Percorsi interdisciplinari di Scienza e Fede

La Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca Interdisciplinare (Sisri) e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” delle Diocesi di Rimini e di San Marino Montefeltro, in collaborazione con l’Ufficio diocesano Scuola e IRC delle due Diocesi (Rimini e San Marino-Montefeltro) propongono la realizzazione di un progetto interdisciplinare di formazione e ricerca dedicato al dialogo tra Scienza e Fede. Il percorso formativo prevede un confronto interdisciplinare su 4 temi portanti del dialogo Scienza e Fede, che verranno affrontati in 4 momenti distinti e complementari. Ogni appuntamento previsto nella sede di Rimini, sarà replicato con gli stessi relatori e sugli stessi temi, anche presso la sede della Diocesi di San Marino-Montefeltro. Il primo appuntamento è fissato per

Lunedì 6 Novembre 2017, dalle ore 17.30 alle ore 20, a Rimini
Martedì 7 Novembre 2017, dalle ore 17.30 alle ore 20, a S. Marino

La creazione e l’universo: inizio e fine
Matteo Bonato
(Ricercatore in Astrofisica presso SISSA Trieste)

La narrazione di Genesi: significati e criteri ermeneutici
Mirko Montaguti
(Biblista, docente di Esegesi Biblica all’ISSR “A. Marvelli”)

Gli incontri avranno luogo a Rimini presso la Sala Manzoni (via IV Novembre 35);
e a S. Marino presso la Sala Montelupo (Domagnano, via F. da Sterpeto 13).

Il percorso si propone di favorire la conoscenza e la diffusione dei criteri fondamentali per impostare una corretta riflessione e ricerca interdisciplinare tra scienza, filosofia e teologia. Questa finalità generale è affiancata anche da altri obiettivi particolari, quali la corretta applicazione delle diverse teorie scientifiche in ambito teologico, l’interazione tra i diversi ambiti disciplinari, il confronto con il dibattito culturale contemporaneo su questi temi, la traduzione didattica e formativa collocata nella prospettiva dinamica dell’odierna realtà scolastica e pastorale ecc. Scopo di questo itinerario è riflettere sul problema dell’origine delle cose, mostrando fino a che punto la visione scientifica può illuminare i misteri dell’origine (della vita, dell’uomo e dell’universo) e cosa la Bibbia e la fede ci dicono in proposito. Il corso interdisciplinare scienza-fede curato in sinergia tra Sisri e Issr intende arricchire le proposte didattiche e l’offerta formativa dell’Issr e di altre istituzioni formative del territorio.

Matteo Bonato
Astronomo e astrofisico, i suoi studi si incentrano sulla formazione ed evoluzione delle galassie.
Formatosi a Padova, è stato ricercatore a Boston (Physics and Astronomy Department –Tufts University). Attualmente è ricercatore presso il SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati) di Trieste.

Mirko Montaguti
Biblista, si è formato presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, il Pontificio Istituto Biblico e la Pontificia Università Gregoriana. Insegna Esegesi Biblica presso gli ISSR di Rimini e di Pesaro. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Costruire dialogando. Mt 21-27 e Zc 9-14 tra intertestualità e pragmatica, Analecta Biblica 218, Roma 2016, oltre a numerosi articoli su temi di esegesi biblica.

Il percorso formativo è riconosciuto dal MIUR come aggiornamento per i Docenti delle Scuole di ogni ordine e grado.

Per informazioni e iscrizioni (obbligatorie):
www.issrmarvelli.it, oppure contattare la segreteria: 0541-751367, segreteria@isrmarvelli.it.

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Omelia nella S.Messa di apertura della Visita Pastorale a Falciano

Falciano, 30 ottobre 2017

(da registrazione)

Cari amici di Falciano,
sono contento di essere in mezzo a voi e di restare con voi per una settimana intera. Non starò sempre in chiesa, perché il mio desiderio è anche quello di andare a far visita agli ammalati, di incontrare le persone che lavorano nelle aziende e nelle fabbriche e – perché no – di camminare per strada, un po’ come faceva Gesù, che viveva insieme alla gente annunciando la buona notizia che il Signore ci ama immensamente. Noi siamo abituati a sentire questa parola; starei quasi per dire che questo annuncio ha perso un po’ del suo smalto e della sua novità. Al tempo di Gesù il rapporto con la divinità era spesso minaccioso. Mio fratello, che è missionario in Congo, tante volte mi ha parlato delle religioni pagane che hanno di Dio un’immagine truce. Secondo loro gli esseri umani sono sotto l’influsso degli spiriti, molti dei quali sono spiriti maligni, e quando una persona si ammala dicono: «Dio l’ha voluto». Pertanto vivono sotto questo incubo. Che bella invece la notizia che Dio ci ama immensamente. Vorrei che vi stupiste sempre di questo. Lo stupore non si può produrre artificialmente dentro di sé, ma lo possiamo chiedere come grazia. Nella prima lettura Paolo dice ai cristiani di Roma (ricordo che i cristiani di Roma avevano la vita dura, perché c’era la damnatio ad bestias, cioè li mandavano nel circo come pasto per gli animali): «Il Signore ha inviato su di voi il suo spirito, uno spirito da figli» (cfr. Rom 8,15). Dio è vostro papà, addirittura potete chiamarlo “Abbà”, che è la forma vezzeggiativa della parola “padre”. Lo Spirito è stato dato perché i cristiani, una volta ricevuto il Santo Battesimo, partecipino alla vita stessa del Padre, in Gesù, con lo Spirito Santo. Che cos’è la grazia? Un dono: partecipare della vita stessa di Dio. Tutto quello che facciamo quando siamo nello splendore della grazia, è come compiuto da Gesù per mezzo nostro. Tutto ciò che facciamo viene elevato in modo soprannaturale, perché la sua grazia pervade tutta la nostra vita.
Immaginiamo di essere nella Roma antica o a Corinto, oppure ad Atene o nell’Asia Minore, i luoghi dove il cristianesimo ha mosso i primi passi. Le prime comunità erano piene di entusiasmo, di stupore, di meraviglia. I primi cristiani non erano stanchi, come tante volte siamo noi. Non erano abituati; per loro il Vangelo era frizzante. Addirittura i primi cristiani vivevano uniti tra loro, mettevano tutto in comune, si amavano reciprocamente, perché il succo del Vangelo era l’amore reciproco. Non solo, erano anche coraggiosi testimoni. Andavano al mercato, come avevano sempre fatto, andavano nei luoghi della politica, come si conveniva agli adulti, andavano a fare sport, però con dentro al cuore la gioia del Vangelo. Il clima spirituale delle comunità dei primi cristiani è stato narrato in uno dei libri del Nuovo Testamento che si chiama Atti degli Apostoli. Chi dava a questi gruppi di cristiani che andavano formandosi in tutto l’impero antico la certezza di essere uniti a Gesù? Era la presenza degli apostoli. Gli apostoli dei primi tempi, dopo che Gesù era salito al Cielo, andavano da una comunità all’altra a raccontare di Gesù. Com’era, cosa faceva, i suoi miracoli, le parabole… I cristiani avevano tante curiosità. Volevano sapere tutto di Gesù, perché lo amavano. Non erano mai sazi di sentire parlare di lui. E quando gli apostoli sono morti, la Chiesa è rimasta senza aggancio col Gesù storico, il Gesù della Pasqua e della Risurrezione? No, gli apostoli, a loro volta, hanno imposto le mani su altri che sono diventati, per la potenza dello Spirito Santo, i testimoni della Risurrezione di Gesù, i depositari delle verità cristiane. Essi avevano, soprattutto, il compito di pascere quel piccolo gregge, un gregge che è andato sempre più crescendo fino ad arrivare ai tempi nostri. Sono passati duemila anni e non è mai mancata la grazia della successione apostolica. Il vescovo Andrea, che è qui in mezzo a voi questa settimana, è il 66-esimo vescovo del Montefeltro. Ora la diocesi si chiama San Marino-Montefeltro. È stato nel VII secolo che la nostra Chiesa, a quanto si sa dalle indagini storiche, ha cominciato a vivere. Essa è di derivazione riminese: i vescovi di Rimini hanno mandato i vescovi nel Montefeltro. A Rimini i vescovi sono stati mandati da Ravenna, la nostra metropolia, cioè Chiesa madre. Ravenna è molto importante nella storia della Chiesa, perché il primo vescovo di Ravenna fu Apollinare, ordinato vescovo da Sant’Ignazio di Antiochia, a sua volta ordinato vescovo da San Pietro. Quindi noi, in qualche modo, abbiamo una ascendenza petrina. Io sono l’ultimo anello; prima di me c’è stato Luigi, prima di Luigi c’è stato Paolo, prima di Paolo il vescovo di Rimini, perché per molti anni siamo stati senza il vescovo nella nostra terra.
E cosa fa il vescovo? Per prima cosa prega per il suo popolo; la preghiera di intercessione è il suo primo compito. Guai se non lo fa. Poi guida la comunità, dà indicazioni. I sacerdoti sono suoi collaboratori. Inoltre veglia perché non vada perduta la buona dottrina.
Oggi il vescovo non è più isolato come era nell’antichità, quando aveva contatti per lo più per lettera. Oggi i vescovi si aiutano tra loro e hanno il riferimento di Pietro. Pietro è il Papa. Qual è il compito del vescovo in questo preciso momento? Incoraggiare, parlare della gioia del Vangelo. Non si accorge, il vescovo, che tanta parte della nostra società si è allontanata dalla fede? Sì, lo sa, ma vuol dirci di non temere. Quando una cellula è sana, viva, vigorosa, prima o poi cresce e si sviluppa, diventa generativa. Sono in mezzo a voi, oggi, proprio con questo scopo: darvi coraggio, dirvi di essere fieri di essere cristiani.
San Girolamo, dalmata come San Marino e San Leo, grande studioso, il primo che ha tradotto la Bibbia nella lingua del suo tempo che era il latino (fu un grande studioso dell’ebraico, lingua degli antenati) ebbe un incubo in cui gli parve di andare in cielo davanti a San Pietro che gli chiese: «Tu quis es (tu chi sei)?». San Girolamo rispose: «Christianus sum». San Pietro gli ripeté la domanda. Rispose di nuovo: «Christianus sum». Allora San Pietro gli disse: «No, Ciceronianum es», cioè «sei un discepolo di Cicerone, perché pensi solo ai libri, agli studi, al latino elegante del grande scrittore che era Cicerone».
Anche a noi il Signore chiede: «Tu chi sei?». Che bello è potergli dire: «Sono un cristiano, o Gesù, sono del tuo gruppo, sono uno dei tuoi; ne ho la certezza, me lo dice il mio cuore e me lo dice anche il mio vescovo». E io dico al Signore: «Tutti questi fratelli, dai più piccoli ai più grandi, tutti, sono cristiani, felici di esserlo». Così sia.

Omelia nella S. Messa di chiusura della Visita Pastorale a Serravalle

Serravalle, 29 ottobre 2017

(da registrazione)

XXX domenica del Tempo Ordinario

Es 22,20-26
Sal 17
1Ts 1,5-10
Mt 22,34-40

1.
Ogni parrocchia ha una vocazione particolare. La dedicazione della parrocchia di Serravalle a Sant’Andrea designa la vocazione della vostra comunità. Vediamo qual è.
Sant’Andrea è l’apostolo che porta a Gesù. Ci sono tre episodi evangelici nei quali è protagonista. In tutti e tre ci appare intraprendente. Nel primo episodio Andrea viene invitato da Giovanni Battista a seguire Gesù: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29). Andrea si mette a curiosare alle spalle di Gesù. Gesù si volta e lo invita. Andrea va con lui, rimane con lui per un giorno intero e si ricorderà per tutta la vita: «Erano le quattro del pomeriggio» (cfr. Gv 1,39). Andò nella dimora di Gesù e quando tornò, andò da suo fratello Pietro: «Abbiamo trovato il Messia, vieni a vedere» (cfr. Gv 1,41). E lo condusse da Gesù. Un altro episodio commovente è quello della folla affamata al seguito di Gesù. Gesù dice agli apostoli di provvedere, ma non sanno come sfamare tanta gente. Andrea – ecco la vocazione – segnala la presenza di un fanciullo e lo accompagna da Gesù. Anche lui è tormentato dai dubbi come noi e si lascia sfuggire un’esternazione scettica: «Ma che cos’è questo per tanta gente?» (Gv 6,9). Gesù moltiplicherà pani e pesci per tutti, ma è stato Andrea che ha portato il fanciullo a Gesù. Nel terzo episodio viene raccontato un momento di altissima, sublime autorivelazione. C’è un gruppo di greci (stranieri) che vuole vedere Gesù. La delegazione si rivolge ad Andrea (Andrea porta un nome greco, per questo i greci vanno da lui, si sentono interpretati da lui, essendo inculturato col loro mondo. Andrea e Filippo vanno a dirlo a Gesù che accoglierà i greci. Dopo questa concitata anticamera, avviene l’incontro. Gesù coglierà l’occasione per consegnare il significato della sua esistenza e del suo sacrificio con la metafora del chicco di frumento che, caduto a terra, muore e moltiplica vita (cfr. Gv 12,24). Sì, ho visto il prolungarsi della missione di Andrea nell’impegno educativo e catechistico della vostra parrocchia, un impegno a favorire e a preparare l’incontro con il Signore. La parrocchia di Serravalle si distingue per l’impegno in ambito educativo. Vorrei dire ai genitori: «Assecondate questo sforzo, approfittate di tante risorse ed energie messe a disposizione con il servizio disinteressato di tanti amici ed amiche!». Penso anche al Circolo e al Centro sociale Sant’Andrea che offrono iniziative e contatti anche con l’esterno della parrocchia per avvicinare a Gesù e al suo Vangelo, attraverso il dialogo con tutti, specialmente con i “greci” di oggi. Altrettanto la Colonia, a servizio di tante famiglie e per la gioia di tanti ragazzi, con la collaborazione delle istituzioni, soprattutto della Congregazione di Serravalle; così l’impegno nel campo sportivo dell’associazione Juvenes. Che cosa chiedono i giovani? Di allargare sempre di più le proposte e di andare in cerca di nuovi amici. Come ha fatto Andrea! Ma, come la chioma di un albero è proporzionata allo sviluppo delle radici, così dico loro di andare in profondità nella vita cristiana, sacramentale, nella preghiera. Ad esempio, si avvicinano le ricorrenze dei Santi e dei defunti: sarebbe bello ne approfittaste per rinnovare la Confessione, per accostarsi all’Eucaristia. Abbiate cura della vita interiore.

2.
Il brano evangelico ci ha riproposto il comandamento dell’amore. La parola amore rischia di essere inflazionata e pertanto di sgualcirsi. Attenzione, gli avversari di Gesù tornano alla carica, stavolta con un tranello più raffinato: «Qual è il più grande dei comandamenti?». Oltre ai dieci dati sul Sinai, i maestri della legge contavano, tra proibizioni e ordini, 613 precetti. Una scuola rabbinica del tempo di Gesù considerava tutti dello stesso valore. Dicevano: «Che il comandamento leggero ti stia a cuore come quello più pesante». Un’altra scuola, invece, aveva stilato una sorta di minuziosa piramide di valori. Vogliono che Gesù prenda posizione, si comprometta, si schieri da una parte o dall’altra. Gesù anche questa volta sorprende, va all’essenziale, a ciò che sta sotto di ogni precetto, risponde: “Ama!”. Solo questo? Sì, solo questo! Gesù sembra operare una semplificazione e ridimensioni la tensione morale. Al contrario, Gesù radicalizza le esigenze della legge, perché mobilita tutto l’uomo nella sua interezza: cuore, anima, mente, forza, tutto quello che è nell’uomo, e in maniera integrale, ripetendo per ben tre volte il dimostrativo “tutto, tutta, tutto”. Per ben tre volte ripete l’appello alla totalità, all’impossibile! Ma non è l’impossibile che sgomenta. «Come posso osservare tutte le leggi?». «Ama senza misura» è la risposta. «Perché di amare sei capace! Ti ho programmato così», dice il Signore. In questo senso il comandamento dell’amore non è il primo di una serie, ma quello che dà senso e vigore ad ogni altro atteggiamento cristiano. Tutti i comandamenti non sono altro che applicazioni ed espansioni dell’unico comandamento.
Incontrando le maestranze e gli imprenditori delle tante attività presenti sul vostro territorio ho parlato di spiritualità del lavoro. Ho detto con alcuni: «Quando metti la chiave per avviare l’auto che ogni mattina ti porta lavoro, a che cosa pensi?». La risposta è: «Guardo se c’è la benzina». D’accordo. «Prova a fare un pensiero più profondo». «Perché vai a lavorare?». «Vado a lavorare per lo stipendio». Certamente. Qualcun altro: «Perché ho dato la mia parola». Sicuramente. «Per creare insieme ad altri qualcosa di nuovo». Ci sta! Ma più si avanza con i “perché” – per la propria famiglia, per i figli, per un servizio alla comunità, per accontentare clienti – si arriva a riconoscere che è l’amore che dà significato, slancio e creatività al lavoro. Si lavora per amare, si fa per gratitudine ed è questo che nobilita il lavoro umano. Allora la spiritualità non è soltanto una preghiera, una benedizione che avvolge di divino la fatica di ogni giorno, ma l’amore che tutto vivifica e trasforma. Anche il lavoro è preghiera. È il mio messaggio a quanti ogni giorno si spendono nel lavoro: «Fare per amore».

3.
In alcuni luoghi pubblici, soprattutto a scuola, si è voluta giustificare accuratamente e puntigliosamente la visita del vescovo. Si dice ad esempio: la scuola è laica, è di tutti, deve guardarsi dall’invadenza della Chiesa cattolica. Vorrei dire: «Non temano i dirigenti, i maestri; quella del Vescovo è stata e sarà sempre una visita di cortesia, per significare quanta considerazione la Chiesa abbia per la scuola. Non può un’istituzione del territorio come la scuola non tener conto di un’altra istituzione tanto significativa come la Chiesa.
Più in generale, non temano le istituzioni civili: il richiamo evangelico ad amare Dio è strettamente connesso con l’amore per il prossimo, con i valori della pace, della solidarietà, dell’impegno per il bene di tutti. L’anonimo dottore della legge che ha fatto la domanda a Gesù recitava ogni mattina lo “Shemà Israel”, il precetto dell’amore a Dio; sapeva bene che il precetto dell’amore al prossimo è collegato (come del resto praticano tutte le religioni…). Ma questa è la novità portata da Gesù: il secondo precetto è simile al primo, congiunto ad esso inseparabilmente. Amare Dio e amore al prossimo non sono alternativi, al contrario. Dio non ruba il cuore, non sequestra menti e braccia, semmai le moltiplica. Non è l’esperienza che facciamo tante volte? Dio allarga il cuore. L’amore allarga il cuore perché Dio è amore! Chiedetelo ai tanti anziani ammalati della parrocchia che, attraverso i sacerdoti, le suore, i ministri, ricevono l’Eucaristia ogni mese, qualcuno anche ogni domenica. Quanti cuori allargati ho incontrato. Le loro membra sono stanche, la mente e la memoria sono offuscate qualche volta, ma in loro c’è tanto cuore, tanta saggezza, tanto amore verso i figli, tenerezza verso i nipoti. Se qualcuno fa fatica a credere o non ci riesce proprio gli direi: «Continua ad amare». C’è una frase fulminante nel Vangelo: «A chi ama mi manifesterò» (Gv 14,21).

4.
Siamo per avvicinarci al momento centrale dell’Eucaristia, la più forte e la più inaudita delle dichiarazioni d’amore: «Prendete e mangiatemi, prendete e bevetemi» (cfr. Mt 26,26). In ogni dichiarazione d’amore c’è un trasalimento, qualcosa di magico. Attorno all’altare formiamo una sola famiglia nel silenzio adorante i cuori battono all’unisono. Poi viene il momento di ricevere la Comunione con il corpo-sangue-anima- divinità del Signore Gesù presente nel dono di un pane spezzato. Ci sono fratelli e sorelle che con il loro ardente desiderio di ricevere la Comunione, che ora non possono fare, e la loro nostalgia, sono per tutti noi un ammonimento, ammonimento per le nostre Comunioni disattente, abitudinarie, distratte e, qualche volta, fatte senza discernere il corpo del Signore. Ho ascoltato questi amici, queste amiche: è stato uno degli incontri più belli della settimana. Una tappa importante sul loro cammino di discernimento, di integrazione delle fragilità. Tutti in comunione. Tutti discepoli. Tutti impegnati a vivere il Vangelo. Ripeto: «Se tu leggi il Vangelo e lo vivi ti trasforma in un altro Gesù» Questo è il messaggio che consegno alla comunità parrocchiale di Serravalle: «Siate fieri di essere cristiani! E fatelo vedere!».

Periodico Montefeltro ottobre 2017

Ritiri di Avvento per sposi e fidanzati

Veglia di preghiera per la vita nascente

I Venerdì dell’AC

Omelia nella S.Messa di apertura della Visita Pastorale a Serravalle

Serravalle, 23 ottobre 2017

1Cor 1,1-13
Sal 22
Lc 5,1-11

(da registrazione)

Una cosa la si può dire sottovoce, la si può dire proclamando, la si può dire cantando – cantare significa essere ancora più persuasi. L’abbiamo cantato: «Il Signore è il mio pastore». È proprio lui che ci raduna e che, in questi giorni, fa sentire la sua prossimità a tutti noi. A me darà la forza per – in qualche modo – rappresentarlo; a voi tutto il suo amore. È davvero grande la mia gioia di stare con voi una settimana intera. Ho visto che sono in programma molti pranzi e molte cene; saranno occasioni per conoscervi meglio – anche se, a colpo d’occhio, mi sembra di conoscervi quasi tutti – e per riannodare ancor più fortemente i legami con la Chiesa particolare di San Marino-Montefeltro. Il trattino fra “San Marino” e “Montefeltro” unisce: è una diocesi unica! La visita pastorale sarà anche opportunità per incoraggiare e, se necessario, rinnovare qualcosa. Come vi vede il Vescovo? Che cosa sa di voi?
Il Vescovo sente profondamente vere le parole con cui San Paolo si rivolgeva alla comunità di Corinto, una città che sorgeva in un lembo di terra fra il mare Egeo e il mare Adriatico, su un istmo, città ricca di commerci e di genti di vario tipo; una città molto pagana dove pochi ricchi dominavano e molti servivano ai due porti: uno raccoglieva le navi che venivano da Ovest e uno quelle che venivano da Est.
San Paolo salutava così la comunità: «Voi siete motivo di ringraziamento per la grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù». La prima cosa che mi nasce in cuore vedendovi è il pensare la grazia di Dio che vi è stata data in Gesù in abbondanza. L’onda del Battesimo che scaturisce come da un grembo genera tanti cristiani qui in mezzo a voi. Poi penso ai fiumi di Eucaristia, a tutte le dichiarazioni d’amore in cui il Signore ha detto a ciascuno: «Prendimi, mangiami» (cfr. Mt 26,26). E ancora penso all’effusione dello Spirito Santo che fa di tutti noi dei coraggiosi testimoni del Vangelo. Tutto questo è “grazia di Dio”. Grazia perché dono immeritato, frutto della eccedenza dell’amore del Signore che ci fa suoi figli, fratelli di Cristo, tempio dello Spirito Santo. Il Signore mi ha dato modo, nei tanti incontri avuti con la vostra comunità, di constatare come siete stati arricchiti di tutti i doni: quelli della Parola e quelli della conoscenza. La vostra è una parrocchia che ha dato sempre molta importanza e vigore alla formazione: un robusto impianto di catechesi per l’iniziazione cristiana, ma anche per le altre fasce d’età, perché siamo sempre discepoli, scolari, sempre bisognosi di formazione; offre tutt’ora una diversificata proposta di movimenti e associazioni come Comunione e Liberazione, Azione Cattolica, ecc.
Continua San Paolo: «La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi». Quando si dice Castello di Serravalle non si può non fare riferimento alla sua parrocchia e alle sue istituzioni, soprattutto a favore della gioventù. Penso alla società sportiva Juvenes, al Centro Sociale Sant’Andrea, all’esperienza della Colonia estiva a servizio di tutto il territorio sammarinese, a Chiusi della Verna. La parrocchia è per il Castello di Serravalle un grande punto di riferimento. Lo sanno bene le istituzioni civili, penso ad esempio alla Congregazione, ma la parrocchia è anche un serbatoio di energie, di valori, di persone disponibili per tutta la comunità civile ed educativa. Penso alla parrocchia di Serravalle e ringrazio il Signore per il dono prezioso dei ministri istituiti, dei ministri straordinari della Comunione, dei diaconi (il diacono Massimo è stato ordinato appena una settimana fa). Lodo il Signore per la presenza tra voi della vita consacrata (le Suore Francescane Missionarie d’Assisi) e di tante vocazioni che sono partite da qui anche verso la missione.
A voi che aspettate la manifestazione del Signore – dice San Paolo e io lo dico a voi –: «Egli vi renderà saldi fino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore Gesù Cristo». Il Signore vi dà grandi motivi di speranza, vi tiene sul palmo della sua mano: non potete andare tanto lontano. Basta siate perseveranti. La vostra comunità, infatti, è fondata sulla roccia della Parola di Dio. Nei momenti in cui dovesse esserci burrasca domandatevi: per chi siamo riuniti? Per chi stiamo vivendo? Perché il nostro impegno e la nostra fatica? Per chi se non per lui, il Signore! Alla fine resterà soltanto lui, al di là delle nostre opere, e resterà l’amore con il quale abbiamo cercato di fare tutto. Di momenti difficili ne avete superati tanti. Lo scorso anno, ad esempio, l’avvicendamento del parroco. Don Peppino ha lasciato dopo oltre 60 anni di servizio ed è subentrato don Simone, sacerdote giovane e preparato. L’uno e l’altro presenza di Gesù Pastore, l’uno e l’altro con caratteristiche diverse. «Chi ascolta voi, ascolta me», dice il Signore. State certi dell’amore di don Peppino, che non vi dimentica; l’ho visto quando vi guarda dal balconcino della sua casa di Galazzano e prega per voi, e state certi dell’amore e dell’abnegazione di don Simone che dà il meglio di sé.
Dopo l’elogio che Paolo ha indirizzato alla chiesa di Corinto, senza smentirsi, guarda con realismo le problematiche di quella comunità. Si tratta delle divisioni che serpeggiano tra i fratelli: «Vi esorto ad essere tutti unanimi nel parlare perché non vi siano divisioni tra voi». L’unità: per questo la Chiesa è immagine della Trinità sulla terra. Dovremmo, con la cura nelle nostre relazioni, assomigliare alla Trinità. L’unità è un dono che viene dall’alto ed è un compito da costruire giorno per giorno, insieme, con le nostre forze, i nostri slanci, la nostra umiltà e le nostre correzioni fraterne. L’unità è indispensabile per meritare la presenza di Gesù. Il Vangelo dice: «Dove due o più sono uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). Notate: non dice “dove due o più santi”. La santità semmai viene dopo. Dove due o più sono uniti, questo sì. L’unità è segno profetico per il mondo d’oggi e testimonianza. Allora prima di parlare, prima di agire, prima di organizzare dovremmo domandarci: siamo uniti? C’è la carità tra noi? Pietro, scrivendo ai suoi cristiani, diceva: «Ante omnia, caritatem habentes», prima di tutto vi sia la carità. Un’ascesi.
Nel Vangelo, udiamo l’invito di Gesù a Simone: «Prendi il largo». Ma come – dice Simone. Abbiamo pescato tutta la notte senza prendere nulla. «Prendi il largo». Ecco una parrocchia in vista della missione. Il mare che ci sta di fronte è grande e ci sentiamo piccoli, chiusi in un piccolo vascello. Ma, se avremo l’audacia dei pescatori di Galilea e getteremo le reti sulla parola di Gesù, saremo anche noi come quei pescatori pieni di stupore, di gratitudine e di gioia.

Omelia nella S.Messa di chiusura della Visita Pastorale a Dogana

Dogana, 22 ottobre 2017

XXIX domenica del Tempo Ordinario

At 2,1-11
Sal 95
1Ts 1,1-5
Mt 22,15-21

«Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso posto» (At 2,1). Ecco, quel giorno è appena iniziato (non è accaduto solo duemila anni fa!). Proprio adesso, cari ragazzi, vivrete immersi in quell’atmosfera, nella fragranza dello Spirito del Signore che scende su di voi e su tutti noi.

1.
Ho una parola da dire ai più piccoli. Il Vescovo è passato nelle scuole e sui campi di calcio della Juvenes; gli è parso di vedere questi luoghi come dei vivai dove spuntano germogli, si aprono gemme, crescono piante, sbocciano fiori. Come? Con l’acqua, la luce, il calore, che maestri, educatori, mister assicurano perché ogni bambino e ogni ragazzo diano il meglio di sé.
E chi, più di Gesù, è un bravo maestro, il più caro degli amici? Che cosa dice, Gesù, ai suoi piccoli amici?
Sentite. C’è una città dei Paesi Bassi (Harlem) che è stata costruita su un terreno leggermente al di sotto del livello del mare; per difenderla dalle onde, quando sale la marea, è stata innalzata una grande diga. Così la città è al sicuro dalle mareggiate. Un giorno ci fu un bambino che si accorse di una crepa sulla parete della diga e come da un piccolo foro cominciava a penetrare l’acqua del mare. Il foro si sarebbe ingrandito sempre più per la pressione del mare e la crepa si sarebbe allargata fino a squarciare la diga. Quel bambino ebbe il coraggio di mettere il suo dito in quella fessura: lui, da solo, ha resistito ed ha salvato la città di Harlem dalla furia del mare in tempesta. Ecco cosa chiede Gesù a ciascuno di voi bambini: non siete troppo piccoli per difendere il mondo dal male. Con la vostra preghiera – mai dimenticarsene la sera e la mattina – siete come il bambino di Harlem che insieme a Gesù ferma tutto il male che c’è nel mondo.

2.
Anche alle mamme e ai papà ho lasciato un messaggio. Li ho sentiti preoccupati per l’educazione dei figli. L’indirizzo educativo spetta a loro: è loro diritto-dovere. Nessuno può prendere il loro posto, tutt’al più si può collaborare con i genitori. Con loro ho trascorso una bellissima serata, con tante domande e interventi, tanti consigli e suggerimenti reciproci; ma il messaggio fondamentale è questo: mamma e papà vogliatevi sempre bene, crescete ogni giorno di più nell’amore, perché dalla vostra vita di coppia dipende, in gran parte, il futuro dei vostri figli. Ci sono mamme e papà che devono affrontare da soli l’impegno di “tirar grandi” i figli. Il Signore si fa in quattro per loro perché non perdano coraggio.

3.
Ho incontrato i catechisti: una parte speciale della comunità parrocchiale, perché a loro, con il parroco e le famiglie è affidato il servizio di far crescere nella fede bambini e ragazzi, di introdurli nell’amore a Gesù. Non si tratta di trasmettere nozioni, ma di far sbocciare l’affetto per il Signore. Dico a loro, ancora una volta di prendere dalle mani di Gesù il “grappolo” che a loro è stato affidato. Il grappolo è il loro gruppo di catechismo o il gruppo associativo, un grappolo già pieno di sole, ma da proteggere, da custodire e da accompagnare. Di quel grappolo fanno parte anche i genitori, i fratelli, le sorelle e – perché no? – anche i nonni. Un bel grappolo! Ogni catechista è come quel giudeo di cui il profeta ha scritto: «Aggrappati al lembo del suo mantello ci sono dieci persone che non vogliono staccarsi e dicono: “Vogliamo venire con te perché abbiamo capito che con te c’è il Signore!”» (Zac 8,23).

4.
Tante persone, soprattutto adulti, sostengono la vita della parrocchia: c’è chi è impegnato nel campo educativo, chi in quello liturgico, chi nell’assistenza spirituale agli ammalati, chi nel campo della carità, chi in quello dei molteplici servizi, tutti nobili e tutti importanti (dal decoro della chiesa alla cura degli ambienti, sempre accoglienti e in ordine, dalla manutenzione ordinaria alla preparazione della grande festa parrocchiale, dall’economia della parrocchia al sostegno spirituale con la preghiera, ecc.). Ripeto quello che San Paolo diceva ai cristiani di Filippi (città della Macedonia): «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5). Che cosa sentiva Gesù quando incontrava le persone? Tutti correvano a lui. Allora dico agli impegnati parrocchiali:
Esserci, ma senza esserci troppo.
Fare, ma solo per amore.
Essere presenti, ma non per mettersi in mostra.
Essere intraprendenti, ma sempre in armonia col parroco e con gli altri amici della parrocchia.
«Servi inutili siamo», ma attenzione, la traduzione della frase è “servi senza utile”, cioè servi che fanno “per gratuità”, per amore!

5. Il Vescovo è stato in alcune aziende e in luoghi dove si fanno affari. Ha ricordato ad imprenditori e lavoratori la parabola dei talenti. «Fate fruttare i talenti», dice il Signore, «la ricchezza, l’intelligenza, l’impresa non sono una cosa cattiva quando sono per il bene comune, quando si è attenti alle necessità delle persone. Anzi, il denaro è un ottimo servitore… ma un pessimo padrone!
Gesù dice: «Bene, servo buono e fedele, entra e sii parte del tuo Signore. Non hai lasciato a riposo la creazione, non sei stato indolente, sei stato mio collaboratore» (cfr. Mt 25,21). Il lavoro è per far crescere talenti per il bene di tutti.

6.
Vengo ai giovani. Tra voi, in modo particolare penso ai ragazzi che stanno per ricevere il sacramento della Cresima e che diventeranno parte dei giovanissimi. Vi affido una grande responsabilità: aiutare la Chiesa ad essere in ascolto dei vostri amici, dei giovani di oggi (in ottobre del prossimo anno si terrà a Roma, convocato dal Santo Padre, un Sinodo dedicato interamente a tutti i giovani). Per ascoltare i giovani bisogna raggiungerli; per raggiungerli bisogna “uscire”, per uscire bisogna inventare modi per agganciarli o – come si dice – attaccare bottone. Mi ispiro al libro dei Giudici. Racconta di Sansone che, per sconfiggere i Filistei che continuavano ad opprimere Israele, catturò volpi, legò alle loro code torce infuocate e le mandò nei campi di orzo e di grano dei Filistei. Ci fu un grande incendio e la sconfitta di quegli oppressori. Vorremmo che i giovani fossero le nostre volpi che incendiano – ma d’amore – tutta la Repubblica di San Marino e oltre: dove passano lascino una scia di bene.

7.
Quante immagini, quanti messaggi… Ogni giorno, di questi passati con tutti voi, sentivo spuntare nel mio cuore una parola per tutti. Me la sono ripetuta mentre camminavo tra le vostre case pregando il Rosario: «Siate famiglia!». Questa è la bellezza affascina. «Siate famiglia»! Una parrocchia bella per i rapporti, bella nei suoi riti (tutto parla: le luci, i fiori, i canti, i ministri attorno all’altare) bella nei volti… Volti di belle persone. La bellezza è la spinta missionaria della parrocchia. Oggi, la gente, se da qualcosa si lascia sorprendere, è la bellezza. «Siate famiglia»!

Avete ascoltato il Vangelo. Hanno dato a Gesù una moneta; poi, per provocarlo, hanno chiesto: «È più importante Dio o Cesare?».
«Di chi è l’immagine nella moneta?», chiede Gesù. «È di Cesare», gli rispondono. «Dategli, dunque, la sua moneta». E poi, in modo non verbalmente esplicito ma chiarissimo, dice: «Di chi è l’immagine dentro di voi, che marchia il vostro cuore, che stampa indelebilmente la vostra anima e il vostro volto?». Voi con me certamente gli dite: «È l’immagine tua Gesù, siamo stati fatti a tua immagine». Quale la conclusione? Diamo tranquillamente a Cesare la sua moneta e a Gesù, il Signore, il nostro cuore. Così sia.

Messaggio per la Giornata dei medici e degli operatori sanitari

Carissimi tutti,
da qualche anno il centro diocesano per la Pastorale della Salute organizza momenti di riflessione, di preghiera e di incontro nelle giornate attorno alla festa di San Luca, patrono dei medici e degli operatori in ambito sanitario.
La dedicazione di qualche giornata non avrebbe senso se non fosse espressione di una considerazione permanente verso chi fa della dedizione agli infermi una professione, anzi una vocazione.
In questa circostanza desidero far arrivare il mio saluto ai partecipanti alla iniziativa e la mia gratitudine agli organizzatori. L’impegno a sconfiggere malattie, ad alleviare sofferenze, a coltivare la ricerca e ad elevare la qualità della vita è quanto mai in linea con lo spirito evangelico. Gesù passava di villaggio in villaggio sanando e guarendo malattie. Sbaglia chi, in nome di una mistica davvero poco cristiana, subisce la malattia con rassegnazione fatalistica.
La fede cristiana autentica sa guardare la malattia e il limite conseguente come occasioni per andare in profondità e comprendere il mistero e il senso dell’esistenza, per suscitare attorno prossimità e umanità.
Gesù ebbe a dire a proposito dell’amico Lazzaro: «Questa malattia non è per la morte» (Gv 11,4). La medicina ogni giorno fa progressi. Ne godiamo. La fede offre, insieme al conforto e al coraggio, gli aiuti spirituali che accompagnano il malato. Ci sono momenti nei quali, con l’aiuto della grazia, il malato riesce a fare della sua sofferenza una offerta unendola ai patimenti di Cristo.
In questi giorni si fa sempre più stringente il dibattito sulla legislazione di “fine vita”. Tema delicatissimo: da una parte la sacralità della vita, principio irrinunciabile, di cui nessuno può disporre arbitrariamente; dall’altra la necessità di accompagnare chi soffre ad una fine dignitosa, nella pace, abbandonando ogni accanimento terapeutico. La questione ha aspetti etici, terapeutici, giuridici, ma anche programmi di sostegno alle famiglie.
Auguro buon lavoro e assicuro la massima attenzione a quanto emergerà da questo incontro

+ Andrea Turazzi
Vescovo di San Marino-Montefeltro