni furono uccisi immediatamente, altri furono umiliati, maltrattati, torturati e privati completamente della loro dignità umana, e infine uccisi. Pochissimi di quanti furono internati nei campi di concentramento sopravvissero, e i superstiti rimasero terrorizzati per tutta la vita. Questa fu la Shoah: uno dei principali drammi della storia di questo secolo, un fatto che ci riguarda ancora oggi.”

E’ importante ricordare che molti furono i preti, i religiosi e le religiose, le donne e gli uomini cristiani che offrirono un aiuto concreto ai cittadini italiani e stranieri di religione ebraica perseguitati e costretti a fuggire e a nascondersi, così come dimostrano le ricerche condotte da storici di diverse appartenenze.

Mons. Turazzi ricorda come esempi padre Massimiliano Kolbe ed Odoardo Focherini. Massimiliano Kolbe – ospite nel 1915 del Convento francescano di San Marino –, per la sua intensa attività a favore degli ebrei perseguitati, fu arrestato ed internato nel campo di concentramento di Oswiipcim, dove si offrì liberamente di prendere il posto di un prigioniero condannato a morte. Padre Kolbe fu ucciso il 14 agosto 1941. Un altro esempio di generosità è stato Odoardo Focherini, nel 1936 presidente dell’Azione Cattolica di Carpi e dal 1939 amministratore delegato del giornale “L’Avvenire d’Italia”, sposato e padre di sette figli.
Nel 1942 Focherini – in accordo con la moglie Maria Marchesi – inizia la sua opera di assistenza agli ebrei perseguitati, a cui procura documenti falsi, soldi, collegamenti utili all’espatrio verso la Svizzera e, con l’aiuto dell’amico Don Dante Sala che accompagna personalmente piccoli gruppi di perseguitati fino a Cernobbio, riesce a salvare più di cento ebrei. Viene arrestato nel marzo 1944 a Carpi ed internato prima nel campo di Fossoli, poi in quello di Bolzano-Gries. Deportato nel lager di Flossenbürg, viene poi trasferito nel sottocampo di Hersbruck, dove muore alla fine di dicembre del ’44.
Una visita per ricordare di scegliere ogni giorno la solidarietà.

 

2° incontro sulla Dottrina Sociale della Chiesa

Si sta avvicinando il 2° appuntamento con gli incontri di DSC, previsto per lunedì 29 gennaio ore 21.00 presso la sala Montelupo a Domagnano dal titolo: “Giovani, lavoro e famiglia – L’educazione al lavoro, tra disoccupazione e rivoluzione tecnologica”.

Si tratta dell’incontro di “punta” del ciclo in quanto abbiamo la possibilità di ascoltare e interloquire con il prof. Leonardo Becchetti, Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata” (se avete tempo allego le 34 pagine del suo curriculum vitae), uno degli economisti del gruppo che dovrebbe esserci molto caro a cui appartengono Zamagni, Bruni e la Smerilli.
Becchetti è anche membro del Comitato Scientifico delle Settimane Sociali dei cattolici italiani, che ha organizzato l’ultima settima sul tema del lavoro, e quindi molto presente sul tema della serata.
Oltre ad essere molto preparato, il prof. Becchetti è anche molto diretto e chiaro nella sua modalità di comunicazione (vedi http://felicita-sostenibile.blogautore.repubblica.it/ oppure su youtube).