Giornata della memoria

Sabato 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, il Vescovo della Diocesi di San Marino Montefeltro, Mons. Andrea Turazzi, alle ore 9 si recherà in visita alla lapide posta in ricordo della Shoah in prossimità di Contrada Santa Croce. Sarà presente il Segretario di Stato per gli Affari Esteri, Nicola Renzi, l’ambasciatore d’Italia presso la Repubblica di San Marino, S.E. Guido Cerboni ed una rappresentanza degli studenti e delle studentesse della Scuola secondaria superiore.
Mons. Turazzi desidera sottolineare la necessità di non dimenticare la tragedia del popolo ebraico; con il Suo gesto vuole testimoniare la vicinanza ai familiari di coloro che furono deportati ed uccisi dai regimi nazista e fascista e vuole portare alla coscienza di ciascuno la consapevolezza delle conseguenze tragiche determinate da odio e razzismo, pericoli presenti anche nel mondo contemporaneo.

Nel documento pontifico del 1998 “Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah” si ricorda che il Novecento “è stato testimone di un’indicibile tragedia, che non potrà mai essere dimenticata: il tentativo del regime nazista di sterminare il popolo ebraico, con la conseguente uccisione di milioni di ebrei. Uomini e donne, vecchi e giovani, bambini ed infanti, solo perché di origine ebraica, furono perseguitati e deportati. Alcuni furono uccisi immediatamente, altri furono umiliati, maltrattati, torturati e privati completamente della loro dignità umana, e infine uccisi. Pochissimi di quanti furono internati nei campi di concentramento sopravvissero, e i superstiti rimasero terrorizzati per tutta la vita. Questa fu la Shoah: uno dei principali drammi della storia di questo secolo, un fatto che ci riguarda ancora oggi.”

E’ importante ricordare che molti furono i preti, i religiosi e le religiose, le donne e gli uomini cristiani che offrirono un aiuto concreto ai cittadini italiani e stranieri di religione ebraica perseguitati e costretti a fuggire e a nascondersi, così come dimostrano le ricerche condotte da storici di diverse appartenenze.

Mons. Turazzi ricorda come esempi padre Massimiliano Kolbe ed Odoardo Focherini. Massimiliano Kolbe – ospite nel 1915 del Convento francescano di San Marino –, per la sua intensa attività a favore degli ebrei perseguitati, fu arrestato ed internato nel campo di concentramento di Oswiipcim, dove si offrì liberamente di prendere il posto di un prigioniero condannato a morte. Padre Kolbe fu ucciso il 14 agosto 1941. Un altro esempio di generosità è stato Odoardo Focherini, nel 1936 presidente dell’Azione Cattolica di Carpi e dal 1939 amministratore delegato del giornale “L’Avvenire d’Italia”, sposato e padre di sette figli.
Nel 1942 Focherini – in accordo con la moglie Maria Marchesi – inizia la sua opera di assistenza agli ebrei perseguitati, a cui procura documenti falsi, soldi, collegamenti utili all’espatrio verso la Svizzera e, con l’aiuto dell’amico Don Dante Sala che accompagna personalmente piccoli gruppi di perseguitati fino a Cernobbio, riesce a salvare più di cento ebrei. Viene arrestato nel marzo 1944 a Carpi ed internato prima nel campo di Fossoli, poi in quello di Bolzano-Gries. Deportato nel lager di Flossenbürg, viene poi trasferito nel sottocampo di Hersbruck, dove muore alla fine di dicembre del ’44.
Una visita per ricordare di scegliere ogni giorno la solidarietà.

 

2° incontro sulla Dottrina Sociale della Chiesa

Si sta avvicinando il 2° appuntamento con gli incontri di DSC, previsto per lunedì 29 gennaio ore 21.00 presso la sala Montelupo a Domagnano dal titolo: “Giovani, lavoro e famiglia – L’educazione al lavoro, tra disoccupazione e rivoluzione tecnologica”.

Si tratta dell’incontro di “punta” del ciclo in quanto abbiamo la possibilità di ascoltare e interloquire con il prof. Leonardo Becchetti, Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata” (se avete tempo allego le 34 pagine del suo curriculum vitae), uno degli economisti del gruppo che dovrebbe esserci molto caro a cui appartengono Zamagni, Bruni e la Smerilli.
Becchetti è anche membro del Comitato Scientifico delle Settimane Sociali dei cattolici italiani, che ha organizzato l’ultima settima sul tema del lavoro, e quindi molto presente sul tema della serata.
Oltre ad essere molto preparato, il prof. Becchetti è anche molto diretto e chiaro nella sua modalità di comunicazione (vedi http://felicita-sostenibile.blogautore.repubblica.it/ oppure su youtube).

Omelia nella S.Messa di apertura della Visita Pastorale nella parrocchia di San Marino Città

San Marino Città, 21 gennaio 2018

III domenica del Tempo Ordinario

1Cor 1,1-13
Mc 1,14-20

(da registrazione)

Carissimi,
sono qui per incontrarvi. Il mio primo pensiero è di prendere l’avventura di questa settimana insieme come un libro sigillato, come un rotolo chiuso consegnatomi dal Signore. Non pretendo di aprirlo, di svolgerlo, ma, prendendolo dalle mani del Signore, dico con Gesù: «Ecco, Signore, io vengo a compiere la tua volontà» (Ebr 10,7). Nella Lettera agli Ebrei si dice che Gesù è entrato “nel mondo” con queste parole: «In capite libri de me scriptum est». Chiedo ai vostri santi patroni, Pietro, Marino e Leone, e a don Bosco di essermi accanto.
Mi “smarco” subito: io non sono il Buon Pastore, il Buon Pastore è Gesù. Lui solo, per fortuna! Tuttavia, l’allegoria del Buon Pastore illumina il ministero pastorale a cui sono stato chiamato. E per di più è un’immagine, quella del Buon Pastore, che mi coinvolge: con tutti voi io sono una pecorella, ma per voi un pastore. Davanti al Signore mi basta essere chiamato per nome, Andrea, senza evocazione di ruoli ed esibizione di titoli. Amo sapere che il Signore mi conosce e avvolge la mia fragile e titubante umanità con il suo amore: questo mi basta. Come pastore a lui chiedo forza e coraggio, lungimiranza e audacia. Legittime le vostre attese nei miei confronti e nei confronti di ogni prete, ne avete il diritto! Il fatto che siate esigenti vuol dire che avete stima. E quando sbagliamo e ci sgridate, ci fa onore: significa che da questa categoria vi aspettate molto. Insieme a tutti i sacerdoti chiedo la vostra preghiera, la comprensione, ma anche la docilità e la corresponsabilità. Vorrei fare della mia povertà l’invito a guardare oltre – anche la mia povertà è una chance! –, a guardare verso il Buon Pastore. Mi viene fatto dono di provare un’appassionata tenerezza verso il mio gregge. Quattro anni fa non sapevo che esisteste e voi non sapevate che esistessi. Poi è accaduto che ci appartenessimo reciprocamente. Sento che mi appartiene anche quella parte della comunità che forse non incontrerò.
La Chiesa, fin dall’antichità, è stata definita popolo che si raduna strettamente attorno all’Eucaristia, ma anche attorno al proprio vescovo. Quella del vescovo non è soltanto una funzione rappresentativa o di presidenza. Il vescovo è successore degli apostoli; bisogna fare una distinzione rispetto ai Dodici, ma per l’imposizione delle mani il vescovo ha la grazia di essere ammesso al collegio degli apostoli. Come vivo questa cosa? Sono stupefatto per il compito che mi è affidato dal Signore; mi viene da pensare: «Ecco, come uno degli apostoli devo parlare di te, Signore Gesù, devo raccontare tutto quello che so di te, come facevano gli apostoli». I primi cristiani, innamorati di Gesù, volevano sapere tutti i particolari di lui e della sua vita, anche i più insignificanti. Cosa importava, infatti, sapere che i grossi pesci raccolti nella “pesca miracolosa” erano 153, oppure sapere che l’erba sulla quale si sono seduti coloro che hanno goduto della moltiplicazione dei pani era verde, o che la veste di Gesù era inconsutile… per l’amore nulla è banale. Ma, soprattutto, gli apostoli han detto cose del cuore: che cosa pensava Gesù, qual era la sua ansia, qual era la sua intimità col Padre, com’era commosso di fronte alle nostre sofferenze.
Il Vescovo va un po’ in crisi pensando a che cosa dire agli amici di una parrocchia di città: «Gli dico le cose che ho imparato a scuola? Un po’ sì, servono anche quelle. Gli devo dire qualche progetto? Certo. Ma soprattutto loro vogliono sapere com’è il mio incontro con Gesù, qualcosa di inedito…». Non aggiungo niente – guai se lo facessi – alla Divina Rivelazione, però racconterò qualcosa di vissuto su Gesù. Questo mi interroga personalmente: «Io convivo davvero con Gesù? Sì, l’ho incontrato, ma dimoro con lui? Abito con lui? C’è qualcosa di nuovo nella mia convivenza con lui da spartire con i miei fratelli e con le mie sorelle?». Queste le domande che affollano la mente di un vescovo.
La Visita Pastorale mobilita anche voi, perché vi impone una riflessione, chiedendovi: «Che cosa ci sta a fare la nostra parrocchia al centro di San Marino? Qual è il nostro compito, la nostra mission? Che cosa ci sembra sia più necessario dire, testimoniare…». Sotto la spinta della Visita Pastorale la vostra comunità fa come – per così dire – un “tagliando”. Ai sacerdoti è pervenuto un questionario sul quale coinvolgere i Consigli pastorale e degli affari economici, proprio perché tutta la comunità faccia questa riflessione ed esca da questa settimana rincuorata e col desiderio di abitare la città con la gioia del Vangelo.
Il Vangelo di questa domenica è molto ricco di contenuti. Viene in ballo certamente un’urgenza che metterei in cima: la nostra formazione. C’è l’impianto catechistico che riguarda l’iniziazione cristiana da rinnovare, ci sono i giovani da riagganciare, ma ancora più necessario è ripartire dagli adulti.
San Marino è uno stato tra le nazioni, conosciuto e apprezzato, pertanto ha delle responsabilità di società, di politica, sulla famiglia. Anche per questo dobbiamo fare un passo avanti, sempre di più, nella conoscenza del Vangelo.
Auguri a tutti voi e buona settimana!

Omelia nella S.Messa di chiusura della Visita Pastorale alla parrocchia di Acquaviva

Gualdicciolo, 21 gennaio 2018

Terza domenica del Tempo Ordinario

Gio 3,1-5.10
Sal 24
1Cor 7,29-31
Mc 1,14-20

(da registrazione)

Quando sono stato consacrato vescovo per tutta la formula di consacrazione, lunghissima, due diaconi mi hanno tenuto il libro dei Vangeli sulla testa. Quel gesto solenne sta a dire che tutti siamo “sotto il Vangelo”, perché tutti siamo scolari, cioè discepoli del Signore. Pertanto, la sfida più grande è riuscire a scuotere la nostra insicurezza. Per esempio, oggi dovrei palesarmi in mezzo a voi annunciando una grande notizia, una grande novità; probabilmente voi dissentireste, dicendo che in fondo è solo una cosa religiosa, che riguarda pochi. Invece, il Vangelo di Gesù è veramente una svolta nella storia, perché ci porta la promessa di una vita altra (e non solo un’altra vita, pur essendo importantissimo sapere che abbiamo davanti un’eternità di gioia). Gesù si è presentato come araldo messaggero di questa notizia straordinaria e di importanza decisiva. I suoi contemporanei lo percepivano perché vivevano un tempo di crisi, di grande difficoltà in tutto il mondo allora conosciuto. Si chiedevano: «Quando accadrà che finalmente Dio si prenderà la sua signoria su di noi, immergendoci nella sua realtà di amore, di vita, di futuro?». Se lo sono chiesti gli antichi, se lo sono chiesti al tempo di Gesù, ce lo chiediamo anche noi. E Gesù entra nella storia dicendo: «Sono io il centro della storia, convertitevi, credete al Vangelo» (cfr. Mc 1,15). La conversione di cui parla Gesù non è tanto l’impegno a migliorare il comportamento morale – quello è una conseguenza –, ma è una questione di “postura”: convertirsi significa girarsi, voltarsi verso Gesù.
Qual è la cosa principale per la nostra comunità? È l’incontro con il Signore Gesù. Si può essere beneficiati di cristianesimo, ma non avere ancora realizzato un incontro personale con lui. Un incontro personale, ma anche di popolo, insieme alla comunità in cui viviamo. Quali occasioni abbiamo per incontrare Gesù? Ci sono quelle non programmate, in cui Gesù ci incontra nel modo più insolito, più creativo. A volte si tratta di un’ispirazione, oppure dell’incontro con una persona; altre volte di un momento intenso di contemplazione, qualche volta di un momento di dolore. E in quel dolore, anziché trovare la disperazione, incontriamo il Salvatore. Poi, ci sono delle occasioni programmate e da programmare. Per esempio il momento della Messa domenicale. Forse non sempre accade qualcosa di straordinario dentro di noi. Però, se ci prepariamo e andiamo incontro a lui, il Signore si infilerà certamente in qualche angolo del nostro cuore, perché non desidera altro che darsi a noi. Inoltre – questo vale soprattutto per noi adulti – abbiamo bisogno di formazione, di catechesi tra noi adulti. Non per indottrinamento, ma per metterci con la nostra vita davanti al Vangelo. Moltiplichiamo queste occasioni! Ma ce ne sono altre. Penso ai due verbi che usa soprattutto Giovanni, l’apostolo che, insieme ad Andrea, è stato una giornata intera con Gesù, in occasione del loro primo incontro: dimorare, rimanere. Questo vale per chi ha già incontrato Gesù e vuole coltivare la comunione con lui. Penso soprattutto alla Confessione e alla direzione spirituale. La direzione spirituale è garantita dalla presenza del vostro parroco, ma ci si può rivolgere anche ad un altro sacerdote di cui si ha fiducia… Quello che è importante è che ognuno abbia il suo confessore col quale può aprirsi e sentirsi accompagnato nel cammino.
È stato proprio in un clima di gioioso incontro con la persona di Gesù che le due coppie di fratelli, Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, hanno potuto dire: «Signore, veniamo con te». Gesù li ha chiamati una mattina sul lago; erano pescatori, impegnati nell’azienda ittica di famiglia. Gesù li ha guardati. È bello lo sguardo di Gesù! La preghiera, senza complicare troppo le cose, è quello sguardo. Santa Teresa d’Avila, grande maestra spirituale, nel cap. 26 del libro in cui racconta la sua vita spiega che cos’è la preghiera utilizzando almeno dieci volte la parola “sguardo”: «Noi guardiamo lui, lui guarda noi». In Simone, Gesù vede la roccia: Pietro. Guarda Andrea, persona modestissima, e vede in lui un preparatore delle persone all’incontro con lui. Incontra la peccatrice e vede in lei non solo i peccati, ma la sua chiamata alla santità. Quando va da Zaccheo non vede più solo un affarista, ma intuisce la generosità che si cela dentro di lui.
Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni hanno seguito Gesù e Gesù li ha fatti pescatori. Pescare significa prendere dal profondo e tirar fuori. Ognuno di noi è un pescatore: deve cavar fuori il meglio che c’è in ogni persona. In che modo? Con la stima, con l’ascolto, con l’accoglienza: in questo modo l’altro può dare il meglio di sé.
Permettetemi ora di dire una parola sul vostro santo patrono, Andrea. Compare in questo brano di Vangelo, ma anche in altri tre passaggi. In tutt’e tre troviamo una costante: Andrea è colui che porta a Gesù. Primo passaggio. Giovanni Battista vede Gesù che viene verso di lui e dice: «Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» (Gv 1,29). Andrea segue Gesù e sta con lui tutto il giorno. Poi cerca suo fratello Simone e gli racconta: «Abbiamo trovato il Messia» e lo conduce da Gesù (Gv 1,41-42). Secondo passaggio. Molta folla seguiva il Signore sulla montagna. È ormai sera. I discepoli dicono a Gesù: «Dove compreremo del pane perché questa gente abbia da mangiare?» (Gv 6,5). E Gesù risponde: «Date loro voi da mangiare» (Lc 9,13). Filippo obietta: «Non abbiamo niente» (cfr. Gv 6,7). Invece Andrea dice: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cosa sono per tanta gente?» (Gv 6,9). Andrea è un po’ sfiduciato, tuttavia accompagna il ragazzo da Gesù, è uno che favorisce sempre l’incontro con Gesù. Terzo passaggio. Un gruppo di greci sapienti è arrivato a Gerusalemme, forse per ricerca religiosa o per turismo. Avvicinatisi a Filippo gli rivolgono questa richiesta: «Signore, vorremmo vedere Gesù». Filippo va a dirlo ad Andrea e Andrea va da Gesù e lo informa (cfr. Gv 12,21-22). Dopo questa “anticamera”, Gesù dirà una delle parole più grandi, la sua autorivelazione: «Quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Gesù annuncia che diventerà punto di attrazione universale. Tutto questo attraverso Andrea.
Il mio messaggio, quello che vi consegno al termine della visita pastorale, è proprio questo: «Siate persone che portano a Gesù, come Andrea, il vostro patrono».

Conferenza pubblica: “La comunità ecumenica di Taizè”

In occasione della “Settimana universale di preghiera per l’unità dei cristiani” che da molti anni la Chiesa Cattolica, in accordo con il Consiglio Ecumenico delle Chiese, celebra dal 18 al 25 gennaio, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” in collaborazione con la Commissione diocesana per l’Ecumenismo e l’Ufficio diocesano di pastorale giovanile, sono lieti di invitarvi alla Conferenza pubblica dal titolo

La comunità ecumenica di Taizè

Frére Roger Schutz, costruttore di ponti e testimone di unità

La relazione sarà svolta da Don Gianluca Blancini (presbitero della diocesi di Biella, esperto di Ecumenismo e dell’opera di fr. Roger Schutz).
Alla relazione si affiancheranno alcune brevi testimonianze del Gruppo di Preghiera di Taizé (della Diocesi di Rimini).
L’incontro sarà introdotto e coordinato dal Prof. Natalino Valentini (Direttore dell’ISSR “A. Marvelli”).

La Conferenza si svolgerà VENERDÍ 21 Gennaio 2018, alle ore 20,45
presso l’Aula Magna dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” (San Fortunato, via Covignano n. 265, Rimini).

«Per frère Roger, cercare una riconciliazione fra cristiani non era un argomento di riflessione, era un’evidenza. Per lui, la cosa più importante era vivere il Vangelo e comunicarlo agli altri. E il Vangelo, non lo si può vivere che insieme. Essere separati non ha alcun senso. Quando era molto giovane, frère Roger ha avuto l’intuizione che una vita di comunità poteva essere un segno di riconciliazione, una vita che diventa segno. Ecco perché ha pensato di riunire degli uomini che cercassero prima di tutto di riconciliarsi: è la vocazione prima di Taizé, costituire ciò che lui ha chiamato “una parabola di comunione”, un piccolo segno visibile di riconciliazione».

(frére Alois, priore della Comunità di Taizé, successore di frére Roger)

Per ulteriori informazioni contattare la Segreteria dell’ISSR “A. Marvelli”, Rimini – Via Covignano 265; Tel. e fax 0541-751367; sito internet: www.issrmarvelli.it; e-mail: segreteria@isrmarvelli.it.

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

18-25 gennaio 2018

«POTENTE E’ LA TUA MANO, SIGNORE» (Es 15,6)

Si segnalano tre iniziative diocesane:
 
Sabato 20 gennaio ore 20:45 Veglia di preghiera guidata dal diacono rumeno greco-cattolico Giovanni Blidar presso il monastero delle Clarisse in Sant’Agata Feltria
 
Mercoledì 24 gennaio ore 17 Conferenza tenuta dal prof. Natalino Valentini su: “Il cammino ecumenico verso l’unità in Cristo. Il dialogo fra Cattolici e Ortodossi dal Vaticano II ad oggi”, presso il monastero delle Agostiniane in Pennabilli
 
Domenica 28 gennaio ore 20:30 Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo in rito bizantino-slavo celebrata da padre Vladimir Kolupaev (i canti saranno guidati da don Andrea Bosio), presso la Basilica di San Marino (RSM).

Omelia in occasione della Giornata della pace

1 gennaio 2018, San Marino (Basilica del Santo)

Nm 6, 22-27
Sal 66
Gal 4,4-7
Lc 2,16-21

(da registrazione)

Eccellenze Capitani Reggenti, Signori Segretari di Stato,
Signori Capitani di Castello, Ambasciatrice
fratelli e sorelle,
grazie di aver accettato l’invito a trascorrere queste prime ore del nuovo anno nel raccoglimento, nella comune riflessione e nella preghiera. Auguri!
Ci fa da preziosissimo stimolo il messaggio di Papa Francesco in occasione della 51ª Giornata mondiale della pace, una giornata che si celebra ininterrottamente dal 1967, istituita dal beato Paolo VI.
Il messaggio è indirizzato a tutti gli uomini di buona volontà, perché ognuno è chiamato ad essere artefice di pace. Nello scorso anno, tra l’altro, ci eravamo soffermati su questo trinomio (tre sfumature): essere nella pace, fare la pace, essere pace. La pace comincia da noi, da me per primo. Grande pace sperimento, ad esempio, nel sacramento della Riconciliazione, perché mi sento abbracciato da Dio, fatto nuovo come un bambino. Avverto pace quando fluisce nell’anima un sentimento di benevolenza davanti al limite delle persone che mi passano accanto. È bellezza e gioia provare stima per un altro e pensarlo più buono e più sapiente di me.
La nostra Chiesa particolare di San Marino-Montefeltro si fa a sua volta messaggera e consegna le parole di papa Francesco a coloro che hanno responsabilità di governo – qui in San Marino e in Italia – e responsabilità civili, amministrative, educative, con un gesto solenne e significativo, adesso nella basilica del Santo Marino e, questa sera, nel santuario della Beata Vergine delle Grazie a Pennabilli. Il contesto è quello gioioso, pieno di speranza e di auguri del Capodanno. Per chi è credente è quello solenne che celebra Maria come Madre di Dio, madre di quel bambino che contempliamo nel presepio che è Dio, Verbo fatto uomo.
Papa Francesco nel suo messaggio esprime preoccupazione per le tensioni che lacerano l’umanità e prega per quanti soffrono a motivo delle guerre. Stupisce come nel suo messaggio, appena alla quinta riga, entri subito “in medias res” mettendoci di fronte a cifre inquietanti: 250 milioni di migranti, dei quali 22 milioni e mezzo sono rifugiati. La cittadina di Goma, nel Nord Kivu (cittadina con meno di 300 mila abitanti) – mi è stato detto in questi giorni – ospita 1 milione di profughi. In Italia quest’anno sono arrivati 114 mila stranieri e 2850 sono morti in mare. Questi milioni di migranti e di rifugiati, come affermò Benedetto XVI, «sono uomini e donne, bambini, giovani e anziani che cercano un luogo dove vivere in pace. Per trovarlo, molti di loro sono disposti a rischiare la vita in un viaggio che, in gran parte dei casi, è lungo e pericoloso, a subire fatiche e sofferenze, ad affrontare reticolati e muri innalzati per tenerli lontani dalla meta» (Angelus, 15 gennaio 2012).
Ecco il titolo del messaggio di quest’anno: “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”.
Una caratteristica del messaggio, che appare evidente, è che si tratta di un testo controcorrente e parecchio coraggioso, perché dettato in un periodo carico di pregiudizi – lo dico senza animosità – e di volgarità, in un contesto ossessionato da identità chiuse che alimentano paure. È un messaggio decisamente alternativo – non piacerà a tutti – alternativo alle logiche del nemico, dello scarto, dell’indifferenza. Alternativo al sistema Caino, al sistema Erode, al sistema Pilato. Non voglio parlare in astratto, so che devo tanare il Caino che c’è in me, che mi fa dire «sono forse io il custode di mio fratello?» (Gn 4,9), scoprire l’Erode che c’è in me e l’ambiguità che gli fa dire: «Fatemi sapere dov’è il bambino, così andrò anch’io ad adorarlo» (cfr. Mt 2,8); mentre il retropensiero è di eliminarlo. Oppure il Pilato che c’è in me, l’indifferente, che «se ne lava le mani» (cfr. Mt 27,24).
Papa Francesco ci offre il progetto di una nuova cittadinanza. Nell’omelia della notte di Natale ha invitato ad avere una nuova immaginazione. Nel messaggio parla anche di sogno. Il suo è un invito a resistere e a respingere ogni forma di xenofobia e di razzismo, a ricostruire la grammatica della convivenza, ad attivare «la capacità di accogliere, proteggere, promuovere e integrare».
Il necessario realismo della politica non può diventare – cito – «una resa al cinismo e alla globalizzazione dell’indifferenza».
Come suo stile, Papa Francesco ama ricorrere alle immagini; gli servono per rendere performativo il suo pensiero, cioè per coinvolgere il lettore e per facilitare la memorizzazione di quello che dice. Ne evidenzio tre: lo sguardo, le mani, il cantiere.
Lo sguardo. Si tratta di uno sguardo contemplativo, che vede oltre, che vede in profondità, che non si ferma al “fotogramma”, usando un’immagine filmica. Ci sono delle meditazioni che ci innalzano, ci fanno vedere il mondo dall’alto, nel suo insieme, nella sua vocazione totale. È uno sguardo lungimirante, sapiente, fiducioso nella possibilità di «trasformare difficoltà avvertite come minaccia in opportunità per costruire un futuro di pace». Uno sguardo capace «di riconoscere i germi di pace che stanno spuntando».
Le mani. Sono le mani delle persone che arrivano e di quelle che accolgono, mani che si incrociano, magari timidamente. L’idea è che nessuno giunge a mani vuote e che ogni essere umano ha mani che portano, che ricevono, che scambiano doni.
«Che sarà mai di questo bambino?» (Lc 1,66), fu detto il giorno in cui nacque Giovanni Battista; interrogativo chi si pone per ogni bambino che nasce. Perché non si fa questa domanda per ogni bambino che arriva tra noi? E se ci fosse qualche Mozart, se ci fosse Galileo Galilei, oppure un Einstein? Certamente c’è Gesù Cristo.
Il cantiere. Non un cantiere qualsiasi, ma per costruire città dove si vincono la paura e la divisione, dove si lavora per realizzare la promessa della pace.
L’impegno a favore dei migranti – un’azione non qualunquista, ma prudente, concordata, elaborata con strategie di rispetto per tutti – non è altro che applicazione di principi che costituiscono un patrimonio comune dell’umanità, principi codificati nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, principi radicati nella nativa costituzione relazionale dell’essere umano (siamo fatti per l’incontro con l’altro, per lasciarci sorprendere dal dono di cui è portatore) e, per chi è credente, nella convinzione indistruttibile che ogni uomo è mio fratello perché figlio dell’unico Padre.
Per questi motivi, sul tema dei migranti, come su ambiente, armamenti e guerre, papa Francesco chiama i credenti e tutti gli uomini di buona volontà a «rendere il nostro mondo più umano», contrastando decisioni escludenti, portatrici solo di dolore, «per uomini e donne in cerca di pace».

Omelia S.Messa di ringraziamento (Te Deum)

Pennabilli, 31 dicembre 2017

Gen 15,1-6; 21,1-3
Sal 104
Eb 11,8.11-12.17-19
Lc 2,22-40

(da registrazione)

Questa sera mi metto di fronte a tutta la nostra Chiesa diocesana. Penso ai miei fratelli presbiteri, penso ai nostri sette monasteri. Oggi due ragazze, Marylou e Rita, hanno fatto il primo passo di ingresso nella comunità monastica delle Figlie Benedettine della Divina Volontà; sono salite sulla barca dietro a Gesù e si lasciano dietro tutto. Vanno incontro ad un grande amore, ad un grande futuro. E ho nel cuore i nostri giovani dell’Azione Cattolica che sono a Verona per una settimana di campo scuola. Ho in mente, soprattutto, i nostri ammalati. Prima di Natale ho avuto modo di fargli visita girando nelle corsie delle ospedali e nelle Case di riposo. Ricordo in modo speciale tutte le componenti della nostra Chiesa che è l’insieme dei discepoli che Gesù raduna attorno a sé.
A nome di tutta la Diocesi, dei miei fratelli presbiteri e diaconi, in unità con i nostri monasteri e con tutte le famiglie dico al Signore: Grazie. Perdono. Eccomi! Tre parole indicatissime per questo Capodanno. Alla fine della Santa Messa intoneremo il Te deum di ringraziamento per i doni ricevuti.
Una voce maligna dentro noi potrebbe insinuare questo dubbio: «Ringraziare? E tutto il male che c’è attorno a noi? E le disgrazie sempre in agguato? E i terremoti a ripetizione? E la siccità che ha messo in ginocchio l’agricoltura l’estate scorsa? E il bagaglio di sofferenze personali che ognuno di noi pudicamente custodisce? E le lacrime delle famiglie che si dividono? E gli amori traditi?».
Ha una sua pertinenza, ma è una voce maligna perché non coglie l’ampiezza, la larghezza, la profondità del mistero di luce che continua ad avvolgerci. Noi ci fermiamo su un “fotogramma” di pellicola, ma non vediamo tutto il film, non cogliamo l’intero: l’amore del Padre che ci tiene sul palmo della sua mano. Sembra una “frase fatta”, ma i santi, di fronte a queste parole, andavano in estasi, cioè fuori di sé dallo stupore, dalla gioia, dall’incanto. La mano del Signore è mano creatrice e conservatrice nell’essere (ricordate il grande affresco michelangiolesco nella Cappella Sistina, dove Dio tende la mano all’uomo, Adamo, che corrisponde timidamente); è mano salvatrice; è mano che ci fa da nido, ci protegge, ci avvolge; è mano che si è fatta visibile attraverso le mani di Gesù, mani che hanno curato, accarezzato, benedetto. Mani anche inchiodate per noi.
La preghiera ci educa a vedere l’intero del disegno di Dio, un disegno secondo il quale siamo destinati alla deificazione, perché la grazia santificante ci eleva, addirittura ci rende partecipi della natura divina. La preghiera ci fa vedere la bellezza del ricamo che è la nostra vita. La preghiera ci sostiene nel cammino verso un traguardo pensato e voluto per noi: il mistero pasquale! Ecco perché i travagli, le sofferenze e le lacrime. Per dirla con una metafora: è il miracolo della crisalide che diventa farfalla!
Enumero, poi, i tanti doni spirituali: i fiumi di Eucaristia (si fa di tutto perché anche nei piccoli borghi non manchi la celebrazione della Santa Messa), l’offerta di misericordia e di perdono, l’acqua della fonte battesimale che non cessa di infondere grazia, l’unzione del crisma per i nostri ragazzi che ricevono la Cresima e l’unzione risanatrice per i nostri infermi, l’effusione dello Spirito Santo per la missione degli sposi verso la famiglia (ci si sposa non solo per realizzarsi, ma anche per compiere una missione, per questo occorrono le risorse che dona il sacramento. Per diventare sacerdote sono necessari tanti anni di Seminario, per ricevere il sacramento del Matrimonio sono sufficienti soltanto otto incontri. Bisognerebbe parlarne di più, cominciare a dire la bellezza del matrimonio quando si fa catechismo e spiegarla agli adolescenti che devono conservarsi puri per esso), l’effusione dello Spirito Santo sui nostri ministri (quest’anno è stato ordinato un diacono).
Dice il profeta Isaia: «Ora – 2017! – così dice il Signore che ti ha creato, che ti ha plasmato: “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. […] Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima ed io ti amo. […] Non temere, perché io sono con te”» (Is 43,1-5 passim).
Capisco l’invito del Siracide: «Lodatelo più che potete. Ringraziatelo. Non è mai abbastanza. E, quando avete finito, ricominciate» (cfr. Sir 43,33).
Ascolto commosso il ringraziamento di Gesù, quando preso da una gioia profonda ha detto: «Ti ringrazio, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai svelato queste cose ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto» (cfr. Lc 10,21).
Oltre alla gratitudine sentiamo di chiedere perdono? Per che cosa?
Credo che la nostra Chiesa debba chiedere perdono per l’ignoranza colpevole, perché si trascura la formazione di noi adulti. Potremmo sostare ad ascoltare e meditare i discorsi di papa Francesco e – perchè no? – scrivergli per dirgli che gli siamo vicini, che stiamo seguendo il suo magistero. Chiedo perdono a nome di tutta la nostra Chiesa perché sono ancora troppo chiuse “le pagine del libro delle Scritture”.
E chiedo perdono perché non facciamo sempre bella la nostra Chiesa, perché, se non è bella, non è attrattiva e tanti ne restano lontani.
Gesù ha detto: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché anche loro diano gloria al Padre» (cfr. Mt 5,16).
Nel Te Deum canteremo – doverosamente – «miserere, miserere nostri, Domine! Fiat misericordia tua Domine super nos, et salvi erimus»!
Grazie, perdono, Eccomi! Il Signore è «colui che rialza», così viene chiamato nella Bibbia. «Egli dà forza allo stanco, moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano – così scrive il profeta Isaia –, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza stancarsi, camminano senza affannarsi» (Is 40,29-31).
Eccomi! Quante volte questa parola è ripetuta nelle Scritture: ci sono padri, madri, pastori, giovani, profeti, creature semplici che dicono «eccomi» al Signore. Soprattutto «eccomi» è la Parola che svela l’animus di Maria, la Madre di Gesù: «Ecco, sono la serva del Signore» (Lc 1,38). La Madonna ha tre nomi: il nome che le hanno dato i genitori, Maria, il nome che le ha dato il Cielo attraverso l’angelo, piena di grazia, e il nome che lei si è data: la serva del Signore.
Il futuro, il 2018, sta davanti a noi come un rotolo sigillato, una pergamena che nessuno di noi può svolgere. Prendiamo questo rotolo dalle mani del Signore con fiducia, con abbandono di figli, consapevoli che il “sì” è sempre e comunque fecondo e creativo, apre nuove strade.
Per quanto riguarda il 2017 vogliamo ricordare la grande sfida, la triplice sfida che ci ha messi in cammino come operatori pastorali: il dopo-Gesù, la Pentecoste, è ancora più potente del prima, perché Gesù è vivo. La Pentecoste è ai primi minuti dell’aurora. La resurrezione è la forza che sta in mezzo a noi, dentro di noi, che ci rinnova. Nel 2017 è stato come vivere al tempo dei primi cristiani, con lo stesso fervore, con lo stesso entusiasmo, con la gioia del Vangelo tra la gente, nel mondo, come i Corinti di cui quest’anno stiamo studiando la pastorale. A Corinto si è annidata la famiglia di Gesù. Per questo ci siamo ripetuti tante volte quest’anno di abitare il nostro tempo, il più bello che c’è, perché è quello che ci ha dato il Signore.
Concludendo, penso con gratitudine al 13 maggio, quando tutta la Diocesi era presente per onorare la Madre di Dio, una partecipazione di popolo. E ora l’avventura, che non è soltanto del Vescovo, di accogliere la visita pastorale.
Grazie, Signore. Perdono. Eccomi!

Omelia nella Santa Messa di chiusura della Visita Pastorale alla parrocchia di Faetano

Faetano, 12 dicembre 2017

Is 40,1-11
Sal 95
Mt 18,12-14

(da registrazione)

«Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita?» (Mt 18,12).
Il primo pensiero che mi è venuto in mente leggendo questo brano è che quel pastore è veramente “scriteriato”. Come si fa ad abbandonare novantanove pecore sui monti e ad andar giù per i greppi a cercarne una che ha voluto andare “per i fatti suoi”?
È giusto che Gesù ci interpelli: «Che ve ne pare?». Il comportamento di questo pastore è sorprendente e la conclusione di questa breve pericope evangelica è straordinaria: «Il Padre vostro celeste, Dio, l’Eterno, l’Altissimo, non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (cfr. Mt 18,14).
A conclusione della Visita Pastorale alla comunità di Faetano mi nasce in cuore questo invito: «Siate sempre più famiglia!». Lo siete già, ma siatelo sempre di più, perché non c’è mai la parola “fine”. «Se dici basta, sei perduto» (SANT’AGOSTINO, Sermo 169, 15 [PL 38, 926]). In particolare, nessuno di questi piccoli vada perduto.
Chi sono «questi piccoli»?
Il “piccolo” di cui parla il Vangelo è ciascuno di noi. Non dobbiamo perderci nello zapping degli impegni quotidiani: il nostro tempo è sempre così occupato. È necessario trovare dimora, almeno per qualche minuto ogni giorno, con noi stessi e con il Signore.
Ricordo un brano che mi hanno fatto tradurre ai tempi della scuola: era il racconto del rientro a Roma dell’imperatore Traiano dopo la conquista di Traci. L’imperatore arrivò a Roma sulla sua biga dorata e in città ci fu una grande festa. In mezzo alla folla una vecchietta implorava per sé un minuto di tempo all’imperatore. I centurioni la ricacciarono indietro, ma lei gridò più forte finché l’imperatore la sentì e le rispose: «Non vedi che non ho tempo?». «Ah, che delusione – disse l’anziana signora –, sei imperatore, ma non sei nemmeno padrone del tuo tempo!». Allora, trovare il tempo per la preghiera. In questi giorni ho visto una comunità che sa sostare nella preghiera, che sa dimorare nel tempo. Che sia sempre così!
Nessuno di questi piccoli vada perduto. Penso all’impegno che la vostra comunità mette per l’iniziazione cristiana. Voi ragazzi rappresentate a noi adulti un nostro grande dovere che è quello di dedicarci ad introdurre i più piccoli nella conoscenza di Gesù e nell’esperienza della Chiesa. Bisogna continuare a mettere ogni impegno senza stancarsi. Preziosissimo è il lavoro dei catechisti, ma è tutta la comunità che educa, a partire dal coro, dalle persone che svolgono servizi, dalla gioia che si sperimenta quando si entra dal portone della chiesa, quando si salgono i gradini. Tutto educa, tutto introduce nella conoscenza di Gesù. Guardo la vetrata della chiesa di Faetano. Senza la luce da dietro si vedono solo le ramificazioni; quando invece la luce la illumina si vede la bellissima immagine di San Paolo. Così è la Chiesa: se la si guarda da fuori la si può trovare noiosa, qualche volta scandalosa, ma se la si guarda illuminata la si vede bellissima, come riflesso di Gesù.
Occorre che l’impegno per l’iniziazione cristiana coinvolga le famiglie. Qui a Faetano ho incontrato molte famiglie giovani; bisogna inventare qualcosa per coinvolgerle. Sono sicurissimo che i catechisti, guidati da padre Ivo, sapranno escogitare qualcosa di nuovo; può essere qualche cena in più, l’ideazione di un percorso specifico per genitori…
Nessuno di questi piccoli vada perduto, mi fa pensare anche ai giovani. Impegniamoci ad inventare qualcosa perché si mettano in rete tra loro, facciano gruppo. Ci sono metodologie e anche contenuti che vengono preparati apposta per i giovani, per rendere più gradevoli e più fruibili certi fondamenti della fede.
Nessuno di questi piccoli vada perduto: pensiamo che tutti sono candidati, tutte le persone che fanno parte della comunità di Faetano. Non ci sono “bocce perse”!
È molto bello lo slogan del campo scuola che avete scelto quest’estate: «Erano un cuor solo e un’anima sola» (At 4,32). Come si fa per fare in modo che nessuno si senta perso? Non si tratta come i cowboy di lanciare il lazzo per catturare le persone e trascinarle in chiesa, ma farsi uno. Farsi uno vuol dire avvicinarsi, iniziare una conversazione, familiarizzare ovunque ci troviamo: in fabbrica, al supermercato, in coda allo sportello delle Poste, in ospedale, all’università… Pensare che ogni persona che incontriamo è un candidato, fa parte della famiglia. Come facciamo a farglielo sapere? Non c’è bisogno di dirlo apertamente; lo si respira quando c’è qualcuno che ci accoglie, ci dedica attenzione e ascolto. Farsi uno con tutti. Sentire che il problema dell’altro è mio. Non possiamo portare pesi superiori alle nostre forze, ma se il problema di chi mi sta attorno è anche un mio problema scatta il servizio, da non intendere come gesto paternalistico, dall’alto della mia autocoscienza verso l’altro che è in cammino, ma pensando che “se il tuo problema è mio, mi risolvo risolvendoti”.
Nessuno di questi piccoli vada perduto.
Per fare questo la comunità deve attrezzarsi valorizzando i ministeri. Pensiamo al dono grande che è padre Ivo in mezzo a voi. Ho gioito quando ho sentito la festa che gli facevano i bambini a scuola, gli impiegati nelle fabbriche e nelle aziende agricole, le persone per strada. Lui è fortunato perché molti laici collaborano con lui, mentre lui può essere san Francesco e Gesù in mezzo a voi. Poi il diacono Graziano, i catechisti, gli animatori. Nel video del campo scuola estivo ho potuto apprezzare che, accanto ad ogni bambino, erano presenti diversi animatori. È bellissima la diversità di ministeri in cui ognuno fa qualcosa, ma non occupa tutta la scena, come nei giardini si osservano tanti colori e tanti profumi, uno più bello dell’altro. In un giardino ci sono anche le radici, con cui in pochi si complimentano. Penso a quante nonne e nonni ho incontrato nelle case, con il rosario in mano, che si accordavano con padre Ivo per ricevere la Comunione eucaristica. Complimenti alle radici!
Oltre alla diversità di ministeri, è importante la strategia di fare gruppo. Il tono della vostra parrocchia è di tipo assembleare, ma ci sono problemi che toccano di più i genitori, altri che toccano di più i figli, problemi che toccano chi lavora, oppure i bambini, ecc. Occorre riservare momenti specifici per archi di età e per categoria, non dimenticando il collegamento con la diocesi, perché, insieme alle altre parrocchie, formiamo la Chiesa diocesana.
Infine, sottolineo la grande riscoperta del Concilio Vaticano II: i laici, a partire dalla riscoperta del Battesimo (mai cosa scontata!). Talvolta ci si dimentica di questo sacramento. È come dimenticarsi di avere addosso un gioiello, una perla preziosissima. Riscoprire il Battesimo: questo deve dare entusiasmo, coraggio. Anche se ho molto enfatizzato la parrocchia, ai laici spetta un grande compito: l’animazione delle realtà temporali, cioè il mondo del lavoro, la politica, la cultura… Se riuscissimo ad incidere sui mass-media, potremmo trasmettere bellezza e gioia. I laici sono l’anima nel mondo.
L’ultima parola che vi lascio è: curare la formazione, attraverso l’ascolto attento dell’omelia, una buona lettura, un buon programma televisivo, un momento di gruppo in cui leggere insieme un discorso del Santo Padre, il Catechismo della Chiesa Cattolica, ecc.
Pregate per il vostro vescovo e per tutti i sacerdoti. Vorrei fare una nomination particolare per le nostre suore, dono grande nelle nostre comunità, nelle corsie degli ospedali, tra i ragazzi dei gruppi che vengono per i ritiri nelle loro case. La presenza del SS.mo nel tabernacolo di queste case è possibile proprio per la presenza delle nostre suore.
Tanti auguri, andiamo avanti… a presto!